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domenica 31 gennaio 2021

"Nessun esempio di virtù infatti è assente dalla croce.

  Se cerchi un esempio di carità, ricorda: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13).

  Questo ha fatto Cristo sulla croce. E quindi, se egli ha dato la sua vita per noi, non ci deve essere pesante sostenere qualsiasi male per lui.

  Se cerchi un esempio di pazienza, ne trovi uno quanto mai eccellente sulla croce. La pazienza infatti si giudica grande in due circostanze: o quando uno sopporta pazientemente grandi avversità, o quando si sostengono avversità che si potrebbero evitare, ma non si evitano.

  Ora Cristo ci ha dato sulla croce l'esempio dell'una e dell'altra cosa. Infatti «quando soffriva non minacciava» (1Pt 2,23) e come un agnello fu condotto alla morte e non aprì la sua bocca (cfr. At 8,32). Grande è dunque la pazienza di Cristo sulla croce: «Corriamo con perseveranza nella corsa, tenendo fisso lo sguardo su Gesù...

  Se cerchi un esempio di umiltà, guarda il crocifisso: Dio, infatti, volle essere giudicato sotto Ponzio Pilato e morire.

  Se cerchi un esempio di obbedienza, segui colui che si fece obbediente al Padre fino alla morte: «Come per la disobbedienza di uno solo, cioè di Adamo, tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l'obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti» (Rm 5,19).

  Se cerchi un esempio di disprezzo delle cose terrene,... Egli è nudo sulla croce, schernito, sputacchiato, percosso, coronato di spine, abbeverato con aceto e fiele.( s Tommaso d'Aquino)

gli uomini si sono tutti divisi in tante singole unità

 

 Gli uomini si sono tutti divisi in tante singole unità

Nel nostro secolo gli uomini si sono tutti divisi in tante singole unità, ognuno si ficca nel proprio buco da solo, si allontana dagli altri, si nasconde e nasconde quello che ha, e così va a finire che respinge lontano da sé gli altri uomini e viene a sua volta respinto. Accumula ricchezze in solitudine e pensa: ‘Come sono forte ora, come sono al sicuro!’. E non sa, questo sciocco, che quanto più accumula, tanto più affonda in un’impotenza che è autodistruttiva. Perché si è abituato a sperare solo in se stesso, e si è staccato dal tutto isolandosi, ha abituato la sua anima a non credere nella solidarietà umana, e trema soltanto all’idea di perdere il suo denaro e i diritti acquistati con esso. 

Dappertutto, oggi, l’intelligenza umana sta diventando incapace di comprendere che la vera sicurezza dell’individuo non consiste nello sforzo individuale e isolato, ma nell’unione di tutti gli uomini. Però verrà certamente la fine anche di questo spaventoso isolamento, e tutti capiranno quanto fosse innaturale questo loro allontanarsi l’uno dall’altro.  

Fedor Dostoevskij, I fratelli Karamazov.

 "Lei non ha capito nulla della vita...” e mentre questi lo guardava con fare interrogativo, soggiunse: «...l'odio non serve a niente... Solo l'amore crea!». Le sue ultime parole, porgendo il braccio, furono: “Ave Maria”.


Le parole di San Massimiliano Maria Kolbe che morì ad Auschwitz il 14 agosto 1941 offrendo la sua vita per salvare un padre di famiglia. Nella foto Padre Kolbe da giovane.

giovedì 28 gennaio 2021

l’importante nella vita

 Ecco l’importante nella vita: aver visto una volta qualcosa, aver sentito una cosa tanto grande, tanto magnifica che ogni altra sia un nulla al suo confronto e anche se si dimenticasse tutto il resto, quella non la si dimenticherebbe mai più!


S.Kierkegaard [Diario, 36]

mercoledì 27 gennaio 2021

 Dalla domanda al punto di domanda di @matteo.tedesco1 :



In età medievale, quando la punteggiatura moderna ancora non era neanche in cantiere, era un bel problema segnalare la presenza di una domanda in un testo scritto. Per ovviare a questo problema, i monaci copisti ricorsero alla soluzione più elementare: scrivere alla fine della frase interrogativa la parola latina ​quaestio (​domanda)​. Ma questo portò a un altro problema: lo spreco di pergamena, materiale costosissimo di cui ogni cm2​ ​ era prezioso per scrivere contenuti e non per essere sprecato con segnalazioni di domanda; per risparmiare spazio, dunque, la ​quaestio fu ridotta a una ​qo.​ Per non confonderla, poi, con altre abbreviazioni simili, le due lettere iniziarono a essere sovrapposte (q​ o​ )​ . Ed ecco che, con il passare del tempo, la q divenne un semplice ricciolo, e la o un puntino sotto al ricciolo, generando l’odierno punto 


lunedì 25 gennaio 2021

 Questo mondo così com'è fatto non

è sopportabile. Ho bisogno della luna,

o della felicità o dell'immortalità,

di qualcosa che sia demente forse,

ma che non sia di questo mondo.


- Albert Camus -


Il tu vive solo col noi

“Ho sempre saputo, già quando ero ragazzina, che soltanto l'amore può darmi la sensazione di esistere realmente. E questo scatenava in me la paura terribile di dissolvermi”; “L’uomo può essere in armonia con se stesso se esiste un accordo di due o più suoni; per essere uno egli ha bisogno degli altri. Solo nel rapporto con gli altri egli può vivere l’esperienza della libertà” (Hannah Arendt).


“Tutto si riduce all'amore, perchè alla fine saremo giudicati sull'amore” (Edith Stein)

domenica 24 gennaio 2021

 

Lo sapevate? La Settimana Enigmistica fu inventata da un sardo

Lo sapevate? La Settimana Enigmistica fu inventata da un sardo

Fu un giovane ingegnere sardo, figlio di uno dei fondatori del primo Rotary Club dell'Isola, l'idea di dedicare una rivista all'enigmistica, passatempo già in voga nella Mitteleuropa. Il primo numero della Settimana Enigmistica uscì il 23 gennaio 1932, e da ottantacinque anni è regina indiscussa nella stampa del settore

La libertà

 

La libertà

La libertà è una cosa più complicata dei “diritti”, la libertà è una forma di disciplina. C’è un aneddoto che mi è sempre piaciuto: ti prendo, ti butto in mezzo al deserto e ti dico “vai, sei libero”. Tu non sei libero, anche se in apparenza lo sei. Per essere libero dovresti conoscere le oasi più vicine, sapere dove andare, saperti orientare. Oggi l’uomo è disorientato. Ma questo disorientamento lo chiama “libertà. Bisogna al contrario essere consapevoli di com’è questo mondo, per tracciare un sentiero che è la tua vera, disciplinata libertà. 

Giovanni Lindo Ferretti 

 È domenica. Il giorno che rimanda a un “ Altro”. Il giorno che ti richiama il tempo senza tempo. Che ti ricorda che sei mistero a te stesso. Che vali più di quanto tu stesso possa credere. Fermati. Riposati. Rallenta il normale scorrere del tempo. Fanne dono alle persone care. Ascoltale. Guardale. Prendile per mano. Accarezzale. Hanno bisogno di te. E tu di loro. È domenica. Il giorno della vittoria dell’ Amore sull’odio, sulla indifferenza, sulla diffidenza. Il giorno in cui la vita vince la morte. Rinnova la tua fede. Sappi che Dio non ti ha mai lasciato solo. Lui è il cuore che ti batte in petto. Il sangue che ti pulsa nelle vene. Il respiro di cui non puoi fare a meno. Abbassa, se puoi, il tuo capo e prega. Imbocca, se vuoi, la strada di una chiesa. Anche per te Gesù Cristo è morto. Anche per te oggi diventa Pane da mangiare. Eucarestia. Rendimento di Grazie. Senza poter dire “ grazie” vivere è un tormento. Buona domenica. Chiunque tu sia. Buona domenica. Padre Maurizio Patriciello.

 Sto preferendo vivere in una bolla fatta di sorrisi, risate, momenti di sconforto e tristezza, tutti estremamente devitalizzati, resi opachi. Vivo in una giostra di emozioni che un giorno mi porta in alto e un altro mi fa cadere nel più buio sconforto; mi esalto per il tempo in cui sperimento quell’emozione, per poi accantonare il tutto nel cassetto delle “belle esperienze”. Ma mi rendo conto che a me questo non basta, io voglio molto di più, voglio qualcosa che deve essere necessariamente grande, perché – come dice Kierkegaard – “nulla di finito, nemmeno l’intero mondo, può soddisfare l’animo umano che sente il bisogno dell’eterno

 «Nella vita, capite, non c'è gran scelta.

 O marcire o ardere».

Joseph Conrad, «Sotto gli occhi dell'Occidente»

 «Basterebbe all’uomo di oggi arrestarsi un istante dalla sua attività e riflettere, commisurare le esigenze della sua ragione e del suo cuore con le attuali condizioni dell’esistenza, per accorgersi che tutta la sua vita, tutte le sue azioni sono in una contraddizione continua ed eclatante con la sua coscienza, la sua ragione ed il suo cuore».

Tolstoj

 Gmork: 'Sei uno sciocco e non sai un bel niente di Fantàsia. È il mondo della fantasia umana. Ogni suo elemento, ogni sua creatura scaturisce dai sogni e dalle speranze dell'umanità e quindi Fantàsia non può avere confini.'

Atreyu: 'Perché Fantasia muore?'
Gmork: 'Perché la gente ha rinunciato a sperare. E dimentica i propri sogni. Così il Nulla dilaga.'
Atreyu: 'Che cos'è questo Nulla?'
Gmork: 'È il vuoto che ci circonda. È la disperazione che distrugge il mondo, e io ho fatto in modo di aiutarlo.'
Atreyu: 'Ma perché!?'
Gmork: 'Perché è più facile dominare chi non crede in niente ed è questo il modo più sicuro di conquistare il potere.'
Atreyu: 'Chi sei veramente?'
Gmork: 'Io sono il servo del Potere che si nasconde dietro il Nulla. Ho l'incarico di uccidere il solo in grado di fermare il Nulla. L'ho perso nelle paludi della Tristezza. Il suo nome era Atreyu.
Atreyu: Se tanto dobbiamo morire, preferisco morire lottando. Attaccami Gmork! Io sono Atreyu!'

La storia infinita (Die unendliche Geschichte, RFT 1984), regia e sceneggiatura di Wolfgang Petersen.)

sabato 23 gennaio 2021

Condizioni della libertà .Don Giussani

 Condizioni della libertà 

Condizioni della libertà; nel dinamismo della libertà è implicita la possibilità del peccato: scegliere davanti alla creatura ciò che immediatamente soddisfa di più, invece che usare della creatura per tendere di più a ciò che è il destino per cui si è fatti. Il peccato è debordare, uscire dalla strada al destino per soffermarsi su qualcosa che interessa di più al momento. Non è chiaro? 

Però, ragazzi, come nota bene finale, se uno ha una attrattiva più forte e invece Dio lo vuole qui, per rinunciare a quella attrattiva e andar qui, cosa occorrerà? a) La coscienza del destino. Primo: una coscienza chiara del destino, l'amore al destino. Se uno perde di vista il destino, allora sbaglia. Tutti, al cento per cento, vivono così: stiamo attenti, perché anche noi viviamo così. È questo l'orrore, questo è contro l'uomo, è la disumanità, è l'uomo che vive secondo un criterio che è contro l'uomo. Sembra, e tutto il mondo dice: «È giusto, è comodo, è tuo tornaconto, ci tieni e dunque fallo!». No! Perché il destino della vita non è quello che vogliamo noi, è il mistero di Dio, la coscienza del Mistero, la coscienza del destino.

b) II governo di sé. Secondo: ci vuole una forza di strappo, una forza per strapparti a questa attrattiva, così che tu ponga l'energia nell'andare verso il destino. Si chiama mortificazione, capacità di mortificazione o di penitenza. Penitenza, che in greco si dice metànoia, vuoi dire «cambiamento di direzione»: invece di andare di qui dove sei più attratto, tu devi fare uno sforzo per cambiare direzione, per cambiare nous, per cambiare la decisione da prendere.

La compagnia
Perciò: coscienza del destino - senso religioso - ed energia nel dominare se stesso - governo di sé - il cui aspetto più critico si chiama mortificazione o penitenza. Ditemi se queste due cose sono possibili ad una persona isolata. Questo è il valore più esterno e più evidente, più banalmente evidente della compagnia: ti richiama al senso religioso, al destino... Ragazzo, queste cose non te le senti dire neanche da tua madre! Il richiamo al destino e il richiamo al governo di sé, al dominio di sé: tu ti governi secondo il destino di cui hai coscienza. Questo implica sempre uno strappo, una ferita. Si chiama, con termine cristiano, penitenza o mortificazione. Mortificazione vuoi dire che sembra morte, sembra rinuncia, ma non lo è! Perché se uno sceglie questo T, poi vede questa B in un'altra luce, non la perde; la vede nella luce permanente, eterna, vera ed eterna, e ama di un amore vero ed eterno. Non si perde più, anzi, l'altro lo perderà, ma lui no.

venerdì 22 gennaio 2021

 [ In me c’è un silenzio sempre più profondo. ]


Lo lambiscono tante parole, che stancano perché non riescono a esprimere nulla. Bisogna sempre più risparmiare le parole inutili per poter trovare quelle poche che ci sono necessarie. E questa nuova forma d’espressione deve maturare nel silenzio. A volte vorrei rifugiarmi con tutto quel che ho dentro in un paio di parole. Ma non esistono ancora parole che mi vogliano ospitare. E' proprio così. Io sto cercando un tetto che mi ripari ma dovrò costruirmi una casa pietra su pietra. E così ognuno cerca una casa, un rifugio per sé. E io mi cerco sempre un paio di parole. A volte credo di desiderare l'isolamento di un chiostro. Ma dovrò realizzarmi tra gli uomini, e in questo mondo. E lo farò, malgrado la stanchezza e il senso di ribellione che ogni tanto mi prendono. Prometto di vivere questa vita fino in fondo, di andare avanti...Studierò e cercherò di capire, ma credo che dovrò pur lasciarmi confondere da quel che mi capita e che apparentemente mi svia: mi lascerò sempre confondere, per arrivare forse a una sempre maggior sicurezza. Ci sono persone che mi porto dentro come boccioli e che lascio sbocciare.Le mie impressioni sono sparse come stelle sfavillanti sullo scuro velluto della mia memoria.

L’età dell’anima è diversa da quella registrata all’anagrafe. Credo che l’anima abbia una determinata età fin dalla nascita, e che questa età non cambi più. Si può nascere con un’anima che ha dodici anni. E quando si hanno ottantanni, quell’anima ne ha ancora dodici e non di più. Si può anche nascere con un’anima che ne ha mille, esistono ragazzini dodicenni in cui si sente un’anima simile. Credo che l’anima sia la parte più inconscia dell’uomo, soprattutto in Occidente, penso che un orientale «viva» la propria anima molto di più. L’occidentale non sa bene che farsene e se ne vergogna come di una cosa immorale. L’anima è diversa da ciò che noi chiamiamo «sentimento». Ci sono persone che hanno molto «sentimento» ma poca anima.

Ieri ho chiesto a Maria a proposito di una persona: É intelligente? Sì, ha risposto lei, ma solo col cervello.

S. diceva sempre di Tide: ha «l’intelligenza dell’anima»


Etty Hillesum, Diario

domenica 17 gennaio 2021

Gli uomini hanno dimenticato Dio, perciò tutto questo è accaduto.

 "Gli uomini hanno dimenticato Dio, perciò tutto questo è accaduto."

  • Più di mezzo secolo fa, quando ancora ero un bambino, ricordo che un certo numero di anziani offriva questa spiegazione per i disastri che avevano devastato la Russia: "Gli uomini hanno dimenticato Dio, perciò tutto questo è accaduto". Da quel giorno, ho passato 50 anni a lavorare sulla storia della nostra rivoluzione (la rivoluzione russa); ho letto centinaia di libri, raccolto centinaia di testimonianze personali. Ma se mi fosse domandato di formulare in maniera più concisa possibile la principale causa della rovinosa rivoluzione che ha inghiottito quasi 60 milioni di russi, non potrei metterla in maniera più accurata che ripetendo: "Gli uomini hanno dimenticato Dio, perciò tutto questo è accaduto." (citato in Edward E. Ericson, Jr., "Solzhenitsyn – Voice from the Gulag", Eternity, October 1985, pp. 23–24)

sabato 9 gennaio 2021

 "V'è in Italia una brutta abitudine: prima farsi una convinzione e poi cercarne la prova. Il che è un capovolgimento del senso di giustizia" (Giulio Andreotti)

domenica 3 gennaio 2021

STALIN E LA GALLINA SPENNATA

STALIN E LA GALLINA SPENNATA 
***

Durante una riunione al Politburo sovietico, Joseph Stalin chiese che gli venisse portata una gallina. La prese e la strinse forte con una mano mentre con l’altra iniziò a spennarla. La gallina urlava dal dolore e tentava di scappare in ogni modo senza riuscirci, la presa era troppo forte per lei. Stalin riuscì a toglierle tutte le piume senza grandi problemi e una volta terminato disse ai presenti:
- “Adesso guardate bene cosa accade”.
Mise la gallina per terra e si allontanò da lei, andò a prendere del grano mentre i funzionari presenti la osservavano meravigliati mentre, dolorante e sanguinante, correva da lui che tirava delle manciate di grano per terra facendo il giro della stanza. Ad ogni passo di lui ne corrispondevano altrettanti della gallina.
A questo punto Stalin si rivolse ai presenti, sorpresi di ciò che stavano osservando e disse:
- “Così - facilmente - si governano gli stupidi.
-  Avete visto come la gallina mi inseguiva nonostante tutto il dolore che le ho procurato?
-  La maggior parte dei popoli sono così, continuano a seguire i loro governanti e i politici nonostante tutto il dolore che gli provocano, con il solo scopo di ricevere un regalo da niente o semplicemente un po’ di cibo per qualche giorno.”.


 “Le persone migliori possiedono sensibilità per la bellezza, il coraggio di rischiare, il rigore di dire la verità, la capacità di sacrificio. Ironia della sorte, le loro virtù le rendono vulnerabili; sono spesso ferite, talvolta distrutte.”


E. Hemingway



 Una pagina splendida di un grande santo monaco del medioevo. Da leggere, gustare e meditare!


Dai «Discorsi» di sant’Aelredo di Rievaulx, abate


«Sarà chiamato Emmanuele: che significa “Dio con noi”» (Mt 1, 23). Dunque Dio è con noi. Sinora Dio era sopra di noi, di fronte a noi: oggi è l’Emmanuele, oggi Dio è con noi nella nostra natura, è con noi nella sua grazia; con noi nella nostra infermità, con noi nella sua bontà. Con noi nella nostra miseria, con noi nella sua compassione. O Emmanuele, o Dio con noi! Figli di Adamo, che cosa fate? Dio è con noi, veramente! Voi non siete potuti ascendere al cielo per essere con Dio, e Dio discese dal cielo per essere l’Emmanuele. Egli viene per essere il Dio con noi, e noi trascuriamo di andare a Dio per essere con lui! «Figli degli uomini, fino a quando sarete duri di cuore, perché amate la vanità e cercate la menzogna?» (Sal 4, 3). Ecco la verità: «Perché amate la verità e cercate la menzogna?». Ecco la verità e la parola sincera. «Perché cercate la menzogna?». Qui c’è l’Emmanuele, Dio si trova in noi.

Come potrebbe essermi più vicino? È stato piccolo con me, infermo come me, nudo come me: si è conformato a me in tutto (cfr. Eb 2, 17), ha assunto quanto era mio e mi ha elargito quanto era suo. Giacevo come morto: privo di voce, di sensi, di luce degli occhi (cfr. Sal 37, 11). Ed ecco che oggi è disceso quel grande profeta, potente in opere e in parole (cfr. Lc 24, 19): ha posto il suo volto sopra il mio volto, la sua bocca sopra la mia bocca, le sue mani sopra le mie mani ed è diventato l’Emmanuele, il Dio con noi (cfr. 2 Re 4, 34).

In due modi si possono conoscere le cose: o per sapienza o per esperienza. Ora la nostra miseria, la nostra afflizione, la nostra infermità e corruzione erano note a Dio in virtù della sua sapienza, adesso lo sono mediante la sua esperienza. A sua volta il bene eterno che si trova in Dio poté conoscerlo per fede e parzialmente qualche santo, ma nessuno per esperienza. Ora il bene pieno, perfetto, eterno che la natura umana non poté conoscere in se stessa per esperienza, assunta in Dio poté conoscerlo nella natura divina; così il male, che Dio non conosce per esperienza in se stesso, assumendo l’umanità nell’unità della persona, si è degnato di sperimentarlo nella nostra natura.

O Emmanuele, dov’è il tuo convito? O tu, che sei l’oggetto del mio amore, dove ti riposi a mezzogiorno? (Cfr. Cant. 1, 6). Egli risponde: «Ecco io sto alla porta e busso; se uno mi aprirà io entrerò da noi, cenerò con lui e lui cenerà con me» (Ap 3, 20). Felice colui che ti apre la porta del cuore, o buon Gesù! Lì tu entrerai e prenderai il tuo cibo, lì riposerai nell’ora del mezzogiorno. La tua venuta, Signore, diffonde nel cuore casto il meriggio luminoso del cielo; la tua venuta componendo ogni moto del cuore con l’infusione della pace divina, prepara un letto soavissimo, dove puoi riposare, e lo cosparge gioiosamente di fiori e di profumi spirituali. Così l’anima, contemplandoti e gustando l’improvvisa dolcezza di quella quiete, con mirabile affetto e con voce esultante esclama: «Sei bello, o mio diletto, e splendido, e pieno di fiori è il nostro giaciglio» (Ct 1, 15).

O Signore, che cosa ti pasce in noi se non la dedizione del nostro cuore e il pio e dolce affetto, che sorge contemplando l’umanità e la divinità di Cristo? Felice l’anima che trova pascolo e nutrimento da questa santa esperienza; che, rapita verso la delizia dei piaceri celesti contempla la gloria del suo Creatore, e, estasiata dallo splendore di quel volto meraviglioso, con l’ardore di un desiderio ineffabile e la dolcezza di un inestimabile affetto, si lascia tutta trasportare in Dio, dove, ricolma del miele delle soavità del cielo, gusta e vede quanto è dolce il Signore (cfr. Sal 33, 9), quanto è beato chi spera in lui (cfr. Sal 83, 13).

sabato 2 gennaio 2021

 ... ma poi, alla fine, in cosa consiste l'innocenza? Io credo che l'innocenza sia là dove non esiste il pregiudizio. Perché è il pregiudizio con cui guardiamo gli altri quello che ce li rende "sporchi". L'innocente è colui che cammina nella melma senza che questa gli si attacchi addosso.L'innocente è colui che ha il Divino in sé esattamente come un animale che nulla sa del peccato originale che quell'innocenza la nega all'uomo prima ancora di essere nato. (Pier Paolo Pasolini)

"Miguel de Cervantes"


"A tutti quelli che parlano al vento. 

Ai pazzi per amore, ai visionari

a coloro che darebbero la vita per realizzare un sogno.

Ai reietti, ai respinti, agli esclusi. 

Ai folli veri o presunti.

Agli uomini di cuore

A coloro che si ostinano a credere nel sentimento puro.

A tutti quelli che ancora si commuovono.

Un omaggio ai grandi slanci, alle idee e ai sogni.

A chi non si arrende mai, a chi viene deriso e giudicato.

Ai poeti del quotidiano.

Ai "vincibili" dunque, e anche 

agli sconfitti che sono pronti a risorgere e a combattere di nuovo.

Agli eroi dimenticati e ai vagabondi.

A chi non ha paura di dire quello che pensa.

A tutti i cavalieri erranti.

A chi ha fatto il giro del mondo e a chi un giorno lo farà"

(Miguel de Cervantes - da “Don Chisciotte”)

 Attaccati alla vita

di Alessandro D'Avenia

28 dicembre 2020


«Non ho voglia

di tuffarmi

in un gomitolo

di strade. 


Ho tanta

stanchezza

sulle spalle. 


Lasciatemi così

come una 

cosa

posata

in un

angolo

e dimenticata. 


Qui

non si sente

altro

che il caldo buono. 


Sto

con le quattro

capriole

di fumo

del focolare». 


Così, il 26 dicembre del 1916, Giuseppe Ungaretti, ospite a Napoli da un amico, distillava in «Natale» la pace piena di ferite di qualche ora di licenza dalla cruenta guerra che stava combattendo sul Carso. Ci confida di aver bisogno di stare lontano dalle strade della festa, rimanere in un angolo, ridotto a una cosa, per riscoprire, se ancora possibile, la gioia di esistere. Il «qui» del focolare domestico si contrappone al «lì» del gelo del fronte, dove ha imparato a scrivere sulle scatole dei fiammiferi e su pezzetti di carta i versi rivoluzionari e brevissimi che tutti ricordiamo. Il poeta, spogliato della sua umanità, prova a rinascere dalla vita ferita: così il movimento gioioso delle capriole di fumo del camino si contrappone all’immobilità di chi è stato ridotto dalla guerra a una cosa disanimata. Quando la vita non ci tocca più, due sono i livelli di solitudine che attraversiamo: prima l’indifferenza verso il mondo e poi la repulsione, proprio quella descritta dai versi di «Natale», che però contiene anche il segreto per ritrovare il «tocco» della vita, il suo gusto. Una rinascita. 


Anche noi in questo Natale sentiamo sulle spalle il peso di mesi di virus. Anche noi abbiamo bisogno di guarire da una certa indifferenza, se non repulsione, entrata nei nostri corpi e nelle nostre anime. 


«Nel mio silenzio

ho scritto

lettere piene d’amore: 

non sono mai stato

tanto

attaccato alla vita» diceva Ungaretti per resistere, in una notte trascorsa accanto a un compagno morto. Lo scriveva in «Veglia», nella stessa raccolta in cui è inserita «Natale», una raccolta originariamente intitolata «Allegria di Naufragi», un paradosso che la poesia può permettersi: come può esserci gioia nel naufragio? Il poeta risponde così: «Il titolo, strano, dicono, è Allegria di Naufragi. Strano se tutto non fosse naufragio, se tutto non fosse travolto, soffocato, consumato dal tempo. Esultanza che l’attimo, avvenendo, dà perché fuggitivo, attimo che soltanto amore può strappare al tempo, l’amore più forte che non possa essere la morte. È il punto dal quale scatta quell’allegria che, quale fonte, non avrà mai se non il sentimento della presenza della morte da scongiurare». 


Ecco il paradosso: solo a stretto contatto con la morte si sperimenta che tutto è destinato a naufragare nel mare del tempo. Eppure, proprio quando sono vicine al naufragio, tutte le cose lanciano il loro SOS: in quell’attimo si aggrappano all’amore come il naufrago al salvagente. E solo l’amore può trasformare il naufragio in allegria, perché solo in quell’istante si scopre che da soli non ci si salva. 


C’è un’allegria nascosta in ogni naufragio: l’amore di cui abbiamo bisogno e che non abbiamo voluto ammettere per paura che questo significasse essere troppo fragili e vulnerabili. Abbiamo bisogno anche noi di guarire, starcene un po’ in silenzio, come una cosa posata in un angolo, senza mescolarci al groviglio della folla natalizia, e cercare ciò che ci terrà a galla: la relazione che abbiamo con le cose, con gli altri e con Dio. Relazioni che a volte sembrano diventare mute, ma il cui suono si ascolta solo se rimaniamo in un silenzio calmo, paziente e aperto al rischio di chi smette di voler dominare la vita e decide invece di ascoltarla. 


Oltre i regali potremmo cercare «sotto» l’albero le radici della nostra vita, che cosa ci rende sempreverdi. Quelle radici sono la linfa per il nostro cuore ferito, per il nostro corpo stanco, per la nostra anima disincantata. Le radici degli alberi non gelano neanche d’inverno, anche quando la neve ricopre totalmente i rami ormai spogli e apparentemente morti. Quali sono le nostre radici? Dove la vita ci tocca, ci custodisce e ci nutre? 


Questi giorni, forzosamente lontani dall’abituale «groviglio di strade» natalizie, possono essere l’occasione per raggiungere queste radici, con un esercizio di silenzio come quello descritto dal poeta: proprio nel naufragio da cui veniamo potremmo trovare l’allegria dell’amore che ci manca. La parola «natale» (dalla radice di nascere) potrebbe irradiare il suo potere tutto l’anno se ci ricordassimo che siamo fatti per nascere e non per morire. Come scriveva Rilke nelle Lettere milanesi: «Nasciamo provvisoriamente da qualche parte; solo a poco a poco componiamo in noi il luogo della nostra origine, per nascervi dopo, e ogni giorno più definitivamente». E questo comporta, come ogni nascita, un certo dolore. Anche Dio è nato come un naufrago: nudo, senza niente, se non la nostra fragile condizione umana, che da quel giorno è diventata anche divina.