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domenica 28 aprile 2013

testori

G. TESTORI: 

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 Dieci anni. Siccome sono un pò scrittore, ogni tanto uso anteporreai libri delle dediche, e a questi dieci anni vorrei anteporre, come esergo, una citazione di Mounier: "Occorre soffrire perchè la verita non si cristallizzi in dottrina ma nasca dalla carne". La chiusura è invece di don Giussani: "La giornata ci è data perchè questa verità nasca dalla carne, sia vista da noi e dagli altri nella nostra carne, cioè nei rapporti che vivremo con noi stessi, con gli altri e con le cose".
Dieci anni di un povero peccatore, stralunato e demente che sono io, con CL, con il Movimento, con il Meeting, con il Movimento popolare, con la Compagnia delle Opere, con la caritativa, con chi prega in silenzio, con "Il Sabato", con i miei "Incamminati", dico miei perchè ne faccio parte: sto tutto dentro a questo esergo e a questo finale.
Allora, grazie per questi dieci anni che mi avete dato, in cui mi avete sopportato, portato, aiutato, in cui mi avete abbracciato senza chiedermi niente di tutti i miei errori, di tutte le mie colpe, di tutte le mie stramberie, di tutta la mia disperazione.
Adesso io vorrei cominciare da ieri sera, perchè l'evento di ieri sera segna questo Meeting, lo segna con una totalità, lo segna con un avvenimento che costringerà tutti a leggere il Meeting, e nel Meeting CL e il Movimento Popolare e tutto il loro pregare, il loro darsi, perchè la vita sia vita, perchè l'uomo sia uomo, perchè l'Incarnazione sia quello che è, anche se noi uomini non riusciamo a farla essere, a capirla e esserne degni, cioè sia il centro del cosmo, il centro di tutto, piccolissimo e grandissimo. Ma ieri sera mentre ero lì, solo, su queste scalinate nell'attesa che si riempissero, mi si è avvicinato Aldo Busi, mi ha fatto una domanda alla quale io, e gli chiedo perdono, ho risposto negando e in modo sgarbato. Stamattina alla conferenza stampa è successo ancora un episodio simile che è andato avanti fino ad arrivare ad una certa violenza. Poi, non so perchè, lui, che nella sua forza o nella sua irruenza è indifeso, e io che non avevo nessuna possíbilità di difendermi - mi aveva giustamente colpito sui miei errori e sulla mia povertà di peccatore - ad un certo punto abbiamo taciuto, l'ira si è spenta e ci siamo dati la mano. Questo piccolo episodio riflette che cosa è Meeting: infatti un incontro cominciato per colpa mia con non umanità, per il profondo che corre in questo luogo si è spento, è diventato probabilmente, come mi auguro, l'inizio di un affetto, di una amicizia. Fatto questo come una doverosa testimonianza di colpa e una richiesta di scusa e un grazie
al mio amico scrittore, riprendo da ieri sera. Ieri sera gli "Incamminati", obbedendo a un giusto e santo bisogno di don Giussani, di rappresentare il Miguel Manara, testo che è per CL fondamentale fin dalla fondazione, hanno realizzato un episodio che è teatro ed è di più di teatro, è processione ed è più di processione, è forma, figura, immagine dell'espressività ma è anche corpi, è anche preghiera, è anche partecipazione totale a qualcosa che va oltre il teatro. Questa accolita di popolo che ha stretto dalla prima stazione - perchè di sei stazioni si trattava - gli attori, ha cancellato la denominazione di teatro borghese, pubblico-platea-attorí. Erano partecipanti. Io mi ricordo di avere visto le prove e ricordo che degli amici mi dicevano che questo era un avvenimento che si potrà vedere cos'è domani, quando ci saranno tutti, cioè quando ognuno sarà dentro a questa storia di perversione e di conversione, in questa storia che ripete, dentro un'anima offerta al male, la vicenda della Crocefissione e della Resurrezione. E stato un evento che è durato ore ed ore, e che io, nella mia ormai lunga vita, non ho mai visto di questa vastità, di questa bellezza, di questa coralità. Perchè ricordo degli eventi oceanici, ma erano quelli fatti per obbligo dalle dittature di destra, di sinistra, fasciste o rosse.
Questo, invece, era un avvenimento libero, libero in chi l'aveva proposto, libero in chi l'aveva accettato, e libero in chi gli dava forza. Io devo dire a nome di tutti, a nome degli "Incamminati", e a nome mio al grande umile, Franco Branciaroli.

Applauso del pubblico
La cosa poi che il Meeting sia cominciato con questa opera in cammino che è stato Il Miguel Manara, secondo me precisa due verità inevitabili: il bisogno dell'uomo di pregare, di stare insieme, di pregare insieme oltre che solo, e di trovare la forma, l'espressione della propria domanda, del proprio dolore, della propria speranza.
Il fatto che il teatro si fa ogni volta e ogni volta diventa coscienza della fragilità, della cenere, anche di queste forme. Ed è qui, secondo me, che il cristiano, che l'uomo, misura insieme la sua debolezza, testimonia e paga lo scotto del suo peccato, di quello originale di cui non si parla quasi più, e di quello di tutti i giorni, della disobbedienza, e nello stesso tempo trova la forza per andare avanti, per ritrovare altre forme, altre immagini, altri suoni che rappresentino la sua gioia, il suo dolore, il suo tormento di esistere, di essere figli di Dio, di essere luoghi del Cristo, anche per chi non sa che Cristo c'è in tutti.
E ricominciare, e poi riprovare che è cenere, e poi andare avanti, perchè l'eternità non è delle forme, non è delle parole, non è dei colori, non è della poesia, ma è di Cristo e della carità. Arriverà il giorno in cui tutto, anche le cose più grandi, come Michelangelo, come la Cappella Sistina, non esisteranno più. Non si leggerà più Shakespeare, perché non ci sarà più bisogno di leggerlo e finalmente Michelangelo e sua mamma, Shakespeare e sua sorella, saranno la stessa cosa in una pace e in una luce in cui quello che varrà è la fatica, la tensione, l'amore, la capacità di penetrare dentro la storia dell'uomo, di capirlo, amarlo e rappresentarlo.
Io vorrei dire che qui al Meeting la cosa che mi ha fatto più dolcezza è vedere quanti giovani e giovani ci lavorano, da quelli che lo costruiscono e che lo mettono in atto, a quelli che sono lì e nei vari stand aiutano, a quelli che ti portano in macchina, gratuitamente. Quando vado fuori vedo tutti questi che girano, girano, tutti come mosche senza testa, e qui invece lavorano, per un fatto, per una testimonianza ... Come si fa allora a parlare di CL e del Meeting se non si vedono queste cose, se non si toccano queste cose?
A me CL non mi ha mica preso per delle teorie di teologia, mi hanno preso quando sono venuti a trovarmi tre, quattro, per la tenerezza, l'amicizia, per qualche cosa in piú di umano che oggi invece la società - e lasciatemi dire anche gran parte della società cristiana - ha buttato via per inseguire la mitologia di uno stramorto progressismo. Alcuni giorni prima di venire qua Frangi e Bonacina, due dei pilastri di quel grande evento combattuto e combattente, pieno di impeti sacrosanti che è "Il Sabato", mi hanno edotto sul risultato di un sondaggio che "Il Sabato" aveva ordinato sulla frequenza alla Messa dei giovani, in Italia, dai quindici ai ventinove anni. Ebbene, il risultato è disperante: alla Messa va il 15% dei giovani. Allora, è facile dire che la colpa è della società, i mass-media, la tv, il consumismo, le balere, i night, le danze, Perotismo, è facile ma se ci mettiamo una volta tanto dalla parte di chi la Messa la dice ho l'esatta sensazione che la Messa sia spesso celebrata e partecipata non come se fosse "fate questo in memoria di me", l'avvenimento della Incarnazione, la Consacrazione, ogni volta, del pane in carne e del vino in sangue di Cristo, ma come se fosse la commemorazione della Messa.
Ogni tanto ho l'impressione di vedere le ultime commemorazioni della vittoria dell'altra guerra, che si facevano dopo la sconfitta di questa guerra una cosa astratta una cosa dove la verità si è cristallizzata in dottrina, anzi in parole, e parole modeste,e non nasce più dalla carne.
La cosa tragica è che poi l'Avvenimento avviene, ma chi lo dovrebbe manifestare, chi lo dovrebbe partecipare, sembra che lo strozzi, che questo Avvenimento sia cacciato via per sostituirlo con un simbolo; ecco, la mia impressione è che la Messa, e nella Messa l'Eucarestia, stia sempre più diventando un emblema. Ma questo non è il corpo di Cristo, il sangue di Cristo! Allora io mi chiedo: al Concilio Vaticano Secondo si stabiliva la tradizione della liturgia in italiano perchè tutti potessero capirla. Era un gesto di amore e di socialità, ma il risultato è qui. Io mi chiedo: questa traduzione poteva essere mediocre, poteva essere omologata all'italiano più omologato, ma non fino a questo punto; poteva conservare poco della forza della luce, del cristallo, del coínvolgimento che aveva in lingua estera, distruggendo la quale nella Liturgia è stata distrutta tutta la storia degli uomini, e questa è una colpa che difficilmente ci sarà perdonata, ma non così.
Mentre facevo questi pensieri a me è venuta tra mano la traduzione che della Liturgia aveva fatto ai tempi manzoniani un grande padre, grande filosofo e anche grande scrittore, Rosmini. L'ho letta e ho detto: ma coloro cui è stato dato l'incarico di tradurre la Liturgia, la conoscevano questa traduzione? Se traduzione ci doveva essere, si doveva fare in modo che fosse almeno quella, che ha dignità e anche se non è l'originale contiene il massimo, e non per niente infatti ricorda Manzoni. Questa di oggi, invece, che cosa ricorda, che cosa genera? Poi i giovani vari via, ma io credo che la Messa, e con la Messa tutta la vita di noi cristiani, s'è via via secolarizzata, ha distrutto il mistero, per raggiungere quali luci? Quali luci se non c'è più luce in giro e sono tutti lì, di notte, a girare come dei disperati, per far passare le ore? E noi cristiani, che abbiamo il deposito di questo mistero primo e ultimo dell'Incarnazione, l'abbiamo destituito, perchè bisognava capire tutto, e invece se c'è un luogo in cui finalmente l'uomo può umilmente non avere più questa dannazione di capire tutto ma farsi capire da Lui, dalla carità, da Cristo, questa è la Messa. Perchè anche la vecchietta, mia mamma, non sapeva il latino, e cosa faceva questa povera scema quando andava a Messa? Non sapeva bene cosa vi si diceva, ma lei si faceva capire, si faceva assumere, ed è morta così, facendosi prendere in braccio da quel Cristo che lei pregava, storpiando le parole, perchè poi noi non le storpiamo più, ma le diciamo come se fossero parole che si leggono sul "Corriere", o "Repubblica".
Io non so se si può tornare indietro, ma per lo meno cerchiamo di non rotolare ancora in questo finto "avanti", in questa finta "rincorsa". Bisogna farsi capire... che cosa? Bisogna, non che capiamo, ma che finalmente ci lasciamo Se chi maneggia l'ostia, il vino, credesse veramente, se noi che partecipiamo credessimo veramente, allora le parole, le preghiere, invece di inventare tante divagazioni inutili, superbe, sarebbero le parole, eterne, quelle di tutti i giorni, quelle che non sono mai invecchiate, che non invecchieranno. E allora i giovani non scapperebbero, colpa nostra se scappano, colpa nostra se scapperanno ancora di più, dato che siamo nella Chiesa. Io personalmente non amo che la Chiesa diventi ridicola, non amo entrare in Chiesa e vedere giornali, giornaletti, settimanali, non amo perchè c'è il tabernacolo, ci sono gli altari. lo non ho nessuna capacità, ma un violento suggerimento lo darei togliete le edicole dalla chiesa, la chiesa è chiesa. Se però edicole ci devono essere, allora le edicole siano complete, e non sia presente soltanto il gruppo delle Paoline.
Io adesso vi devo dire una cosa E giusto che anche noi di CL, voi, noi, quando prendiamo delle posizioni politiche e culturali che vanno prese, quando esprimono dei giudizi, se riuscissimo ad usare più amore, più carità, cioè fare quello che non ho fatto io stasera, usare più tenerezza, forse i giudizi arriverebbero, magari ferirebbero, ma come feriscono le parole dell'amore, le parole della carità. E invece ogni tanto ho l'impressione che ci manca un pò di questa carità in più, che non è mai abbastanza, di questo amore in più. Molti guardano CL senza vederne il profondo, il dentro che è la carità.
Di questo nessuno parla mai, del volontariato, di queste opere che qui sono esposte con pudore, ma in modo straordinario, vicino alle opere d'arte, ai dipinti, ai teatri. Nessuno parla mai della caritativa, questa offerta di sè per cui gli ospedali possono ancora andare avanti, per cui i carcerati sono ancora visitati, per cui i drogati sono ancora amati, per cui i malati di AIDS sono ancora amati: questo è il profondo di CL. E quando CL fa politica lo fa, e se fa qualche errore, tutti facciamo errori, per portare nel mondo della politica questa partecipazione. CL mi ha fottuto per questa carità, per questo amore, per questo non chiedere mai se ero un figlio di puttana o se invece ero una persona per bene.
Allora, dieci anni di un Movimento che sa, che ha creato il Movimento popolare, che ha creato un settimanale come "Il Sabato" che è copiato da tutti, citato sempre prima che esca per paura di non colpirlo abbastanza. Leggetelo di più, lo leggete poco, come dovete leggere di più il vostro, mio don Giussani, lo leggete poco, troppo in fretta, per questo dovete andare a vedere la rappresentazione, perchè noi lo leggiamo dalla fine. No, è il cammino, la fatica che tutti i giorni, questo povero Cristo si assume, e come lui qui ce n'è un altro, tanti, ricordo don Ricci perchè è l'immagine vivente, come un albero colpito da tutti i fulmini e va avanti, va avanti. Ma questo è CL, siete voi CL, siete la tenerezza che mi ispirate e che io cerco di cacciar via gridando, altrimenti mi viene da piangere. I giornalisti dovrebbero cominciare da lì, poi benissimo le dissertazioni, ma non dal gioco politico in cui, per altro, CL deve entrare. Tanto è vero che Giussani, nella sua straordinaria intelligenza, conoscenza e sofferenza delle cose umane, ha creato il Movimento popolare.
La terra è terra, la cenere è cenere. In politica c'è molta più cenere che nel teatro,e non si può fare politica senza magari anche incappare nella cenere, nella merda, non è che si possa stare fuori, bisogna cercare che merda sia il meno possibile. E poi è provato che la merda è anche concime CL è un movimento che crea dal niente e ha creato "Il Sabato" e poi delle compagnie di teatro come gli "Incamminati". Poi "L'Arca" e tutte le altre compagnie piccole, che pullulano, bellissime; tutte le altre iniziative e insieme questa onda, questo oceano di carità, di amore, di aiuto. E un movimento così, secondo me, merita solo che ci si inginocchi e si dica grazie, prima di tutto al Signore, che ci ha concesso la grazia di vivere, come diceva Sua Eccellenza, in questi anni.
Io ho quasi finito, e vi chiedo scusa di avere cercato di vincere l'emozione straparlando. Vorrei prima ricordare, dopo dieci anni nel Meeting, per tutti i dieci anni e gli anni a venire, vorrei ricordare tutti voi che lo avete fatto, tutti, vorrei chiamarvi nome per nome. E allora cito solo due che sono emblemi ed emblematici e li ringrazio. Sono l'Emilia e l'Antonio Smurro, per il Meeting, che vi rappresentano tutti. Per il Movimento popolare c'è qui Cesana. Per il teatro e tutte le arti creative vorrei che venisse su con me, per un momento, Franco Branciaroli. E adesso arriva la cosa più dura, difficile, perchè è la più dolce di tutta la carità, l'amore, la partecipazione, la solidarietà, la preghiera di questi dieci anni del Meeting e di tanti anni in più di CL: io vorrei chiamare qui Margherita. Essa vive al mio paese, si era sposata, il suo sposo si chiamava Marco, dopo due anni è morto in un incidente in moto. Aiutata da Cristo e da tutto il Movimento, da tutti i suoi amici, ha vinto - non cancellato, che è diverso - ha superato, ha trasformato il dolore per questa prova tremenda, lo ha superato con una donazione di amore infinita. Era venuta a conoscenza che a Merate c'era una ragazza drogata, malata di Aids, si chiamava Monica. L'ha tirata in casa, l'ha curata, chissà con quanto amore, con la mano del suo Marco qui sulla fronte, tanto che Monica - il diario della sua libera conversione, è stato pubblicato su "Il Sabato" - l'ha accompagnata, si è abbracciata a Cristo, è morta nella pace. Poi c'è il fidanzato, amico di queste ragazze, anche lui malato di Aids, e lei e gli altri hanno ripetuto, rinnovato, reinventato, perchè l'amore reinventa, con lui, lo stesso infinito, tenero, umile gesto di carità, la stessa imitazione fino all'osso ultimo di Cristo. E così continua Margherita, vieni su Io ho finito, ma prima di finire devo dirvi una triste, enorme cosa. Uno di voi, un ragazzo di Sondrio, che si chiamava ... che si chiama Pietro, che era venuto qui con altri suoi fratelli nella militanza del Meeting, l'altra sera per rinfrescarsi un pò ha fatto il bagno e il Signore ha voluto che restasse là. Alzatevi in piedi. "Requiern aeternam dona ei Domine et lux perpetua luceat ei, requiescat in pace. Amen".

NUOVO GOVERNO, APOLOGIA RATZINGERIANA DEL COMPROMESSO

NUOVO GOVERNO, APOLOGIA RATZINGERIANA DEL COMPROMESSO
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C’è un documento “rivoluzionario” che vale la pena rileggere oggi perché illumina l’attualità politica. Dovrebbero meditarlo tanto i sostenitori del nascente governo Letta, quanto i suoi rabbiosi oppositori.
E’ un formidabile elogio filosofico e teologico del compromesso come moralità della polit
ica. Ed è una bocciatura senza appello di massimalismi, utopismi, fondamentalismi, ideologie e giacobinismi di tutte le epoche e le latitudini (che possono essere atei o religiosi, di sinistra come di destra).
Questo discorso – particolarmente prezioso in giorni nei quali si confonde, deprecandolo, il compromesso con l’inciucio - porta la firma dell’allora cardinale Joseph Ratzinger.
Fu pronunciato il 26 novembre 1981, durante una messa per i deputati cattolici del parlamento tedesco nella chiesa di San Winfried a Bonn.
Il testo è stato poi inserito nel libro “Chiesa, ecumenismo e politica” (edizioni paoline) col titolo “Aspetti biblici del tema fede e politica”.
Ratzinger iniziava spiegando che “lo stato non è la totalità dell’esistenza umana e non abbraccia tutta la speranza umana… questo alleggerisce il peso all’uomo politico e gli apre la strada a una politica razionale”.
Una simile affermazione – che è tipicamente cristiana perché in epoca precristiana il potere tendeva a divinizzarsi, a porsi come assoluto – è la base della vera laicità. Perché afferma che non ci si deve aspettare la felicità e il Bene Assoluto dalla politica.
“La fede cristiana” aggiungeva il cardinale “ha distrutto il mito dello stato divino, il mito dello stato-paradiso e della società senza dominio o potere. Al suo posto ha invece collocato il realismo della ragione”.
Così la politica è chiamata al buon governo delle cose umane, secondo criteri di realismo, gradualismo e razionalità, nella direzione della libertà e della dignità umana.
Con la consapevole accettazione dell’imperfezione che caratterizza ogni realizzazione terrena.
Invece il desiderio di felicità o di Bene Assoluto che riempie il cuore umano è un desiderio infinito che la politica deve servire, ma che non può appagare.
Si deve cercare altrove.
Ogni volta che la politica è stata investita da un’attesa messianica di palingenesi, di purificazione, di redenzione, di liberazione, ha partorito ideologie e sistemi totalitari che – dopo aver promesso il paradiso in terra - hanno costruito inferni.
Infatti Ratzinger osservava – in quel discorso – che “quando la fede cristiana, la fede in una speranza superiore all’uomo, decade, insorge il mito dello stato divino, perché l’uomo non può rinunciare alla totalità della speranza”.
Essendo stato il cristianesimo a portare la laicizzazione dello Stato e della politica, poi, con la scristianizzazione, sono rispuntate le ideologie e i totalitarismi.
E tramontate le ideologie sistematiche e totalitarie del Novecento, un’analoga tentazione – di messianismo politico - continua a permanere oggi nei fondamentalismi, negli utopismi moralisti e giacobini, nei fanatismi manichei che vedono in una parte politica il Bene assoluto e nella parte avversa il Male assoluto.
Ratzinger ha un giudizio netto: “una simile politica, che fa del Regno di Dio un prodotto della politica… è per sua natura politica della schiavitù; è politica mitologica”.
E qui il cardinale sottolinea l’importanza della presenza dei cristiani per proteggere la laicità dello stato dai fanatismi, dai messianismi politici.
Dice: “la fede oppone a questa politica lo sguardo e la misura della ragione cristiana… il rifiuto della speranza che è nella fede è, al tempo stesso, un rifiuto al senso di misura della ragione politica. La rinuncia alle speranze mitiche propria della società non tirannica non è rassegnazione, ma lealtà che mantiene l’uomo nella speranza”.
A questo punto Ratzinger introduce un tema che illumina l’attualità. Oggi infatti in Italia sono sostanzialmente tre politici cattolici, cioè Enrico Letta, Angelino Alfano e Mario Mauro a condurre in porto questa svolta che – se ha successo – può farci uscire dalla guerra civile permanente e portare a una pacificazione storica, a una stagione di ragionevolezza, realismo, bene comune e prosperità.
E anche a un salutare rinnovamento generazionale.
Sono tre giovani politici dai percorsi diversi, ma accomunati dalla fede cattolica e politicamente da un’originaria ispirazione degasperiana .
Anche nel dopoguerra del resto fu la classe politica cattolica, guidata da De Gasperi, a portarci fuori dall’incubo delle ideologie totalitarie e dei loro miti che avevano provocato rovine.
Perché tanto ieri che oggi proprio dei politici cattolici hanno questa funzione storica?
Ratzinger spiega: “Il primo servizio che la fede fa alla politica è la liberazione dell’uomo dall’irrazionalità dei miti politici che sono il vero rischio del nostro tempo”.
Ed ecco la splendida apologia ratzingeriana della razionalità e del compromesso:
“Essere sobri ed attuare ciò che è possibile, e non reclamare con il cuore in fiamme l’impossibile, è sempre stato difficile; la voce della ragione non è mai così forte come il grido irrazionale. Il grido che reclama le grandi cose ha la vibrazione del moralismo; limitarsi al possibile sembra invece una rinuncia alla passione morale, sembra il pragmatismo dei meschini. Ma la verità è che la morale politica consiste precisamente nella resistenza alla seduzione delle grandi parole con cui ci si fa gioco dell’umanità dell’uomo e delle sue possibilità”.
Ratzinger conclude:
“Non è morale il moralismo dell’avventura, che intende realizzare da sé le cose di Dio. Lo è invece la lealtà che accetta le misure dell’uomo e compie, entro queste misure, l’opera dell’uomo. Non l’assenza di ogni compromesso, ma il compromesso stesso è la vera morale dell’attività politica”.
Sono considerazioni autorevoli da prendere come bussola. Oggi che, ancora una volta nella storia di questo Paese, proprio dei politici cattolici stanno provando a “smilitarizzare” la politica, a sminarla dai fondamentalismi, a laicizzarla, a mostrare che il compromesso (se non viene svilito) ha una profonda moralità.
Come nel dopoguerra, si trovano a fianco i riformisti, i liberali e i socialisti. Tutti deprecati dai massimalisti.
E’ il caso di portare a compimento questa svolta con un certo orgoglio, non “alla vergognosa”, se conveniamo – con Ratzinger – che è davvero morale il realismo della razionalità e del compromesso, non l’utopismo, né il giacobinismo, né il massimalismo, né l’integralismo.
Dietro alle tentazioni ideologiche che, nelle diverse forme, hanno bisogno del Nemico e pretendono di mettere sulla scena della politica lo scontro fra il Bene Assoluto e il Male assoluto, sta sempre una forma di gnosticismo, come ha spiegato un grande filosofo, Erich Voegelin, autore del “Mito del mondo nuovo”.
Il cristianesimo ci libera da questo pericolo sempre incombente. Ma – ovviamente – “ciò non significa” conclude Ratzinger “che la fede abbia portato un realismo libero da valori, il realismo della statistica e della pura fisica sociale. Al vero realismo dell’uomo appartiene l’umanesimo e all’umanesimo appartiene Dio”.
Un nuovo umanesimo e un nuovo rinascimento potrebbero essere l’orizzonte e l’ambizione di questa pacificazione nazionale. Se non fallisce e non viene sabotata.
Se non diventa un compromesso al ribasso. Se i protagonisti saranno capaci di far fronte alla grandezza della responsabilità.

Antonio Socci


Da “Libero”, 27 aprile 2013
www.antoniosocci.com

RATZINGER : FEDE E POLITICA

RATZINGER : FEDE E POLITICA


RATZINGER  ASPETTI BIBLICI DEL TEMA FEDE E POLITICA

Omelia*

Quest'omelia è stata tenuta il 26 novembre 1981 durante una liturgia per i deputati cattolici del parlamento tedesco nella chiesa di San Winfried a Bonn. Le letture, IPt 1,3-7 e Gv 14,1-6, erano quelle della liturgia del giorno. A tutta prima esse sembravano irrilevanti per il nostro tema; a ben guardare si sono poi rivelate inaspettatamente feconde.

L'epistola e il vangelo, che abbiamo appena sentito, derivano da una situazione, in cui i cristiani non erano soggetti attivi dello Stato ma erano perseguitati da una dittatura crudele. Non era loro consentito di portare insieme con altri lo stato, ma potevano soltanto sopportarlo. Non era loro consentito di formare uno stato cristiano. Il loro compito era di vivere da cristiani nonostante lo stato. I nomi degli imperatori al potere, nel periodo in cui la tradizione colloca la data di entrambi i testi, bastano ad illuminare la situazione: si chiamavano Nerone e Domiziano. Così anche la prima lettera di Pietro definisce i cristiani come «dispersi» o stranieri in un simile stato (1,1) e denomina lo stato stesso come «Babilonia» (5,13). Essa indica in tal modo incisivamente la situazione politica dei cristiani di allora: corrispondeva in qualche modo a quella degli ebrei esiliati a Babilonia, che non erano soggetto ma oggetto di quel potere e che perciò dovevano imparare come avrebbero potuto sopravvivervi e non come avrebbero potuto realizzarlo. Lo sfondo politico delle letture odierne è dunque radicalmente diverso da quello attuale. Tuttavia contengono tre affermazioni importanti, con un significato anche per l'azione politica fra cristiani.

1. Lo stato non è la totalità dell'esistenza umana e non abbraccia tutta la speranza umana. L'uomo e la sua speranza vanno oltre la realtà dello stato e oltre la sfera dell'azione politica. Ciò vale non solo per uno stato che si chiama Babilonia, ma per ogni genere di stato. Lo stato non è la totalità. Questo alleggerisce il peso all'uomo politico e gli apre la strada a una politica razionale. Lo stato romano era falso e anticristiano proprio perché voleva essere il totum delle possibilità e delle speranze umane. Così esso pretende ciò che non può; così falsifica ed impoverisce l'uomo. Con la sua menzogna totalitaria diventa demoniaco e tirannico. L'eliminazione del totalitarismo statale ha demitizzato lo stato ed ha liberato in tal modo l'uomo politico e la politica.

Ma quando la fede cristiana, la fede in una speranza superiore dell'uomo, decade, insorge allora di nuovo il mito dello stato divino, perché l'uomo non può rinunciare alla totalità della speranza. Anche se simili promesse si atteggiano a progresso e, rivendicano per sé in assoluto il concetto di progresso, esse sono tuttavia, storicamente considerate, una retrocessione a prima della Novità cristiana, una svolta a rovescio della scala della storia. Ed anche se esse vanno propagandando come proprio scopo la perfetta liberazione dell'uomo, l'eliminazione di qualsiasi dominio sull'uomo, sono tuttavia in contraddizione con la verità dell'uomo e in contraddizione con la sua libertà, perché costringono l'uomo a ciò che può fare egli stesso. Una simile politica, che fa del regno di Dio un prodotto della politica e piega la fede sotto il primato universale della politica, è per sua natura politica della schiavitù; è politica mitologica.

La fede oppone a questa politica lo sguardo e la misura della ragione cristiana, la quale riconosce ciò che realmente l'uomo è in grado di creare come ordine di libertà e può così trovare un criterio di discrezione, ben sapendo che l'aspettativa superiore dell'uomo sta nelle mani di Dio. Il rifiuto della speranza che è nella fede è, al tempo stesso, un rifiuto al senso di misura della ragione politica. La rinuncia alle speranze mitiche propria della società non tirannica non è rassegnazione, ma lealtà che mantiene l'uomo nella speranza. La speranza mitica del paradiso immanente autarchico può solo condurre l'uomo allo smarrimento: lo smarrimento davanti al fallimento delle sue promesse e davanti al grande vuoto che è in agguato; lo smarrimento angoscioso per la propria potenza e crudeltà.

Il primo servizio che la fede fa alla politica è dunque la liberazione dell'uomo dall'irrazionalità dei miti politici, che sono il vero rischio del nostro tempo. Essere sobri ed attuare ciò che è possibile, e non reclamare con il cuore in fiamme l'impossibile, è sempre stato difficile; la voce della ragione non è mai così forte come il grido irrazionale. Il grido che reclama le grandi cose ha la vibrazione del moralismo; limitarsi al possibile sembra invece una rinuncia alla passione morale, sembra il pragmatismo dei meschini. Ma la verità è che la morale politica consiste precisamente nella resistenza alla seduzione delle grandi parole con cui ci si fa gioco dell'umanità dell'uomo e delle sue possibilità. Non è morale il moralismo dell'avventura, che intende realizzare da sé le cose di Dio. Lo è invece la lealtà che accetta le misure dell'uomo e compie, entro queste misure, l'opera dell'uomo. Non l'assenza di ogni compromesso, ma il compromesso stesso è la vera morale dell'attività politica.

2. Nonostante i cristiani venissero perseguitati dallo stato romano, la loro posizione a suo riguardo non era radicalmente negativa. Hanno riconosciuto in esso pur sempre lo stato come stato e hanno cercato di costruirlo come stato nei limiti delle loro possibilità: non l'hanno voluto distruggere. Proprio perché si sapevano in «Babilonia», valeva per loro la linea orientativa che Geremia aveva tracciato agli Israeliti esuli a Babilonia. La lettera del profeta, tramandataci nel cap. 29 del libro di Geremia, non è affatto un'indicazione operativa alla resistenza politica, alla distruzione dello stato schiavista, comunque la si potesse concepire; è invece un'esortazione a conservare e a rafforzare il bene. E dunque un'istruzione per la sopravvivenza e insieme per la preparazione di un nuovo, migliore avvenire. In questo senso anche questa morale dell'esilio contiene elementi di un ethos politico positivo. Geremia non incita gli ebrei a resistere e a insorgere, bensì: «Costruite case e abitatele. Piantate orti e mangiatene i frutti... Cercate il benessere del paese in cui vi ho fatto deportare e pregate il Signore per esso, perché dal suo benessere dipende il vostro benessere» (Ger 29,5-7). Del tutto analoga è l'esortazione che si legge nella lettera di Paolo a Timoteo, datata tradizionalmente al tempo di Nerone: «(Pregate) per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla con tutta pietà e dignità» (ITm 2,2). Sulla stessa linea corre la prima lettera di Pietro con la seguente esortazione: «La vostra condotta tra i pagani sia irreprensibile, perché mentre vi calunniano come malfattori, al vedere le vostre buone opere giungano a glorificare Dio nel giorno del giudizio» (2,12). «Onorate tutti, amate i vostri fratelli, temete Dio, onorate il re» (2,17). «Nessuno di voi abbia a soffrire come omicida o ladro o malfattore o delatore. Ma se uno soffre come cristiano, non ne arrossisca; glorifichi anzi Dio per questo nome» (4,15s.).

Che cosa vuoi dire tutto questo? I cristiani non erano affatto gente angosciosamente sottomessa all'autorità, gente che non sapesse della possibile esistenza di un diritto e di un dovere alla resistenza, fondato sulla coscienza. Proprio quest'ultima verità indica che hanno riconosciuto i limiti dello stato e che non vi si sono piegati là dove non era loro lecito piegarsi, perché era contro la volontà di Dio. È, così, tanto più importante il fatto che essi abbiano cercato non di distruggere, ma di contribuire a reggere questo stato. L'antimorale viene combattuta con la morale e il male con la decisa adesione al bene, non altrimenti. La morale, il compimento del bene, è la vera opposizione e solo il bene può essere la preparazione all'impulso verso il meglio. Non esistono due tipi di morale politica: una morale dell'opposizione e una morale del dominio. Esiste soltanto una morale: la morale come tale, la morale dei comandamenti di Dio, che non possono essere messi fuori corso, neanche per qualche tempo, allo scopo di accelerare un cambiamento delle cose. Costruire si può solo costruendo, non distruggendo: questa è l'etica politica della Bibbia, da Geremia a Pietro e a Paolo.

Il cristiano è sempre un sostenitore dello stato nel senso che egli compie il positivo, il bene, il quale tiene insieme gli stati. Non ha paura di contribuire così al potere dei cattivi, ma è convinto che sempre e soltanto il rafforzamento del bene può abbattere il male e ridurre il potere del male e dei malvagi. Chi mette nei suoi programmi uccisioni di innocenti o rovine di proprietà altrui non potrà mai richiamarsi alla fede. Vi contrasta molto esplicitamente la sentenza di Pietro: «Voi non dovete farvi condannare per uccisioni o per delitti contro la proprietà» (4,15): sono parole, dette anche allora, contro questa specie di resistenza. La vera, cristiana resistenza che Pietro domanda ha luogo quando e solo quando lo stato esige la negazione di Dio e dei suoi comandamenti, quando domanda il male, rispetto a cui il bene è sempre un comandamento.

3. Consegue di qui un'ultima cosa. La fede cristiana ha distrutto il mito dello stato divino, il mito dello stato-paradiso e della società senza dominio o potere. Al suo posto ha invece collocato il realismo della ragione. Ma ciò non significa che la fede abbia portato un realismo libero da valori, il realismo della statistica e della pura fisica sociale. Al vero realismo dell'uomo appartiene l'umanesimo e all'umanesimo appartiene Dio. Alla vera ragione umana appartiene la morale, che si alimenta ai comandamenti di Dio. Questa morale non è un affare privato. Ha valore e importanza pubblica. Non può esistere una buona politica senza il bene del buon essere e del buon agire. Ciò che la Chiesa perseguitata aveva prescritto ai cristiani come nucleo centrale del loro ethos politico, dev'essere anche l'essenza di un'attiva politica cristiana: solo là dove il bene si fa e si riconosce come bene, può anche prosperare una buona convivenza tra gli uomini. Il perno di un'azione politica responsabile dev'essere quello di far valere nella vita pubblica il piano della morale, il piano dei comandamenti di Dio.

Se così faremo, allora potremo anche noi, tra lo smarrimento di tempi angosciosi, comprendere come rivolte anche a noi personalmente le parole delle letture di questo giorno: «Non sia turbato il vostro cuore» (Gv 14,1). «Poiché dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede per la vostra salvezza...» (IPt 1,5). Amen.

venerdì 26 aprile 2013

PIETRO

                              PIETRO                        
                                  ***                             




Foto: Gilbert Keith Chesterton 
in :Eretici

«Cristo non scelse come pietra angolare
 il geniale Paolo o il mistico Giovanni, 
ma un imbroglione, uno snob, un codardo: 
in una parola, un uomo. 
E su quella pietra Egli ha edificato la Sua Chiesa, 
e le porte dell'Inferno non hanno prevalso su di essa. 
Tutti gli imperi e tutti i regni sono crollati, 
per questa intrinseca e costante debolezza,
che furono fondati da uomini forti su uomini forti. 
Ma quest'unica cosa, la storica Chiesa cristiana,
 fu fondata su un uomo debole, 
e per questo motivo è indistruttibile. 
Poiché nessuna catena 
è più forte del suo anello più debole»

«Cristo non scelse come pietra angolare
il geniale Paolo o il mistico Giovanni,
ma un imbroglione, uno snob, un codardo: in una parola, un uomo.
E su quella pietra Egli ha edificato la Sua Chiesa,
e le porte dell'Inferno non hanno prevalso su di essa.
Tutti gli imperi e tutti i regni sono crollati,
per questa intrinseca e costante debolezza,
che furono fondati da uomini forti su uomini forti.

Ma quest'unica cosa, la storica Chiesa cristiana,
fu fondata su un uomo debole,
e per questo motivo è indistruttibile.
Poiché nessuna catena
è più forte del suo anello più debole»

Gilbert Keith Chesterton
in :Eretici

l’imprevisto

l’imprevisto
***
Se fossi guidato solo dal lume della ragione, dovrei dire che siamo sull'orlo dell’abisso. Ma nella storia dell’umanità esiste l’imprevisto, quel fatto inatteso che cambia il corso delle cose. Ecco perché in fondo sono ottimista.

Edgar Morin

«Un bambino non è un progetto né un oggetto, ma una persona».

«Un bambino non è un progetto né un oggetto, ma una persona». 

 Intellettuali (laici e di sinistra) contro Hollande

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aprile 26, 2013 Redazione
Non solo la gente comune della Manifestazione per tutti, in Francia sono numerose le voci che esprimono perplessità sulla legge sulle nozze gay approvata dal governo Hollande
manifestazione-per-tutti-parigi 
Non solo la gente comune della Manifestazione per tutti, in Francia sono numerosi anche gli intellettuali (laici) che hanno grandi perplessità sulla legge approvata dal governo Hollande a proposito di matrimonio e adozioni omosessuali. Ne dà conto oggi da Parigi il corrispondente di Avvenire Daniele Zappalà che racconta di un ampio e variegato gruppo di pensatori – anche di sinistra – che esprime più di un dubbio sull’operato dei socialisti
UNA QUESTIONE DI GRAMMATICA. «Si prenda il brillante romanziere e saggista Jean d’Ormesson – scrive Avvenire -, da anni il più popolare fra gli “immortali” che siedono all’Accademia di Francia. Dopo aver spiegato la propria opposizione soprattutto alle adozioni omosessuali, lo scrittore si è scagliato così contro lo slogan più martellato dai socialisti: “Il dibattito sul matrimonio omosessuale non è una questione di morale, ma una questione di grammatica, dato che l’espressione “matrimonio per tutti” è una formula assurda». Così come «il noto filosofo Yves-Charles Zarka ha invece interpretato il progetto Taubira (il ministro che ha portato avanti la legge, ndr) come una spia rossa per l’intero Paese. La Francia starebbe entrando nel novero delle nazioni che “non sono più delle società d’individui che hanno legami oggettivi, ma delle società d’individui ripiegati su loro stessi, che si definiscono unicamente attraverso i propri desideri individuali diversi, cangianti e scostanti, e che vivono ciò che resiste ai loro desideri come dei vincoli esterni insopportabili”».
BAMBINI COME OGGETTI. Anche Aldo Naouri, pediatra celebre per i suoi saggi sulle relazioni familiari, ha scritto che: «Il bambino soffre oggi della condizione di oggetto di consumo», ha scritto, pienamente convinto che l’applicazione del progetto Taubira «accentuerebbe questa condizione». E «un collettivo di 20 noti filosofi, sociologi, psichiatri e psicanalisti ha pubblicato su Le Monde un intervento intitolato “Non si toccano papà e mamma”, in cui si legge: «Il matrimonio per tutti è una lotta democratica contro la discriminazione e le disuguaglianze? Si tratta invece piuttosto di annullare la differenza dei sessi nei libretti di famiglia e nel codice civile. La nascita di tutti i bambini ne risulterà sconvolta».
Zappalà continua nel suo elenco citando la romanziera Eliette Abecassis, secondo cui «il bambino, soggetto di diritto, diventa un oggetto di diritto: la legge l’istituzionalizza. I diritti e l’interesse superiore del bambino sono così sacrificati a favore dell’interesse degli adulti, i soli ad aver voce in capitolo, nel realizzare il loro “progetto” di figlio. Ora, un bambino non è un “oggetto”, né un “progetto”, ma una persona».

ANCHE LA MOGLIE DI JOSPIN. Uno dei nomi che ha fatto più scalpore è quello della pensatrice femminista Sylviane Agacinski, moglie di Lionel Jospin, ex premier Ps e candidato all’Eliseo, che sul Le Monde ha scritto parole inequivocabili: «Si può esprimere il timore, precisamente, che due genitori dello stesso sesso simbolizzino, ai loro occhi così come a quelli dei loro bambini adottivi (e ancor più di quelli che sarebbero procreati con l’aiuto di materiali biologici), un disconoscimento del limite che ciascuno dei due sessi è per l’altro, limite che l’amore non può cancellare».
FABBRICAZIONE E MERCATO. E 170 prestigiosi docenti universitari di materie legate al diritto hanno mosso all’esecutivo socialista pesanti critiche: «Che lo si voglia o no, il desiderio di un figlio delle persone dello stesso sesso passa attraverso la fabbricazione di bambini, che saranno in seguito adottabili, attraverso l’inseminazione artificiale per le donne, o una gravidanza surrogata per gli uomini. Il progetto di legge organizza dunque un mercato dei bambini, poiché lo suppone e lo garantisce. Allo stadio attuale, questo testo invita ad andare a fabbricare bambini all’estero, il che è già inaccettabile, in attesa di denunciare l’ingiustizia della selezione tramite il denaro, per organizzare il mercato dei bambini in Francia».

Non chiamateci fascisti, integralisti, omofobi. Noi siamo, semplicemente, dei “meravigliati”

Hadjadj: 

Non chiamateci fascisti, integralisti, omofobi. Noi siamo, semplicemente, dei “meravigliati” 

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aprile 20, 2013 Fabrice Hadjadj
Non siamo degli indignati. Ciò che ci anima è un sentimento più primitivo, più positivo, più accogliente: si tratta di quella passione che Cartesio considera la prima e la più fondamentale di tutte: l’ammirazione.
Fabrice_HadjadjPer gentile concessione dell’autore traduciamo un inedito del filosofo Fabrice Hadjadj, apparso sul sito printempsfrancais.fr e intitolato ”Meravigliatevi! Per un manifesto dei meravigliati”.
Non siamo degli indignati. Ciò che ci anima è un sentimento più primitivo, più positivo, più accogliente: si tratta di quella passione che Cartesio considera la prima e la più fondamentale di tutte: l’ammirazione. Essa è prima perché la si sperimenta di fronte alle cose che ci precedono, che ci sorprendono, che non abbiamo pianificato noi: i gigli dei campi, gli uccelli del cielo, i volti, tutte le primavere…  Prima di soddisfarci dell’opera delle nostre mani e della vittoria dei nostri princìpi, ammiriamo questo dato naturale. Questa è la colorazione affettiva che tentiamo di fare entrare nelle nostre azioni. Esse non sono motivate da uno stato d’animo triste o di rivendicazione. Non sono imbevute di amarezza. Non vorrebbero essere altro che rendimenti di grazie. Perché, a partire da questa ammirazione primigenia, esse devono fiorire in gratitudine verso la vita ricevuta, verso la nostra origine terrestre e carnale: il fatto che non ci siamo fatti da soli, ma che siamo nati, da un uomo e da una donna, secondo un ordine che sfuggiva a essi stessi.
Lungi dall’essere degli spiritualisti o dei moralizzatori, riconosciamo quella che Nietzsche chiamava «la grande ragione del corpo» e anche «lo spirito che opera dalla vita in giù». Sì, noi siamo meravigliati dall’ordinazione reciproca dei sessi, dal genio della genitalità. Certo, questa organizzazione stupefacente è come il naso in mezzo al nostro volto: tendiamo a non vederlo. Ci inorgogliamo di avere costruito una torcia, e dimentichiamo lo splendore del sole; idolatriamo la magia delle nostre macchine, e disprezziamo la meraviglia della nostra carne.
Questa meraviglia la nascondiamo sotto le parole «biologico», «determinismo», «animalità», e assumiamo un’aria di superiorità, vantando le libere prodezze della nostra fabbrica. E tuttavia, che cosa c’è di più stupefacente di questa unione degli esseri più differenti, l’uomo e la donna? E cosa c’è di più sorprendente del loro abbraccio, chiuso sul suo proprio godimento, e che tuttavia si strappa, secondo natura, per permettere l’avvento di un altro, di un’altra differenza ancora: la futura piccola peste, il già disturbante, colui che chiamiamo «il bambino»? Jules Supervielle esprime con una precisione più che scientifica che la riduzione biologistica ci nasconde: «Ed era necessario che un lusso d’innocenza/ concludesse il furore dei nostri sensi?».

Perciò le nostre manifestazioni non sono quelle di una corporazione, ma quelle dei nostri corpi. Non partono da uno scopo politico o partitico, ma da un riconoscimento antropologico. Non cercano di prendere il potere, ma di rendere una testimonianza culturale a un dato di natura, in uno slancio di gratitudine. In greco «natura» si dice «fisis», parola che viene dal verbo «fuein», che significa «apparire» o. più precisamente, «manifestarsi». La natura non è anzitutto una riserva di energie, né una miniera di materiali manipolabili secondo la nostra volontà, ma una manifestazione di forme organizzate, spesso splendide al nostro sguardo.
Certo, la natura è anche ferita, disordinata: c’è la sofferenza, c’è la morte, c’è l’ingiustizia. Ma queste rovine ci fanno orrore proprio perché abbiamo anzitutto intravisto la sua generosità zampillante: se non avessimo percepito la bontà delle sue forme, non saremmo scandalizzati da ciò che la sfigura… Le nostre manifestazioni non hanno dunque altro motivo che di attestare lo splendore di questa manifestazione primigenia. Non riguardano il rapporto di forze. Si fondano su un’esigenza di ospitalità verso questa presenza reale, fisica, iniziale (non segare il ramo su cui siamo seduti, non pretendere di far sbocciare il fiore forzando il bocciolo). Ed è a causa di questo che le nostre manifestazioni dureranno fintanto che ci saranno peni e vulve, e la loro ordinazione reciproca anzitutto involontaria, e la loro fecondità che mette in discussione la nostra avarizia.

Ma è esattamente questa esigenza di ospitalità, questa relazione di meraviglia e di gratitudine verso la nostra origine, diciamo pure questo rapporto di debolezza, che risultano insopportabili a coloro che concepiscono tutto in termini di rapporti di forza. Vorrebbero che noi non fossimo altro che una fazione. Preferirebbero che mettessimo le bombe. Questa violenza gli risulterebbe meno violenta della nostra manifestazione elementare, quella della semplice presenza fisica di un uomo e di una donna, e di un bambino di cui essi sono anche il padre e la madre… Se non si trattasse che della nostra opinione, se non fosse altro che la nostra arroganza, potrebbero farci tacere. Ma come far tacere la presenza silenziosa del corpo sessuato?
Che ci sia permesso – dopo il richiamo di ciò che siamo per essenza: dei meravigliati – di insistere su cinque conseguenze importanti per noi come per gli altri. Perché non siamo al riparo dall’ingratitudine, e a forza di non essere riconosciuti nel nostro meravigliarci, l’indignazione può finire per offuscare questo fondamentale meravigliarsi, e rischiamo di cadere sia nello scoraggiamento, sia in una violenza illegittima.
1. Alcuni ci accusano di essere dei «fascisti», procedimento linguistico molto riduttivo, che permette di designare un nemico senza ascoltarlo, e che si richiama precisamente ai procedimenti del fascismo storico. Altri ci tacciano semplicemente di essere dei «reazionari», come se il fatto di reagire fosse in sé un male, e non un segno di vitalità, e come se la retorica del «progresso», che è stata tanto utile al Terrore e al totalitarismo, non fosse ormai esaurita. Altri diranno che facciamo quello che facciamo perché siamo dei «cattolici», o degli «ebrei integralisti», o dei «fondamentalisti musulmani»…
Ma no, siamo soltanto dei francesi, e più semplicemente ncora sia degli uomini e delle donne, molto lontani da qualsiasi puritanesimo e da qualsiasi fondamentalismo, ci incantano le natiche e non ci repelle l’ammirazione della congiunzione improbabile del «pisello» e della «passerina» e del pancione che ne deriva. Con maggiore precisione ci si potrebbe collocare fra i fautori di un’ecologia integrale. Ma questo genere di classificazione viene rifuggita per timore di dover riconoscere le contraddizioni dei numerosi movimenti ecologisti odierni, ma anche perché non c’è niente, in fondo, che ci si può rimproverare, ovvero il rimprovero può colpirci soltanto colpendo anche il dato rappresentato dalla carne. Se siamo fascisti, bisognerebbe concludere che la natura stessa è fascista, e che è necessario eliminarla, cosa che presenta un certo numero di inconvenienti.

2. Molti non comprendono perché manifestiamo contro una riforma del codice civile che soddisfa gli interessi di qualcuno mentre non lede i nostri (non si parla, comunque, degli interessi del bambino). Effettivamente, ecco qualcosa che lascia senza parola gli utilitaristi di ogni sponda: non manifestiamo per il trionfo dei nostri interessi particolari. Cerchiamo soltanto di testimoniare ciò che è anteriore a ogni interesse, cioè il dono della nascita.
3. È esattamente ciò che arriva a nascondere lo slogan dell’«uguaglianza» che ci viene servito in tutte le salse, senza riflettere su ciò che questo termine significa, sulle minacce di livellamento che comporta, ovvero su quelle di «riduzione» che ha sempre contenuto. C’è un’evidente e naturale diseguaglianza fra la coppia formata da un uomo e una donna e quella di due uomini o di due donne.
Per rendere uguali le condizioni, è necessario ricorrere all’artificio, e passare dalla nascita alla fabbricazione, dal “born” al “made”… Dietro la pretesa legalizzazione giuridica, c’è dunque un assoggettamento tecnocratico, e il progetto di produrre persone non come persone, dunque, ma come prodotti, in base ai nostri capricci, secondo la legge della domanda e dell’offerta, in conformità ai desideri fomentati dalla pubblicità: «Un bambino à la carte, la vostra piccola cosa, l’accessorio della vostra autorealizzazione, il terzo compensatorio delle vostre frustrazioni; infine, per una modica somma, il barboncino umano!».

4. Ecco perché non siamo «omofobi». Siamo meravigliati dai gays veramente gai, dai «folli» senza gabbia, dai saggi dell’inversione. L’amore della differenza sessuale, così fondamentale, con quello della differenza generazionale (genitori/figli), ci insegna ad accogliere tutte le differenze secondarie. Se io, uomo, amo le donne, così estranee al mio sesso, come potrei non avere simpatia, se non amicizia, per gli omosessuali, che mi sono, in definitiva, molto meno estranei?
D’altra parte ce ne sono sempre stati, che non avevano paura di affermare la loro differenza, di assumere una certa eccentricità, un lavoro ai margini. Allo stesso modo, noi crediamo che ciò che è veramente «omofobo» è lo pseudo-«matrimonio gay». Siamo di fronte a un tentativo di imborghesimento, di normalizzazione dell’omofilia, di annientamento della sua scortesia sotto il codice civile. Che bel dono questo «matrimonio» che non è altro che un arrangiamento patrimoniale o un divorzio rinviato! Purché gli omosessuali rientrino nei ranghi, e che siano sterilizzati soprattutto nella fecondità che è loro propria.
Perché, chi ignora la loro fecondità artistica, politicae, letteraria, nella compassione? Gli antichi Greci la intendevano così: liberi dai doveri familiari, potevano consacrarsi maggiormente al servizio della Polis. Sapevano che i loro amori avevano qualcosa di contro-natura, ma non per questo disprezzavano la natura (di là, molto spesso, l’amore per la loro madre – vedi Proust o Barthes), e vi trovavano risorse per l’arte.

5. Come potremmo, meravigliati come siamo, lanciarci in azioni violente, denigratorie, esclusive? Una volta di più: non cerchiamo una vittoria politica. Non siamo nemmeno sicuri che ci sia veramente qualcosa da salvare in questo matrimonio privatizzato, che non ha più nulla di repubblicano da parecchio tempo. Ed è per questo che, malgrado la sconfitta legislativa (ma quando vediamo la trappola mediatica e partitica nella quale si trovano i nostri legislatori, ci domandiamo se davvero dobbiamo occuparci di questo), noi continueremo a manifestare: senza armi, senza odio, persino senza slogan, ma con la nostra piccola epifania di creature di carne, ossa e spirito.
(traduzione di Rodolfo Casadei)

E «la Pasionaria» morì cattolica

E «la Pasionaria» morì cattolica
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«No pasarán!». La frase divenuta celebre grazie a Dolores Ibárruri, meglio conosciuta come "la Pasionaria" (1895-1989), era già stata pronunciata in realtà dal generale Philippe Pétain nel pieno della Prima Guerra Mondiale.

Ma "la Pasionaria" - fortemente carismatica - la rese così popolare da farne il simbolo della resistenza della Madrid repubblicana contro le truppe di Francisco Franco. Di lei - presidentessa del Partito comunista spagnolo ed emblema di una cultura atea, marxista e spiccatamente anticlericale - è già stato scritto tanto.

Ma gli specialisti e gli appassionati di storia, i lettori comuni e perfino i nostalgici repubblicani spagnoli non immaginavano che "la Pasionaria" avesse custodito un segreto finale, una conversione profonda che la accompagnò fino alla morte. Negli ultimi anni della sua vita, Dolores Ibárruri si riavvicinò alla fede cattolica, si confessò e ricevette la comunione. Ad accompagnarla in questo percorso spirituale fu il celebre padre gesuita José Maria Llanos, che dopo un primo periodo molto vicino al franchismo (era stato cappellano della Falange) si allontanò dal Caudillo e si ritirò a vivere in un quartiere molto povero di Madrid, «El Pozo del Tio Raimundo», lavorando instancabilmente per i più umili. Lo definirono allora il "cura rojo", il prete rosso, ma il dittatore Franco continuò a rispettarlo, inserendolo nella sua lista degli "intoccabili".

La storia della riconversione cattolica della "Pasionaria" emerge dal libro che a padre Llanos ha dedicato un altro gesuita, lo scrittore Pedro Miguel Lamet. Azzurro e Rosso: biografia del gesuita che militò nelle due Spagne e scelse il suburbio arriva in questi giorni nelle librerie iberiche, arricchito dalla vicenda spirituale di una donna che - durante la Guerra Civile - veniva considerata spietata nei confronti della Chiesa, dei sacerdoti e dei religiosi.

Nata nel Paese Basco nel seno di una famiglia di minatori, si sposò a 21 anni con un operaio socialista e partecipò alla fondazione del Partito Comunista Spagnolo, conquistata dalla Rivoluzione bolscevica del 1917. Il soprannome di "Pasionaria" nacque dopo la pubblicazione di un suo articolo su "Il minatore della Vizcaya" nel 1918. Dal marito ebbe sei figli, ma divorziò e mantenne una relazione sentimentale con un uomo più giovane di 17 anni: tutti particolari che in qualche modo contribuirono alla nascita di una sorta di "mito" ateo e marxista. «Quando si scinde il Partito Comunista, "la Pasionaria" rimane isolata nella sua formazione. I suoi non andarono più a trovarla, ma il padre Llanos rimase con lei fino alla fine», racconta lo scrittore nel libro. «Llanos la visitava ogni 15 giorni», e quando ormai la donna era prossima alla morte arrivò a «cantare perfino degli inni religiosi dell’epoca, come Cantiamo all’amore degli amori», ha detto l’autore in un’intervista a "Religion Digital".

Alcune lettere, pubblicate nel libro, confermano quanto accadde. Ma perché il suo ritorno alla fede cattolica è rimasto segreto per tanto tempo? Afferma Lamet: «Llanos non voleva propagandare una conversione come questa», non nascose mai la sua amicizia con "la Pasionaria", ma non volle svelare l’iter intimo della donna. In una lettera scritta al gesuita, l’ex presidentessa del Partito Comunista ammetteva: «Vediamo se vecchietti come siamo, trasformiamo ciò che resta della nostra vita in un canto di lode e grazie al Dio-amore, come prova del nostro eterno dovere».

«Meglio morire in piedi, che vivere in ginocchio», diceva "la Pasionaria", citando Emiliano Zapata. Quella stessa donna - che dopo la fine della Guerra Civile si autoesiliò nell’Urss e tornò in Spagna solo nel 1977, dopo la morte di Franco - «fu sensibile e dal primo momento si aprì con Llanos».

Da anni la Guerra Civile spagnola è una presenza costante nelle librerie del paese iberico: biografie, ricostruzioni o romanzi ambientati durante gli anni più bui della storia moderna della penisola si moltiplicano sugli scaffali. Sintomo di un Paese che poco a poco - fra uno strappo e l’altro - si guarda allo specchio, per fare i conti con le proprie ferite. Non del tutto rimarginate.

Michela Coricelli

mercoledì 24 aprile 2013

TERESA NEUMANN




L’ultima grande cattolica di Germania: Teresa Neumann, la dolce “piaga” sulla terra bavarese


Therese_Neumann_von_Konnersreuth3[1]



TERESA NEUMANN


Una contadina segno di contraddizione.Una donna investita dall’irruzione del divino sulla terra.Una mistica che sfida la Grande Orgogliosa e miserabile peccatrice: la Chiesa tedesca.Una piaga viva e sanguinolenta nel cuore della Bavaria. L’ultima grande cattolica di Germania.


La storia della stigmatizzata tedesca: fatta di umilità, preghiera e devozione a santa Teresina di Lisieux.  Un percorso tra estasi mistiche, rivisitazioni dolorose della Passione del Signore, visioni e profezie. Per capire che la Chiesa tedesca, di fatto scismatica, sbaglia a non prendere come riferimento la Neumann e a lasciarsi trascinare, invece, dal “rahnerismo”. Un viaggio interessante nella vita della mistica tedesca e un significativo appunto su cosa sono, realmente, le stigmate e perché la Chiesa è molto prudente nel riconoscerne l’origine soprannaturale

di Ester Maria Ledda


Sono convinta che una donna non possa che essere cristiana. In nessuna altra religione le donne hanno avuto un ruolo fondamentale e di primo piano come in quella della Croce. Sono altresì convinta che una donna non possa che essere cattolica. Nelle altre confessioni cristiane, infatti, le donne hanno dei “contentini” nei ruoli di potere in senso stretto, mondano, anche se in compiti pastorali, nel Cattolicesimo le donne portano sulle proprie spalle il mondo e la Chiesa.


“Papale Papale” si occupa spesso di figure femminili. Infatti questo articolo è dedicato a Maria Teresa Neumann, conosciuta dal mondo come la “stigmatizzata bavarese”.


I PRIMI ANNI DI TERESA: SERIA EDUCAZIONE CATTOLICA E LAVORO DURO


Una contadina travolta dall’irruzione del divino: Teresa Neumann di Bavaria

Teresa nacque a Konnersreuth, un cittadina bavarese, ovviamente, l’8 aprile, venerdì santo, del 1898. Passò in quella piccola città tedesca tutta la sua esistenza. Infatti vi morì, in fama di santità, il 18 settembre del 1962. Ricevette il sacramento del Battesimo il giorno di Pasqua, il 10 aprile. Un segno del Cielo? Vedremo più avanti che tutta la vita di Teresa fu ricca di segni e favori celesti.


Teresa era la più grande di undici figli. I suoi genitori, Ferdinand Neumann e Anna Grillmeier, onorarono il sacramento del matrimonio: trasmisero a tutti i figli la Fede cattolica, insegnando loro a mettere al centro delle loro vite la Santissima Eucaristia, la recita quotidiana del Santo Rosario, il rispetto per i sacerdoti e i consacrati, l’obbedienza alla Chiesa. La stessa Teresa racconterà che restava ammirata nel vedere con quanta devozione i suoi genitori assistevano alla Santa Messa. Lo tengano bene in mente tutti gli sposi cristiani: genitori santi fanno figli santi. Nonostante la povertà e le privazioni materiali, il padre era sarto e la madre contadina, Teresa e i suoi fratelli – essendo la più grande molto spesso erano affidati alle sue cure – crebbero nella serenità e in buona salute.


Nel 1908 ricevette il sacramento della Confermazione; l’anno seguente, vestita da sposa, ricevette la Prima Comunione. Nel 1912, dopo aver frequentato con profitto la scuola primaria, iniziò a lavorare come domestica per aiutare la numerosa famiglia. Continuò comunque la scuola domenicale di catechismo. Era una giovane donna energica e indipendente. Il lavoro duro non la spaventava. Come le sue sorelle aveva dei pretendenti, ma lei non era interessata. Manifestò, infatti, ai genitori il desiderio di diventare suora missionaria. Ma non poté entrare in convento a causa dello scoppio della prima guerra mondiale. Suora, per vari motivi, non lo diventerà mai: il Signore e la Madonna avevano altri progetti per lei. Non si sposò mai: si sentì sempre “vergine Sposa del Signore”.


ARRIVA LA PROVA, MA IL SIGNORE LA PREPARA PER UNA GRANDE MISSIONE


L’altra Teresa, la santa carmelitana di cui la Neumann era devota.

Il suo grande modello fu Santa Teresa di Gesù Bambino. Quando aveva sedici anni il padre le regalò una foto dell’umile suora carmelitana che all’epoca non era neppure beata. Fu così che Teresa di Konnersreuth – così è conosciuta in Baviera – divenne una grandissima devota di Teresa di Lisieux, la quale ricambiò l’affetto ottenendo da Dio importanti grazie per la giovane bavarese. Questo dimostra come sbagliano quei teologici moderni che negano la Comunione dei Santi.


Il 10 marzo del 1918 – nello stesso anno, l’altro grande stigmatizzato del XX secolo, Padre Pio da Pietrelcina, ricevette, in settembre, la stigmate visibili – scoppiò un incendio nella fattoria vicina a quella in cui Teresa lavora. Lei fu la prima ad arrivare per dare una mano a spegnere l’incendio. A causa dello sforzo fatto nel trasportare, più volte, avanti e indietro, due grossi secchi d’acqua alla volta, Teresa riportò il danneggiamento della seconda e terza vertebra lombare con compressione del midollo. Inizialmente ebbe disturbi alle gambe: non riusciva più a camminare. I dolori divennero sempre più forti e si sparsero in tutto il corpo. Nel giro di un anno divenne paralizzata dal collo in giù. I suoi genitori si prendevano cura di lei.



Estasi della Neumann. La Croce è diventata strumento di Grazia per lei. E per noi?

Durante tale periodo, inoltre, perse la vista. Una mattina fu adagiata in una sedia mentre le stavano rifacendo il letto: dopo pochi minuti cadde per terra sbattendo violentemente la testa. Rimase per molti giorni in uno stato comatoso e i familiari credettero che la sua morte fosse vicina. Invece Teresa si risvegliò, ma completamente cieca. I medici diagnosticarono un’incurabile lesione del nervo ottico.


Nonostante tutte queste sofferenze, i familiari, gli amici e il parroco non sentirono mai Teresa lamentarsi: offriva tutto per le anime sante del Purgatorio e per la conversione dei peccatori. All’epoca nessuno capì che Dio la stava preparando a conformarsi completamente al Cristo Crocifisso.


L’ “AMICA” TERESA SI RICORDA DI LEI…



La Neumann: una semplice contadina strumento privilegiato nelle mani di Dio

La mattina del 29 aprile del 1923, Teresa sentì una mano invisibile che sfiorava il cuscino. Si svegliò di soprassalto e si accorse che aveva riacquistato la vista. In quello stesso giorno, la Chiesa proclamò beata suor Teresina di Lisieux.


Circa due anni dopo, il 17 marzo del 1925, i genitori sorpresero Teresa con gli occhi fissi sul soffitto, mentre “parlava” con qualcuno. Non ci fecero caso, pensarono che la figlia delirasse a causa dei fortissimi dolori. Il 7 maggio dello stesso anno, Teresa, dopo aver recitato il rosario, si alzò dal letto con le sue gambe, non avendo più alcuno dolore: era misteriosamente guarita. In quello stesso giorno, papa Pio XI inserì nel canone dei santi il nome della beata suor Teresina di Lisieux.


In seguito, Teresa di Konnersreuth spiegò che il 17 marzo ricevette una “visita” di Teresa di Lisieux. La piccola grande santa carmelitana confermò a Teresa che la mano invisibile che le sfiorò il cuscino, due anni prima, era proprio la sua. Le annunciò, inoltre, la completa guarigione per il giorno della propria canonizzazione. La Santa si congedò dicendole che presto, per volontà del Signore, avrebbe ricevuto qualcosa che nessun medico avrebbe potuto curare. Teresa si affidò completamente alla volontà di Nostro Signore, sicura che gli aiuti della Madonna e di Santa Teresina non le sarebbero mai mancati.


CON UNA SPADA NEL CUORE…



La straziante Passione di Teresa durante un Venerdì Santo

L’anno seguente, il 1926, nella notte tra giovedì 4 marzo e venerdì 5 marzo, Teresa ebbe la visione di Cristo nell’orto degli Ulivi. Il Signore, angosciato, pregava il Padre in ginocchio – oggi invece ci sono sacerdoti che non si inginocchiano davanti al Tabernacolo – mentre gli apostoli dormivano. Teresa sentì il desiderio di volerLo consolare. In quel momento, Gesù alzò il capo e diresse lo sguardo verso di lei. Proprio in quel mentre, Teresa percepì come se una spada affilata le trapassasse il cuore. Si ritrovò nella sua stanza, a letto, con una profonda ferita nel petto che grondava sangue.


È il dono mistico della transverberazione, la “spada che trapassa l’anima” profetizzata dal vecchio Simeone alla Madonna durante la Presentazione al Tempio. Tale fenomeno, solitamente, precede l’impressione delle stigmate della Crocifissione. San Pio da Pietrelcina, per esempio, ricevette il dono della transverberazione il 6 agosto 1918, festa della Trasfigurazione del Signore; il 20 settembre dello stesso anno, come già accennato, le piaghe della Crocifissione.



Nessun medico è riuscito a spiegare i fenomeni di cui era protagonista la Neumann.

La ferita che Teresa aveva ricevuto sanguinava copiosamente da venerdì sino a domenica mattina. I dolori al costato erano così forti che la mistica doveva restare ferma a letto. Il 26 marzo del 1926, venerdì santo, Teresa cadde nuovamente in estasi, sotto gli occhi dei familiari e di padre Franz Naber, curato del paese e suo confessore. Durante l’estasi vide tutta la dolorosa Passione del Signore, dal Getsemani al Golgota. Al suo “risveglio”, sotto gli occhi di tutti, comparvero anche le cinque piaghe della Crocifissione, che grondarono sangue sino alla domenica di Pasqua.


Da allora, sino alla sua morte, ogni venerdì, Teresa riviveva la Passione, la Morte e la Resurrezione di Cristo, in particolare durante la Settimana Santa. Inoltre, dalle ore 15 del pomeriggio, sempre di venerdì, orario della morte di Gesù, il cuore di Teresa smetteva di battere, per poi riprendere all’alba della domenica successiva. Quando riviveva la Passione di Gesù, il corpo non perdeva sangue solamente dalle ferite, ma anche da altre parti, occhi compresi.


LE STIGMATE NON SONO MIRACOLI



Passione

Permettetemi di soffermarmi un attimo sulle questione delle stigmate in generale, per smentire un grande equivoco. Ogni volta che un membro della Chiesa riceve tale dono mistico, immediatamente si grida al “miracolo”. Niente di più sbagliato. La risposta della Chiesa sulla stigmatizzazione è inequivocabile: le stigmate non sono miracoli. Per capire bene questa affermazione, è necessario riferirsi alla spiegazione di miracolo data dal più grande teologo di tutti i tempi, San Tommaso d’Aquino, ripresa e approfondita dal Concilio Ecumenico Vaticano I.



La sua gioia, il suo unico pasto per oltre 35 anni: la comunione quotidiana. Non toccò altro cibo. Un rompicapo insoluto per gli scienziati: come è riuscita a sopravvivere?

«Aliquid dicitur esse miraculum, quod sit praefer ordinem totius naturae creatae», scrive l’Aquinate nella “Summa Theologiae” (cfr. I. P.). «Hoc autem non potest facere nisi Deus, quia quidquid facit Angelus, vel quaecumque alia creatura propria virtute, hoc fit secundum ordinem naturae creatae, et sic non est miracolum». Ovvero, il miracolo è un prodigio che soltanto ed esclusivamente Dio può fare, un fatto compiuto al di là delle leggi naturali, a dimostrazione dell’Onnipotenza divina su tutto il creato. La dottrina cattolica non ammette una concezione più ampia del concetto di miracolo. Qualche esempio pratico. Sono miracoli: il ritorno alla vita di un morto, la moltiplicazione istantanea di qualunque cosa, il cambiamento di sostanza (transustanziazione) di qualcosa, un concepimento verginale (senza sperma), etc…


Perché le stigmate, se pur – quando sono autentiche – di origine soprannaturale, non sono miracoli? Perché anche un angelo può ferire in quel modo un corpo umano. Infatti, sino al XX secolo, la stigmatizzazione era conosciuta come “assolto del serafino”. Infatti fu un serafino a imprimere le stigmate nel corpo di San Francesco d’Assisi – colui che, a detta di molti storici, è il primo stigmatizzato nella storia della Chiesa – mentre si trovava sul monte della Verna, il 14 settembre 1224 (cfr. F.F.).



Passione ed estasi in Teresa

La Chiesa ha elevato agli onori degli altari alcuni stigmatizzati: San Francesco d’Assisi, Santa Caterina da Siena, Santa Caterina de’ Ricci, Santa Teresa d’Avila, San Carlo da Sezze, Santa Margherita Maria Alacoque, Santa Veronica Giuliani, San Paolo della Croce, Santa Maria Francesca delle Cinque Piaghe, Santa Faustina Kowalska, Santa Gemma Galgani, Santa Maria Maddalena de’ Pazzi, San Pio da Pietrelcina e le beate Anna Katharina Emmerick e Anna Rosa Gattorno. Ebbene, solamente nei casi del “poverello di Assisi” e della grande santa senese, la Chiesa ha espresso parere favorevole sulla stigmatizzazione, cioè sono state volute da Dio. Questo non significa che, negli altri casi, si sia trattato di stigmate sataniche, ma semplicemente che la Chiesa affronta questi fatti con moltissima prudenza e molte ricerche. Bisogna tener presente, infatti, che la Chiesa non ha onorato questi suoi figli in quanto stigmatizzati, ma perché hanno vissuto in pienezza il Vangelo. Tutti gli indizi, in questi casi, ovviamente, fanno suppore che le stigmate fossero di volere divino.


E A KONNERSREUT IL SOPRANNATURALE DIVIENE “NATURALE”



Teresa. Notate il segno della stimmata sul dorso della mano

Così come nel caso della Neumann, la quale fu sottoposta, anche per volere del vescovo, a molte visite mediche. Nessun medico è riuscito a spiegare l’origine di quelle ferite.


Teresa, inoltre, ebbe molti altri carismi mistici. Dal 1926, per esempio, smise di nutrirsi. Fino alla sua morte, non mangiò né bevve più nulla. L’unica cosa che il suo corpo ingeriva quotidianamente era la Particola Consacrata. I medici che la visitarono regolarmente constatavano che il suo organismo, pur non nutrendosi, era in buona saluta e in forma. In certi periodi dell’anno, addirittura, ingrassava. Si racconta che una volta, durante una visita medica, le fu imposto di mangiare una particola non consacrata. Teresa, a fatica, la masticò e la inghiottì. Neppure un secondo dopo, la vomitò intatta. Il Corpo di Cristo le dava il nutrimento necessario non solo per l’anima, ma anche per il corpo.



I piedi stigmatizzati di Teresa

Teresa ebbe anche il dono delle lingue. Era in grado cioè, di capire e di parlare lingue a lei sconosciute. Non solo quelle contemporanee, ma anche quelle non più in uso da secoli. Per esempio, quando era in estasi con qualche santo, parlava la lingua dell’epoca, e tutti i presenti sentivano. Quando, per esempio, riceveva le “visite” di Sant’Antonio da Padova, usava il portoghese dell’epoca del Santo. Con Santa Bernadette Soubirous, parlava il dialetto provenzale di Lourdes, usato anche dalla Madonna durante le apparizioni. Durante le estasi con Gesù e la Madonna, parlava l’aramaico. Questo fatto, più degli altri, affascinò il prof. Wutz, lo “stenografo” delle sue estesi, studioso della lingua aramaica. Per assicurarsi, nel caso ce ne fosse bisogno, che Teresa non simulasse, le rileggeva le frasi stenografate riportando errate forme grammaticali e pronunciando male alcune parole. Puntualmente Teresa lo correggeva.


Ricevette anche il dono delle profezie. Ne fece alcune che si avverano puntualmente. Si narra che, dopo aver ricevuto una visita del nunzio apostolico in Germania Eugenio Pacelli, confidò al suo confessore che il nunzio sarebbe diventato papa. «Farà solo due concistori», soggiunse la stigmatizzata, «e prima del terzo morirà». Durante i 19 anni di pontificato (1939-1958), infatti, Pio XII fece solamente due concistori, nel 1946 e nel 1953. Il terzo sarebbe dovuto avvenire proprio nel 1958, ma fu fatto dal suo successore.


Profetizzò contemporaneamente l’elezione al trono di Pietro del successore di Pacelli e la sua propria morte. Qualche giorno prima dell’inizio conclave, dopo aver pregato, disse: «Sul trono di Pietro siederà l’angelo proveniente dal mare. Porterà il nome di un papa che non fu papa e regnerà oltre il mio tempo». Tutte profezie realizzate. Fu eletto Angelo Giuseppe Roncalli, patriarca di Venezia (la città sul mare), che prese il nome di Giovanni XXIII, lo stesso nome usato dall’antipapa cardinal Cossa nel 1410. Teresa morirà nel settembre 1962, papa Roncalli nel giugno dell’anno successivo.


Nel 1959, durante una conversazione, disse che «fra dieci anni, o poco più, l’uomo guarderà la Terra dalla Luna». Nel 1969, l’astronauta americano Neil Armstrong mise i piedi sulla Luna.


Qualche anno prima di morire, dopo una lunga estasi, disse con angoscia, ma fiduciosa nella Provvidenza: «Ho visto il Santo Padre con le vesti macchiate di sangue. L’ho visto su una piazza gremita di gente… Ho sentito gridare e ho sentito il rumore di un’autovettura che si stava allontanando». L’attentato a Giovanni Paolo II del 13 maggio 1981, quando il turco Ali Agca sparò tre colpi di pistola in Piazza San Pietro e il papa fu portato in ospedale con la “papamobile”.


E TERESA VEDE…



Tra profezie e visioni…

Teresa ebbe visioni sulla vita terrena del Signore e della Madonna. Purtroppo non abbiamo qui lo spazio per riportare tutto, invito perciò i lettori a fare qualche ricerca personale, perché le vostre anime ne riceveranno un grandissimo beneficio.


Vorrei soffermarmi, brevemente, sulle visioni che Teresa ebbe sull’aldilà. Sull’inferno, in realtà, vide solamente la caduta degli angeli ribelli, ma ovviamente sapeva bene che non era privo di anime dannate. Per esse non c’è più nulla da  fare, quindi non è necessario occuparsene più di tanto.


Ogni anno, il 1° novembre, solennità di Tutti i Santi, Teresa aveva visioni mistiche del Paradiso. Il suo confessore, padre Naber, annotava tutto nel suo diario. «Già dalle 6 del mattino Teresa è in grado di vedere il Paradiso», scrisse il 1° novembre del 1928. «Nel primo “quadro” vede il Salvatore circondato da Maria, Giuseppe, gli Apostoli, i 24 Anziani dell’Apocalisse, i 7 Arcangeli e la loro grande schiera. Nel secondo quadro vede il Salvatore tra le anime vergini (i sacerdoti, i consacrati e le vergini, N.d.A.), mentre nel terzo tra gli altri Santi. Alcune di queste anime le sono note poiché le ha viste nelle visioni o conosciute in terra. Tutte si presentano come figure pure e luminose; oltre al Salvatore vede i corpi trasfigurati di Maria ed Elia. L’estasi che la visione produce in lei è tale da farla anelare alla morte…».



Teresa, probabilmente col medico che la tenne sotto controllo

Teresa aveva visioni mistiche del Purgatorio ogni anno il 2 novembre, giorno che la Chiesa dedica alla Commemorazione di tutti i fedeli defunti. Riporta sempre padre Naber nel suo diario il giorno 2 novembre 1928: «Oggi Teresa è rimasta per tutto il giorno distesa in un dolore pacato, in uno stato di totale abbandono, come una povera anima. Ha visitato il Purgatorio per due volte, al mattino e alla sera. Con indescrivibile tristezza ha osservato le anime che le si presentavano come figure luminose non ancora perfettamente purificate. Anche qui vede diversi volti noti, alcuni dei quali si rivolgono a lei in cerca di aiuto».


Le anime purganti avevano un posto speciale nel cuore di Teresa. Sosteneva che sono loro i nostri fratelli che hanno maggiormente bisogno del nostro aiuto. «Non dimenticare i defunti. Prega ogni giorno per loro, ma non limitarti a questo, sacrifica tutte le difficoltà che ti si presentano per i defunti», scrisse al fratello Ferdinand jr. nel suo testamento spirituale. «Fintanto che sono in vita ci preoccupiamo per loro e cerchiamo di aiutarli. Proprio ora che necessitano del nostro aiuto, spesso li trascuriamo. I defunti però hanno bisogno del nostro aiuto e lo attendono perché da soli non possono salvarsi. È per questo che dall’Aldilà ci sono più vicini di quanto potessero fare in vita. […] Ti ho detto questo affinché tu non lo tenga per te ma lo dica a tua volta a tutti quelli che incontrerai!». Una raccomandazione che Teresa fa anche a noi.


L’UMILE CONTADINA CHE FACEVA TREMARE ANCHE HITLER



Non aveva paura di nessuno. O quasi: temeva molto la Neumann da quel grande superstizioso che era…

La fama di santità di Teresa si diffuso rapidamente già dopo l’impressione delle stigmate. Questo però le costò molte inimicizie, poiché le comunità ecclesiali luterane non furono felici del fatto che una donna cattolica godesse di tanta stima e venerazione in tutta la Germania. Persino i nazisti la avversavano.


Teresa, infatti, non nascondeva affatto di rifiutare l’indirizzo politico-ideologico del partito nazional-socialista, neppure nascondere l’opinione negativa che aveva della persona di Hitler. Opinioni che la “stigmatizzata bavarese” non ritrattò, anzi confermò, durante gli anni più bui della dittatura nazista. Raccomandava a tutti i suoi interlocutori di ascoltare e diffondere le prediche del beato Clemens August von Galen, il vescovo di Münster, l’unico uomo, in tutta la Germania, che ebbe il coraggio di opporsi apertamente a Hitler. Alcuni importanti membri del Terzo Reich chiesero la testa di Teresa, ma Hitler non ne volle sapere: «Non sia toccata!». Il Führer era molto superstizioso e temeva il “potere magico” di persone toccate dal soprannaturale. Era terrorizzato dal fatto che Teresa potesse profetizzarne l’ingloriosa fine politica. Così nella Germania pagana del nazismo, c’era un’umile donna che viveva del suo lavoro di contadina – non accettava mai offerte né aiuto da coloro che si recavano a farle visita – e si nutriva solamente del Corpo e del Sangue di Cristo, che faceva tremare Hitler e i suoi sottoposti.


Teresa Neumann lasciò questo mondo il 18 settembre del 1962. Aveva 64 anni. Uomini e donne da tutta la Germania e da tutta l’Europa si recarono a rendere omaggio alla salma. Anche in quell’occasione si compì un prodigio: i medici constatarono che durante i quattro giorni in cui il corpo di Teresa fu esposto ai fedeli – i funerali furono celebrati il 22 settembre – non si erano verificati i tipici segni di rigidità cadaverica e decomposizione.


Già poco dopo la sua morte arrivano richieste da migliaia di persone alla diocesi di Ratisbona affinché cominciasse il prima possibile il processo di beatificazione di Teresa di Konnersreuth. Non si contano più le grazie a lei attribuite dopo la sua morte. Soprattutto si tratta di conversioni. Il 13 febbraio 2005 l’allora vescovo di Ratisbona, G. Müller, attuale  prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha comunicato l’apertura del processo di beatificazione di Teresa Neumann.


L’APOSTASIA DELLA CHIESA TEDESCA



Il “rahnerismo” – abbracciato da molti vescovi tedeschi – ha dato luogo ad uno scisma silenzioso.

A conclusione di questo articolo la domanda sorge spontaneamente: cosa sta a significare quella presenza arcana, fiore in un letamaio, di Teresa Neumann di Konnersreuth, eminentemente cattolica, nella terra dei superbi intellettuali post-conciliari, nella terra dove persino il cattolicesimo s’è fatto protestantesimo “antipapista”?


Purtroppo, infatti, la Chiesa cattolica tedesca di fatto è scismatica. Il processo parte da lontano, dalle teorie dello gnosticismo rahneriano entrato ormai a far parte a pieno titolo nel DNA del clero tedesco. L’attuale presidente della conferenza episcopale tedesca, Robert Zollitsch – rahneriano come il suo predecessore, Karl Lehmann – poco dopo la sua nomina, avvenuta nel 2008, in un’intervista, affermò che la Croce non è redenzione ma solidarietà.


I più scontenti di tutti, nel 2005, dell’elezione al trono di Pietro del cardinale tedesco Joseph Ratzinger furono proprio i membri della conferenza episcopale tedesca. Già da prefetto della Congregazione della Fede, il cardinal Ratzinger si scontrò più con i suoi connazionali su aborto, celibato sacerdotale, ammissione alla Comunione per divorziati-risposati, etc. Durante il pontificato i rapporti non sono affatto migliorati, anzi.



Teresa Neumann sul letto di morte. E resurrezione

Durante il viaggio apostolico di Benedetto XVI in Germania (22-25 settembre 2011), si poteva toccare con mano la freddezza con cui fu accolto dai vescovi.  Il Papa ribadiva la bellezza della vita sacerdotale conformata a Cristo? Lor signori pretendevano l’abolizione del celibato sacerdotale. Il Papa rammentava la santità del matrimonio? Lor signori chiedevano l’ammissione ai sacramenti dei divorziati-risposati. Il Papa affermava solennemente la sacralità della vita? Lor signori esigevano la revisione dell’enciclica “Humanae Vitae”. Il Papa ricordava che al centro della vita del cattolico c’è l’Eucarestia? Lor signori si dedicano all’attivismo solidarista piccolo borghese. E via dicendo.


L’ultimo “smacco” è avvenuto il 22 febbraio di quest’anno, quando la conferenza episcopale tedesca annunciò che negli ospedali cattolici, alle vittime di stupri, sarebbe stata somministrata la pillola del giorno dopo, nota come “pillola abortiva”. Tale decisione fu giustificata come “contraccezione di emergenza”. La Chiesa, infatti, in alcuni casi, per esempio in alcuni stati in cui si stupra una donna come se si andasse a prendere un caffè, permette l’uso della pillola anticoncezionale. Ma l’aborto non è mai moralmente lecito, neppure in caso di stupro. Da notare che non aspettarono neppure che la rinuncia al pontificato di Ratzinger diventasse effettiva, cioè il 28 febbraio.


LA CROCE È LA NOSTRA SALVEZZA.MA PUÒ DIVENTARE LA NOSTRA CONDANNA


Il funerale di Teresa Neumann, nel 1962, in un paese bavarese non lontano da quello che vive nascere Joseph Ratzinger, il futuro vicario di Cristo, tuttora felicemente vivente.

La figura di Teresa Neumann – per tornare alla domanda di prima – è una grazia, certamente, ma anche un pugno nello stomaco per la Chiesa tedesca. Un potente richiamo alla conversione, al ritorno alla sana dottrina cattolica. La vita della “stigmatizzata bavarese”, tutta dedita alla preghiera, alla penitenza e alla sofferenza, fino ad arrivare alla conformazione al Cristo crocifisso, rammenta alla Chiesa tedesca – ma anche a tutti noi – che la Misericordia non ci è dovuta ma ci è donata, che la Grazia non è “a buon mercato” – i sacramenti non sono un optional ma indispensabili –, che prima ancora che a migliore la qualità della nostre vite dobbiamo pensare alla salvezza – niente affatto scontata – delle nostre anime.

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Tutto ciò che è riportato in questo articolo su Teresa Neumann è ricavato da questa lista di libri in tedesco, dalle versioni inglesi e italiani, rintracciabili anche, parzialmente, in internet.