- Il Vangelo di oggi ci offre un ultimo prezioso insegnamento. È
contenuto in un piccolo passaggio narrativo, celato come una perla nelle
pieghe del brano evangelico proclamato. «Chiamati a sé i suoi discepoli
» (Vangelo, Mc 12, 43) Gesù li aiuta a comprendere il gesto della
vedova.
Cosa traspare da questo gesto di Gesù? Il legame solido tra i membri di quella prima
compagnia da Lui generata. Una parentela più potente di quella della
carne e del sangue, una fraternità in cui si anticipa – come traspare
nella Santa Eucaristia – la vita del Paradiso. Cristo chiama i Suoi a
fare l’esperienza inaudita che la consistenza dell’io si chiama
comunione.
Comunione
come stima a priori per l’altro, perché abbiamo in comune Cristo stesso.
Comunione disponibile ad ogni sacrificio per l’unità affinché il mondo
creda. «L'espressione
matura del condividere cristiano è perciò l'unità fin nel sensibile e
nel visibile. Questa fu l'espressione del tormento finale di Cristo
nella sua preghiera al Padre, quando in tale unità sensibile e visibile indicò consistere la decisiva
testimonianza dei suoi amici» (L.
Giussani, Il cammino al vero è un’esperienza, 52-53). Qui sta la
vittoria sulla vanitas. Qui comunione è liberazione.
«La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo» (1Gv 1,
3b). Quando per
grazia si diventa amici di Dio, la comunione sviluppa un irresistibile
moto di condivisione della vita di tutti i fratelli uomini in ogni
ambiente dell’umana esistenza. La gratitudine per avere tutto
ricevuto genera gratuità nel tutto dare.
Card.Scola omelia messa 7° anno
scomparsa di don Giussani febbraio 20 12
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