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domenica 31 dicembre 2023

Buon Natale

 “Buon Natale” 🎄


di Dino Buzzati


E se invece venisse per davvero?

Se la preghiera, la letterina, il desiderio

espresso così, più che altro per gioco

venisse preso sul serio?


Se il regno della fiaba e del mistero

si avverasse? Se accanto al fuoco

al mattino si trovassero i doni

la bambola il revolver il treno

il micio l’orsacchiotto il leone

che nessuno di voi ha comperati?


Se la vostra bella sicurezza

nella scienza e nella dea ragione

andasse a carte quarantotto?

Con imperdonabile leggerezza

forse troppo ci siamo fidati.


E se sul serio venisse?

Silenzio! O Gesù Bambino

per favore cammina piano

nell’attraversare il salotto.


Guai se tu svegli i ragazzi

che disastro sarebbe per noi

così colti così intelligenti

brevettati miscredenti

noi che ci crediamo chissà cosa

coi nostri atomi coi nostri razzi.

Fà piano, Bambino, se puoi.

venerdì 29 dicembre 2023

mia anima è così simile a una stalla.

 "Sono così felice che Gesù sia nato in una stalla. Perché la mia anima è così simile a una stalla. È povero e in condizioni insoddisfacenti . . . Eppure credo che se Gesù può nascere in una stalla, forse può nascere anche in me. " Giorno di Dorothy 

mercoledì 27 dicembre 2023

SANTO NATALE 2023

 SANTO NATALE 2023


La fede, non solo guarda a Gesù, ma guarda dal punto di vista di Gesù, con i suoi occhi: è una partecipazione al suo modo di vedere. La vita di Cristo apre uno spazio nuovo all’esperienza umana e noi vi possiamo entrare. Per permetterci di conoscerlo, accoglierlo e seguirlo, il Figlio di Dio ha assunto la nostra carne. La fede nel Figlio di Dio fatto uomo in Gesù di Nazaret non ci separa dalla realtà, ma ci permette di cogliere il suo significato più profondo, si apre un nuovo modo di vedere. Il vedere diventa sequela di Cristo, e la fede appare come un cammino dello sguardo, in cui gli occhi si abituano a vedere in profondità.

Papa Francesco


Qual è la cosa più importante nella mia vita? È quest’uomo nato dalle viscere di una giovane donna, che è cresciuto come tutti gli altri, ed è morto, ha deciso di morire per salvare gli uomini verso cui tante volte espresse il suo sentimento di pietà: «Ed ebbe pietà di loro perché erano come un gregge senza pastore». Se Dio si è fatto uomo, questo uomo è l’oggetto supremo dell’amore. Non c’è niente di più concreto di questo, perché cambia l’oggi, cambia lo sguardo mio a te.

Luigi Giussani


(

martedì 26 dicembre 2023

25 dicembre nascita di Gesù

 LA STORIA CONFERMA LA NASCITA DI GESÙ IL 25 DICEMBRE

di Michele Loconsole

ROMA, lunedì, 21 dicembre 2009 (ZENIT.org).- Molti si interrogano se Gesù sia nato veramente il 25 dicembre. Ma cosa sappiamo in realtà sulla storicità della sua data di nascita? I Vangeli, come è noto, non precisano in che giorno è nato il fondatore del cristianesimo.
E allora, come mai la Chiesa ha fissato proprio al 25 dicembre il suo Natale? È vero, inoltre, che questa festa cristiana - seconda solo alla Pasqua - è stata posta al 25 dicembre per sostituire il culto pagano del dio Sole, celebrato in tutto il Mediterraneo anche prima della nascita di Gesù?
Cominciamo col dire che il solstizio d’inverno – data in cui si festeggiava nelle culture politeiste il Sol Invictus - cade il 21 dicembre e non il 25.
In secondo luogo è bene precisare che la Chiesa primitiva, soprattutto d’Oriente, aveva fissato la data di nascita di Gesù al 25 dicembre già nei primissimi anni successivi alla sua morte.
Dato che è stato ricavato dallo studio della primitiva tradizione di matrice giudeo-cristiana - risultata fedelissima al vaglio degli storici contemporanei - e che ha avuto origine dalla cerchia dei familiari di Gesù, ossia dalla originaria Chiesa di Gerusalemme e di Palestina.
E allora, se la Chiesa ha subito fissato al 25 dicembre la nascita di Gesù, abbiamo oggi prove documentali e archeologiche che possono confermare la veneranda tradizione ecclesiale? La risposta è sì.
Nel 1947 un pastorello palestinese trova casualmente una giara, semisepolta in una grotta del deserto di Qumran, un’arida regione a pochi chilometri da Gerusalemme. La località era stata sede della comunità monastica degli esseni, che oltre all’ascetismo praticava la copiatura dei testi sacri appartenuti ai loro antenati israeliti. I monaci del Mar Morto produssero in pochi decenni una grande quantità di testi, poi nascosti in grandi anfore per salvarli dall’occupazione romana del 70 d.C.
All’indomani della fortunata scoperta, archeologi di tutto il mondo avviarono una grande campagna di scavi nell’intera zona desertica, rinvenendo ben 11 grotte, che custodivano, da quasi venti secoli, numerosi vasi e migliaia di manoscritti delle Sacre Scritture israelitiche, arrotolati e ben conservati.
Tra questi importanti documenti, uno ci interessa particolarmente: è il Libro dei Giubilei, un testo del II secolo a.C.
La fonte giudaica ci ha permesso di conoscere, dopo quasi due millenni, le date in cui le classi sacerdotali di Israele officiavano al Tempio di Gerusalemme, ciclicamente da sabato a sabato, quindi sempre nello stesso periodo dell’anno.
Il testo in questione riferisce poi che la classe di Abia, l’VIII delle ventiquattro che ruotavano all’officiatura del Tempio - classe sacerdotale cui apparteneva il sacerdote Zaccaria, il padre di Giovanni Battista - entrava nel Tempio nella settimana compresa tra il 23 e il 30 settembre.
La notizia apparentemente secondaria si è rivelata invece una vera bomba per gli studiosi del cristianesimo antico. Infatti, se Zaccaria è entrato nel Tempio il 23 settembre, giorno in cui secondo il vangelo di Luca ha ricevuto l’annuncio dell’Arcangelo Gabriele, che gli ha comunicato - nonostante la sua vecchia età e la sterilità della moglie Elisabetta - che avrebbe avuto un figlio, il cui nome sarebbe stato Giovanni, questo vuol dire che il Precursore del Signore potrebbe essere nato intorno al 24 giugno, nove mesi circa dopo l’Annuncio dell’angelo.
Guarda caso gli stessi giorni in cui la Chiesa commemora nel calendario liturgico, già dal I secolo, sia il giorno dell’Annunciazione a Zaccaria che la nascita di Giovanni.
Detto ciò, Maria potrebbe avere avuto la visita, sempre di Gabriele, giorno dell’Annunciazione, proprio il 25 marzo. Infatti, quando Maria si reca da sua cugina Elisabetta, subito dopo le parole dell’Arcangelo, per comunicare la notizia del concepimento di Gesù, l’evangelista annota: “Elisabetta era al sesto mese di gravidanza”.
Passo evangelico che mette in evidenza la differenza di sei mesi tra Giovanni e Gesù. E allora, se Gesù è stato concepito il 25 marzo, la sua nascita può essere ragionevolmente commemorata il 25 dicembre, giorno più, giorno meno.
Se così stanno i fatti - e la fonte qumranica li documenta - possiamo affermare senza tema di smentita che grazie alla scoperta della prezioso testo, avvenuto appena sessant’anni fa, la plurimillenatria tradizione ecclesiastica è confermata: le ricorrenze liturgiche dei concepimenti e dei giorni di nascita, sia di Giovanni che soprattutto di Gesù, si sono rivelati pertanto compatibili con la scoperta archeologica del Deserto di Giuda.
Cosa sarebbe accaduto se, per esempio, avessimo scoperto che il sacerdote Zaccaria fosse entrato nel Tempio nel mese di marzo o di luglio? Tutte le date liturgiche che ricordano i principali avvenimenti dei due personaggi evangelici sopra citati sarebbero diverse da quelle indicate dalla tradizione ecclesiale. E subito gli scettici, strappandosi le vesti, avrebbero gridato al mondo intero che la Chiesa si è inventata tutto, compreso la data di nascita del suo fondatore.
La pecora nera dà una mano al Natale:
Ma l’indagine non è ancora terminata! Alcuni detrattori della storicità della data del Natale al 25 dicembre hanno, infatti, osservato che in quel mese - cioè in pieno inverno - gli angeli non potevano incontrare in aperta campagna e di notte greggi e pastori a cui dare la lieta notizia della nascita del Salvatore dell’umanità.
Eppure, quanti sostengono questa ipotesi dovrebbe sapere che nell’ebraismo tutto è soggetto alle norme di purità. Secondo non pochi antichi trattati ebraici, i giudei distinguono tre tipi di greggi.
Il primo, composto da sole pecore dalla lana bianca: considerate pure, possono rientrare, dopo i pascoli, nell’ovile del centro abitato. Un secondo gruppo è, invece, formato da pecore la cui lana è in parte bianca, in parte nera: questi ovini possono entrare a sera nell’ovile, ma il luogo del ricovero deve essere obbligatoriamente al di fuori del centro abitato.
Un terzo gruppo, infine, è formato da pecore la cui lana è nera: questi animali, ritenuti impuri, non possono entrare né in città né nell’ovile, neppure dopo il tramonto, quindi costretti a permanere all’aperto con i loro pastori sempre, giorno e notte, inverno e estate.
Non dimentichiamo, poi, che il testo evangelico riferisce che i pastori facevano turni di guardia: fatto che appare comprensibile solo se la notte è lunga e fredda, proprio come quelle d’inverno. Ricordo che Betlemme è ubicata a 800 metri sul livello del mare.
Alla luce di queste considerazioni, possiamo ritenere risolto il mistero: i pastori e le greggi incontrati dagli angeli in quella santa notte a Betlemme appartengono al terzo gruppo, formato da sole pecore nere. Prefigurazione, se vogliamo, di quella parte della società, composta da emarginati, esclusi, derelitti e peccatori che tanto piacerà avvicinare al Gesù predicatore.
In conclusione, possiamo dunque affermare non solo che Gesù è nato proprio il 25 dicembre ma che i vangeli dicono la verità storica circa i fatti accaduti nella notte più santa di tutti i tempi: coloriamo di nero le bianche pecorelle dei nostri presepi e saremo più fedeli non solo alla storia quanto al cuore dell’insegnamento del Nazareno.

lunedì 25 dicembre 2023

Dinanzi a te poni l’uovo, il Dio al suo principio

 Alcuni estratti dal Libro Rosso di Jung e da alcuni suoi saggi, sulla nascita del fanciullino divino, simbolo del Natale e del bambino Gesù.





Dinanzi a te poni l’uovo, il Dio al suo principio
E guardalo,
E covalo con il suo sguardo di magico calore.
[…] E’ iniziato il NATALE. Il Dio è nell’uovo.
Ho steso davanti al mio Dio un tappeto,uno splendido tappeto rosso d’Oriente.
Egli sia circonfuso dalla fulgida magnificenza della sua Terra d’Oriente.
Io la madre,la vergine ingenua, che ha concepito e non sapeva come
Io sono il padre premuroso che ha protetto la vergine.
Io sono il pastore che ha accolto l’annuncio,mentre di notte attendeva al suo gregge nella buia campagna.
Io sono il sacro bestiame che rimane stupefatto e non può comprendere il divenire di Dio.
Io sono il saggio venuto dall’Oriente, che da lungi ha presagito il Miracolo.
E io sono l’uovo, racchiudo e covo in me il germe di Dio”.
 
(C.G. Jung. Libro rosso – pp. 283-284)

NATALE!...EVENTO STORICO E MISTERO D'AMORE

 QUESTO È IL NATALE!...EVENTO STORICO E MISTERO D'AMORE


...."Un giorno santo è spuntato per noi". Un giorno di grande speranza: oggi è nato il Salvatore dell'Umanità!...Non fu certo "grande" alla maniera di questo mondo...Eppure, nel nascondimento e nel silenzio di quella notte santa, si è accesa per ogni uomo una luce splendida e intramontabile; è venuta nel mondo la grande speranza portatrice di felicità: "il Verbo si è fatto carne e noi abbiamo visto la sua gloria" (Gv 1,14)...

Questo è il Natale! Evento storico e mistero d'amore, che da oltre duemila anni interpella gli uomini e le donne di ogni epoca e di ogni luogo. E' il giorno santo in cui rifulge la "grande luce" di Cristo portatrice di pace! Certo, per riconoscerla, per accoglierla ci vuole fede, ci vuole umiltà...

Nel silenzio della notte di Betlemme Gesù nacque e fu accolto da mani premurose. Ed ora, in questo nostro Natale, in cui continua a risuonare il lieto annuncio della sua nascita redentrice, chi è pronto ad aprirgli la porta del cuore? Uomini e donne di questa nostra epoca, anche a noi Cristo viene a portare la luce, anche a noi viene a donare la pace! Ma chi veglia, nella notte del dubbio e dell'incertezza, con il cuore desto e orante? Chi attende l'aurora del giorno nuovo tenendo accesa la fiammella della fede? Chi ha tempo per ascoltare la sua parola e lasciarsi avvolgere dal fascino del suo amore? Sì! E' per tutti il suo messaggio di pace, è a tutti che viene ad offrire se stesso come certa speranza di salvezza...


BENEDETTO XVI - dal "Messaggio Urbi et Orbi" per il Santo Natale 25 dicembre 2007

Perché sono nato, dice Dio Lambert Nolen

 Perché sono nato, dice Dio  

Lambert Nolen

Sono nato nudo, dice Dio,
perché tu sappia spogliarti di te stesso.
Sono nato povero,
perché tu possa considerarmi l'unica ricchezza.
Sono nato in una stalla,
perché tu impari a santificare ogni ambiente.
Sono nato debole, dice Dio,
perché tu non abbia mai paura di me.
Sono nato per amore,
perché tu non dubiti mai del mio amore.
Sono nato di notte,
perché tu creda che io posso illuminare qualsiasi realtà.
Sono nato persona, dice Dio,
perché tu non abbia mai a vergognarti di essere te stesso.
Sono nato uomo,
perché tu possa essere "Dio".
Sono nato perseguitato,
perché tu sappia accettare le difficoltà.
Sono nato nella semplicità,
perché tu smetta di essere complicato.
Sono nato nella tua vita, dice Dio,
per portare tutti alla casa del Padre.

domenica 24 dicembre 2023

Ho cercato Dio e non l'ho trovato.

 «Ho cercato la mia anima e non l'ho trovata. 

Ho cercato Dio e non l'ho trovato. 

Ho cercato mio fratello e li ho trovati tutti e tre». 

William Blake

giovedì 21 dicembre 2023



Galileo, Bellarmino e la Chiesa. E’ stata ritrovata pochi giorni fa a Londra la più antica versione della «Lettera a Benedetto Castelli» di Galilei, datata 1613, ed il caso Galileo è tornato a far notizia. Ne approfittiamo per pubblicare una riflessione del filosofo Feyerabend, la cui citazione costò nel 2008 a Benedetto XVI la censura da parte di alcuni professori dell’Università La Sapienza. Paul Feyerabend fu docente nelle principali università europee, ad eccezione dell’Università della California. Il suo approccio, come si evince, è assolutamente laico.

 
di Paul Feyerabend*
*filosofo della scienza
 

La Chiesa all’epoca di Galileo si attenne alla ragione più che lo stesso Galileo, e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali della dottrina galileiana. La sua sentenza contro Galileo fu razionale e giusta, e solo per motivi di opportunità politica se ne può legittimare la revisione. […].

Il processo a Galileo fu uno dei tanti. Non ebbe alcuna caratteristica speciale, se non forse il fatto che Galileo fu trattato con una certa moderazione, nonostante le sue bugie e i suoi sotterfugi. Ma una piccola conventicola di intellettuali, con l’aiuto di scrittori sempre alla ricerca dello scandalo, sono riusciti a montarlo enormemente, così quel che in fondo era solo un contrasto tra un esperto e un’istituzione che difendeva una visione più ampia delle cose ora sembra quasi una battaglia tra paradiso e inferno. Il cosiddetto processo di Galileo consistette di due procedimenti, o processi, separati. Il primo si tenne nel 1616. Fu esaminata e criticata la dottrina copernicana. Galileo ricevette un’ingiunzione, ma non fu punito. Il secondo processo si tenne nel 1632-33. Questa volta il punto principale non era più la dottrina copernicana. Fu invece esaminata la questione se Galileo avesse obbedito all’ordine che gli era stato impartito nel primo processo e se avesse ingannato gli inquisitori facendo loro credere che l’ordine non fosse mai stato promulgato. Gli atti di entrambi i processi sono stati pubblicati da Antonio Favaro nel vol. 19 dell’Edizione Nazionale delle opere di Galileo. L’idea, piuttosto diffusa nel XIX secolo, che gli atti contenessero documenti falsificati e che quindi il secondo processo fosse una farsa, non sembra più accettabile.

Il primo processo fu preceduto da voci e denunce in cui ebbero una parte avidità e invidia, come in molti altri processi. Si ordinò ad alcuni esperti di dare un parere su due enunciazioni che contenevano una descrizione più o meno corretta della dottrina copernicana. La loro conclusione toccava due punti: quel che oggi chiameremmo il contenuto scientifico della dottrina, e le sue implicazioni etiche (sociali). Riguardo al primo punto, gli esperti definirono la dottrina «insensata e assurda in filosofia» o, usando termini moderni, la dichiararono non scientifica. Questo giudizio fu dato senza far riferimento alla fede o alla dottrina della Chiesa, ma fu basato esclusivamente sulla situazione scientifica del tempo. Fu condiviso da molti scienziati illustri — ed era corretto fondandosi sui fatti, le teorie e gli standard del tempo. Messa a confronto con quei fatti, teorie e standard, l’idea del movimento della Terra era assurda. Uno scienziato moderno non ha alternative in proposito. Non può attenersi ai suoi standard rigorosi e nello stesso tempo lodare Galileo per aver difeso Copernico. Deve o accettare la prim a parte del giudizio degli esperti della Chiesa o ammettere che gli standard, i fatti e le leggi non decidano mai di un caso e che una dottrina non fondata, opaca e incoerente possa essere presentata come una verità fondamentale. Solo pochi ammiratori di Galileo si rendono conto di questa situazione. La situazione diviene ancor più complessa quando si considera che i copernicani hanno cambiato non solo le idee, ma anche gli standard per giudicarle. Gli aristotelici, non diversi in questo dai moderni studiosi che insistono sulla necessità di esaminare vasti campioni statistici o di effettuare “precisi passi sperimentali”, chiedevano una chiara conferma empirica, mentre i galileiani si accontentavano di teorie di vasta portata, non dimostrate e parzialmente confutate. Non li critico per questo, al contrario, condivido l’atteggiamento di Niels Bohr, «questo non è abbastanza folle». Voglio solo mostrare la contraddizione di coloro che approvano Galileo e condannano la Chiesa, ma poi verso il lavoro dei loro contemporanei sono rigorosi come lo era la Chiesa ai tempi di Galileo.

Riguardo al secondo punto, le implicazioni sociali (etiche), gli esperti affermarono che la dottrina copernicana era “formalmente eretica”. Questo significa che contraddiceva le Sacre Scritture così come erano interpretate dalla Chiesa, e lo faceva con piena consapevolezza della situazione, non involontariamente. Il secondo punto si fonda su una serie di assunti, tra cui quello che le Scritture siano un’importante condizione limite dell’esistenza umana e, quindi, della ricerca. Questa tesi era condivisa da tutti i grandi scienziati, tra cui Copernico, Keplero e Newton. Secondo Newton la conoscenza scaturisce da due fonti: la parola di Dio, la Bibbia, e le opere di Dio, la Natura, ed egli postulò l’intervento divino nel sistema planetario.

La Chiesa romana sosteneva inoltre di possedere un diritto esclusivo sullo studio, l’interpretazione e la messa in atto delle Sacre Scritture. I laici, secondo la Chiesa, non avevano né le conoscenze né l’autorità per occuparsi delle Scritture ed era loro proibito farlo. Questa norma non dovrebbe sorprendere chi conosce i comportamenti delle istituzioni che esercitano un potere. L’atteggiamento dell’American Medical Association verso i professionisti che non ne fanno parte è rigido come quello della Chiesa verso gli esegeti laici e ha la benedizione della legge. Esperti, o ignoranti che hanno acquisito il riconoscimento formale di una competenza, hanno sempre cercato, spesso con successo, di assicurarsi diritti esclusivi in ambiti particolari. Qualsiasi critica al rigore della Chiesa romana è valida anche nei confronti dei suoi moderni successori che hanno a che fare con la scienza.

Passando ora dalla forma e dai presupposti amministrativi dell’obiezione al suo contenuto, notiamo che esso riguarda un argomento che sta diventando sempre più importante nel nostro tempo: la qualità dell’esistenza umana. L’eresia, intesa in senso lato, denotava una deviazione da comportamenti, atteggiamenti e idee che garantivano una vita equilibrata e santificata. Questa deviazione poteva essere incoraggiata dalla ricerca scientifica, e a volte lo era. Di conseguenza, era necessario esaminare le implicazioni eretiche degli sviluppi della scienza. In questo atteggiamento sono presenti due idee. Anzitutto, si dà per scontato che la qualità della vita possa essere definita indipendentemente dalla scienza, che essa possa trovarsi in conflitto con esigenze che gli scienziati considerano naturali componenti della loro attività, e che conseguentemente sia la scienza a dover essere modificata. In secondo luogo, si dà per scontato che le Sacre Scritture, così come interpretate dalla Chiesa, indichino una forma corretta di vita piena e santificata. Il secondo assunto può essere rifiutato senza negare che la Bibbia sia assai più ricca di lezioni per l’umanità di qualsiasi cosa la scienza possa produrre. I risultati scientifici e l’ethos scientifico (se esiste) sono fondamenta troppo esili per dare un senso alla vita. Molti scienziati condividono questa opinione. Si trovano d’accordo sul fatto che la qualità della vita si possa definire indipendentemente dalla scienza, che è la prima parte del primo assunto. Ai tempi di Galileo vi era un’istituzione — la Chiesa romana — che soprintendeva a questa qualità nei modi che le erano propri. Dobbiamo concludere che il secondo punto — vale a dire che Copernico fosse “formalmente eretico” — aveva a che fare con idee di cui c’è molto bisogno oggi.

La Chiesa era sulla strada giusta. Ma si sbagliava, forse, rifiutando opinioni scientifiche in contrasto con la sua idea di Buona Vita? Ho sostenuto che la conoscenza ha bisogno di una pluralità di idee, che anche le teorie più radicate non sono mai così forti da determinare la scomparsa di metodi alternativi, e che la difesa di queste alternative (quasi l’unico modo di scoprire gli errori presenti in posizioni molto rispettate) è necessaria anche da parte di una filosofia limitata come l’empirismo. Se essa risultasse necessaria anche per ragioni etiche, allora avremmo una ragione in più, anziché un conflitto con la “scienza”.

Inoltre la Chiesa era assai più moderata. Non diceva: quel che è in contraddizione con la Bibbia interpretata da noi deve scomparire, per quanto siano forti le ragioni scientifiche in suo favore. Una verità sostenuta da un ragionamento scientifico non era respinta. Era usata per rivedere l’interpretazione di passi della Bibbia apparentemente incoerenti con essa. Molti passi biblici sembrano suggerire che la Terra sia piatta. Tuttavia la Chiesa ha accettato senza problemi che la Terra sia sferica. Dall’altro lato la Chiesa non era pronta a cambiare solo perché qualcuno aveva fornito delle vaghe ipotesi. Voleva prove scientifiche. In questo agì in modo non dissimile dalle istituzioni scientifiche moderne, che di solito aspettano a lungo prima di incorporare nuove idee nei loro programmi. Ma allora non c’era ancora una dimostrazione convincente della dottrina copernicana. Per questo fu consigliato a Galileo di insegnare Copernico come ipotesi; gli fu proibito di insegnarlo come verità. Questa distinzione è sopravvissuta fino a oggi. Ma mentre la Chiesa era preparata ad ammettere che certe teorie potessero essere vere e anche che Copernico potesse avere ragione, se sostenuto da prove adeguate, ci sono ora molti scienziati che considerano tutte le teorie strumenti predittivi e rifiutano le discussioni sulla verità degli assunti. La loro motivazione è che gli strumenti che usano sono così palesemente progettati a fini di calcolo e che i metodi teoretici dipendono in modo così evidente da considerazioni sull’eleganza e sulla facile applicabilità, che una tale generalizzazione sembra ragionevole. Inoltre, le proprietà formali delle “approssimazioni” differiscono spesso da quelle dei principi di base, molte teorie sono primi passi verso un nuovo punto di vista che in un qualche tempo futuro potrebbe renderle approssimazioni, e un’inferenza diretta dalla teoria alla realtà è, pertanto, piuttosto ingenua.

Tutto questo era noto agli scienziati del XVI e XVII secolo. Il punto di vista copernicano era interpretato dai più come un modello interessante, nuovo e piuttosto efficiente. La Chiesa chiedeva che Galileo accettasse questa interpretazione. Considerate le difficoltà che quel modello aveva ad essere considerato una descrizione della realtà, dobbiamo ammettere che «la logica era dalla parte di Bellarmino e non dalla parte di Galileo», come scriveva lo storico della scienza e fisico Pierre Duhem.

Riassumendo: il giudizio degli esperti della Chiesa era scientificamente corretto e aveva la giusta intenzione sociale, vale a dire proteggere la gente dalle macchinazioni degli specialisti. Voleva proteggere la gente dall’essere corrotta da un’ideologia ristretta che potesse funzionare in ambiti ristretti, ma che fosse incapace di contribuire a una vita armoniosa. Una revisione di quel giudizio potrebbe procurare alla Chiesa qualche amico tra gli scienziati, ma indebolirebbe gravemente la sua funzione di custode di importanti valori umani e superumani.

tratto da Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza (Feltrinelli 






martedì 19 dicembre 2023

Gulag, Salamov

 

«La cosa peggiore – afferma nei diari – è quando l’uomo comincia a sentire questo fondo oscuro, e per sempre, come parte della propria vita». Cosa poteva resistere nei gulag? Per l’ateo Salamov, soltanto Dio. «Nei campi di concentramento non ho visto nessuno che avesse più dignità dei credenti. La depravazione invadeva l’anima di tutti; resistevano solo i credenti», dice. Anche lui resistette. Nonostante la disperazione, per poter leggere una recensione delle sue poesie da parte del suo maestro, Boris Pasternak, nel 1952, Salamov percorse più di mille chilometri su una slitta trainata dai cani. Era una stroncatura, ma ne fu felicissimo.

«È a partire dal suo rapporto con Pasternak, rappresentante della letteratura russa, ancora prima della rivoluzione, grande poeta del Novecento, e con un retroterra culturale pre-rivoluzionario, che Salamov deciderà di scrivere del gulag», spiega Strada. Il nucleo dei Racconti della Kolyma emerge così nella corrispondenza con l’autore del Dottor Zivago. In una lettera a Pasternak, Salamov descrive una giornata nel campo di concentramento: «Il giorno lavorativo dura 16 ore. La gente dorme in piedi appoggiandosi sulle vanghe. Non può né sedersi né sdraiarsi – ti fucilerebbero sul posto. Buio biancastro con una tinta di blu della notte invernale, 60 gradi sotto zero. L’orchestra delle trombe d’argento suona le marce davanti alle file di detenuti semimorti. Nella luce gialla delle enormi torce di benzina una guardia legge la lista dei nomi dei detenuti fucilati per non aver raggiunto la norma di produttività».

Il rapporto con Pasternak
Per Salamov, Pasternak è la luce nell’abisso. E da dove provenga questa capacità del Nobel di far sperare un disperato, emerge forse dal resoconto di un incontro tra il grande poeta e Andrej Sinjavskij, sul finire del 1957. Un incontro che offre una risposta alla resistenza del popolo russo all’esperienza totalitaria e all’abisso del gulag. Pasternak, scrive Sinjavskij, «cominciò a parlare di Cristo, che viene a noi da laggiù, dal profondo della storia, come se quelle lontananze fossero il giorno che viviamo, e insieme al giorno si facessero trasparenti e declinassero nella sera, congiungendosi a un domani senza fine. Nelle parole di Pasternak, come mi parve, non v’era neppure l’ombra di un’aspettativa apocalittica. Cristo veniva oggi perché la nuova storia veniva da Cristo e dal Vangelo, compresa la nostra giornata e Cristo era di questa giornata la realtà più naturale e familiare. La storia con il suo passato, il suo presente, il suo futuro, era come un campo, un unico campo, uno spazio che s’apriva ininterrotto allo sguardo. Guardando dalla finestrella i campi e i declivi nevosi Pasternak parlava di Cristo che viene a noi da laggiù. E parlava senza affettazione, né enfasi, senza pompa alcuna, ma con semplicità quotidiana, come se là e laggiù fossero stati gli orti contigui e la fila dei campi biancheggianti che s’allargavano attorno».
Rivista Tempi su Varlam Salamov,

lunedì 18 dicembre 2023

COVID 2020 LETTERA AL MINISTRO DELLA SALUTE

COVID 2020

LETTERA  AL MINISTRO DELLA SALUTE 

24 aprile 2020

 Al Ministro della Salute On. Roberto Speranza

Onorevole Ministro,

Le rivolgiamo questo appello poiché riteniamo importante richiamare la Sua attenzione su alcune nostre considerazioni finalizzate ad un miglior contenimento o ad una possibile più rapida soluzione della patologia che colpisce i pazienti coinvolti nella pandemia COVID-19.


La strategia terapeutica sulla quale ci si è fino ad ora maggiormente concentrati sia in termini operativi che di sviluppo, è quella rivolta ai casi più gravi della malattia e all’implementazione dei reparti di TI. Questo approccio, pienamente giustificato dall’urgenza e dal precipitoso evolversi della pandemia in Italia, non può però perdurare in attesa della disponibilità di un vaccino o di un antivirale specifico che non sono purtroppo ancora disponibili e che potremmo non avere in tempi brevi.

E’ ormai riconosciuto che il processo infiammatorio e la sua esasperazione, la cosiddetta tempesta di citochine, giocano un ruolo chiave nella patogenesi della forma più grave e spesso letale della COVID-19 che ha messo a durissima prova il SSN. E’ anche opinione consolidata che questa esagerata risposta dell’organismo sia il risultato di un accumulo di stimoli maturati nelle fasi precedenti della malattia e sempre riconducibili al contesto infiammatorio. Le fasi iniziali spesso sono caratterizzate da una sintomatologia da lieve a moderata cui può seguire un progressivo aumento dell’infiammazione anche polmonare, con possibile comparsa di polmonite interstiziale ed ipossia. Queste fasi coprono un periodo variabile da caso a caso e spesso purtroppo trascurato dal punto di vista delle opzioni terapeutiche. Secondo la nostra esperienza è invece proprio in queste fasi iniziali che andrebbe intrapreso il contenimento farmacologico dell’infiammazione per evitare che i suoi danni si accumulino, trascinando alcuni pazienti in quella grave condizione poi difficilmente rimediabile.

Questo appello è quindi volto a richiamare la Sua attenzione sulla necessità di promuovere l’adozione tempestiva e precoce (all’inizio della sintomatologia respiratoria sospetta) rispetto all’odierna prassi, di una semplice terapia antinfiammatoria efficace come quella Cortisonica a medio o alto dosaggio associata, a giudizio del medico curante, a farmaci a probabile attività anti- SARS-CoV-2 come la Clorochina e all’Enoxaparina per prevenire le gravi complicazioni trombotiche come la C.I.D. Questa terapia, va sottolineato, potrà essere svolta in ambito domiciliare.

I Cortisonici rappresentano i farmaci antinfiammatori che, quando utilizzati, stanno dando ottimi risultati anche nella COVID-19 in base ai dati rilevati nei pazienti trattati e alle evidenze che Le alleghiamo e che, se lo riterrà opportuno, Le illustreremo più in dettaglio. L’esordio recente di questa pandemia non ci permette di avere ancora dati conclusivi dalla letteratura scientifica, ma i risultati sui pazienti e l’esperienza dei curanti rappresentano oggi comunque un rilievo molto importante e utile nella presa in carico di questi ammalati.

Verso l’uso dei Cortisonici nella COVID-19 permane purtroppo una diffusa diffidenza per il loro effetto immunosoppressivo. Tale diffidenza, secondo il nostro giudizio ed esperienza, è inappropriata dato che il grado di immunosoppressione, peraltro modesto per la breve durata della

terapia, è pienamente compatibile con l’utilizzo nella COVID-19. Molti pazienti infatti sono in terapia cronica con cortisone per numerose patologie autoimmuni come la miastenia gravis, senza che si rilevino effetti immunosoppressivi limitanti. In questa situazione i cortisonici vanno somministrati solo per pochi giorni allo scopo di bloccare la possibile evoluzione nelle complicanze temute come la fibrosi polmonare e l’insufficienza respiratoria, che rappresentano purtroppo alcuni dei principali gravi rischi della COVID-19. La diffidenza verso i Cortisonici andrebbe quindi superata analizzando con attenzione i grandi benefici che spesso questa classe di farmaci può invece dare anche nei casi disperati. Infine i Cortisonici si prestano ad efficaci associazioni con altri farmaci antinfiammatori – che potrebbero essere anche somministrati addirittura dalla fase I – come i “mast cell stabilizers”, gli antileucotrienici, i FANS (anche in senso antiaggregante piastrinico), i COXIB, fornendo un pannello di opportunità ampio e modulabile.

Riteniamo motivatamente che l’adozione e l’implementazione di questa strategia volta a contenere i sintomi anziché ad attenderne l’evoluzione, potrebbe favorire un significativo controllo della COVID-19 per un possibile più rapido, quanto auspicato, ritorno alla normalità sia dei soggetti colpiti che del Paese..

Certi di meritare la Sua attenzione, La salutiamo con fiducia e ottimismo, I firmatari (in ordine cronologico di adesione)

Piero Sestili
Professore Ordinario di Farmacologia Dip. di Scienze Biomolecolari
Università degli Studi di Urbino Carlo Bo piero.sestili@uniurb.it (347 2508174)

Paolo Soria
Ex Dirigente Medico Pneumologo dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana

Roberta Ricciardi
Neurologo Resp. Percorso
Chirurgia del Timo
Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana robertaricciardi@live.it (348 6920346)

Stefano Manera
Medico Chirurgo Specialista in Anestesia e Rianimazione Ospedale Papa Giovanni XXIII – Bergamo

Matteo Ciuffreda
Cardiologo
Ospedale Papa Giovanni XXIII – Bergamo

Marco B.L. Rocchi
Professore ordinario di Statistica Medica Università degli Studi di Urbino Carlo Bo

Ferdinando Mannello,
Ordinario di Biochimica Clinica e Biologia Molecolare Clinica

Università degli Studi di Urbino

Vincenzo Tumiatti
Professore Ordinario di Chimica Farmaceutica Università di Bologna, Campus di Rimini

Carmela Fimognari
Professore associato di Farmacologia e Tossicologia, Dipartimento di Scienze per la Qualità della Vita, Università di Bologna

Roberta Alfieri
Professore Associato Patologia Generale Università di Parma

Maurizio Brigotti
Ricercatore, PhD, Dipartimento di Medicina Specialistica Diagnostica e Sperimentale Università di Bologna

Daniele Fraternale
Professore associato di Biologia farmaceutica Università degli studi di Urbino Carlo Bo

Elena Barbieri
Professore associato di Biologia Applicata Università degli studi di Urbino Carlo Bo

Maria Cristina Albertini
Ricercatrice di Patologia generale Università degli Studi di Urbino Carlo Bo

Piero Benelli
Docente a contratto Medicina dello Sport Università degli Studi di Urbino Carlo Bo

Giorgio Diaferia
Professore a.c. in Medicina dello Sport SUISM Università degli Studi di Torino

Andrea Carnevali
Direttore UOC Anatomia Patologica
Azienda USL Toscana SudEst Area Provinciale Aretina

Marco Zazzetta
Direttore Ricerca e Sviluppo
Regenyal Laboratories – San Benedetto del Tronto (AP)

Donatella Amico
MD, PhD Dirigente Medico
UOC Pneumologia Ospedali Riuniti Marche Nord, Pesaro-Fano

Giorgio Martini,

Farmacista titolare.

Farmacia San Rocco – Cembra Lisignago (Tn)

Italo Capparucci
Medico Ortopedico, Docente a contratto, Università degli Studi di Urbino Carlo Bo Porto San Giorgio (FM)

Cesare Bartolucci
Medico Ortopedico, Docente a contratto di Medicina dello Sport, Università degli Studi di Urbino Carlo Bo
Civitanova Marche (MC)

Pasquale Furia
Medico Medicina Generale Casciana Terme (Pisa)

Melania Guida
Medico Chirurgo, Specialista in Neurologia, Percorso Miastenia Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana

Folco Fiacchino
Medico chirurgo, Specialista in Anestesia e Rianimazione Ex appartenente Istituto Neurologico Carlo Besta – Milano

Melchiorre Monti
Medico Medicina Generale, Marsala ASP Trapani

Alberto Furia Farmacista, Pisa

Giannandrea Valletta Farmacista
Farmacia Valletta, Novi Ligure

Michelangelo Maestri Tassoni
Dirigente Medico UO Neurologia Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana

Rita Emili
MD, Dirigente Medico
UOC Oncologia Ospedale di Urbino-ASUR MARCHE AV 1

Farmacista Titolare Farmacia Castoldi, Varese

Andrea Simongini
Medico di Medicina Generale Roma

Loredana Petrucci
Medico Chirurgo Specialista in Neurologia, Percorso Miastenia Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana

Simonetta Melilli
Medico Chirurgo, Medicina Generale Ex Ospedale San Camillo – Roma

Fabio Giavolucci
Medico chirurgo, Specialista Otorinolaringoiatra Rimini

Roberto Rotoloni
Farmacista Titolare
Farmacia Rotoloni, S.Marcello di Jesi (AN)

Gabriele Serafini
Medico di Medicina Generale Urbino

Pizzi Natalia
Medico di Medicina Generale
Villa d’Adda, Carvico, Calusco D’adda (BG)

Daniela Prata Pizzala
Medico specialista in Medicina Interna Libero professionista – Seregno (MB)

Giovanni Carnovale Medico Odontoiatra – Roma

Fabio Ferrini
Dottorando di Ricerca in Farmacologia Università degli Studi di Urbino Carlo Bo

Vittoria Carrabs
Dottoranda di Ricerca in Farmacologia Università degli Studi di Urbino Carlo Bo

martedì 12 dicembre 2023

La vera carità

 "Avremmo fatto ben poco quando avessimo assistito tutti i malati, soccorso tutti i poveri, educato tutti gli ignoranti. Che cos'è una carità che lenisca tutti i dolori degli uomini, se poi questi debbono morire? La nostra carità differisce la rovina ultima, ma non la evita, è perciò una carità inefficace. La morte non si può abolire. Carità più grande è invece quella che immediatamente opera la salvezza soprannaturale, unendo gli uomini a Dio."


Don Divo Barsotti 

in La mistica della riparazione



lunedì 11 dicembre 2023

Bontà

 Papa Paolo VI chiese a Giuseppe Prezzolini: “Lei si dichiara lontano dalla Chiesa! Cosa suggerisce per poter avvicinare i lontani alla Chiesa?”. Prezzolini diede una risposta sulla quale dovremmo tanto riflettere. Eccola: “Padre Santo, c’è una sola strada: preparate persone umili e veramente buone, perché solo la bontà attira. Di persone colte ce ne sono fin troppe, di persone intelligenti ce ne sono fin troppe. Ma non sono costoro che rendono più buono il mondo. L’intelligenza suscita ammirazione e la cultura strappa applausi, ma soltanto la bontà attira a Dio e spinge le persone alla conversione”.


Cardinale Angelo Comastri

L’albero di Natale, origini e simbologia

 

L’albero di Natale, origini e simbologia

L’abete evoca l’albero della vita

di Antonio Tarallo

Luci, profumi, colori, sentimenti soprattutto, che si mescolano e che rivivono ogni otto dicembre in quell’albero - sia esso piccolo o grande, vero o finto - che non può mancare in ogni casa: è l’albero di Natale che accompagnerà le nostre festività, che vedrà famiglie riunite a celebrare la Natività di Gesù Bambino. È lì, posto magari in un angolo della casa, o al centro di un bel grande salotto, questo poco importa; l’importante è che ci sia e che regali ai bambini e ai grandi uno sprazzo di luce del quale tutti abbiamo bisogno.

Di solito, vicino, vi è l’immancabile presepe, simbolo - per tutti - cristiano; ma anche l’albero non è da meno in merito al simbolismo cristiano: ciò non sempre si ricorda, pensando che sia semplicemente una tradizione cosiddetta “pagana”. Eppure, proprio quell’abete evoca sia l’albero della vita piantato al centro dell’Eden, sia l’albero della croce di Cristo. Secondo tradizioni nordiche, addirittura, l’albero deve essere ornato con mele (in ricordo dell’albero dell’Eden) e ostie (simbolo di Cristo fatto carne) sospese ai verdi rami; inoltre, tra i doni posti sotto l’albero, non dovrà mancare il dono per i poveri.

In fondo, se volessimo fare un enorme salto nella storia, fin dall’antico Egitto proprio l’abete veniva considerato l’albero della natività, pianta sotto cui era nato il dio di Biblos. In Grecia l’abete era l’albero sacro di Artemide, protettrice delle nascite. Presso le popolazioni dell’Asia settentrionale, l’abete era considerato l’albero cosmico, piantato in mezzo all’Universo. Il significato cristiano dell’albero di Natale ha un’origine propria che risale ad una tradizione medievale, le rappresentazioni dei misteri che si svolgevano per le feste più importanti del calendario religioso: ci sono i “Misteri pasquali” e quelli di Natale.

Riguardo a quest’ultimi, durante la Santa Notte della Veglia del 24 dicembre, si metteva in scena, davanti ai portali delle chiese, la storia del peccato originale nel Paradiso. Nella Bibbia, come sappiamo bene, non viene certamente indicata la specie dell’albero; ogni nazione identificava l’albero del peccato originale con le piante locali. Fu in Germania che nacque la tradizione dell’abete: ovviamente, in quel periodo dell’anno, era assai difficile trovare un melo in fiore e così la scelta cadde su un albero sempreverde, l’abete appunto.

A questo si decise di appendere delle mele (quelle che poi più avanti saranno le nostre “palle di Natale”) per dare all’albero l’immagine della pianta dell’Eden. Così questo tipo di rappresentazione conferì all’albero di Natale il suo significato cristiano: nella notte del Natale il peccato dell’uomo è stato espiato per mezzo dell’incarnazione di Cristo.

Inoltre, poiché l’abete è una pianta sempreverde, simbolicamente ci riconduce al Figlio dell’uomo, “il Vivente”: è Gesù l’autentico “Albero della vita” (Ap 2,7). Fin qui il Vecchio Testamento, ma anche nel Nuovo, troviamo riferimenti all’albero: in San Giovanni, ad esempio, nel libro dell’Apocalisse al capitolo ventidue, con allusione al costato trafitto di Cristo, riporta in visione: “In mezzo alla piazza della città [santa] e da una parte e dall’altra del fiume si trova un albero di vita che dà dodici raccolti e produce frutti ogni mese; le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni”: è l’allegoria dell’albero della vita che simboleggia la Croce; le sue foglie, divengono così simbolo della universalità della salvezza.

Ma se comunemente si fa risalire alla tradizione dell’albero di Natale alla Germania dei Misteri, delle sacre rappresentazioni, la storia risulterebbe incompleta se non si facesse riferimento a una leggenda che coinvolge San Bonifacio, il santo nato in Inghilterra intorno al 680, che evangelizzò le popolazioni germaniche. Si narra, infatti, che Bonifacio affrontò i pagani riuniti presso la Sacra Quercia del Tuono di Geismar per adorare il dio Thor. Il santo, con un gruppo di discepoli, arrivò nella foresta e, mentre si stava per compiere un rito sacrificale umano intorno proprio a tale quercia, gridò: “Questa è la vostra Quercia del Tuono e questa è la croce di Cristo che spezzerà il martello del falso dio Thor”; e così, presa un’ascia, cominciò a colpire l'albero fino a quando un forte vento fece cadere l’albero, spezzandolo in quattro parti. Dietro, l'imponente quercia, vi era un giovane abete verde.


Antonio Tarallo