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sabato 30 aprile 2022

la Via della legge naturale

Clive Staples Lewis tentò, nelle sue opere, di trovare la strada verso la verità delle cose, cercando di rinvenire nelle sapienze e religioni antiche (compreso il cristianesimo) una medesima Via della legge naturale, che accomunava tutti gli uomini di tutte le latitudini ed epoche. Questo suo grande interesse alle fonti originarie e costitutive dell’essere non nascondeva una specie di ecumenismo equivoco né un riduzionismo o compromesso che salvaguardasse un cammino superficiale di condivisione. Era piuttosto volto a individuare un nucleo forte di verità a cui ogni persona potesse aderire con tutte le sue facoltà.

Cos’è la Via della legge naturale?

Da grande e profondo studioso qual era, Lewis rinvenne nell’Induismo delle origini, come scrisse nel volume L’abolizione dell’uomo del 1943, la capacità dell’uomo di conformarsi alla legge naturale: La condotta degli uomini che possiamo chiamare buoni consiste nel conformarsi al grande rituale o schema del naturale e del sovrannaturale che si rivela tanto nell’ordine cosmico quanto nelle virtù morali… Questa rettitudine, correttezza, ordine si identifica con la satya o verità, con la corrispondenza alla realtà”.

Allo stesso modo, aggiungeva Lewis, era per i Cinesi il Tao, ossia la realtà vera al di là di tutti i predicati; così ancora era per gli antichi Ebrei, che lodavano la Legge in quanto era costitutivamente vera, tanto che la parola emeth (verità) significava ciò che non inganna, che non muta, ponendo quindi l’accento sulla saldezza della verità. Per Lewis ciò che accomunava profondamente tutte queste concezioni (potremmo aggiungere, sulla scorta degli studi documentati del grande scrittore nord irlandese, dalle forme platoniche, aristoteliche a quelle cristiane e orientali) era il riconoscimento del valore oggettivo e della legge naturale.

L’atteggiamento corretto che proponeva Lewis era dunque quello di riconoscere un nucleo forte oggettivo entro cui collocarsi in modo da misurare la giustezza e verità dei singoli comportamenti. La prospettiva era quindi quella di procedere dal piano ontologico dell’essere a quello etico del dover essere. Chi si fosse posto fuori dal riconoscimento della Via della legge naturale si sarebbe collocato al di fuori della comprensione della realtà.

La fonte di tutti i giudizi di valori

La fonte di tutti i giudizi di valore era quindi la Via della legge naturale, il riconoscimento di un ordine oggettivo che Lewis individuava nelle sapienze e religioni antiche. Le ideologie moderne che prescindevano da questo non erano che, secondo le testuali parole di Lewis: “Frammenti della Via, arbitrariamente strappati al loro contesto globale e quindi isolatamente esasperati”.

La rivolta delle nuove ideologie contro la Via della legge naturale era, secondo una metafora calzante dello scrittore, la rivolta dei rami contro l’albero: distruggendolo, i ribelli avrebbero scoperto di avere distrutto se stessi. Porsi all’interno della Legge naturale significava accettare uno sviluppo dal di dentro, una possibilità di vero dialogo nella profondità dello spirito umano, così come Lewis rinveniva in Confucio “Con coloro che seguono una Via diversa è inutile consultarsi” e anche in Aristotele “Aristotele diceva che soltanto coloro che sono stati bene allevati possono utilmente studiare l’etica”.

Coloro che non condividevano la Via, ossia lo stesso punto di partenza fondamentale, non conoscevano quanto poteva essere discusso e in questo senso Lewis interpretava il Vangelo di Giovanni (Gv, 13,51): “Ma questa gente che non conosce la Legge, è maledetta!”. Quella persona “ben allevata”, a cui faceva riferimento Aristotele nell’Etica Nicomachea, era quella che, secondo l’espressione di Platone nella Repubblica, poteva riconoscere la Ragione quando essa giunge. Il prescindere dagli insegnamenti del riconoscimento della Via della legge naturale conduceva, in senso utilitaristico, a fare ciò che a ciascuno piaceva, a decidere da soli cosa l’uomo doveva essere e a far sì che lo sarebbe diventato.

Il potere dell’uomo sulla Natura

In questo riduzionismo ideologico causato dalla non accettazione dell’ordine oggettivo e della Via della legge naturale si collocava quindi il rapporto uomo-Natura, ossia la pretesa dell’uomo di esercitare il potere su altri uomini, con la Natura a fungere da strumento. Lewis si chiedeva quindi, ponendosi nella prospettiva utilitaristica e ideologica dell’uomo moderno, cosa potesse significare questa presunta conquista della Natura da parte dell’Uomo (le maiuscole erano ben evidenziate dallo scrittore).

Lo stadio finale di questa “conquista” avrebbe decretato la sconfitta della natura umana, ossia l’ultima parte della Natura ad arrendersi all’Uomo. Tolto il ricorso alla Via della legge naturale, l’Uomo moderno avrebbe scelto quale altra via artificiale produrre, quale tipo di coscienza produrre, quale concetto di “bene” instillare, quale tipo di umanità creare: “Questi Condizionatori non sto supponendo che siano cattivi. Piuttosto, non sono affatto uomini (nel vecchio senso). Sono, se volete, uomini che hanno sacrificato la loro parte di umanità tradizionale per dedicarsi al compito di decidere quale senso attribuire per il futuro alla parola “Umanità”, “Buono” e “cattivo”…”.

Una volta allontanatisi dalla Via della legge naturale, rimarcava Lewis, sarebbero caduti nel vuoto: “La conquista finale dell’Uomo si è rivelata come l’abolizione dell’Uomo”. Con altre straordinarie e accorate parole, Clive Staples Lewis sottolineava l’illusione dell’Uomo che aveva ripudiato la legge naturale: “Tutte le apparenti disfatte della Natura non sono state altro che ritirate strategiche. Pensavamo di averla messa in fuga, e invece era essa a trascinarci con sé. Ciò che ci sembravano mani alzate in segno di resa erano in realtà braccia spalancate in attesa di rinchiudersi per sempre su di noi”.

venerdì 29 aprile 2022

Essere felici

Essere felici

Non Essere felici alcun dovere della vita,

vi è solo il dovere dell’essere felici.

Per questo solo, noi siamo al mondo,

e con tutti i doveri

e con tutta la morale

e con tutti i comandamenti

difficilmente ci si rende felici l’un l’altro,

perché non si rende felici se stessi.


Se l’uomo può essere buono,

lo può essere solo

se egli è felice,

se egli ha in se stesso armonia,

quindi se egli ama.

Questo è stato l’insegnamento,

il solo insegnamento del mondo;

Questo diceva Gesù,

questo diceva Budda,

questo diceva Hegel.


Per ognuno l’unica cosa importante al mondo è:

la propria interiorità

la propria anima

la propria capacità di amare.

Se queste sono in ordine

si possono mangiare miglio o dolci,

portare stracci o gioielli.

Allora il mondo risuonerà chiaramente con l’anima,

tutto è buono,

tutto è in ordine.


(Hermann Hesse)

sabato 23 aprile 2022

Sii paziente verso tutto ciò che è irrisolto nel tuo cuore

 Sii paziente verso tutto ciò

che è irrisolto nel tuo cuore e…

cerca di amare le domande, che sono simili a

stanze chiuse a chiave e a libri scritti

in una lingua straniera.

Non cercare ora le risposte che possono esserti date

poichè non saresti capace di convivere con esse.

E il punto è vivere ogni cosa. Vivere le domande ora.

Forse ti sarà dato, senza che tu te ne accorga,

di vivere fino al lontano

giorno in cui avrai la risposta.


Rainer Maria Rilke (da Lettera ad un giovane poeta)

 Un giorno chiesero ad un saggio:

"Come riconoscere una persona davvero buona?"

E lui disse: "Non importa quello che lui dice, né come sembra. Bisogna vedere che atmosfera si crea in sua presenza. Perché nessuno è in grado di creare un'atmosfera che non appartenga al suo spirito".

Storia Sufi

martedì 19 aprile 2022

Giovani bellezza

 « La giovinezza è felice perché ha la capacità di vedere la bellezza. Chiunque sia in grado di mantenere la capacità di vedere la bellezza non diventerà mai vecchio. »


Franz Kafka

lunedì 18 aprile 2022

Il vivere

 Dio è sepolto. Allora bisogna dissotterrarlo di nuovo.


Sappilo, Dio: farò del mio meglio. Non mi sottrarrò a questa vita. Continuerò ad agire e a tentare di sviluppare tutti i doni che ho, se li ho. Non saboterò nulla. Di tanto in tanto, però, dammi un segno. E fa’ in modo che esca da me un po’ di musica, fa’ in modo che trovi una forma ciò che è in me, che lo desidera così tanto.

Forse è stato tutto un po’ troppo, mio Dio. Sono costretta a ricordarmi che un essere umano ha anche un corpo. Avevo creduto che il mio spirito e il mio cuore potessero sopportare tutto da soli. Ma il mio corpo si fa sentire e dice: alt. Ora mi rendo conto di quanto Tu mi abbia dato da sostenere, mio Dio. Tante cose belle e tante cose difficili. E quelle difficili si sono trasformate in belle ogni volta che ero disposta a sopportarle. E certe volte è stato più difficile sopportare le cose belle e grandi che quelle dolorose, perché ne ero come sopraffatta.

Pensare che un piccolo cuore umano possa provare così tanto, mio Dio, possa soffrire e amare a tal punto. Ti sono così riconoscente perché hai scelto proprio il mio cuore, di questi tempi, per fargli sopportare tutto quanto. Forse è un bene che mi sia ammalata, non ho ancora accettato questo fatto e mi sento un po’ intontita e smarrita e abbandonata; ma sto anche cercando in tutti i modi di mettere insieme un po’ di pazienza, sento bene che per una situazione così nuova ci vorrà una pazienza del tutto nuova. Riprenderò la vecchia, collaudata abitudine e di tanto in tanto discorrerò un pochino con me stessa su queste righine blu. 

Parlerò con Te, mio Dio. Posso? Poiché le persone scompaiono, non mi resta altro che il desiderio di parlare con Te. Amo così tanto gli altri perché amo in ognuno un pezzetto di Te, mio Dio. Ti cerco in tutti gli uomini e spesso trovo in loro qualcosa di Te. E cerco di disseppellirTi dal loro cuore, mio Dio.


Io non sono la sola ad essere stanca, malata, triste o ansiosa, io sono tutt'uno con milioni di altri nel corso dei secoli, tutto questo è la vita.


Etty Hillesum, Diario

Pasqua

 E con un ramo di mandorlo in fiore,

a le finestre batto e dico:


 «Aprite!

Cristo è risorto 

e germinan le vite nuove 

e ritorna con l’april l’amore

Amatevi tra voi 

pei dolci e belli sogni 

ch’oggi fioriscon sulla terra,

uomini della penna e della guerra,

uomini della vanga e dei martelli.

Aprite i cuori. 

In essi irrompa intera

di questo dì 

l’eterna giovinezza».


lo passo e canto che la vita è bellezza.

Passa e canta con me la primavera.


Ada Negri 

Pasqua.



sopportare una buona dose di insicurezza

 "La nostra cultura tende a creare individui che non hanno più coraggio e non osano più vivere in modo eccitante e intenso. Veniamo educati ad aspirare alla sicurezza come unico scopo della vita. Ma possiamo ottenerla solo al prezzo di un completo conformismo, e di una completa apatia. Da questo punto di vista, anche la sicurezza è l’opposto della gioia, poiché la gioia nasce da una vita vissuta intensamente. Chi vuole vivere intensamente deve essere in grado di sopportare una buona dose di insicurezza. Certo gli esseri umani non hanno perso del tutto il loro spirito d’avventura, poiché la sensazione di vivere in una condizione di assoluta sicurezza, senza alcuna possibilità di avventura, provoca una noia così terribile da risultare insopportabile."


Erich Fromm [I cosiddetti sani. La patologia della normalità]

L'essenza del sentimento religioso

 "L'essenza del sentimento religioso non dipende da nessun ragionamento, da nessuna colpa o delitto, da nessuna convinzione ateistica; qui c'è qualcosa di diverso e d'indefinibile, che sarà sempre tale, qualcosa che tutte le concezioni atee non riusciranno mai a intaccare, perché sempre parleranno di qualcosa d'altro." 


L'idiota, Fëdor Dostoevskij  //  Edvard Munch

venerdì 15 aprile 2022

GESÙ

 "Ricordo una sera nella nostra unica stanza del seminterrato di Oakley Street. Ero a letto, in convalescenza dopo un attacco febbrile. Io e mia madre eravamo soli. Calava la notte, e lei sedeva con le spalle alla finestra, leggendo, recitando e spiegando nel suo modo inimitabile il Nuovo Testamento e l'amore e la pietà di Cristo per i poveri e per i bambini. Forse dipese dall'anormalità della mia situazione, ma in quel momento lei mi diede la più luminosa e affascinante interpretazione di Cristo che da allora io abbia mai visto o sentito. Parlò della Sua tollerante comprensione per i peccatori, della donna che aveva peccato e doveva essere lapidata dalla folla, e delle parole che Cristo disse loro: "Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra." 

Leggeva nella penombra. S'interruppe solo per accendere il lume, poi parlò della fede che Gesù ispirava ai malati, che per guarire dovevano solo toccarGli un lembo della veste. 

Parlò dell'odio e della gelosia dei Sommi Sacerdoti e dei Farisei, e descrisse Gesù e il Suo arresto e la sua calma dignità al cospetto di Ponzio Pilato il quale, lavandosi le mani, disse: In quest'uomo non vedo colpa alcuna."

Parlò di come Lo avevano spogliato e flagellato e, mettendoGli sulla testa una corona di spine, Lo avevano coperto d'insulti e di sputi, dicendo: "Salve, Re dei giudei!" 

Continuando la lettura, le si riempirono gli occhi di lacrime. 

Parlò di Simone, che lo aveva aiutato a portare la croce, e dell'occhiata di profonda gratitudine che gli aveva rivolto Gesù; parlo del ladrone, che moriva con Lui sulla croce chiedendo perdono, e di Gesù che diceva: "Oggi sarai con me in Paradiso." Di quando, dalla croce, abbassando gli occhi su Sua madre e sull'apostolo Giovanni, Egli disse: "Donna, ecco tuo figlio." E di quando, alla fine della Sua straziante agonia, gridò: "Mio Dio, perché mi hai abbandonato?" E a questo punto scoppiammo in lacrime tutti e due. "Non vedi" disse piangendo mia madre "com'era umano? Come tutti noi, anche Lui fu assalito dal dubbio." Mia madre mi aveva talmente commosso che avrei voluto morire quella stessa notte per andare incontro a Gesù. Ma lei non era altrettanto entusiasta. "Gesù vuole prima che tu viva e si compia il tuo destino" disse. Nella stanza buia del seminterrato di Oakley Street mia madre mi accese la fiamma più ardente che questo mondo abbia mai visto, e che da allora ha sempre arricchito teatro e letteratura con i suoi temi più grandi e appassionanti: pietà, amore, umanità."


~ da "La mia Autobiografia" di Charles Chaplin

giovedì 14 aprile 2022

L'amore vero

 



La giornata - L'amico americano

di Laura Pertici



LE PAROLE DELL'AMORE

Zygmunt Bauman (foto di M. Oliva Soto - CC BY-SA 2.0) 

Bauman: “Le emozioni passano, i sentimenti vanno coltivati”

Da questa settimana vi riproponiamo alcuni articoli pubblicati da Repubblica su temi legati ai sentimenti e alle relazioni. In questa intervista del 2012 il grande sociologo, scomparso nel 2017, spiega come i legami siano stati sostituiti dalle "connessioni". E aggiunge: "Ogni relazione rimane unica: non si può imparare a voler bene". Disconnettersi è solo un gioco. Farsi amici offline richiede impegno. Parole attuali ancora oggi

Raffaella De Santis

20 NOVEMBRE 2012

Amarsi e rimanere insieme tutta la vita. Un tempo, qualche generazione fa, non solo era possibile, ma era la norma. Oggi, invece, è diventato una rarità, una scelta invidiabile o folle, a seconda dei punti di vista. Zygmunt Bauman sull'argomento è tornato più volte. I suoi lavori sono ricchi di considerazioni sul modo di vivere le relazioni: oggi siamo esposti a mille tentazioni e rimanere fedeli certo non è più scontato, ma diventa una maniera per sottrarre almeno i sentimenti al dissipamento rapido del consumo. Amore liquido, uscito nel 2003, partiva proprio da qui, dalla nostra lacerazione tra la voglia di provare nuove emozioni e il bisogno di un amore autentico.

Cos'è che ci spinge a cercare sempre nuove storie?
"Il bisogno di amare ed essere amati, in una continua ricerca di appagamento, senza essere mai sicuri di essere stati soddisfatti abbastanza. L'amore liquido è proprio questo: un amore diviso tra il desiderio di emozioni e la paura del legame".

Dunque siamo condannati a vivere relazioni brevi o all'infedeltà...
"Nessuno è "condannato". Di fronte a diverse possibilità sta a noi scegliere. Alcune scelte sono più facili e altre più rischiose. Quelle apparentemente meno impegnative sono più semplici rispetto a quelle che richiedono sforzo e sacrificio".

Eppure lei ha vissuto un amore duraturo, quello con sua moglie Janina, scomparsa due anni fa.
"L'amore non è un oggetto preconfezionato e pronto per l'uso. È affidato alle nostre cure, ha bisogno di un impegno costante, di essere ri-generato, ri-creato e resuscitato ogni giorno. Mi creda, l'amore ripaga quest'attenzione meravigliosamente. Per quanto mi riguarda (e spero sia stato così anche per Janina) posso dirle: come il vino, il sapore del nostro amore è migliorato negli anni".

Oggi viviamo più relazioni nell'arco di una vita. Siamo più liberi o solo più impauriti?
"Libertà e sicurezza sono valori entrambi necessari, ma sono in conflitto tra loro. Il prezzo da pagare per una maggiore sicurezza è una minore libertà e il prezzo di una maggiore libertà è una minore sicurezza. La maggior parte delle persone cerca di trovare un equilibrio, quasi sempre invano".

Lei però è invecchiato insieme a sua moglie: come avete affrontato la noia della quotidianità? Invecchiare insieme è diventato fuori moda?
"È la prospettiva dell'invecchiare ad essere ormai fuori moda, identificata con una diminuzione delle possibilità di scelta e con l'assenza di "novità". Quella "novità" che in una società di consumatori è stata elevata al più alto grado della gerarchia dei valori e considerata la chiave della felicità. Tendiamo a non tollerare la routine, perché fin dall'infanzia siamo stati abituati a rincorrere oggetti "usa e getta", da rimpiazzare velocemente. Non conosciamo più la gioia delle cose durevoli, frutto dello sforzo e di un lavoro scrupoloso".

Abbiamo finito per trasformare i sentimenti in merci. Come possiamo ridare all'altro la sua unicità?
"Il mercato ha fiutato nel nostro bisogno disperato di amore l'opportunità di enormi profitti. E ci alletta con la promessa di poter avere tutto senza fatica: soddisfazione senza lavoro, guadagno senza sacrificio, risultati senza sforzo, conoscenza senza un processo di apprendimento. L'amore richiede tempo ed energia. Ma oggi ascoltare chi amiamo, dedicare il nostro tempo ad aiutare l'altro nei momenti difficili, andare incontro ai suoi bisogni e desideri più che ai nostri, è diventato superfluo: comprare regali in un negozio è più che sufficiente a ricompensare la nostra mancanza di compassione, amicizia e attenzione. Ma possiamo comprare tutto, non l'amore. Non troveremo l'amore in un negozio. L'amore è una fabbrica che lavora senza sosta, ventiquattro ore al giorno e sette giorni alla settimana".

Forse accumuliamo relazioni per evitare i rischi dell'amore, come se la "quantità" ci rendesse immuni dell'esclusività dolorosa dei rapporti.
"È così. Quando ciò che ci circonda diventa incerto, l'illusione di avere tante "seconde scelte", che ci ricompensino dalla sofferenza della precarietà, è invitante. Muoversi da un luogo all'altro (più promettente perché non ancora sperimentato) sembra più facile e allettante che impegnarsi in un lungo sforzo di riparazione delle imperfezioni della dimora attuale, per trasformarla in una vera e propria casa e non solo in un posto in cui vivere. "L'amore esclusivo" non è quasi mai esente da dolori e problemi  -  ma la gioia è nello sforzo comune per superarli".

In un mondo pieno di tentazioni, possiamo resistere? E perché?

"È richiesta una volontà molto forte per resistere. Emmanuel Lévinas ha parlato della "tentazione della tentazione". È lo stato dell'"essere tentati" ciò che in realtà desideriamo, non l'oggetto che la tentazione promette di consegnarci. Desideriamo quello stato, perché è un'apertura nella routine. Nel momento in cui siamo tentati ci sembra di essere liberi: stiamo già guardando oltre la routine, ma non abbiamo ancora ceduto alla tentazione, non abbiamo ancora raggiunto il punto di non ritorno. Un attimo più tardi, se cediamo, la libertà svanisce e viene sostituita da una nuova routine. La tentazione è un'imboscata nella quale tendiamo a cadere gioiosamente e volontariamente".

Lei però scrive: "Nessuno può sperimentare due volte lo stesso amore e la stessa morte ". Ci si innamora una sola volta nella vita?
"Non esiste una regola. Il punto è che ogni singolo amore, come ogni morte, è unico. Per questa ragione, nessuno può "imparare ad amare", come nessuno può "imparare a morire". Benché molti di noi sognino di farlo e non manca chi provi a insegnarlo a pagamento ".

Nel '68 si diceva: "Vogliamo tutto e subito". Il nostro desiderio di appagamento immediato è anche figlio di quella stagione?
"Il 1968 potrebbe essere stato un punto d'inizio, ma la nostra dedizione alla gratificazione istantanea e senza legami è il prodotto del mercato, che ha saputo capitalizzare la nostra attitudine a vivere il presente".

I "legami umani" in un mondo che consuma tutto sono un intralcio?
"Sono stati sostituiti dalle "connessioni". Mentre i legami richiedono impegno, "connettere" e "disconnettere" è un gioco da bambini. Su Facebook si possono avere centinaia di amici muovendo un dito. Farsi degli amici offline è più complicato. Ciò che si guadagna in quantità si perde in qualità. Ciò che si guadagna in facilità (scambiata per libertà) si perde in sicurezza".

Lei e Janina avete mai attraversato una crisi?
"Come potrebbe essere diversamente? Ma fin dall'inizio abbiamo deciso che lo stare insieme, anche se difficile, è incomparabilmente meglio della sua alternativa. Una volta presa questa decisione, si guarda anche alla più terribile crisi coniugale come a una sfida da affrontare. L'esatto contrario della dichiarazione meno rischiosa: "Viviamo insieme e vediamo come va...". In questo caso, anche un'incomprensione prende la dimensione di una catastrofe seguita dalla tentazione di porre termine alla storia, abbandonare l'oggetto difettoso, cercare soddisfazione da un'altra parte ".

Il vostro è stato un amore a prima vista?

"Sì, le feci una proposta di matrimonio e, nove giorni dopo il nostro primo incontro, lei accettò. Ma c'è voluto molto di più per far durare il nostro amore, e farlo crescere, per 62 anni".

martedì 12 aprile 2022

 





Rivista di cultura filosofica

2017

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Andrej Tarkovskij: Il tempo scolpito e l’eredità perduta | Kasparhauser 15
A cura di Guidfo Cavalli e Lorenzo Lasagna




Nichilismo e fede nell’estetica di Andrej Tarkovskij
di Guido Cavalli

Luglio 2017


…sul filo sottile che passa tra religione e nichilismo.
Gershom Scholem*


1.
Il cinema è giovane, e forse questo spiega perché non ci sono antenati del cinema di Andrej Tarkovskij, ma non spiega perché non ci sono eredi. Il punto è che l’unicità di Tarkovskij consiste, prima che nella sua idea di cinema, nella sua idea di arte, del tutto estranea e centrifuga a quella contemporanea.

Il pensiero poetico di Tarkovskij non è teoretico né sistematico, nasce da una formazione sostanzialmente individuale, e, oltre all’influenza paterna, nella Russia sovietica non ha potuto alimentarsi di grandi confronti. A prima vista, dunque, appare come una riproposizione — a tratti anche ingenua — di assunti che egli ritenne cruciali per distanziarsi e liberarsi da quel contesto, ma che sembrano, nel nostro contesto post novecentesco, banali se non anacronistici: bellezza, verità, fede. Oggi l’arte, come la filosofia del resto, non intende questo linguaggio, non procede su queste direttrici. Un discorso artistico basato su queste categorie non può che essere di pura testimonianza… e infatti quella di Tarkovskij è una poetica ormai completamente estranea all’orizzonte dell’attuale. Il suo cinema, di cui nessuno può negare la forza evocativa, la densità espressiva, la maestria tecnica, è tuttavia considerato un cinema mistico — e in questa parola è detto tutto: qualcosa di paradossale di cui ammiriamo la superficie e che ci solletica con la sua assurdità. Ad esso guardiamo come si guarda una pala di Simone Martini: l’idea di uomo, di mondo e di storia che in esso è contenuto, è sostanzialmente inattingibile.

C’è qualcosa che manca, in quest’arte, e c’è qualcosa che eccede. Da una parte manca la condivisione dell’assunto fondamentale dell’arte contemporanea: la rottura delle forme del linguaggio — poetico, figurativo o musicale — lo spezzarsi del loro legame con il significato, ovvero la riduzione del significato dell’arte entro i limiti del formalismo. Dall’altra appare invece la pretesa, sproporzionata alle nostre forze, di traguardare un altro senso all’esistenza e alla storia degli uomini. Tutto al contrario si comporta l’arte contemporanea, l’arte che manifesta la temperie del nostro tempo: tracotante con i piccoli segni che al suo gusto è dato maneggiare, e inerme alla debole curvatura che scivola verso il meridiano zero. Così a noi, presi in questo doppio gioco, l’arte appare come uno strano e indeciso sismografo, che ripete, trasposte in sistemi arbitrari di segni e metafore, le oscillazioni impazzite della storia — perché, platonicamente, ne è la riscrittura. Quindi: se la storia del novecento è una progressiva demitizzazione e desacralizzazione del mondo, l’arte la deve seguire in questo processo. E quando invece l’arte cerca ingenuamente di riproporre ciò che la storia ha superato — come nel cinema “mistico” di Andrej Tarkovskij — allora il nostro buon senso non può che separarne le forme dai contenuti, per permetterci di fruire di queste senza ingaggiare quelli. Così, a pochi anni dalla sua morte — ma già negli anni stessi in cui il regista era in vita! — il nostro sguardo verso le opere di Tarkovskij è divenuto piattamente estetico oppure puramente storiografico.

Per quel che può valere: sono in disaccordo con questa rappresentazione sia dell’arte in generale, sia dell’arte contemporanea. Innanzitutto, ritengo che storia e arte non siano affatto percorsi simmetrici. Penso siano percorsi lontani, e non convergenti. E al tempo stesso, penso che la frattura operata sulla parola (poetica, figurativa o musicale) sia stato il contraccolpo della configurazione nichilista della nostra epoca nell’ambito dell’arte. Sia stato un evento che, dal di fuori, ha agito sull’arte. E al quale l’arte, invero, ha risposto con un suo lento ma costante gesto di ritorno, di risalita. Per riparare quella frattura, per ricomporla. Per riappropriarsi della sua dimensione e della sua direzione. Ed è questo gesto, di ritorno, di ripresa — ancorché quasi inapparente e per lo più ignorato — la direzione viva e feconda dell’arte, anche nel novecento. Il momento in cui l’arte ha ripreso a parlare, e dove dovremmo cercarne e ascoltarne la voce, per riannodare il nostro legame con il suo linguaggio. Per ricominciare a seguirla dove non ripete il corso della storia, anzi dove l’arte riprende la parola – nonostante e al di fuori del discorso della storia.


2.
Nella sua ultima intervista, densissima, concessa a Le Figaro nell’ottobre del 1986, due mesi prima della sua morte, Tarkovskij dice:
Mi sembra che l’essere umano sia stato creato per vivere. Vivere nel cammino verso la verità. Ecco perché l’uomo crea. In una certa misura l’uomo crea nel cammino verso la verità. Questo è il suo modo di esistere, e l’interrogativo sulla creazione: “Per chi gli uomini creano? Perché essi creano?”, è senza risposta.
In questa frase, con la forza dell’intuizione poetica, Tarkovskij riesce a legare assieme e intrecciare in maniera quasi inestricabile, senza soluzione di continuità, una dimensione teologica, una dimensione filosofica e una dimensione artistica. Viene da domandarsi se sia consapevole oppure non si accorga di volare, da una parola all’altra, dal senso della creaturalità dell’uomo al senso della creaturalità dell’opera d’arte, dalla creaturalità dell’opera d’arte all’apertura della destinazione umana verso quell’increato che è la verità, per poi tornare in un balzo da questa al senso inattingibile di quel creato dentro al quale l’uomo vive ed ex-siste, crea e interroga. Come tirando fili invisibili che nascostamente legano i vertici più distanti di una figura immensa, e l’ultima domanda, il baricentro di tutto è: “perché l’arte?”. Ma questa domanda, che attraversa e raccoglie tutto, per Tarkovskij, è una domanda che rimane senza risposta.

La figura dell’uomo, nella poetica di Tarkovskij, si delinea così: orientato e teso a una verità, egli avanza attraverso un domandare che però non avrà risposta. Questo stallo, in cui tutto si concentra e tutto si interrompe, è l’esperienza dell’opera d’arte, cruciale per Tarkovskij, perché riesce a oltrepassare tutte le risposte, laddove le altre forme di conoscenza falliscono, ovvero non rimangono senza risposta.

Così scrive nel settembre del 1970:
La vita certamente non ha alcun senso. Se ne avesse uno l’uomo non sarebbe libero, diventerebbe piuttosto schiavo di quel senso, e la sua vita si edificherebbe a partire da criteri completamente diversi. Da criteri di schiavitù. Come gli animali, il cui senso della vita consiste nella vita stessa, nella continuazione della specie. L’animale svolge il suo lavoro di schiavo, perché sente istintivamente il senso della vita. Per questo la sua sfera è chiusa. La pretesa dell’uomo sta invece nel voler raggiungere l’assoluto. [1]
L’uomo vuole raggiungere l’assoluto, ma deve farlo a partire da una condizione di vuoto di senso. La sua libertà è il nulla, il vuoto di senso e la disperazione di questo vuoto di senso. E quando egli non è consapevole di questa condizione di vuoto di senso, allora deve guadagnarla liberandosi, allontanandosi da ogni pretesa di senso positivo e mondano, come uno schiavo si libera dai suoi lacci.
La conoscenza stessa del mondo non ha niente a che vedere con la successiva scoperta di leggi vere, in senso oggettivo. In effetti le catene di questa pseudoconoscenza trattengono la nostra aspirazione alla verità, poiché ci conducono verso una direzione che ci allontana dalla verità verso la periferia. […] Ci viene suggerita una conoscenza illusoria, giacché in effetti noi non abbiamo alcuna possibilità di avvicinarci all’assoluto, cioè al mistero… perché qualsiasi forma di “avvicinamento” significa in effetti un allontanamento. L’uomo ha l’impressione di acquisire conoscenza. Ma questo processo, stabilito dall’uomo, non ha in effetti alcuna possibilità di stabilire un contatto con la verità. […] Sono agnostico e per di più mi sembra funesta l’aspirazione alla conoscenza (ad ampliare la sua nicchia ecologica) poiché la conoscenza è entropia spirituale, fuga dalla realtà verso il mondo dell’illusione. […] Se mi chiedessero quali sono le mie convinzioni (se si possono avere delle convinzioni quando si tratta del modo di considerare la vita), direi che in primo luogo credo che il mondo sia inconoscibile e che di conseguenza, in secondo luogo, in questo nostro mondo illusorio tutto è possibile. [2]
La condizione umana è la condizione nichilista — nicciana — dell’assenza di valori, del vuoto di senso. La libertà umana è il vuoto di senso, ma questo vuoto è aperto all’assoluto. Il mondo dell’uomo è un mondo vuoto, ovvero aperto all’assoluto che sta al di là del mondo. La condizione nichilista è la condizione, divenuta ormai necessaria, per vivere il paradosso della libertà umana. L’esperienza di questo paradosso è la fede.

La fede è un salto, ma solo dal ciglio di un abisso. La fede accade solo difronte al vuoto di senso. Solo chi è rimasto senza risposte, per Tarkovskij, sarà uomo di fede. Nel marzo del 1982, sul suo diario trascrive quest’episodio, tratto dalle Vite dei Padri di Abba Isaac:
I santi padri eremiti hanno fatto questa profezia sugli ultimi uomini. Essi hanno posto una domanda: “Cos’abbiamo fatto noi?”. Uno di essi dalla vita esemplare, abba Iskerion, disse: “Abbiamo osservato i comandamenti di Dio”. I padri domandarono: “Cosa faranno quelli che verranno subito dopo di noi?”. Egli rispose: “Raggiungeranno risultati spirituali due volte meno di noi”. I padri domandarono allora: “E coloro che verranno dopo di loro?”. “Quelli”, disse abba Iskerion, “non raggiungeranno alcun risultato monastico, ma affronteranno tali sventure che, subendole e subendo quelle tentazioni, diverranno più grandi di noi e dei nostri padri”. [3]
Il fallimento è il ciglio, l’esito estremo a cui conducono tutte le vie di questo mondo, la fede è il salto verso la verità. La forma di questa fede è naturalmente il cristianesimo. Infatti, non è questo il messaggio cristiano? Non è questo il racconto apocalittico degli ultimi giorni? Proprio questo è, per Tarkovskij, il contenuto dell’annuncio cristiano. Il tempo del vuoto di senso è il tempo del compimento cristiano, che altro non è che la storia dei giorni vuoti di senso che ci separano dalla fine dei giorni. L’arte di Tarkovskij parla degli ultimi uomini e degli ultimi giorni. Al di fuori di questa cornice, è solo metafora. Ma all’interno di questa cornice imprime alle cose e alle figure tutta la forza che subiscono cose e uomini quando sono vicino alla fine.
Ci fu allora un forte terremoto. Il sole diventò scuro, come panno da lutto, e la luna diventò color sangue. Le stelle del cielo caddero sulla terra, come i fichi acerbi cadono dall’albero quando è colpito da vento impetuoso. La volta celeste si squarciò e si arrotolò, come un foglio di pergamena; tutte le montagne e le isole furono strappate via dal loro posto. I re di tutta la terra, i governanti, i comandanti di eserciti, le persone più ricche e potenti andarono a rifugiarsi nelle caverne e fra le rocce dei monti insieme a tutti gli altri, schiavi e liberi; e dicevano ai monti e alle rocce: “Cadeteci addosso e nascondeteci, che non ci veda Dio che siede sul trono e non ci colpisca il castigo dell’Agnello, perché questo è ormai il grande giorno della resa dei conti! Chi potrà mai sopravvivere?” [4]
Così l’arte di Tarkovskij mostra il legame profondo che lega l’essenza nichilista dei nostri — ultimi — giorni alla rivelazione cristiana, che ci ha liberato dal mondo attraversando la morte, attraverso il nulla, e ha inaugurato questa storia che è storia della fine del mondo, ovvero la storia dell’annullamento del mondo.

Solaris è, in questo, il film più teologico di Tarkovskij. La persona al di qua e al di là della morte — Harey — è ciò che qui Tarkovskij rappresenta: e questa persona nella sua drammatica e impossibile duplicità è l’uomo creduto dalla fede cristiana, non il credente ma il creduto. Harey è il cristiano, il simbolo spezzato e ricomposto — incomprensibilmente. Così Tarkovskij ci dice che c’è una doppia parola nell’evento cristiano. Una al di qua e una al di là del morire. Quella parola che il cristianesimo vorrebbe tornare a dire dopo il fallimento della creazione — un’altra natura, la natura consacrata, consacrata a stare presso di noi, la grazia, il dono. Harey è simbolo ovvero insieme indistinguibile di entrambe queste dimensioni, persona e natura, dove ciascuna delle due parti si tiene all’altra. Quasi cosa — eppure a se stessa non basta per essere — e quasi persona — eppure a se stessa non basta per esistere. Harey è ciò che viene incontro. L’avvenimento. Ciò che si riceve a prezzo di tutto.

La libertà — cristiana — è un mezzo, ovvero la condizione necessaria per arrivare al senso del sacrificio. Così la libertà si compie come rivelazione del dover essere nulla del mondo, del suo dover trapassare. C’è una logica mondana che non lo vuole, e oltre il mondo c’è la verità che lo rende necessario. L’uomo di fede non appartiene al mondo, anzi lo annulla con la sua libertà.
Quanto più a lungo vivo in Occidente tanto più la libertà mi sembra una cosa strana e ambigua. Pochissime persone hanno bisogno della vera libertà: il nostro compito consiste nel far sì che il loro numero aumenti. Per essere liberi è necessario semplicemente esserlo senza chiedere il permesso a nessuno. Bisogna avere un’ipotesi sul proprio destino […]. Ma, ahimè, il dramma consiste nel fatto che noi non siamo capaci di essere liberi, che esigiamo la libertà per noi stessi a scapito degli altri e non desideriamo rinunciare a nulla in favore degli altri, ritenendo che ciò sarebbe una lesione dei nostri diritti e della nostra libertà. […] Ma non è in questo che consiste la libertà: essa consiste nell’imparare a non esigere niente dalla vita e dagli altri, a esigere innanzitutto da se stessi e a dare senza sforzo. La libertà consiste nel sacrificio in nome dell’amore! [5]
La libertà per Tarkovskij, impoverisce, insegna a togliere a se stessi, a fare a meno, a sacrificarsi — e questo venire meno è l’uscire, l’andare oltre quel tempo senza destino che è il nostro tempo. Non è difficile vedere la forma cristiana di questa verità, ma più interessante ancora è vedere come collima con la forma vuota del tempo post cristiano e come le tiene insieme, come ne rivela il legame, il legein. Domandiamoci infatti: il tempo post cristiano è davvero il nostro, tempo senza fede, oppure è da sempre il tempo vuoto che rimane quando tutto è compiuto, ovvero propriamente il tempo dopo Cristo? No, per Tarkovskij, nichilista è il tempo del cristianesimo in quanto tale, ovvero un tempo in cui la mancanza di fede e l’assenza della verità sono sostanza, e la libertà è scegliere il nulla — sacrificio.
Per me attraverso la “crisi spirituale” si fa sempre strada la salute. La “crisi spirituale” è il tentativo di trovare se stessi, di acquisire una nuova fede. La condizione di crisi spirituale è la sorte di tutti coloro che si pongono dei problemi spirituali. L’anima è assetata di armonia, mentre la vita, invece, è disarmonica. In questa non rispondenza è racchiuso lo stimolo del movimento, la sorgente della nostra sofferenza e, a un tempo, della nostra speranza, la conferma della nostra profondità e delle nostre facoltà spirituali. [6]
Ma il sacrificio, il salto fuori dalla logica del mondo come può essere detto? Con quali parole e quali argomenti se di tutte le conoscenze e di tutte le convenienze si deve liberare? L’arte, per Tarkovskij, è la risposta, l’arte è il linguaggio che non segue la logica del mondo.


3.
Il senso della verità religiosa è racchiuso nella speranza. La filosofia cerca la verità definendo il significato dell’attività umana, i confini della ragione dell’uomo, il significato dell’esistenza. Anche quando il filosofo perviene all’idea dell’assurdità dell’esistenza e della vanità degli sforzi umani. La destinazione funzionale dell’arte non consiste affatto, come talvolta ritengono gli artisti stessi, nell’instillare pensieri, nel contagiare con delle idee, nel servire da esempio. Lo scopo dell’arte consiste nel preparare l’uomo alla morte, nell’arare e rendere soffice la sua anima in modo che sia atta a rivolgersi al bene. [7]
Il bene che, per Tarkovskij, però è sempre al di là della vita. Ne è lo scopo. E dunque l’arte stessa non è per la vita, ma per il suo annullamento, per il suo oltrepassamento. Oltre la vita, c’è la vita eterna. Senza questa dimensione, l’arte di Tarkovskij è insignificante.
La nozione di bene e male (e il loro conflitto) è altrettanto indispensabile alla vita eterna della differenza di potenziali per far scaturire l’energia o della differenza di pressioni atmosferiche per far nascere il vento. Perciò la lotta tra il bene e il male esisterà finché esisteranno l’uomo e la sua vita su questa terra. L’uomo deve arrivare, navigando sul mare, fino alla riva opposta, se non vuole annegare. L’acqua del mare è il Male, barca e remi sono il Bene. Rema con tutte le forze e arriverai a destinazione. Lascia andare i remi e perirai. L’uomo esiste da talmente tanto tempo, eppure continua a dubitare della cosa più importante, cioè che la sua esistenza abbia un senso e questa è davvero la cosa più strana! [8]
Ora iniziamo a vedere con chiarezza il significato della relazione tra arte e fede nella poetica di Tarkovskij: l’arte è l’immagine anticipata del mondo, come sarà e come è stato oltre il vuoto del tempo. L’atto della creazione e l’opera d’arte vedono la stessa cosa. L’uomo che crea riguarda ciò che il creatore ha contemplato in quel giorno. La sua creaturalità è il suo linguaggio, ciò che egli dice con la sua creatività è la sua stessa creaturalità. C’è un’immediatezza, è il dire — chi la revoca cade fuori dal linguaggio.
Nell’arte, come nella religione, l’intuizione è equivalente alla convinzione, alla fede […]. Si tratta di una specie di illuminazione improvvisa, come se un velo cadesse dagli occhi! Ma non riguardo ai particolari, bensì all’insieme, all’infinito, a ciò che la coscienza non può afferrare […]. Ed è per questo che l’immagine artistica può essere accettata soltanto per fede […]. L’artista ci rivela un mondo costringendoci o a credere in esso, o a rifiutarlo come qualcosa per noi irrilevante e non convincente. Creando l’immagine artistica egli supera sempre il proprio pensiero che risulta insignificante di fronte all’immagine di fronte all’immagine percepita sensibilmente del mondo che gli è apparso come una rivelazione. Il pensiero infatti è breve, laddove l’immagine è assoluta. Si può dunque affermare che l’impressione prodotta dall’opera d’arte sull’uomo spiritualmente preparato e l’impressione puramente religiosa sono affini. L’arte agisce innanzitutto sull’anima dell’uomo, improntando la sua struttura spirituale […]. Il bello è celato agli occhi di coloro che non cercano la verità. [9]
Ecco come creatività e creaturalità si intrecciano e si rispecchiano. Nell’immagine artistica come espressione figurativa, si rispecchia l’essere a immagine e somiglianza di Dio. È l’uomo, figura di Dio, la parola dell’arte. Il suo essere creatura è la vocazione, la possibilità artistica, che lo spinge a immaginare oltre il sensibile quale sia il volto delle cose, la ferita delle cose come stigma della loro creaturalità.

Cosa significa, allora, che il Dio biblico, che è invisibile e inconoscibile, crea l’uomo a sua immagine e somiglianza? Significa che questa somiglianza è l’essenza della creazione.
Secondo me quando si parla di Dio che ha fatto l’uomo a Sua immagine e somiglianza, si deve intendere che la somiglianza riguarda l’essenza, e questa è la creazione. Di qui nasce la possibilità di valutazione di un’opera, della sua figuratività. In poche parole il significato dell’arte è la ricerca di Dio nell’uomo.
Chi non crede a quella somiglianza, chi la rifiuta, a sua volta non potrà partecipare dell’essenza del creare, dell’essere artista a somiglianza del Dio creatore. Questo rifiuto ha un significato storico, e filosofico, e certamente anche umano. Tuttavia non ha nessun significato artistico. Perché al di fuori della somiglianza tra uomo e Dio — che è la bellezza — non c’è creazione, e non c’è arte. Riprendo il passo precedente, procedendo ora fino alla fine.
In poche parole il significato dell’arte è la ricerca di Dio nell’uomo. La ricerca del cammino per l’uomo. Io non approvo assolutamente l’arte contemporanea. Proprio l’arte, o qualcosa che pretende di esserlo. Perché manca di spiritualità. Si è trasformata da ricerca di un’essenza divina in dimostrazione di un metodo. Su questo ha già scritto Valery, ma è strano che non abbia espresso il suo punto di vista riguardo a questo fenomeno. L’analisi, la scomposizione e la conseguente idea di disarmonicità (se è possibile che esista l’idea di disarmonicità), tutto questo si contrappone all’essenza dell’opera, all’essenza del demiurgo, sebbene esprima anche il dramma di un tempo di passaggio, drammatico.
Ieri sono stato da Angela. [10] Abbiamo parlato. Le ho detto che già da una settimana (dall’ultimo incontro con lei) non ho più paura, non ho dubbi, non mi sento debole. Dovrò verificarlo ancora per una settimana. Per quanto la mia fede si sia fortificata.
Ieri io e Tonino abbiamo lavorato molto bene.
Ho telefonato a casa. Lara dice che solo ora le hanno concesso il diritto di partire. Fino a ora non la lasciavano andare via. Adesso si dà da fare per Andrjuska. [11] Soldi non ce ne sono, neanche un copeco. Lara chiede il videoregistratore, ma io non so chi lo possa trasportare. Sì, Tolia Solonicyn sta meglio. Non prende antidolorifici e il tumore alla colonna vertebrale è quasi sparito. Ha iniziato nuovamente a sentire le gambe. È un miracolo. [12]
4.
Il miracolo ovvero il confine di questo mondo, visibile ma irraggiungibile, come l’immagine di uno specchio dove tutto appare, ma è superficie e riflesso, e nulla si mostra di quella verità che stiamo cercando. E tutto diventa possibile — passando oltre. Il miracolo ovvero il luogo in cui Tarkovskij concentra il senso del mondo, come in un cristallo, dove tutto il senso del mondo si pesa, ed è nulla. E per questo svuotarsi le cose e le persone, nel miracolo di Tarkovskij, volano. Il miracolo ovvero il luogo aperto dal credere dove il credere si manifesta come sola speranza di salvezza e nulla più. Il miracolo che non è nulla, solo uno sguardo. Che si posa sulle cose, e le potrà cambiare — è lo sguardo della figlia dello stalker, che spinge via le cose, le smuove, e per questo Stalker è il film meno didascalico, più maturo di Tarkovskij, perché i suoi personaggi falliscono e solo a quella creatura muta è lasciato ribaltare tutto, indicare un’altra possibilità, per altri che non siamo noi.

Il miracolo è quel tempo, altro dal tempo inconsapevole del mondo, di cui per Tarkovskij è fatto il cinema, ovvero il linguaggio delle immagini — il tempo che tiene insieme le cose e le rivela allo sguardo che crede e vede le cose andare verso, attendere la salvezza. Il miracolo è il fulcro della poetica di Tarkovskij perché se l’arte non porta alla soglia del mondo, non conduce dove questo mondo si annulla, in quel luogo dove l’essenza creaturale dell’uomo svela che l’uomo non è dell’uomo ma di Dio, non sarebbe arte ma chiacchiera vuota, discorso sul metodo. L’uomo portato davanti alla propria immagine, per riconoscersi in qualcosa che non ha più nulla dell’uomo, più nulla per l’uomo, davanti alla figura dell’uomo — davanti all’icona di Rublev, alla parola poetica dello Specchio, all’oceano di Solaris, davanti alla stanza di Stalker, davanti all’apocalisse di Sacrificio… — per vedere che tutto deve trasfigurare, annichilire e poi rimanere pieno di grazia ovvero gratuitamente, solamente una cosa da credere.
So già che vi arrabbierete, ma devo dirvelo lo stesso. Siamo arrivati alla soglia. È il momento più importante della vostra vita. Come già vi ho detto, qui si compirà il vostro desiderio più segreto, quello più sincero, quello più sofferto. Non bisogna dire niente. Basterà concentrarsi e cercare di ricordare tutta la vita. Quando l’uomo pensa al passato diventa più buono. Ma l’importante è solo credere. Ora potete andare.
Queste le parole dello stalker sulla soglia della stanza in cui nessuno entrerà, perché è la stanza che può avverare ogni desiderio, compiere ogni miracolo, salvare — ovvero la fede di Tarkovskij, tanto inaccessibile da diventare essa stessa un’immagine, una cosa da guardare.


* Lettera a Salman Schoken, citata in “Una revisione critica delle tesi di Scholem sul messianesimo”, in Jacob Taubes, Il prezzo del messianesimo, Quodlibet, Macerata, 2017, p. 47.

[1] Martirologio. Diari, Istituto Internazionale Andrej Tarkovskij, 2014, p. 31.
[2] Ivi, pp. 378-379.
[3] Ivi, p. 403.
[4] Ap 6, 12-17. Cit. in Stalker, Andrej Tarkovskij, 1979.
[5] “La responsabilità dell’artista”, in Scolpire il tempo, Ubulibri, Milano, 1988, p. 165.
[6] Ivi, p. 175.
[7] “L’arte come aspirazione all’ideale”, cit., p. 44.
[8] Martirologio. Diari, cit., p. 196.
[9] Ivi, pp. 41-43.
[10] Pranoterapeuta che curò Tarkovskij dal 1982. La “strega”, cfr. ivi p. 420. [11] Tarkovskij era in Italia dal 1980. Alla moglie Lara fu concesso raggiungerlo nel 1982. Al figlio Andrej solo nel 1986, a pochi mesi dalla morte del regista.
[12] Martirologio. Diari, cit., p. 445. Questa nota è del 11 giugno 1982. Anatolij Alekseevic Solonicyn, l’attore preferito da Tarkovskij, morì quello stesso giorno.


Guido Cavalli (Parma, 1974). Scrittore e poeta. È coautore dei romanzi e racconti di Errico Malò. Del 2005 la raccolta di versi Piccolo canzoniere selvatico, (Manni Editori). Di recente pubblicazione la raccolta Nel castagneto, Diabasis, Parma 2015. Collabora con la rivista di cultura filosofica 

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 Quando il mondo classico sarà esauritoquando saranno morti tutti i contadini e tutti gli artigianiquando l'industria avrà reso inarrestabile il ciclo della produzione e del consumo, allora la nostra storia sarà finita.


Pier Paolo Pasolini, 

 «La stragrande maggioranza delle persone 

si accontenta della propria superficialità

resta imperturbata di fronte all’imbecillità 

della propria condizione spirituale».


- Carl Gustav Jung - 

"Libro Rosso"

 L'Occidente? Un emofiliaco dissanguato nello spirito"

L'ultima intervista mai apparsa in italiano ad Andreï Tarkovski, i cui film sono eliminati oggi in Europa. "Senza religione siamo solo un tubo che inghiotte la terra e lascia piccoli mucchi"


Giulio Meotti

 Mar 25


In Spagna le rassegne cinematografiche hanno appena cancellato la proiezione dei film di Andreï Tarkovski, il grande regista russo. Trovo insopportabile questo suicidio culturale che è la cancellazione della grande cultura russa in risposta alla guerra in Ucraina. Così pubblico l’ultima intervista (mai uscita in italiano) rilasciata alla rivista “Nouvelles Clés” da Tarkovski il 28 aprile 1986, quando l’artista russo era già costretto a letto dalla malattia nel suo appartamento di Parigi. Soffriva in patria, soffrì in Italia negli anni in cui fu, tra noi, esule e ricercatore di bellezza e di impossibili consolazioni. In Russia era ostacolato e impedito nel lavoro; in Italia poteva dire tutto, ma sentiva che gli intellettuali non lo comprendevano o non lo amavano, troppo russo, troppo religioso, troppo poco evasivo. Tarkovski venne a predicare e a morire in Occidente. Leggerlo nuovamente ci consente di tornare a un tempo in cui i grandi uomini di cultura sferzavano le coscienze. Oggi non ne abbiamo più…


Nouvelles Clés: Sembra che la razza umana ti abbia deluso. Quando vediamo i tuoi film, quasi ci vergogniamo di appartenere a essa. C'è ancora un bagliore in fondo al pozzo?


Andrei Tarkovsky: Discutere di ottimismo e pessimismo è sciocco. Sono nozioni senza senso. Le persone che si ammantano di ottimismo lo fanno per ragioni politiche o ideologiche. Non intendono quello che pensano. Come dice un proverbio russo, un pessimista è un ottimista ben informato. La posizione dell'ottimista è ideologicamente maligna, è teatrale e non è sincera. D'altra parte, la speranza è inerente all'uomo. Questo è il vantaggio dell'essere umano. Nasce con la speranza. Non perdiamo la speranza di fronte alla realtà perché è irrazionale. È rafforzata nell'uomo contro ogni logica. Tertuliano ha detto, e aveva ragione: ‘Credo perché è assurdo credere’.


N. C.: Perché non ti piace il tuo film Solaris? Potrebbe essere perché è l'unico a non essere doloroso?


A. T.: Penso che la nozione di coscienza che vi si materializza sia espressa abbastanza bene. Il problema è che ci sono troppi espedienti pseudo-scientifici nel film. Le stazioni orbitali, i dispositivi, tutto ciò che mi infastidisce profondamente. Le cose moderne e tecnologiche sono per me simboli dell'errore umano. L'uomo moderno è troppo preoccupato per il suo sviluppo materiale, per il lato pragmatico della realtà. È come un animale predatore che sa solo come prendere. L'interesse dell'uomo per il mondo trascendente è scomparso. L'uomo si sta attualmente sviluppando come un lombrico: un tubo che inghiotte la terra e lascia piccoli mucchi. Se un giorno la terra scompare perché avrà mangiato tutto, non dovrebbe sorprendere

A che serve andare nel cosmo per   dal problema primordiale: l'armonia tra spirito e materia?


N. C.: Come ti pone rispetto a quella che si chiama “modernità”?


A. T.: Come un uomo che ha un piede sul ponte di una prima barca, l'altro sul ponte di una seconda barca...Una delle barche va dritta e l'altra vira a destra. A poco a poco, mi rendo conto che sto cadendo in acqua. L'umanità è attualmente in questa posizione. Prevedo un futuro molto cupo, se l'uomo non si rende conto che sta sbagliando. Ma so che prima o poi se ne accorgerà. Non può morire come un emofiliaco, dissanguato nel sonno perché si è graffiato prima di addormentarsi. L'arte deve essere lì per ricordare all'uomo che è un essere spirituale, che è parte di uno spirito infinitamente grande, al quale alla fine ritorna. Se è interessato a queste domande, se le pone, è già spiritualmente salvo. La risposta non ha importanza. So che da quel momento in poi non potrà più vivere come prima.


N. C.: Per quanto strano possa sembrare, alle persone a cui piacciono i tuoi film piace anche la fantascienza di Spielberg. Hai visto i suoi film e cosa ne pensi?


A. T.: Facendo questa domanda dimostri che non te ne frega niente. Spielberg, Tarkovski... tutto questo si assomiglia. Falso! Ci sono due tipi di registi. Chi vede il cinema come un'arte e chi si pone domande personali, chi lo vede come un sofferenza, come un dono, un obbligo. E gli altri, che lo vedono come un modo per fare soldi. È il cinema commerciale: E.T., ad esempio, è un racconto studiato e girato per accontentare il maggior numero di persone: Spielberg ha raggiunto il suo obiettivo lì e questo lo fa bene. È un obiettivo che non ho mai cercato di raggiungere. Per me tutto questo è irrilevante. Facciamo un esempio: a Mosca ci sono dieci milioni di abitanti, compresi i turisti, e solo tre sale da concerto di musica classica: la sala Čajkovskij, la sala grande e la piccola del conservatorio. Poco spazio, eppure questo soddisfa tutti. Eppure nessuno dice che la musica non ha più alcun ruolo nella vita in URSS. In realtà basta la presenza stessa di questa grande arte spirituale e divina. Per me l'arte delle masse è assurda. L'arte è soprattutto uno spirito aristocratico. L'arte musicale non può essere che aristocratica, perché al momento della sua creazione esprime il livello spirituale delle masse, verso il quale esse tendono inconsciamente. Se tutti potessero capirlo, allora il capolavoro sarebbe ordinario come l'erba che cresce nel campo. Non ci sarebbe questa differenza di potenziale che genera il movimento.


N. C.: Eppure in URSS sei estremamente popolare…


A. T.: Primo, in URSS sono considerato un regista bandito, il che eccita il pubblico. Secondo, spero che i temi che cerco di realizzare vengano dal profondo dell'anima, tanto da diventare importante per molti altri oltre a me. Terzo, i miei film non sono un'espressione personale, ma una preghiera. Quando faccio un film, è come un giorno di festa. Come se mettessi una candela o un mazzo di fiori davanti a un'icona. Lo spettatore finisce sempre per capire quando gli si parla con sincerità. Non sto inventando un linguaggio per apparire più semplice, più stupido o più intelligente. La mancanza di onestà distruggerebbe il dialogo.


N. C.: Sei d'accordo con Solzhenitsyn sul fatto che il mondo occidentale è finito?


A. T.: Sono lontano da queste profezie. Essendo ortodosso, considero la Russia la mia terra spirituale. Non mi arrenderò mai, anche se non la rivedrò mai più. Alcuni dicono che la verità verrà dall'Occidente, altri dall'Oriente, ma, fortunatamente, la storia è piena di sorprese. In URSS stiamo assistendo a un risveglio spirituale e religioso. Può essere solo una buona cosa. Ma la terza via è lungi dall'essere trovata.


N. C.: Cosa c'è oltre la morte? Hai mai avuto l'impressione di fare un viaggio in questo oltre?


A. T.: Credo solo una cosa; l'anima umana è  e indistruttibile. Nell'aldilà può esserci qualsiasi cosa, non importa. Ciò che si chiama morte non è morte. È una nuova nascita. Un bruco si trasforma in un bozzolo. Penso che ci sia vita dopo la morte, ed è questo che fa così paura. Sarebbe molto più facile pensare a te stesso come a un cavo telefonico da staccare. Potremmo quindi vivere come vogliamo. Dio non avrebbe più importanza.


N. C.: Quando hai scoperto di avere una missione da compiere e di esserne debitore all'umanità per questo?


A. T.: È un dovere davanti a Dio. L'umanità viene dopo. L'artista raccoglie e concentra le idee che sono nelle persone. È la voce del popolo. Il resto è solo lavoro e servitù. La mia posizione estetica ed etica è definita in relazione a questo dovere.


N. C.: Qual è l'ultima cosa che vorresti dire agli uomini prima di lasciare questa terra?


A. T.: La maggior parte di quello che ho da dire è nei miei film.


N. C.: Nel tuo libro ‘Le Temps Scellé’ dici: ‘L'Occidente piange continuamente’.


A. T.: Non ho ancora risolto questo problema. Ma ho sempre sentito su di me l'influenza e il fascino della cultura orientale. L'uomo orientale è chiamato a darsi in dono a tutto ciò che esiste. Mentre in Occidente l'importante è mostrarsi, affermarsi. Questo mi sembra patetico, ingenuo e animalesco, meno spirituale e meno umano. In questo divento sempre più orientale.


Tarkovski a Villa Cimbrone, Ravello

N. C.: Perché c'era il verbo all'inizio, come ci ricorda l'ultima frase di ‘Sacrificio’?


A. T.: Siamo in errore con il verbo. Il verbo ha forza solo quando è vero. Oggi il verbo è usato per nascondere i pensieri. In Africa abbiamo scoperto una tribù che non conosce le bugie. L'uomo bianco ha cercato di spiegarglielo e loro non hanno capito. Cerca di capire la mistica di queste anime e saprai perché all'inizio c'era il verbo. Lo stato del verbo dimostra lo stato spirituale del mondo. Attualmente il divario tra il verbo e ciò che significa è solo in crescita. È molto strano. È un enigma!


N. C.: Stiamo vivendo la fine del mondo o la fine di un mondo?


A.T.: Una guerra nucleare adesso? Non sarà nemmeno una vittoria per il diavolo. Sarà come... come un bambino che gioca con i fiammiferi e dà fuoco alla casa. Non possiamo nemmeno accusarlo di piromania. Spiritualmente l'uomo non è pronto. Non è ancora maturo. L'uomo deve ancora imparare dalla storia. E se c'è una cosa che abbiamo imparato da essa, è che non ci ha mai insegnato niente. Questa è una conclusione estremamente pessimistica. L'uomo continua a ripetere i suoi errori. È orribile. Un altro enigma! Credo che dobbiamo fornire un'opera spirituale molto importante affinché la storia finalmente passi a un livello più alto... La cosa più importante è la libertà di informazione che l'uomo deve ricevere senza controllo. È l'unico strumento positivo. La verità incontrollata è l'inizio della libertà.

lunedì 11 aprile 2022

 Al cominciar del giorno, Dio, ti chiamo.

Aiutami a pregare

e a raccogliere i miei pensieri su di te;

da solo non sono capace.

C'è buio in me,

in te invece c'è luce;

sono solo, ma tu non m'abbandoni;

non ho coraggio, ma tu mi sei d'aiuto;

sono inquieto, ma in te c'è la pace;

c'è amarezza in me, in te pazienza;

non capisco le tue vie,

ma tu sai qual è la mia strada.

Padre del cielo,

siano lode e grazie a te

per la quiete della notte,

siano lode e grazie a te

per il nuovo giorno.

Signore,

qualunque cosa rechi questo giorno,

il tuo nome sia lodato! Amen.


Dietrich Bonhoeffer ucciso il #9aprile 1945

domenica 10 aprile 2022

 L’ulivo benedetto

 

Oh, i bei rami d’ulivo! chi ne vuole?
Son benedetti, li ha baciati il sole.
In queste foglioline tenerelle
vi sono scritte tante cose belle.
Sull’uscio, alla finestra, accanto al letto
metteteci l’ulivo benedetto!
Come la luce e le stelle serene:
un po’ di pace ci fa tanto bene.

( Giovanni Pascoli )

sabato 9 aprile 2022

 Al cominciar del giorno, Dio, ti chiamo.

Aiutami a pregare

e a raccogliere i miei pensieri su di te;

da solo non sono capace.

C'è buio in me,

in te invece c'è luce;

sono solo, ma tu non m'abbandoni;

non ho coraggio, ma tu mi sei d'aiuto;

sono inquieto, ma in te c'è la pace;

c'è amarezza in me, in te pazienza;

non capisco le tue vie,

ma tu sai qual è la mia strada.

Padre del cielo,

siano lode e grazie a te

per la quiete della notte,

siano lode e grazie a te

per il nuovo giorno.

Signore,

qualunque cosa rechi questo giorno,

il tuo nome sia lodato! Amen.


Dietrich Bonhoeffer ucciso il #9aprile 1945

 "L’occhio guarda, per questo è fondamentale. È l’unico che può accorgersi della bellezza. La visione può essere simmetrica lineare o parallela in perfetto affiancamento con l’orizzonte. Ma può essere anche asimmetrica, sghemba, capricciosa, non importa, perché la bellezza può passare per le più strane vie, anche quelle non codificate dal senso comune. E dunque la bellezza si vede perché è viva e quindi reale. Diciamo meglio che può capitare di vederla. Dipende da dove si svela. Ma che certe volte si sveli non c’è dubbio [...]. Il problema è avere occhi e non saper vedere, non guardare le cose che accadono, nemmeno l’ordito minimo della realtà. Occhi chiusi. Occhi che non vedono più. Che non sono più curiosi. Che non si aspettano che accada più niente. Forse perché non credono che la bellezza esista. Ma sul deserto delle nostre strade Lei passa, rompendo il finito limite e riempiendo i nostri occhi di infinito desiderio».

Patrizio Barbero (in memoria di Pier Paolo Pasolini, caro amico di Patrizio).


Dipinto di Ferdinand Georg Waldmüller, Giovane contadina con i figli alla finestra, 1841

giovedì 7 aprile 2022

CURA COVID

 

 CURA COVID

Questo è un possibile protocollo  in caso di covid, quello che, con infinite variazioni ovviamente,  io e un migliaio di colleghi abbiamo usato guarendo decine di migliaia di persone.

Se correttamente curata, con tempestività e farmaci cirretti, la sars 2 covid 19 ha la mortalità di una normale influenza, malattia che ha una importante mortalità e che tutti gli anni ci riempiva le rianimazioni di inverno.  Chi afferma il contrario sta mentendo.

 

Non usate paracetamolo ( tachipirina) perchè favorisce il virus abbattendo il glutatione. I medici che somministrano paracetamolo stanno sbagliando.

Tenete sotto controllo temperatura e saturazione.

vitamina D3 dai 25000 alle 50000 ui al giorno secondo il peso, sostiene il sistema immunitario, e blocca l’interleuchina che scatena la tempesta di cotochine,  (possibilmente al mattino) per 4 giorni più 200 microgrammi di   vitamina k2 (possibilmente la sera)

 

vit C 2 grammi al giorno per 20 giorni

 

lactoferrina una bustina al giorno  per 20 giorni

 

fluimucil 600 mg bustine per 20 giorni, non solo per contrastare la tosse , ma perché aumenta il glutatione, importantissimo nella guerra al virus

Endovir stop spray

In caso di positività asintomatica  questo è sufficiente.

 Se ci sono sintomi Fans, azitromicina e idrossiclorochina:

FANS (farmaci antiinfiammatori non steroidei) Aspirina a stomaco pieno(da sospendere se compaiono bruciori di stomaco). In alternativa brufen 400 o oki. Nei bambini non usate aspirina ma neurofen . Nel caso di gravidanza molta precauzione con i fans 

Convincete il medico di famiglia a prescrivere, oppure cercate di mettervi in contatto con un medico di ippocrate org o terapie domiciliari

 

Zitromax 500 mg cp 1 al giorno per 3 giorni poi interrompere per due, nel caso ricominciare. Altrimenti Augmentin . In caso di gravidanza meglio Zimox oppure zitromax

 

Plaquenil cp 1 x 2 al giorno per 5 giorni  (controindicazioni: favismo, retinopatia, fibrillazione atriale, verificare ecg). Molto importante nei casi di covid nelle persone che hanno già subito l’inoculazione dei cosiddetti vaccini, particolarmente predisposte al fenomeno ADE. ( in alternativa colchicina o ivermectina)  contrasta la reazione autoimmune, ha un’azione sinergica con eparina e azitromicina. L’ ivermectina è attualmente farmaco di scelta in numerose nazioni tra cui India.

 

se i sintomi dopo tre giorni persistono ripetere un ciclo di Zitromax dopo un giorno o due di interruzione e cominciate il cortisone, che è il più grande antiinfiammatorio che esista e questa malattia uccide per infiammazione. 

Deltacortene 25 mg 1 cp per due

e poi eparina perché l’infiammazione causa coagulazione intravasdale, quindi

Clexane 4000 fiale sotto cute. 

 

I farmaci consigliati sono al di fuori del protocollo ministeriale, possono causare effetti collaterali, segnalati nei foglietti illustrativi di cui si raccomanda la lettura. Vanno usati sotto controllo medico.

Qui avete una versione più completa

 

https://ippocrateorg.org/wp-content/uploads/2020/11/IT-Approccio-alla-terapia-domiciliare-Covid-19-aggiornamento-2021-08-05.pdf

In caso di controindicazioni a aspirina e Cardioaspirina, l’alternativa naturale può essere il Ginko biloba che contiene antiossidanti, flavonoidi e quercetina, disponibile come estratto secco titolato in ginkgoflavonoidi 24% e terpeni totali 6%, alla dose di 120 mg al mattino al risveglio a stomaco vuoto.

cardioaspirina e fluimucil possono essere indicati nella problematiche da vaccino, insieme ad antiossidanti un eccellente prodotto fitoterapico è Detox Bio intensivo) che forse si potrebbe adottare in sostituzione di vitamine e antiossidanti o in integrazione a essi.

Ottimo antiossidante e immunostimolante è l’Artemisia annua, di cui si può utilizzare la soluzione idroalcoolica alle dosi di 30 gocce per 2 volta al giorno (effetti collaterali gastro-intestinali)

Altro eccellente antiossidante è il Tarassaco di cui si può assumere la tintura madre alla dose di 40 gocce tre volte al giorno (controindicato in ulcera, gastrite, reflusso, calcolosi biliare, insufficienza renale), tra l’altro i suoi flavonoidi hanno azione antiaggregante.