capitolo del mio libro “Indagine su Gesù” (Rizz
Oggi, essendo il mio compleanno, vi faccio un piccolo regalo. Un capitolo del mio libro “Indagine su Gesù” (Rizzoli)
NON PIU’ SCHIAVI, MA UOMINI E DONNE
***
Un giorno, raccontava Chesterton, “un ateo molto leale con cui mi
trovai a discutere fece uso di questa espressione: ‘Gli uomini sono
stati tenuti in schiavitù per paura dell’inferno’. Gli ho fatto
osservare che se avesse detto che gli uomini erano stati affrancati
dalla schiavitù per paura dell’inferno, avrebbe almeno fatto riferimento
a un inoppugnabile fatto storico” .
In effetti la sparizione della
schiavitù – una delle più clamorose e stupefacenti rivoluzioni,
conseguenti al cristianesimo (un evento unico in quanto la schiavitù
esisteva da sempre, tanto da essere addirittura ritenuta naturale, un
“diritto”) – ha avuto un motivo esclusivamente spirituale .
Non c’è affatto una ideologia sociale o politica all’origine di questo sconvolgimento, ma un uomo: Gesù.
Il fatto che fin da Paolo sia stata proclamata la totale uguaglianza –
in forza di Cristo – di ebrei e pagani, uomini e donne, schiavi e liberi
e il fatto che, nel momento delle grandi conquiste e dell’apogeo del
papato, il Successore di Pietro, l’amico di Gesù, abbia proclamato
davanti al mondo, contro tutti gli appetiti delle potenze politiche ed
economiche planetarie, che “Indios veros homines esse” , è una
“rivoluzione”, un capovolgimento di mentalità che non si spiega certo
con l’eredità della cultura classica (teorizzavano lo schiavismo sia i
filosofi greci che il diritto romano), né era patrimonio della
tradizione ebraica, tantomeno apparteneva alla cultura islamica.
Non
era neanche – come qualcuno potrebbe credere – l’esito di un progresso
civile, di un’evoluzione storica neutrale, perché – anzi – di lì a poco,
con la frattura protestante, l’avvento della cultura laica, illuminista
e l’indebolirsi della Chiesa, tornerà a dominare proprio l’ideologia
schiavistica della diseguaglianza degli esseri umani. Addirittura
giustificata con teorie scientifiche .
Dunque quella rottura
storica, che andava contro le cosiddette “leggi di natura”, cioè le
leggi del dominio, era tutta e solo dovuta all’irrompere di Gesù nella
storia.
Era dovuta al suo fare scudo agli uomini indifesi col suo
stesso corpo, al suo mettersi al posto di tutte le vittime e di tutti i
sofferenti, al suo espiare per ciascun uomo, perfino per i colpevoli.
Nessuno uomo poteva più essere vulnerato, nel corpo o nell’anima.
Come notava Léon Bloy: “Gesù sta al centro di tutto, assume tutto e si
fa carico di tutto, tutto soffre. E’ impossibile colpire oggi un
qualunque essere senza colpire lui, è impossibile umiliare qualcuno o
annientarlo, senza umiliare lui, maledire o assassinare uno qualsiasi,
senza maledire o uccidere lui” .
C’è voluto un grande filosofo come
René Girard per far capire la colossale rivoluzione portata nella
storia umana dal racconto evangelico della vita e della morte di Gesù .
Così cambiò tutto. Nulla fu più come prima. Anche se ci vollero secoli.
Kant era convinto che “il Vangelo fosse la fonte da cui è scaturita la
nostra cultura”, tutto ciò che noi chiamiamo “la civiltà”.
Se Gesù
non fosse nato, se non fosse stato fra noi – per fare qualche esempio -
non ci sarebbero stati né l’Europa moderna (con tutto quello che ha dato
al mondo, europeizzandolo), né più il ricordo e le opere dell’antichità
greca e romana che furono custodite e tramandate dai monaci.
Non
ci sarebbe stata neanche la moderna economia , col suo inedito benessere
perché sempre i monaci – seguendo Gesù lavoratore – nobilitarono il
lavoro manuale, un tempo ritenuto prerogativa degli schiavi, al livello
divino della preghiera, e trasformarono l’Europa devastata dalle
invasioni barbariche e coperta di foreste selvagge e acquitrini, in un
giardino fertile e rigoglioso.
Come ebbe a dire Henry Goodel “i
monaci benedettini lungo un arco di 1500 anni salvarono l’agricoltura”.
Quindi la sopravvivenza stessa dei popoli e il loro futuro.
Un
altro studioso aggiunse: “Dobbiamo ai monaci la ricostruzione agraria di
gran parte dell’Europa” , con tutto ciò che comportò in termini di
alimentazione, benessere, esplosione demografica. “Educatori economici”,
li definì lo storico Henri Pirenne.
L’abolizione della schiavitù
portò all’invenzione (sostitutiva) di macchine per sfruttare l’energia
idraulica che “i monaci usavano per battere il frumento, setacciare la
farina, follare i panni e per la conciatura” .
Così, questa messa
al bando della logica dei “sacrifici umani” (a cui apparteneva lo
schiavismo), non solo non fece decadere la società, come riteneva
Nietzsche, ma fece fare un balzo avanti nella tecnologia che produsse
vantaggi straordinari e immensi progressi.
I monaci insegnarono ai
contadini a dissodare, bonificare, coltivare e irrigare e l’Europa
divenne fertile. I monaci introdussero l’allevamento del bestiame e dei
cavalli, “la fabbricazione della birra, l’apicoltura, la frutticoltura.
Dovettero ai monaci la propria esistenza il commercio del grano in
Svezia, la fabbricazione del formaggio a Parma, i vivai di salmone in
Irlanda” e tante altre cose.
Citiamo – per fare un altro esempio -
la produzione del vino e “la stessa scoperta dello champagne che si può
far risalire a un monaco benedettino, Dom Perignon, dell’Abbazia di
Saint Pierre a Hautvillers sulla Marna” .
Sottolineo in particolare
il vino perché è evidente la nobilitazione che ne fece Gesù il quale lo
scelse, insieme al pane, addirittura per il sacramento della sua
presenza misteriosa e quindi per la memoria di lui e del suo sacrificio.
Grazie a questa fiorente agricoltura rifondata dai monaci
l’Europa superò la sussistenza e fiorì il suo successivo progresso che
umanizzò il mondo.
Perfino la celebre bellezza del paesaggio
italiano – specialmente della campagna umbra e toscana - porta il segno
vivo del cattolicesimo che – secondo Franco Rodano - ha plasmato la
“millenaria capacità contadina (conservata dalla Controriforma) di
vivere il lavoro non solo come duro travaglio disseminato di ‘spine e
triboli’, ma anche come accurata e paziente ricerca, al tempo stesso,
del necessario e del bello” .
Tutta questa fioritura di una civiltà
non era stata perseguita dai monaci. Loro cercavano solo il regno di
Dio, il resto – secondo la promessa di Gesù – fu dato in sovrappiù. Fu
il frutto di una liberazione dell’umano.
I monaci non avevano un
progetto sociale, politico o culturale. Il loro pensiero quotidiano era
alla Gerusalemme celeste, quella che rappresentavano come l’incontro
definitivo con Gesù.
Ecco le travolgenti parole di un autore monastico del XII secolo:
“Egli è il bellissimo d’aspetto, il desiderabile a vedersi, colui che
gli angeli desiderano contemplare. Egli è il re pacifico, il cui volto
tutta la terra desidera. Egli è la propiziazione dei penitenti, l’amico
dei miseri, il consolatore degli afflitti, il custode dei piccoli, il
maestro dei semplici, la guida dei pellegrini, il redentore dei morti,
forte ausilio di chi combatte, pio remuneratore di chi vince. Egli è
l’altare d’oro nel Santo dei Santi, dolce riposo dei figli, visione di
gioia per gli angeli (…). Che gli renderemo per tutto ciò che ci ha
donato? Quando saremo liberati dal corpo di questa morte? Quando saremo
inebriati dall’abbondanza della casa di Dio nella sua luce vedendo la
luce? Quando apparirà Cristo, vita nostra, e noi con Lui nella gloria?” .
Ecco cos’avevano nel cuore e nella mente questi uomini forti e temerari
mentre – in fraternità, umiltà e obbedienza - salvavano la bellezza
dalla barbarie, l’umanità dalla bestialità, mentre trascrivevano codici,
dissodavano campi, dipingevano miniature, sanavano paludi, costruivano
abbazie, inventavano sistemi di irrigazione e coltivazione e cantavano a
ogni ora le lodi di Dio, dagli abissi delle foreste alle pendici delle
montagne.
Mi sono soffermato su particolari di vita quotidiana per
sottolineare quante piccole, innumerevoli conseguenze – senza che ne
abbiamo coscienza – ebbe la vita di Gesù. Ma bisognerebbe menzionare
anche cose e istituzioni più importanti.
Non ci sarebbero state né
scuole, né università, né ospedali , con tutta una serie di grandi opere
di carità , né la scienza moderna e la tecnologia che conosciamo, senza
i monaci che vivevano nella meditazione della vita di Gesù . E nemmeno
la musica.
E’ facile provare storicamente che queste istituzioni,
nate nel medioevo cristiano (insieme alle Cattedrali e all’arte
occidentale), sarebbero state del tutto inconcepibili senza la storia
cristiana.
Se Gesù non fosse venuto fra noi non sarebbe stato
possibile conoscere neanche l’amore come oggi lo conosciamo, cioè la
felicità terrena fra un uomo e una donna innamorati che formano una
famiglia, generano figli e si sostengono per la vita, facendo crescere
la loro comunità e il loro popolo.
E’ quanto mostra Denis De Rougement nella sua memorabile opera “L’amore e l’Occidente”.
Prima di Gesù all’uomo di presentava solo la disperata alternativa fra i
contratti matrimoniali, dove non era previsto l’amore (e dove la donna
era proprietà del marito ), e l’ “amour passion”, il mito della fusione e
dell’estasi, sempre inappagata. Era l’uomo condannato all’infelicità
nel suo desiderio di infinito.
“L’incarnazione del Verbo nel mondo”
scrive De Rougement “è questo l’inaudito evento che ci libera
dall’infelicità di vivere” .
I popoli cristianizzati scoprono,
grazie all’insegnamento della Chiesa e alla testimonianza dei santi,
l’amore monogamico e indissolubile di cui parla Gesù.
Prende inizio
quella nuova storia dell’amore, finalmente felice, che si chiama
famiglia: “Amare diviene allora un’azione positiva, un’azione di
trasformazione”.
Gesù comandò addirittura “Amate i vostri nemici”.
Dentro questa misura divina e infinita, chiese “l’abbandono
dell’egoismo, dell’io fatto di desiderio e d’angoscia; la morte
dell’uomo isolato, ma altresì la nascita del prossimo. A coloro che gli
domandano ironicamente ‘chi è il mio prossimo?’ Gesù risponde: è l’uomo
che ha bisogno di te. Tutti i rapporti umani, da quell’istante, mutano
di senso. Il nuovo simbolo dell’Amore non è più la passione infinita
dell’anima in cerca di luce, ma è il matrimonio di Cristo e della
Chiesa. Lo stesso amore umano ne viene trasformato (…). Un amore
siffatto, essendo concepito sull’immagine dell’amore di Cristo per la
sua Chiesa (Ef. 5, 25), può essere veramente reciproco. Perché egli ama
l’altro com’è, anziché amare l’idea dell’amore o la sua vampa mortale e
deliziosa. Inoltre è un amore felice, malgrado gli impacci del peccato,
in quanto conosce fin da quaggiù, nell’obbedienza, la pienezza del suo
ordine” .
Gesù fa scoprire l’ “agapé”, l’amore che riconosce un “tu”
prima di affermare il proprio desiderio. L’amore che ama l’altro
(accettandone i limiti) e non l’idea dell’altro. L’amore che perdona e
che sostiene.
E dunque adesso Tristano può finalmente sposare la
sua Isotta, smettendola di farne il “simbolo del Desiderio” (sempre
inappagato e smanioso di morte). La sposi e viva, sperimenti con lei la
felicità e la fatica dei giorni, generi dei figli e costruisca la dimora
degli uomini, scoprendo il vero eroismo che è quello della vita
quotidiana, quello – come diceva Charles Péguy - del misconosciuto
“padre di famiglia” e della madre.
Un amore che “crea” e fa
crescere, non distrugge nel possesso, un amore che permane fedelmente e
quindi costruisce nel tempo. Un amore che protegge, che aiuta e che
sostiene è – per dirla con Chesterton – “la più straordinaria delle
trasgressioni e la più romantica delle rivolte” .
E’ anche la base
della civiltà, questo delicato e fragilissimo ponticello di umanità che
sta sospeso sull’abisso dell’istinto selvaggio. E anche la base di ogni
Stato concepito come casa di un popolo.
Del resto senza Gesù non
avremmo mai avuto neanche lo Stato laico, perché – come ha dimostrato
Joseph Ratzinger in un memorabile discorso alla Sorbona – è Gesù che ha
desacralizzato il potere, il quale da sempre aveva usato le religioni
per assolutizzare se stesso. Dopo Gesù, Cesare non si può più
sovrapporre a Dio, non può avere più un potere assoluto sulle persone e
le cose. Con Gesù inizia veramente la storia della libertà umana.
Da Antonio Socci, “Indagine su Gesù”, Rizzoli
NOTE
1) Gilbert K. Chesterton, San Francesco d’Assisi, Lindau 2008, p. 31
2) Ecco la situazione di Roma, patria del diritto, all’arrivo del
cristianesimo descritta da Gustave Bardy: “All’ultimo posto della
società e, almeno in alcuni casi, più vicini agli animali che all’uomo,
ci sono gli schiavi. Essi non sono persone, ma cose, beni di proprietà
che si acquistano e vendono, che si utilizzano a discrezione e da cui ci
si separa una volta che si cessa di averne bisogno. La pratica potrà
essere di benevolenza, ma, fino agli Antonimi, la teoria resta quella:
la legge non riconosce agli schiavi alcun diritto civile o religioso.
Così come lo schiavo non è autorizzato a fondare una famiglia,
altrettanto è impedito dall’accedere ai culti nazionali”, in La
conversione al cristianesimo nei primi secoli, Jaca Book 2002, pp.
19-20.
3) Dopo la scoperta dell’America si pose di nuovo il
problema della schiavitù e il 2 giugno 1537 papa Paolo II emana la
memorabile Bolla “Sublimis Deus” (o anche “Veritatis Ipsa”) con la quale
spazza via tutti gli appetiti schiavistici sulle popolazioni del Nuovo
Mondo, proclamando che “Indios veros homines esse”. Per renderli schiavi
e razziare i loro beni, si adduceva l’idea che fossero dei selvaggi,
non veri esseri umani, e si portava come prova il fatto che non avevano
la fede cristiana. Il Papa risponde definendo i portatori di questi
potenti interessi addirittura “manutengoli di Satana, desiderosi di
soddisfare la loro avidità, a costringere gli indios occidentali e
meridionali e altri popoli, che ci sono venuti a conoscenza in questi
ultimi tempi, a servirli come fossero animali bruti, sotto il pretesto
che non hanno la fede. Noi che, seppure indegnamente, facciamo le veci
dello stesso nostro Signore in terra e che cerchiamo con ogni sforzo di
portare allo stesso ovile le pecore del suo gregge a noi affidate che
sono fuori di questo ovile, vedendo che gli stessi indios, in quanto
veri uomini, non solo sono capaci di ricevere la fede cristiana, ma come
ci è stato riferito, accorrono con entusiasmo ad accettarla, abbiamo
deciso di prendere dei provvedimenti adeguati. Con l’autorità apostolica
e attraverso questo documento stabiliamo e dichiariamo che i predetti
indios, e tutti gli altri popoli che in futuro verranno scoperti dai
cristiani, anche se non sono cristiani, non si possono privare della
libertà e del dominio della loro proprietà, e che è lecito ad essi
godere della loro libertà e dei loro beni e acquisirne, né che si
debbono ridurre in schiavitù. Se qualche cosa sarà stata fatta in
contrario la dichiariamo nulla e invalida alla detta fede di Cristo”.
Certo, nel corso dei secoli le turpitudini si continueranno a
perpetrare e anche uomini di Chiesa assumeranno atteggiamenti e
formuleranno posizioni contrapposte a questo pronunciamento solenne del
magistero, tuttavia sempre questo sarà fatto in contrapposizione
all’insgenamento del Vangelo e sotto il giudizio di condanna.
4) Vedi Leon Poliakov Il mito ariano, Editori Riuniti 1999
5) Cit. in Descalzo, cit., pp. 25-26
6) “I Vangeli si riveleranno da sé come potenza universale di
rivelazione”, scrive Girard. Demitizzano e distruggono i meccanismi
della persecuzione e della colpevolizzazione della vittima. Girard ha
mostrato come tutte le civiltà precristiane si fondavano sul rito
sacrificale del capro espiatorio e sulla pratica cultuale o culturale
dei “sacrifici umani” (letteralmente, nelle religioni pagane, e come
meccanismo sociale e politico per esempio nello schiavismo o nella
pratica della guerra). Tutto questo è stato spazzato via e “che lo si
sappia o no, responsabili di questo crollo sono i Vangeli”, René Girard,
Il capro espiatorio, Adelphi 1999, pp. 164-165.
7) Thomas Woods, Come la Chiesa Cattolica ha costruito la civiltà occidentale, Cantagalli 2007, p. 14, p. 75 e ssgg e p. 161
8) Idem, pp. 36-37
9) Rodney Stark, La vittoria della ragione, Lindau 2006, pp. 51-62.
10) Woods, op. cit. p. 41
11) Idem, p. 39
12) Idem, p. 40
13) Franco Rodano, Lettere dalla Valnerina. Questa intuizione è ripresa
e valorizzata dal filosofo marxista Mario Tronti nel saggio su “Rivista
Trimestrale” n. 3-4/87.
14) Jean Leclercq, Cultura umanistica e desiderio di Dio, Sansoni 1983, p. 77
15) Come ha spiegato René Girard anticamente si conosceva la
solidarietà familiare, di tribù, di etnia, di connazionalità, ma che
dovesse essere soccorso il sofferente in quanto “uomo”, anche se
straniero e sconosciuto, è una rivoluzione morale e culturale portata
dal cristianesimo. Scrive lo storico della medicina Adalberto Pazzini:
“Frattanto una nuova forse morale e spirituale andava conquistando gli
animi e, attraverso le persecuzioni ed il martirio, dilagava nel mondo:
il Cristianesimo. A prescindere dal suo valore di Rivelazione e da
quanto concerne il lato puramente religioso, a noi interessa qui
puntualizzare il concetto di carità e di amor del prossimo che emerse
dalla Predicazione evangelica, riservandoci di tornare sull’argomento
più diffusamente, allorché inizieremo lo studio del medioevo. Qui… cade
l’opportunità di ricordare che, ancora nelle ambascie create dalle
persecuzioni, il Cristianesimo mise in atto quel che può essere definito
il maggior comandamento ‘sociale’ della nuova religione, e cioè la
carità e l’amor del prossimo, concetti assai vaghi (se pur esistevano)
per l’innanzi. Questo amor di prossimo, giusta la parabola evangelica
detta del ‘Buon Samaritano’, si esplicò in una organizzazione che la
primitiva Ecclesia istituì in favore dei sofferenti e, principalmente,
degli ammalati. Ad essa conseguente è il concetto di ‘ospedale’ come
luogo in cui, per solo e unico spirito di carità, si ospitavano e si
curavano i malati cui mancasse ogni possibilità di risorsa. Xenodochi
furono chiamati questi ospizi, parola la cui etimologia significa
‘ricovero per stranieri’ (pellegrini), ma che assunse, poi, significato
vero e proprio di ospedale. Pie persone e Santi si resero esecutori del
comandamento evangelico, quando ancora infierivano le persecuzioni.
Secondo la tradizione, il Papa s. Cleto, nell’anno 80, trasformò la
propria casa in ospizio, e ugualmente avrebbe fatto s. Agnese al
principio del IV secolo, nella sua casa sulla Nomentana”, Adalberto
Pazzini, Storia dell’arte sanitaria dalle origini a oggi, Edizioni
Minerva Medica, Torino 1973, pp. 370-372. Woods aggiunge: “Già nel IV
secolo la Chiesa iniziò a promuovere la creazine di ospedali su larga
scala, al punto che quasi ogni città principale si trovò ad averne uno”
(op. cit. p. 184).
16) Tutto nasce in modo spontaneo, non da
progetti sociali o politici, ma solo dalla carità, dal comandamento di
Gesù di amare il prossimo come se stessi e di amare perfino i nemici.
Fin dagli inizi questa novità fu – anche da l punto di vista sociale –
un ciclone imprevisto. Rodney Stark, nel volume “The Rise of
Christianity” (HarperCollins 1997) dimostra che uno dei fattori decisivi
della diffusione del cristianesimo nei primi anni fu quell’inedito
prendersi cura di poveri, senzatetto, vecchi, malati, abbandonati,
vedove, orfani. Da sempre costoro avevano dovuto affrontare da soli la
crudeltà del mondo e le prove dell’esistenza, ma “quando irruppe il
cristianesimo la sua superiore capacità di affrontare questi problemi
cronici diventò presto evidente e giocò un grande ruolo nel suo
definitivo trionfo” (p. 162).
17) Nota Gimpel che “il Medioevo
introdusse in Europa le macchine in una misura fino ad allora
sconosciuta anche ad altre civiltà”. E furono i monaci, come spiega un
altro storico, “gli esperti e non pagati consiglieri tecnici del terzo
mondo del loro tempo, vale a dire l’Europa, dopo l’invasione dei barbari
(…). In effetti, che fosse la macinatura del sale, del piombo del
ferro, dell’allume o del gesso, o la metallurgia, l’escavazione del
marmo, il tener bottega di coltellinaio o una fabbrica di vetro, o il
forgiare piastre di metallo, note anche come ‘piastre del focolare’, non
vi era alcuna attività in cui i monaci non dessero prova di creatività e
di uno spirito di ricerca fecondo. I benedettini sapevano incanalare il
proprio lavoro verso la perfezione. La perizia coltivata nei monasteri
si sarebbe diffusa per tutta l’Europa” (Woods, cit., p. 43).
18) Seneca affermava che “è male amare la propria moglie come se fosse
un’amante”. Quindi, nel migliore dei casi, a Roma fra i coniugi c’era,
oltre al contratto matrimoniale, una rapporto di reciproca solidarietà
(Vedi Eva Cantarella, Passato prossimo, Feltrinelli 1996, p. 103).
19) Denis De Rougement, L’amore e l’occidente, Bur 1977, p. 110
20) Idem, pp. 111-112
21) Quello che Emilio Cecchi dice di Chesterton è illuminante per
capire il cristianesimo. Dunque il grande convertito inglese ha voluto
dimostrare, secondo Cecchi, “che non i fumi dell’oppio, non le voluttà
acide e complicate, non gli eccessi dell’individualismo sono poetici e
vitali, ma gli affetti semplici della realtà pratica. Ha fatto vedere
che c’è più romanzo che in qualunque romanzo nella famiglia dove non
succede nessun romanzo; mentre tutti erano disposti a riconoscere
un’avventura in un amore clandestino, e non già nella fedeltà del
matrimonio”.
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