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sabato 28 febbraio 2015

Testamento spirituale di Santa Bernadette


Testamento spirituale di Santa Bernadette
                                       ***                                         Bernadette Soubirous

"Per l’indigenza di mamma e papà per la rovina del mulino, per il vino della stanchezza, per le pecore rognose: grazie, mio Dio! Bocca di troppo da sfamare che ero; per i bambini accuditi, per le pecore custodite, grazie!

Grazie o mio Dio, per il Procuratore, per il Commissario, per i Gendarmi, per le dure parole di Peyremale. Per i giorni in cui siete venuta, Vergine Maria, per quelli in cui non siete venuta, non vi saprò rendere grazie altro che in Paradiso. Ma per lo schiaffo ricevuto, per le beffe, per gli oltraggi, per coloro che mi hanno presa per pazza, per coloro che mi hanno presa per bugiarda, per coloro che mi hanno presa per interessata. GRAZIE, MADONNA !

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Per l’ortografia che non ho mai saputa, per la memoria che non ho mai avuta, per la mia ignoranza e per la mia stupidità, grazie! Grazie, grazie, perché se ci fosse stata sulla terra una bambina più stupida di me, avreste scelto quella! Per la mia madre morta lontano, per la pena che ebbi quando mio padre, invece di tendere le braccia alla sua piccola Bernadette, mi chiamò Suor Maria Bernarde: grazie, Gesù! Grazie per aver abbeverato di amarezza questo cuore troppo tenero che mi avete dato. Per Madre Giuseppina che mi ha proclamata: "Buona a nulla". GRAZIE!

Per i sarcasmi della madre Maestra, la sua voce dura, le sue ingiustizie, le sue ironie, e per il pane della umiliazione, grazie! Grazie per essere stata quella cui la Madre Teresa Poteva dire :"Non me ne combinate mai abbastanza". Grazie per essere stata quella privilegiata dai rimproveri, di cui le mie sorelle dicevano: "Che fortuna non essere come Bernadette".Grazie di essere stata Bernadette, minacciata di prigione perché vi avevo vista, Vergine Santa ! Guardata dalla gente come bestia rara; quella Bernadette così meschina che a vederla si diceva: "Non è che questa?!". Per questo corpo miserando che mi avete dato, per questa malattia di fuoco e di fumo, per le mie carni in putrefazione, per le mie ossa cariate, per i miei sudori, per la mia febbre, per i miei dolori sordi e acuti, GRAZIE MIO DIO!

Per quest’anima che mi avete data, per il deserto della aridità interiore, per la vostra notte e per i vostri baleni, per i vostri silenzi e i vostri fulmini; per tutto, per Voi assente e presente, grazie! Grazie o Gesù!"




Il filosofo Williams: la conversione dal buddhismo al cattolicesimo

Il filosofo Williams: la conversione dal buddhismo al cattolicesimo

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Tra i massimi studiosi europei delle religioni orientali vi è Paul Williams, professore emerito di “Filosofia indiana e tibetana” presso il Dipartimento di Teologia e Studi religiosi dell’Università di Bristol, per oltre 30 anni è stato uno delle maggiori autorità accademiche sul buddismo. Tuttavia nel 1999 si è convertito con grande sorpresa al cattolicesimo, dopo aver seriamente riflettuto sul karma e l’aldilà.
Lui stesso era un convinto buddista, intellettuale e professionista fino alla conversione che, come dicevamo ha sorpreso i suoi allievi, colleghi e familiari. La rivista buddhista inglese, Dharmalife, la prese davvero male scrivendo: «Williams è uno dei principali studiosi inglesi del buddismo e un praticante buddista da molti anni. Come stupefacentemente è stato udito, ha deciso di diventare cattolico. Cattolicesimo!».
Nel 2002 ha pubblicato un libro con la sua testimonianza di conversione e riflessioni dove racconta come sia stato educato da anglicano, ma dopo la laurea in filosofia buddhista ha abbandonato. Scrive: «Nel 1973 ero tranquillo: avevo studiato il buddismo e sembrava coerente, Dio non era necessario ed ero considerato come un buddista». In qualità di professore ha creato la sua cerchia di buddisti. «Ho praticato la meditazione buddhista tenendo conferenze nelle riunioni, nei talk show e partecipando a dibattiti pubblici con il cattolico dissidente Hans Küng. Non credevo in Dio…o meglio, non sembrava esserci ragione di credere in Dio e l’esistenza del male era per noi un argomento positivo in questo senso. Nel buddismo si ha un sistema di moralità, spiritualità e filosofia immensamente sofisticato (ed esotico), non hai bisogno di Dio per nulla».
Nel cosiddetto buddhismo occidentale, spiega il docente in un articolo recente su Religion en Libertad,  alcuni leader buddhisti promuovono la “bestemmia terapeutica” per facilitare il distacco dal background cristiano, le cose offensive sono considerate sacre nella loro cultura. Anche altre cose sono sempre rimaste poco ragionevoli per Williams: l’infinita reincarnazione, anche in forme di animali e per sfuggire a tutto questo -che anche loro considerano terribile- il buddismo insegna che è possibile raggiungere l’illuminazione, il nirvana, la perfezione assoluta in questa vita e il distacco, cosa però rarissima e suprema. L’inesistenza di una spiegazione al dolore innocente è poi la cosa che lascia davvero spaesati: «non può essere visto come soddisfacente. Il buddhismo non aveva speranza per me. I cristiani hanno invece speranza, così ho voluto tornare ad essere cristiano. Mi sono reso conto che è razionale credere in Dio, molto di più del non credere».
Dopo aver esaminato la chiave del messaggio cristiano, la resurrezione di Gesù, «sono rimasto sorpreso di scoprire che la risurrezione letterale di Cristo dai morti dopo la sua crocifissione è la spiegazione più razionale di quello che è successo. Questo ha reso il cristianesimo l’opzione più razionale delle religioni teistiche, e come cristiano ho sentito che la priorità dovrebbe essere data alla Chiesa Cattolica. Il cristianesimo è la religione del valore infinito di ogni persona. Ogni persona è una creazione individuale di Dio. Qui sta tutta la morale cristiana dal valore di altruismo della famiglia e del sacrificio dei santi». Oggi Paul Williams è un domenicano laico e un grande ammiratore di San Tommaso d’Aquino, anche se continua ad essere professore e specialista di Buddismo.

domenica 22 febbraio 2015

. Lettera del beato Franz Jägerstätter, cattolico austriaco, scritta pochi giorni prima della sua decapitazione in un carcere nei pressi di Berlino, il 9 agosto 1943

6. Lettera del beato Franz Jägerstätter, cattolico austriaco, scritta pochi giorni prima della sua decapitazione in un carcere nei pressi di Berlino, il 9 agosto 1943

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Testo del manoscritto custodito nella Basilica

"Io credo che si possa anche prestare cieca obbedienza, ma solo se così facendo non si danneggia nessuno"
Scriverò solo qualche parola, così come essa mi esce dal cuore. Scrivo con le mani legate, ma è meglio così che se fosse incatenata la volontà. Talvolta Dio ci mostra apertamente la sua forza, che Egli dona agli uomini che lo amano e non preferiscono la terra al cielo. Né il carcere, né le catene e neppure la morte possono separare un uomo dall’amore di Dio e rubargli la sua libera volontà. La potenza di Dio è invincibile.
Siate ubbidienti e sottomettetevi alle autorità: queste parole vi arrivano oggi da ogni parte, anche da persone che non credono quasi per nulla in Dio e alle Sacre scritture.
Se ci si dedicasse con la stessa assiduità con cui si è tentato di salvarmi dalla morte terrena a mettere in guardia ciascun uomo contro il peccato mortale, e perciò contro la morte eterna, ci sarebbe davvero già il paradiso in terra.

C’è sempre chi tenta di opprimerti la coscienza ricordandoti la sposa e i figli. Forse le azioni che si compiono diventano giuste solo perché si è sposati e si hanno figli? O forse l’azione è migliore o peggiore solo perché la compiono anche altre migliaia di cattolici?
Forse anche fumare è diventato una virtù perché lo fanno migliaia di cattolici? Si può allora anche mentire perché abbiamo moglie e figli e per di più giustificarsi attraverso un giuramento? Cristo stesso non ha forse detto: “Chi ama la moglie, la madre e i figli più di me non è degno di me”? Per quale motivo preghiamo Dio e i sette doni dello Spirito santo, se dobbiamo comunque prestare in ogni caso cieca obbedienza? A che pro Dio ha fornito agli uomini un intelletto e una libera volontà se non ci è neppure concesso, come alcuni dicono, di giudicare se questa guerra che la Germania sta conducendo sia giusta o ingiusta? A cosa serve allora saper distinguere tra bene e male?
Io credo che si possa anche prestare cieca obbedienza, ma solo se così facendo non si danneggia nessuno. Se al giorno d’oggi gli uomini fossero un po’ più sinceri ci dovrebbe essere, credo, anche qualche cattolico che dice: “Sì, mi rendo conto che quello che stiamo  compiendo non è bene, tuttavia non mi sento ancora pronto a morire”.

Se Dio non mi avesse dato la grazia e la forza di morire, se necessario, per difendere la mia fede, forse farei semplicemente ciò che fa la maggior parte della gente. Dio può infatti concedere la propria grazia a ciascuno come Egli vuole. Se altri avessero ricevuto le molte grazie che ho ricevuto io, forse avrebbero fatto cose molto migliori di me.
Forse molti pensano di essere tenuti a sopportare il martirio e a morire per la loro fede solo quando si pretenderà da loro di abbandonare la Chiesa. Io mi azzardo a dire molto apertamente che chi è pronto a soffrire e a morire, piuttosto che offendere Dio con il più piccolo peccato veniale, è anche disposto a morire per la propria fede. Questi avrà maggior merito di chi viene condannato pur di non abiurare pubblicamente la Chiesa, perché in questo caso si ha semplicemente il dovere, se non si vuol commettere peccato grave, di morire piuttosto che obbedire.
Un santo disse: “Anche se una sola menzogna detta per adeguarsi alle circostanze permettesse di spegnere tutto il fuoco dell’inferno, non bisognerebbe dirla perché mentendo, anche per necessità, si offende Dio”. Qualcuno potrà pensare che simili considerazioni nel XX secolo possono sembrare ridicole. Sì, è vero, noi uomini siamo cambiati in molte cose, ma Dio non ha tolto uno iota dai suoi comandamenti. Perché poi si vuole sempre cercare di rimandare la morte, come se non si sapesse che prima o poi dovrà arrivare? Forse i nostri santi si sono comportati così? Non credo proprio. O forse dubitiamo della misericordia di Dio, come se potesse davvero aspettarci l’inferno dopo la nostra morte. In realtà me lo sarei meritato, con i miei numerosi e gravi peccati, ma Cristo non è venuto nel mondo per i giusti, bensì per cercare ciò che era smarrito.

E affinché nessun peccatore debba avere dubbi, ce ne ha dato un esempio proprio in punto di morte, salvando il buon ladrone.
Non avremmo mai alcuna serenità su questa terra se sapessimo che Dio, il Signore, non ci perdona e perciò dopo la morte dovremo vagare per sempre nell’inferno. Se pensieri del genere non portano alla disperazione l’uomo, ciò significa che egli non crede più in una vita oltre la morte, o che si immagina l’inferno come un locale di divertimenti, dove c’è sempre allegria. Se un nostro buon amico ci proponesse un lungo viaggio di piacere, naturalmente gratis e con trattamento di prima classe, cercheremmo di rimandarlo continuamente o addirittura lo terremmo in serbo per la vecchiaia? Non credo proprio. E cos’è dunque la morte: non si tratta anche in questo caso di un lungo viaggio che dovremo fare, anche se da questo non ritorneremo? Ma può esservi un momento più gioioso di quello nel quale ci accorgeremo di essere felicemente approdati sulle rive del paradiso? Naturalmente non dobbiamo dimenticare che prima ci dovremo purificare nel purgatorio, ma esso non dura in eterno e chi in vita si è sforzato di aiutare con le proprie preghiere le povere anime dei morti ed è stato devoto alla Madre di Cristo può essere sicuro di non doverci stare a lungo. Si potrebbe quasi svenire nel pensare alle gioie eterne del cielo! Come ci rende subito felici una piccola gioia che proviamo in questo mondo! Eppure che cosa sono le brevi gioie terrene rispetto a quelle che Gesù ci ha promesso nel suo regno? Nessun occhio ha mai visto, nessun orecchio ha mai udito e nessun cuore d’uomo ha mai conosciuto ciò che Dio ha preparato per coloro che lo amano.

Quando sant’Agostino volle scrivere un libro sulle gioie celesti, san Gerolamo che, come si seppe più tardi, era morto in quello stesso giorno, gli apparve in sogno e disse: “Come non puoi contenere il mondo intero in una mano, così non potresti raccogliere le gioie del cielo in un libro prima di trovarti tu stesso in quel luogo nel quale ti sforzi di giungere”. Se dunque le gioie del Cielo sono così grandi, non dobbiamo disprezzare tutti i piaceri di questa terra?
Testo tratto dalle annotazioni stese in carcere nel periodo successivo alla condanna (6.7.1943)

  • Cenni BiograficiIl 9 agosto 1943, in un carcere vicino Berlino, mentre su gran parte dell'Europa gravava la notte oscura del domino nazista e della guerra mondiale, veniva decapitato un contadino austriaco di 36 anni, cattolico e padre di tre figli.
    La sua colpa: essere un oppositore del nazismo ed essersi rifiutato strenuamente, in nome della sua fede cristiana, di combattere agli ordini di Adolf Hitler. Quest'uomo si chiamava Franz Jägerstätter, e scelse di testimoniare con la sua vita la sua fedeltà al Vangelo ed il suo rifiuto di seguire l'ideologia e la prassi nazista.
    Franz Jägerstätter, vissuto in un piccolo villaggio a pochi chilometri dalla Baviera e dai luoghi in cui Joseph Ratzinger ha passato alcuni anni della sua infanzia, è stato proclamato beato da Benedetto XVI. La vicenda di Franz Jägerstätter è per molti versi impressionante. Nel pieno della guerra e del clima di isterica propaganda bellica creato dalle autorità naziste, questo giovane padre di tre figlie, nato e cresciuto a soli trenta chilometri dal villaggio natale di Hitler, ebbe molto chiara nella sua coscienza l'impossibilità per un cristiano di essere soldato in un esercito comandato da un potere iniquo e anticristiano.
    Tale chiarezza era per lui semplicemente un dono, una grazia, da accogliere con umiltà e riconoscenza. Affermava infatti: «Se Dio non mi avesse dato la grazia e la forza di morire se necessario per difendere la mia fede, forse farei semplicemente ciò che fa la maggior parte della gente». Si chiedeva poi con grande chiarezza: «Si può essere allo stesso tempo soldato di Cristo e soldato per il nazionalsocialismo, si può combattere per la vittoria di Cristo e della sua Chiesa e contemporaneamente combattere perché vinca il nazionalsocialismo?».
    Le sue lettere scritte in carcere, dopo la sentenza di morte, sono di una serenità che non può che stupire, considerate le condizioni nelle quali affrontava tale prova e le preoccupazioni evidenti che doveva serbare per la sua famiglia. Con estrema lucidità Jägerstätter considerava il dilemma morale nel quale si trovava, e di fronte al quale non era disposto a compromessi di alcun genere: «Per quale motivo preghiamo Dio e i sette doni dello Spirito Santo, se dobbiamo comunque prestare in ogni caso cieca obbedienza? A che pro Dio ha fornito agli uomini un intelletto ed una libera volontà se non ci e neppure concesso, come alcuni dicono, di giudicare se questa guerra che la Germania sta conducendo sia giusta o ingiusta?». Tali considerazioni sono contenute in una lettera scritta da Franz Jägerstätter alla fine di luglio 1943, mentre si trovava con le mani legate perché ormai vicino all’esecuzione della condanna.
    L'originale di questo prezioso documento è stato solennemente consegnato il 4 novembre 2005 dal Cardinale Schönborn, arcivescovo di Vienna e presidente della Conferenza episcopale austriaca, a don Angelo Romano, Rettore della Basilica di san Bartolomeo, per essere esposto nella cappella dedicata ai testimoni della fede vissuti sotto il regime nazista. 
  •  
     
    ·Nella lettera indirizzata al cugino che diventerà suo figlioccio, Franz parla in modo esplicito dei dubbi di fede che lui stesso è riuscito a superare:
    “Se ti dovessero venire dei dubbi sulla fede, dai quali quasi nessuno viene risparmiato, se la nostra fede sia quella vera, allora pensa ai miracoli e ai nostri santi, che non esistono in nessun’altra religione tranne in quella cattolica. Dalla morte di Cristo ci sono state, quasi ogni secolo, persecuzioni contro i cristiani e ci sono sempre stati eroi e martiri che hanno sacrificato per Cristo e la fede la loro vita, spesso dopo un orribile martirio. Se vogliamo raggiungere il nostro traguardo, dobbiamo diventare anche noi eroi della fede, poiché se temiamo più gli uomini che Dio non avremo fortuna”.
    ·In una raccomandazione al figlioccio emerge l’importanza della lettura nella formazione religiosa e spirituale:
    “Un giovane deve leggere solo buoni libri e buoni scritti, in primo luogo perché l’uomo non necessita solo di nutrimento corporale ma anche spirituale. Non sempre abbiamo occasione di ascoltare delle prediche buone e belle, dal momento che non tutti i sacerdoti posseggono il talento di saper predicare bene.
    Si sente dire spesso che il leggere fa diventare l’uomo ancora più stupido di quanto non sia. Può anche essere, perché ci sono giovani che leggono molti libri ma principalmente romanzi d’amore o romanzi gialli, che sono belli ed emozionanti da leggere, ma per la formazione religiosa e spirituale non hanno alcun valore. I cattivi libri possono spesso creare più danni che giovamento. Perciò i giovani devono chiedere prima di tutto a sacerdoti o a buoni educatori che cosa devono leggere. Anche se non tutti hanno lo stesso entusiasmo per la lettura, possono leggere poco per volta, sfruttando ad esempio le lunghe sere d’inverno, poiché un uomo che non legge niente non si potrà reggere in piedi e sarà solo una marionetta nelle mani degli altri”.

anche pace e amore non durano a lungo, se non credi al tuo Dio e a nessuna eternità


anche pace e amore non durano a lungo,
se non credi al tuo Dio
e a nessuna eternità
***



“Non essere superbo, tu uomo ricco,
anche tu morirai,
cessa l’ingiusta lotta di classe,
poiché anche il figlio di Dio non era ricco sulla terra.
Ah, quanto sono colmi di dolore spesso i nostri giorni
nella nostra breve vita,
sulla quale viaggiamo tutti in modo diverso,
finché un giorno il treno deraglierà.
Ora chiedo a te, uomo superbo,
se la ricchezza personale ti basta,
finché Dio ti dona la salute
e nessun dolore t’opprime.
Salute ed intelligenza sarebbero altrimenti il dono più bello,
ed anche essere bello ed avere denaro è giusto
se si possiedono queste doti.
Ma tutti i bei doni
non ti portano la felicità sperata,
quando nel cuore ti manca l’amore,
perché anch’esso è un capolavoro.
Ma anche pace e amore non durano a lungo,
se non credi al tuo Dio
e a nessuna eternità”.
("Franz Jägerstätter. "3 ottobre 1932)
dal libroUn contadino contro Hitler

Abbiamo ragioni forti affinché San Pietro non conosca la stessa sorte di Santa Sofia?

Abbiamo ragioni forti affinché San Pietro non conosca la stessa sorte di Santa Sofia?

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febbraio 16, 2015 Fabrice Hadjadj

La sottomissione dei jihadisti di Parigi all’islamismo non è solo una reazione al vuoto culturale e spirituale della République. È una continuità con quel vuoto.


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Cari Jihadisti, è il titolo di una lettera aperta pubblicata da Philippe Muray – uno dei più grandi polemisti francesi – poco dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. La lettera si conclude con una serie di avvertimenti ai terroristi islamici, ma a esser presi di mira, di riflesso e ironicamente, sono in verità gli occidentali fanatici del comfort e del supermercato. Cito un passaggio da cui si può facilmente cogliere lo scherno pungente e sarcastico:
« [Cari Jihadisti], temete la collera del consumatore, del turista, del vacanziere che smonta dal suo camper! Voi ci immaginate rotolati nei piaceri e nei passatempi che ci hanno rammolliti? Ebbene noi lotteremo come leoni per proteggere il nostro rammollimento. Ci batteremo per ogni cosa, per le parole che non hanno più senso e per la vita che queste si portano appresso. »
E oggi possiamo aggiungere: ci batteremo specialmente per Charlie Hebdo, giornale ieri moribondo e privo di qualsiasi spirito critico – perché criticare è discernere, e Charlie metteva nello stesso calderone jihadisti, rabbini, poliziotti, cattolici e francesi medi – ma proprio per questo ne faremo il simbolo della confusione e del nulla che ci animano!
Ecco pressappoco lo stato dello Stato francese. Invece di lasciarsi interrogare dagli avvenimenti, parla e parla, ne approfitta per lavarsi coscienza, risalire nei sondaggi, disporsi accanto alle vittime innocenti, alla libertà schernita, alla moralità oltraggiata, purché non si ammetta il vuoto umano della politica condotta da parecchi decenni, né l’errore di un certo modello eurocentrico che prevedeva la necessaria evoluzione del mondo verso la secolarizzazione, mentre altrove, quasi ovunque e almeno dal 1979, si assiste ad un ritorno della religione nella sfera politica. Ma ecco: questa coscienza lavata e questo accecamento ideologico stanno preparando per molto presto, se non la guerra civile, perlomeno il suicidio dell’Europa.
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La prima cosa che bisogna constatare è che i terroristi dei recenti attentati di Parigi sono francesi, che sono cresciuti in Francia e non sono incidenti di percorso e neppure mostri, ma prodotti dell’integrazione alla francese, veri figli della Repubblica attuale, con tutta la rivolta che tale discendenza può indurre.
Nel 2009, Amedy Coulibaly, l’autore degli attentati di Montrouge e del supermercato kosher di Saint-Mandé, era stato ricevuto all’Eliseo da Nicolas Sarkozy con altri nove giovani scelti dai loro datori di lavoro per manifestare i benefici del percorso studio-lavoro: a quel tempo lavorava con un contratto di formazione nella fabbrica della Coca-Cola della sua città natale di Grigny.
I fratelli Kouachi, orfani, figli di immigrati, erano stati accolti dal 1994 fino al 2000 in un centro educativo della Corrèze, centro che appartiene alla fondazione Claude-Pompidou. All’indomani della sparatoria alla sede di Charlie Hebdo, il direttore del centro educativo si diceva stupefatto:  « Siamo tutti scioccati da questa storia perché conosciamo quei giovani. Si fa fatica a immaginare che quei ragazzi, che erano perfettamente integrati (giocavano a calcio nei club locali), abbiano potuto uccidere deliberatamente in quel modo. Si fa fatica a crederci. Durante il loro percorso da noi non hanno mai dato luogo a problemi di comportamento. Saïd Kouachi […] era completamente pronto per la vita socio-professionale. »
Queste affermazioni rimandano a quelle del sindaco di Lunel – piccola cittadina del Sud della Francia – che si stupiva del fatto che dieci giovani del suo comune fossero partiti per unirsi alla jihad in Siria, proprio adesso che la municipalità aveva risistemato una magnifica pista da  skateboard nel loro quartiere…
vaticano-shutterstock_174665492Il legame tra martirio e maternità
Che ingratitudine! Come è possibile che questi giovani non abbiano veduto le loro aspirazioni più profonde compiute lavorando per Coca-Cola, facendo dello skateboard o giocando nella squadra di calcio locale? Come mai il loro desiderio di eroicità, di contemplazione e di libertà non si è sentito soddisfatto dall’offerta così generosa di poter scegliere tra due piatti surgelati, guardare una serie tv americana o astenersi alle elezioni? E perché le loro speranze di pensiero e di amore non si sono realizzate con tutti i progressi in corso, e cioè con la crisi economica, il matrimonio gay e la legalizzazione dell’eutanasia? Perché era precisamente questo il dibattito che interessava il governo francese fino al giorno prima degli attentati: la République era tutta tesa verso un’altra grande conquista umana, l’ultima senza dubbio, e cioè il diritto di essere assistiti nel suicidio o essere finiti da un boia la cui delicatezza sia attestata da un titolo di studio in medicina…
Mi spiego : i fratelli Kouachi e Coulibaly erano « perfettamente integrati », ma integrati al nulla, alla negazione di ogni slancio storico e spirituale, ed è per questo che alla fine si sono sottomessi a un islamismo che era non soltanto la reazione a tale vuoto, ma era anche in continuità con quel vuoto, con la sua logistica di sradicamento mondiale, di perdita della tradizione familiare, di miglioramento tecnico del corpo per farne un super-strumento connesso a un dispositivo senz’anima…
Un giovane non cerca soltanto ragioni per vivere, ma anche e soprattutto – giacché non possiamo vivere per sempre – ragioni per dare la propria vita. Ora, ci sono ancora in Europa ragioni per dare la propria vita ? La libertà di espressione ? Va bene ! Ma cosa abbiamo di cosi importante da esprimere ? Quale Buona Novella abbiamo da annunciare al mondo ?
Sapere se l’Europa sia ancora capace di portare una trascendenza che dia senso alle nostre azioni – dico che questa è la questione più spirituale e per ciò stesso anche la più carnale. Non si tratta solo di dare la propria vita; si tratta anche di dare la vita. Curiosamente, o provvidenzialmente, nell’udienza del 7 gennaio, il giorno stesso dei primi attentati, papa Francesco indicava, citando un’omelia di Oscar Romero, il legame tra martirio e maternità, tra l’essere pronti a dare la propria vita e l’essere pronti a dare la vita. E’ un’evidenza innegabile : la nostra debolezza spirituale si ripercuote sulla demografia ; che lo si voglia oppure no la fecondità biologica è sempre segno di una speranza vissuta (anche quando tale speranza è disordinata, come nel natalismo nazionalista o imperialista).
fabrice_hadjadj-foto-meeting-riminiL’insegnamento di De Gaulle
Se si adotta un punto di vista totalmente darwinista, bisogna allora ammettere che il darwinismo non è un vantaggio selettivo. Credere che l’uomo sia il risultato mortale del casuale bricolage dell’evoluzione non incoraggia granché a fare figli. Meglio un gatto o un cagnolino. O forse uno o due piccoli sapiens sapiens, per inerzia, per convenzione sociale, alla fine non tanto come figli ma come giocattoli adatti a esercitare il proprio dispotismo e per distrarsi dall’angoscia (prima di aggravarla radicalmente). Il successo teorico del darwinismo conduce inevitabilmente al successo pratico dei fondamendalisti che negano tale teoria ma che, loro, fanno tanti figli. Un’amica islamologa, Annie Laurent, mi ha detto a questo proposito una frase illuminante : « Il parto è la jihad delle donne. »
Ciò che a suo tempo spinse il generale de Gaulle a concedere l’indipendenza all’Algeria fu precisamente la questione demografica. Mantenere l’Algeria francese con giustizia avrebbe voluto dire accordare la cittadinanza a tutti, ma essendo la democrazia francese sottoposta alla legge della maggioranza e dunque a quella della demografia, essa avrebbe finito con il sottomettersi alla legge coranica. Il 5 marzo 1959 de Gaulle confidava a Alain Peyrefitte : « Lei crede che il corpo francese possa assorbire dieci milioni di mussulmani che domani saranno venti milioni e dopodomani quaranta? Se facessimo l’integrazione, se tutti gli arabi e i berberi di Algeria fossero considerati francesi, come impedirgli di venire a stabilirsi in Francia metropolitana dove il tenore di vita è talmente più elevato? Il mio paesino non si chiamerebbe più Colombey-les-Deux-Églises, ma Colombey-les-Deux-Mosquées ! »
Certo, c’è una liberazione della donna di cui possiamo essere fieri, ma quando tale liberazione si risolve nella militanza contraccettiva e abortiva, e la maternità e la paternità sono concepite come pesi insopportabili per individui che hanno dimenticato di essere prima di tutto figli e figlie, tale liberazione non può che fare posto, dopo qualche generazione, al dominio numerico delle donne col burqa, perché le donne con la minigonna si riproducono molto di meno.
E’ facile protestare : « Oh ! il burqa ! che usanze barbare ! » Quelle usanze barbare unite a un’immigrazione che compensa la denatalità europea capovolgeranno la nostra civilizzazione del futuro – di un futuro, infine, senza posterità…
In fondo, i jihadisti commettono un grave errore strategico : provocando reazioni indignate finiscono col rallentare l’islamizzazione dolce dell’Europa, quella che Michel Houellebecq presenta nel suo ultimo romanzo (pubblicato anch’esso il  7 gennaio) e che si realizza a causa della nostra doppia astenia religiosa e sessuale. A meno che la nostra insistenza sul non confondere le cose, e sul ripetere che l’islam non c’entra niente con l’islamismo (mentre sia il presidente egiziano Al-Sissi che i fratelli mussulmani ci dicono il contrario) e a colpevolizzarci del nostro passato coloniale – a meno che tutta questa confusione non ci consegni con ancor più grande quanto vana ossequiosità al processo in atto.
C’è in ogni caso una vanità che dobbiamo smettere di avere ed è di credere che i movimenti islamisti siano movimenti pre-Lumières, barbari come dicevo prima, e che diverranno moderati non appena scopriranno gli splendori del consumismo. In verità sono movimenti  post-Lumières. Essi sanno che le utopie umaniste che si erano sostituite alla fede religiosa sono crollate. E dunque ci si può chiedere con qualche ragione se l’islam non sia il termine dialettico di un’Europa tecno-liberale che ha rifiutato le sue radici greco-latine e le sue ali giudaico-cristiane: e siccome questa Europa non può vivere troppo a lungo senza Dio e senza madri, ma come un bambino viziato non riesce tornare da sua madre la Chiesa, essa acconsente finalmente a darsi a un monoteismo facile, dove il rapporto con la ricchezza è sdrammatizzato, dove la morale sessuale è più debole, dove la postmodernità hi-tech costruisce città radiose come quelle del Qatar. Dio e il capitalismo, le huri dell’harem e i guru del computer, perché non potrebbe essere questo l’ultimo compromesso, la vera fine della storia?
Una cosa mi sembra certa: ciò che c’è di buono nel secolo dei Lumi ormai non può più sussistere senza il Lume dei secoli. Ma riconosceremo che quella Luce è quella del Verbo fatto carne, del Dio fatto uomo, e cioè di una Divinità che non schiaccia l’umano, ma che lo accoglie  nella sua libertà e nella sua debolezza? Questa è la domanda che pongo a voi alla fine: siete romani, ma avete ragioni forti affinché San Pietro non conosca la stessa sorte di Santa-Sofia? Siete italiani, ma siete capaci di battervi per la Divina Commedia, o ne avrete vergogna, visto che Dante, nel XXVIII canto dell’ Inferno, osa mettere Maometto nella nona bolgia dell’ottavo girone?
Infine, siamo europei, ma siamo fieri della nostra bandiera con le sue dodici stelle? Ci ricordiamo ancora del senso di quelle dodici stelle, che rimandano all’Apocalisse di San Giovanni ed alla fede di Schuman e De Gasperi? Bisogna rispondere, o siamo morti: per quale Europa siamo pronti a dare la vita?

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mercoledì 18 febbraio 2015

Curare oltre 100 malattie della pelle con meno di un euro Intervista al padre del Metodo Ruffini

Ruffini: "La grande economicità del trattamento può liberare enormi risorse per la ricerca"

Curare oltre 100 malattie della pelle con meno di un euro
Intervista al padre del Metodo Ruffini

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di valerio droga | 20 dicembre 2013 | pubblicato in Cure e terapie

dott Ruffini

Ci sono ciarlatani e finti guaritori, venditori di illusioni e presunti taumaturghi che si approfittano di patologie incurabili diffondendo false speranze a chi la speranza ormai l’ha già persa. E poi ci sono medici e ricercatori che fanno del giuramento di Ippocrate la strada maestra, il cui unico obiettivo è prendersi cura dell’umanità, che mettono a punto trattamenti e cure efficaci lasciandoli a disposizione della gente, senza porle sotto chiave per specularci su. A volte si può trattare di metodi semplici, privi di effetti collaterali e a basso costo, al punto da suscitare legittimi dubbi, ma non per questo meno efficaci o meno scientifici.

Sopra, Chitignano (Arezzo), paese di origine e, sotto, Ruffini a 20 anni a un concerto.
Oggi parliamo di (e con) Gilberto Ruffini, medico chirurgo ematologo, padre del Metodo Ruffini. La sua storia profuma di un’Italia che non c’è più, in cui la forte motivazione personale e il merito poteva far dimenticare e superare le difficoltà incontrate. Così un giovane di origini contadine umbro-toscane, cresciuto prima con la madre e poi in orfanotrofio e collegio, comincia a lavorare da garzone in uno studio dentistico di Varese. Osservando il vecchio dentista si appassiona al mestiere e decide di conseguire il diploma di odontotecnico, alternando quindi le pulizie dello studio durante il giorno e la preparazione di protesi dentarie alla sera. Ma Gilberto Ruffini non si arresta qui, si iscrive alla facoltà di Medicina e chirurgia a Milano, ereditando poi lo studio del vecchio datore di lavoro. Esercita quindi come dentista (all’epoca le due carriere non erano ancora separate) e contemporaneamente prosegue gli studi a Pavia specializzandosi col massimo dei voti in Ematologia clinica e di laboratorio, sotto la guida di uno dei più autorevoli al mondo ematologi dell’epoca, Edoardo Storti. Per 42 anni continua però la sua attività di dentista nel centro di Varese, oltre a prestare servizio in ospedale e a insegnare all’università, affiancando il tutto alla libera ricerca, con un approccio estremamente pragmatico, concependo la medicina a 360 gradi e mai a compartimenti stagni. Ed è così, un po’ per caso, proprio mentre è sul lavoro, che ‘scopre’ un metodo risolutivo per tutta una serie di problemi dermatologici: chiede e ottiene il brevetto nel 1996 e da allora, pur dovendo lasciare più tardi per motivi di salute l’attività di dentista, prosegue instancabilmente quella di ricercatore, provando al tempo stesso a diffondere il più possibile questo trattamento perché sempre più persone se ne possano giovare.
Cominciamo da dove è giusto cominciare: cos’è il Metodo Ruffini, su cosa si basa?
“Il Metodo Ruffini, da me ideato, è un trattamento dermatologico ad uso topico a base di ipoclorito di sodio (NaOCl), ingrediente essenziale della comune candeggina, diluito tra il 6 e il 12 per cento. Questo range percentuale permette il trattamento di molte patologie dermatologiche. Quando il sale viene a contatto con la membrana cellulare dell’agente patogeno si modifica immediatamente in acido ipocloroso (HOCl) e la disfà: l’HOCl è a pieno titolo il principio attivo del metodo”.
Quali sono le patologie o i disturbi che cura? Quanto dura un trattamento, servono più sedute? E quali sono i margini di guarigione?
“Le patologie interessate possono essere di origine virale, microbica, micotica o protozoaria. Solitamente la maggior parte delle patologie richiede solo un trattamento fino ad un minuto mentre per alcune altre ne occorrono pochi di più. Per molte patologie il trattamento risulta essere risolutivo, alcune infezioni ricorrenti possono essere risolte o notevolmente migliorate. Cura l’acne, le afte, l’herpes. Lenisce i fastidi del piede diabetico, della varicella e del fuoco di Sant’Antonio e pruriti non allergici, ma anche di punture di insetti quali vespe e ustioni di meduse. Combatte la carie, elimina la candida e il papilloma virus. In tutto, al momento, sono oltre cento le patologie che risultano curabili con questo metodo”.
Ci può raccontare brevemente quando e come nasce questa sua scoperta?
“L’occasione è nata da una mia paziente affetta da afte. Era l’anno 1991 e a quel tempo, come tutti i miei colleghi, conoscevo appena l’ipoclorito di sodio per disinfettare i canali dei denti; ebbi l’intuizione di applicarlo sulle afte e dalla risposta molto positiva e inaspettata fui incoraggiato a proseguire gli studi che mi portarono al 1996, anno in cui depositai il brevetto, ottenendone l’approvazione due anni più tardi”.
Dove si può trovare l’ipoclorito di sodio e quanto costa?
“L’ipoclorito di sodio non ha alcuna restrizione formale quindi è possibile acquistarlo senza prescrizione o in una ditta chimica, o farselo preparare da una farmacia galenica, altrimenti, al giorno d’oggi, esistono alcuni negozi online per poterlo ordinare”.
Il metodo  prevede  anche l’automedicazione o serve sempre il supporto di un medico?
Il metodo è nato con la semplicità e quindi è possibile per alcune patologie applicarselo in automedicazione (ad esempio per gli herpes). Preciso che però non esclude il medico curante ne alcuna forma di trattamento ufficiale; vuole essere una integrazione per un valido supporto laddove ufficialmente non esiste un rimedio efficace. La diagnosi è pur sempre necessaria e indispensabile”.
E se il medico non conosce il trattamento o semplicemente si rifiuta di applicarlo a chi si può rivolgere  il cittadino?  C’è una lista di medici che hanno sposato questo metodo?
“Sono presente sul web da ormai cinque anni e ad oggi dalle numerose email che ricevo mi sono fatto l’idea che i medici che conoscono e anche quelli che adottano il Metodo Ruffini sono in numero sempre più crescente anche in ambito ospedaliero. Non esiste ancora una lista di medici ufficiale. Confido di giungere al più presto a questo obbiettivo”.
Se costa così poco, mi consenta la domanda, lei che ci guadagna e a cosa serve il brevetto depositato, è solo un fatto di paternità?
“Il metodo non è stato brevettato al fine del guadagno ma per la protezione e la mia libera gestione dei dati di cui sono venuto a conoscenza attraverso le mie osservazioni cliniche”.
Considerato sempre il basso costo e anche il fatto che andrebbe a rimpiazzare un numero elevatissimo di creme, pomate, antibiotici e perfino vaccini, quale potrebbe essere il risparmio per il sistema sanitario nazionale?
“Il risparmio del sistema sanitario nazionale è, potrei dire, incalcolabile ma certamente notevole. Considerata la vasta quantità di patologie trattabili, si potrebbero investire i soldi risparmiati per altra ricerca medico-scientifica. Inoltre, i pazienti in ambito ospedaliero avrebbero meno rischi di infezioni (Mrsa) e gli ospedali ne beneficerebbero quindi anche in termini organizzativi per la estrema velocità e facilità della cura”.
Ci sono controindicazioni? Può procurare anche allergie o comunque effetti collaterali?
“Sostanzialmente non ci sono controindicazioni se non si sbagliano i tempi e le modalità di applicazione oltre che alle percentuali consigliate. Allergie non ne crea in modo assoluto in quanto la molecola è anallergica, già presente in quantità minime nell’organismo umano”.
Eliminando batteri e funghi può anche distruggere la microflora utile al funzionamento dell’organismo  intaccandone il delicato ecosistema? Penso ad alcuni batteri ‘amici’ che popolano per esempio la cavità vaginale e che necessitano di ambiente leggermente acido per sopravvivere o alla cosiddetta flora intestinale.
Per quanto riguarda microflora intestinale non è da prendere in considerazione in quanto il prodotto non va ne ingerito ne inserito nell’intestino. Per quanto riguarda la cavità vaginale è vero che il prodotto elimina tutta la microflora ma questa io la considero più una grandezza che una povertà in quanto il ristabilimento della microflora è quasi immediato: in poche ore si ristabilisce il pH naturale e la popolazione batterica funzionale all’organismo, quindi tempi così brevi non sono tali da determinare danni o sconvenienze rilevabili”.
Il metodo quale accoglienza ha avuto da parte della comunità scientifica e medica e soprattutto da parte dei dermatologi? Viene consigliato da qualche medico e in quali situazioni?
“Il metodo inizialmente è stato accolto solo con derisione però, soprattutto in ambito accademico, si sono ricreduti subito, già dopo le prime osservazioni microscopiche. Preciso inoltre che io personalmente ho raccolto 88 bibliografie mondiali che a loro volta raggruppano decine di ricercatori. Via via la cosa si è espansa a partire dai medici, soprattutto i medici di famiglia, i dermatologi e i chirurghi ospedalieri. Viene generalmente consigliato dai dottori laddove sussistano infezioni antibiotico-resistenti o virali come gli herpes 1, 2, 3 e oggi sta prendendo piede tra i ginecologi per l’Hpv, il papilloma virus cioè”.
Quali sono le critiche che le vengono mosse più spesso e con quali argomentazioni risponde?
“La principale critica che mi viene mossa è quella per la quale un medico non può applicare candeggina ai suoi pazienti. Io rispondo sempre loro che la candeggina contiene ipoclorito di sodio e non il contrario. Io consiglio una molecola che è NaOCl tra il 6 per cento e il 12 per cento su pelle e mucose e mai accompagnata da altre sostanze”.
A rafforzare la sua teoria quali evidenze scientifiche ci sono? Sono state prodotte ricerche sul campo? Quante testimonianze positive sono state raccolte finora? È mai stata commissionata una sperimentazione terza?
“Le mie evidenze scientifiche raccolte ufficialmente (senza calcolare quelle, circa 900, dei ricercatori sparsi nel mondo che ne arricchiscono la bibliografia) sono ad oggi 551 a cui si aggiungono circa 600 di altri medici che spontaneamente hanno raccolto la loro casistica. L’unica sperimentazione terza riguarda quelle in vitro in alcune università”.
Per essere riconosciuto ufficialmente dalla comunità scientifica serve una particolare procedura, quali sarebbero eventualmente i passaggi?
“Per quanto riguarda le sperimentazioni e i protocolli ufficiali costano troppo e risulterebbero insostenibili per un semplice privato quale sono”.
Oltre all’applicazione topica ho sentito che sta studiando la possibilità di somministrarlo anche per via sistemica, se non sbaglio è il Metodo Ruffini 2, può anticipare ai nostri lettori di che si tratta?
“Sì, è vero, sto lavorando al Metodo Ruffini 2, che riguarda unicamente la via sistemica. Preciso comunque che il Metodo Ruffini 2 sarà ad esclusivo uso medico-scientifico e quindi non sarà mai possibile con esso la via della auto-medicazione. Gli ambiti del Metodo Ruffini 2 riguarderanno ben 13 patologie, oltre a tre ancora in fase di studio, che per il momento preferisco non anticipare”.
Cosa prevede il dottor Ruffini per il futuro del suo metodo e cosa spera, sempre che speranze e previsioni non coincidano?
“Il mio personale auspicio è che il Metodo Ruffini possa essere accettato dai sistemi sanitari nazionali in quanto lo reputo un validissimo contributo alla scienza medica e al sollievo di tante persone”

Io, cardinale, convertito dallo spettacolo moderno eppure cattolicissimo della Sagrada Familia

Io, cardinale, convertito dallo spettacolo moderno eppure cattolicissimo della Sagrada Familia 

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febbraio 16, 2015 George Pell

Il “ministro dell’Economia” di papa Francesco, George Pell, racconta la sua visita sconvolgente a Barcellona. Dove ha scoperto che la basilica di Gaudí sa parlare di Cristo alle persone come nessun altro posto al mondo


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Già arcivescovo di Sydney e primate d’Australia, il cardinale George Pell è stato nominato da papa Francesco prefetto della Segreteria per l’Economia della Santa Sede. Proponiamo di seguito in una nostra traduzione il suo articolo dedicato alla Sagrada Familia di Barcellona, la basilica che secondo il porporato «può salvare la Chiesa in Europa». Il testo è apparso originariamente nel numero di febbraio 2015 del Catholic Herald ed è riprodotto integralmente in inglese in questa pagina.
Sono andato a Barcellona per caso. La moglie e le figlie di mio fratello erano rimaste deliziate da questa elegante città nel nord della Spagna, in special modo dalla basilica della Sacra Famiglia. Hanno convinto mio fratello che anche lui doveva vedere la città, e lui ha chiesto a me di unirmi alla visita.
Naturalmente sapevo di quella chiesa e dell’entusiasmo di papa Benedetto verso di essa. Anche uno degli architetti del nuovo Benedict XVI Retreat Centre di Sydney aveva scritto un articolo di elogio. Ma benché condividessi molti dei loro giudizi artistici, ero stato sviato dalle foto dell’esterno della basilica. Mi pareva tutto un po’ strambo: Picasso a Hollywood. Dell’interno della basilica, però, non sapevo nulla (e dell’esterno non molto di più, per la verità). Ero abbastanza preparato a non rimanere impressionato.
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La mia visita ha cambiato completamente la mia opinione, perché la basilica è opera di un genio. Quel luogo di culto parla di Dio alla gente di oggi (e di domani) in maniera più eloquente di qualunque chiesa che io conosca. Ci sono simboli cattolici ovunque, che parlano di Cristo, della Chiesa, della luce e della vita. Ogni anno 3.200.000 turisti paganti vi si recano in visita, permettendo così che la costruzione prosegua.
La chiesa è un prodotto della turbolenta storia religiosa della Spagna, e nel corso della sua vita relativamente breve è stata già danneggiata e chiusa per un certo periodo a causa della violenza anticattolica.
Nel XIX secolo Barcellona era un centro dello sviluppo industriale di una Spagna che stava cambiando la sua natura di società coloniale e rurale. Quando le forze democratiche anti-religiose e violente scatenate dalla Rivoluzione francese del 1789 si propagarono in tutta Europa, lo Stato spagnolo, nel 1836, espropriò tutte le terre e i beni della Chiesa.
Nella crisi spirituale conseguente l’ascesa dell’ateismo militante fu molto combattuta da parte di tanti preti e fedeli cattolici. L’Associazione dei Devoti di San Giuseppe fu fondata nel 1866 dal libraio filantropo Josep Maria Bocabella, e crebbe rapidamente fino a contare mezzo milione di soci. Nel 1878 essi decisero di costruire un tempio espiatorio di preghiera e di culto dedicato alla Sacra Famiglia. L’opera iniziò nel 1882, ispirata in parte alla devozione alla Santa Casa di Nazareth, che era stata traslata a Loreto, in Italia, nel XIII secolo, probabilmente da crociati.
La basilica non è la cattedrale di Barcellona e per la sua costruzione non sono stati usati fondi governativi o diocesani. Fin dal principio l’edificio è stato un esercizio donchisciottesco. Il primo architetto della Sagrada Familia, Francisco del Villar, convinse Boccabella a non costruire una riproduzione del santuario di Loreto, ma a seguire lo stile neo-gotico delle grandi cattedrali medievali, in voga all’epoca. Alcune controversie finanziarie e artistiche provocarono poi la rinuncia di del Villar, e nel 1883 Boccabella ingaggiò come architetto del nuovo progetto il 31enne Antoni Gaudí. Questi mantenne l’incarico per 43 anni, fino alla sua morte nel 1926.
Gran parte della cripta era già stata costruita e Gaudí ne corresse il progetto solo lievemente. Il suo genio creativo emerse presto nel disegno radicalmente diverso dell’abside, del chiostro e del portale della facciata della Natività, e nei dettagliati progetti per la costruzione di una chiesa sorprendentemente diversa che lasciò ai suoi successori.
Durante la Guerra civile spagnola degli anni Trenta i comunisti distrussero i progetti (ma non tutti), danneggiarono i modelli e fermarono il cantiere, che non ripartì fino al 1954. La chiesa in origine sorgeva isolata in campagna ma oggi è circondata da negozi e abitazioni. Alcuni di questi saranno demoliti per creare un ambiente più adatto e soprattutto un ampio piazzale d’ingresso.
Continueranno a essere scritti libri sulla Sagrada Familia, ed è difficile decidere da dove cominciare per descrivere così tanti tratti strani e belli. La chiesa è enorme e alta, in grado di contenere 14 mila fedeli, e il coro sopraelevato può accogliere 1.200 cantanti. La torre principale sarà alta 170 metri, dunque meno del vicino manufatto divino, il colle Montjuic, che misura 200 metri di altitudine.
sagrada-familia-george-pell-catholic-heraldOgni generazione di costruttori di chiese desidera offrire il meglio delle proprie capacità all’unico buon Dio e questo in genere – forse sempre – dovrebbe significare che ci mettano qualcosa della loro epoca e della loro nazione che vada oltre il contributo offerto dalle generazioni precedenti.
La Spagna ha molti begli edifici e monumenti tradizionali. Ma anche Picasso era spagnolo, così come Joan Miró e come pure Gaudí. Gaudí era profondamente cattolico, ma spagnolo nell’anima.
Non si è mai tentati di pensare a questa basilica come a un museo. Sebbene affondi le sue radici nello stile neo-gotico, essa appartiene al domani ancor più che all’oggi. I nostri contemporanei, soprattutto i non religiosi, sono rivolti al futuro, nella speranza che il progresso tecnico ed economico continui. Non guardano indietro alla venuta di Cristo come al punto di svolta della storia, né ad altri avvenimenti precedenti. Amano la novità e l’innovazione. Questa basilica parla a loro, perché racconta l’antica storia cristiana in un modo nuovo.
I 1.700 anni di civilizzazione cristiana e gli ultimi 300 di persecuzione intermittente, spesso ripetuta, in questa chiesa sono la rampa di lancio essenziale per gli insegnamenti della Bibbia, della liturgia e della natura stessa. Nessun dettaglio è appena una stanca rappresentazione del passato, come alcune immagini sacre. Ogni tradizione è rispettata, riconoscibile, ma sviluppata e cambiata. Le decorazioni sono insolitamente variopinte; non ci sono linee diritte ma piuttosto torsioni e curve come di tronchi d’albero.
La luce è dappertutto e illumina le potenti vetrate colorate con i loro arabeschi astratti e le tinte brillanti e forti. L’edificio è circondato da colonne scanalate, rivolte in direzioni diverse a ogni capo, spesso con la parte centrale più sottile.
Sospesa sopra l’altare maggiore, una enorme figura del Cristo sofferente e crocifisso, con le gambe quasi piegate in due, le braccia dolorosamente tese e la testa rivolta ai cieli, domina l’interno della chiesa. Sopra tutto questo c’è un baldacchino quasi tradizionale, un simbolo preso dalla tenda che le coppie ebree tengono sopra le teste quando si scambiano i voti matrimoniali. Qualcosa di simile si trova in molte chiese antiche (e a San Pietro a Roma) e ci ricorda del matrimonio di Cristo con la comunità della sua Chiesa. Le quattro colonne di porfido rappresentano i Vangeli e i pilastri i dodici Apostoli.
Intorno all’altare principale Gaudí voleva creare una foresta mistica con la luce che filtra in cento modi diversi attraverso le colonne, le volte e il tetto, come tra le chiome di antichi alberi. Faceva di tutto per evocare il trascendente, per indurre soggezione e per invitare all’adorazione, per incoraggiare la meditazione e la preghiera.
Le chiese gotiche, più di tutte le altre, con la loro altezza e la loro luce sono progettate per elevare i nostri cuori e menti a Dio.
Gaudí porta tutto questo a un nuovo livello, ben oltre quello che mi attendessi e che io abbia sperimentato nelle tante chiese belle e pie che ho visitato. Mi sono sentito sopraffatto; non dalla paura, ma dalla magnificenza e dalla sacralità. Ho realizzato che quella era davvero una casa di Dio.
L’interno è più che una semplice réclame al paranormale, o perfino al soprannaturale. È anche più di una predica, perché le belle prediche possono essere noiose a volte. È una chiamata alla conversione e un’introduzione ai misteri cristiani così come essi sono vissuti e compresi dai cattolici di rito latino.
Anche il tetto della Sagrada Familia è un po’ come una foresta, ricoperto da 18 torri di quattro tipi. Naturalmente la torre di Gesù è la più alta, seguita dalle quattro torri degli evangelisti, la torre della Vergine Maria sopra l’abside, che è poco più bassa, e poi le dodici torri campanarie degli apostoli, che circondano l’edificio e sono divise in tre gruppi sopra i tre portali.
Ogni guglia è coperta da pezzi di ceramica smaltata e colorata proveniente dall’isola di Murano, nel nord dell’Italia. Le guglie ricordano una collezione di cartoline esotiche o trofei sportivi, ma sono tutte protese verso i cieli.
Tre facciate decorate con molte figure diverse incorniciano i portali e sono dedicate alla Natività, alla Passione e alla Gloria. Un chiostro coperto circonderà in futuro la chiesa, separando il mondo esterno secolare da quello sacro.
La facciata della Natività fu cominciata negli anni Novanta dell’Ottocento e ha tre portici dedicati ognuno a una virtù teologale e a un membro della Sacra Famiglia. Gesù rappresenta l’amore o carità, sormontato dall’albero della vita; Giuseppe rappresenta la speranza e la Vergine Maria rappresenta la fede. Vi sono riprodotte scene dall’infanzia di Gesù con figure belle e tradizionali, rassicuranti nella loro pietà e nel loro realismo. Il contesto è rigoglioso e caotico, ma i fedeli allora come oggi amano la fantasia.
La facciata della Passione è diversa: sinistra e spigolosa, coglie il male e la violenza. Gaudí ritardò l’avvio della sua costruzione perché sapeva che sarebbe stata impopolare. La sua nascita fu accompagnata da proteste per le strade. Qui le figure sono severe, spesso lineari, con la testa squadrata, torve e sgradevoli. Fu commissionato allo scultore d’avanguardia Josep  Subirachs il compito di completare e riempire gli schizzi di Gaudí, e lui ci ha trasmesso la brutalità e la realtà dei patimenti di Cristo.
La Resurrezione è arrivata più tardi. Questo portale è una lezione provocatoria ma brillante. La costruzione della facciata della Gloria, che diventerà l’ingresso principale, è iniziata solo nel 2002. Le rappresentazioni delle Quattro Cose Ultime – la morte, il giudizio, il paradiso e l’inferno – con nuvole simili a palloncini rovesciati che rappresentano il Credo, sette porte che rappresentano i sacramenti e colonne con iscrizioni che rappresentano i sette peccati capitali e le opposte virtù cristiane, confondono e rassicurano allo stesso modo. Non so con quanta efficacia questo insolito immaginario parlerà alla gente, o con quanta efficacia abbia parlato a me.
Ovunque nel mondo occidentale la famiglia è sotto pressione a causa della rivoluzione prodotta dall’innovazione della pillola. Abbondano i divorzi e sempre più persone scelgono di non sposarsi e di non risposarsi. Una basilica dedicata alla Sacra Famiglia che sottolinea il ruolo di Giuseppe così come quello di Maria è provvidenziale.
Una delle guide mi ha detto che molti visitatori terminano il giro dicendo che la basilica ha dato loro davvero qualcosa su cui riflettere. Certamente questo è vero per me.

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domenica 15 febbraio 2015

Bob Marley si convertì al cristianesimo alcuni mesi prima di morire di tumore,

Bob Marley si convertì al cristianesimo alcuni mesi prima di morire di tumore, dopo che già si erano battezzati la moglie ed i figli avuti da lei. Scelse il nome ortodosso etiope di "Luce della Trinità" 

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Breve nota di Andrea Lonardo






Il Centro culturale Gli scritti (11/2/2015)


Bob Marley, malato in Germania, senza più i dreadlocks
«Bob era davvero un buon fratello, un figlio di Dio, indipendentemente da come la gente lo guardava. Aveva il desiderio di essere battezzato da tempo, ma c’erano persone a lui vicine che lo hanno controllato e lo trattenevano. Ma è venuto in chiesa regolarmente». Così raccontò in un’intervista che venne pubblicata dal Gleaner’s Sunday Magazine il 25 novembre 1984 il sacerdote ortodosso etiope che lo battezzò: si tratta di Abunda Yesehaq, missionario approdato in Giamaica negli anni '60 e divenuto poi arcivescovo, che fu grande amico di Marley.
Yesehaq raccontò che Bob Marley si era già avvicinato alla fede cristiana: "Mi ricordo che una volta mentre stavo celebrando la Messa, ho guardato Bob e le lacrime gli rigavano il volto. Molte persone pensano che fu battezzato perché sapeva che stava morendo, ma non è così. Lo ha fatto quando non c’era più alcuna pressione su di lui, e quando fu battezzato, ha abbracciato la sua famiglia e hanno pianto, hanno pianto tutti insieme per circa mezz’ora». 
Prima di lui si erano già battezzati la moglie Rita ed figli nati dal loro matrimonio – Bob Marley ha avuto 13 figli, 3 dalla moglie più altri 2 che la donna già aveva, e gli altri da altre relazioni.
Il battesimo avvenne il 4 novembre 1980 nella Chiesa etiope a New York, dopo 3 tentativi falliti, a causa dei rasta, di battezzarlo a Kingston. Scelse il nome di Berhane Selassie (“la luce della Trinità”). Solo cinque giorni dopo Bob fu trasportato in un centro medico in Germania – dove compì 36 anni.

I funerali, il 21 maggio 1981, furono celebrati dallo stesso Yesehaq, secondo la liturgia etiope ortodossa.





La conversione al cristianesimo di Bob Marley

Forse non tutti sanno che Bob Marley, il cosiddetto “re del reggae” si convertì al cristianesimo (ortodosso) un paio di anni poco prima di morire.

Marley venne educato da cristiano ma decise nel tempo di seguire il movimento Rastafari, la cui dottrina considera l’imperatore etiope Haile Selassie I (1892-1975) come l’incarnazione di Dio. Nel 1966 l’imperatore etiope visitò la Giamaica e chiese a dei missionari della Chiesa ortodossa d’Etiopia di fermarsi. Uno di questi, Abunda Yesehaq, divenne arcivescovo e molto amico di Marley, legame che  portò il noto musicista a convertirsi negli ultimi anni della sua vita. Rita, la moglie, e i figli si convertirono invece già nel 1972.

In un’intervista di Barbara Blake Hannah del 25 novembre 1984 apparsa su Gleaner’s Sunday Magazine, Yesehaq ha raccontato: «Bob era davvero un buon fratello, un figlio di Dio, indipendentemente da come la gente lo guardava. Aveva il desiderio di essere battezzato da tempo, ma c’erano persone a lui vicine che lo hanno controllato e lo trattenevano. Ma è venuto in chiesa regolarmente. Mi ricordo che una volta mentre stavo celebrando la Messa, ho guardato Bob e le lacrime gli rigavano il volto. Molte persone pensano che fu battezzato perché sapeva che stava morendo, ma non è così. Lo ha fatto quando non c’era più alcuna pressione su di lui, e quando fu battezzato, ha abbracciato la sua famiglia e hanno pianto, hanno pianto tutti insieme per circa mezz’ora». Il battesimo avvenne il 4 novembre 1980 nella Chiesa etiope a New York, dopo 3 tentativi falliti, a causa dei rasta, di battezzarlo a Kingston. Scelse il nome di Berhane Selassie (“la luce della Trinità”). Cinque giorni dopo Bob fu trasportato in un centro di trattamento in Germania, dove trascorse anche il suo 36° compleanno. Tre mesi dopo, l’11 maggio 1981, morì in un ospedale di Miami. I funerali, celebrati il 21 maggio 1981, seguirono il rito ortodosso e venne sepolto assieme alla sua Bibbia e alla chitarra Gibson.

In seguito alla conversione di Marley, anche Judy Mowatt -una delle sue cantanti e testimone della conversione- è diventata cristiana (pentecostale) negli anni ’90. Marley, nel suo album “Uprising” del maggio 1980, un anno prima della morte, ha incluso il brano “Redemption Song”: «La mia mano è stata fatta forte / grazie all’aiuto dell’Onnipotente».

L'uomo e la donna

L'uomo e la donna

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L'uomo è la più elevata delle creature.
La donna è il più sublime degli ideali.
Dio fece per l'uomo un trono, per la donna un altare.
Il trono esalta, l'altare santifica.

L'uomo è il cervello. La donna il cuore.
Il cervello fabbrica luce, il cuore produce amore.
La luce feconda, l'amore resuscita.
L'uomo è forte per la ragione.
La donna è invincibile per le lacrime.
La ragione convince, le lacrime commuovono.

L'uomo è capace di tutti gli eroismi.
La donna di tutti i martìri.
L'eroismo nobilita, il martirio sublima.
L'uomo ha la supremazia.
La donna la preferenza.
La supremazia significa forza;
la preferenza rappresenta il diritto.
L'uomo è un genio. La donna un angelo.
Il genio è incommensurabile;
l'angelo indefinibile.
L'aspirazione dell'uomo è la gloria suprema.
L'aspirazione della donna è la virtù estrema.
La gloria rende tutto grande; la virtù rende tutto divino.
L'uomo è un codice. La donna un vangelo.
Il codice corregge, il vangelo perfeziona.
L'uomo pensa. La donna sogna.
Pensare è avere il cranio di una larva;
sognare è avere sulla fronte un'aureola.

L'uomo è un oceano. La donna un lago.
L'oceano ha la perla che adorna;
il lago la poesia che abbaglia.
L'uomo è l'aquila che vola.
La donna è l'usignolo che canta.
Volare è dominare lo spazio;
cantare è conquistare l'Anima.
L'uomo è un tempio. La donna il sacrario.
Dinanzi al tempio ci scopriamo;
davanti al sacrario ci inginocchiamo. Infine:
l'uomo si trova dove termina la terra,
la donna dove comincia il cielo.
da PensieriParole