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martedì 31 ottobre 2023

processo di autofagia

 Quando il corpo umano ha fame, 

mangia se stesso, 

fa un processo di purificazione, eliminando tutte le cellule malate, 

il cancro, le cellule dell'invecchiamento e l'Alzheimer.

Creazione di proteine ​​speciali che si formano solo in determinate circostanze,  e quando hanno finito, l'organismo si raccoglie selettivamente attorno alle cellule tumorali morte, le dissolve e ripristina lo stato di cui gode il corpo.  Ecco come appare il riciclaggio.  

Gli scienziati sono riusciti attraverso ricerche lunghe e specializzate che il processo di autofagia richiede condizioni insolite che costringono l'organismo a eseguire questo processo.  

Queste circostanze richiedono che una persona si astenga da cibi e bevande per 16 ore (ciclo 8/16).  

L'essere umano dovrebbe funzionare normalmente durante questo periodo.  Questo processo dovrebbe essere ripetuto per un po' di tempo per raggiungere l'organismo per il massimo utilizzo e per impedire la reazione delle cellule malate.  

Si consiglia di ripetere il processo di fame e sete due o tre giorni alla settimana.


 Yoshinori Ohsumi - Premio Nobel nel campo della fisiologia e della medicina.

sabato 28 ottobre 2023

Il Salvator Mundi di Bernini

 

Il Salvator Mundi di Bernini, nel mistero del Suo Volto

Verso la fine della sua esistenza, Bernini avvertì sempre di più la necessità di un confronto personale con il mistero divino. Da qui nacque il volto del Salvator Mundi, suo ultimo capolavoro e testamento spirituale. Gesù, avvolto in uno sfaccettato panneggio levigato, ha una precisa fisionomia e l’originalità della Sua figura ci dice tanto della Sua potenza salvifica.

CULTURA 14_11_2020

Gian Lorenzo Bernini, Salvator Mundi, Roma - Basilica di S. Sebastiano fuori le Mura

Ma quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro, e il Suo amore per gli uomini, Egli ci ha salvati, non per opere giuste da noi compiute, ma per la Sua misericordia” (Tt 3, 4-5).


All’approssimarsi della fine della sua esistenza, Gian Lorenzo Bernini (1598-1680), l’acclamato “grande regista del Barocco”, avvertì sempre più stringente la necessità di un confronto personale e sincero con il Mistero cui nell’ultimo periodo cercò di andare incontro non solo intensificando le pratiche devozionali e caritatevoli ma anche attraverso gli strumenti della sua professione. Gli diede, infine, un volto che è quello bellissimo del Salvator Mundi ora conservato in una nicchia della basilica romana di San Sebastiano fuori le Mura, sull’antica via Appia. Fu il suo ultimo capolavoro e il suo testamento spirituale.

pulsante della mondanità romana, sente, alla fine, il bisogno di meditare sulla verità ultima del suo destino: Cristo.


Gesù, avvolto in uno sfaccettato panneggio levigato, che suggerisce l’effetto della seta o del raso, ha una precisa fisionomia: gli zigomi ossuti, la fronte sfuggente e il naso allungato sono incorniciati da folti e lunghi capelli, mentre la mano destra benedicente, rivolta in direzione opposta rispetto al Suo sguardo, scartando la tradizionale ieraticità di questa iconografia, conferisce al simulacro un teatrale dinamismo.


E dice della potenza del Suo gesto, salvifico “non per opere giuste da noi compiute, ma per la Sua misericordia”.

martedì 17 ottobre 2023

 

La magia di un abbraccio, Pablo Neruda

Quanti significati sono celati dietro un abbraccio?
Che cos’è un abbraccio se non comunicare, condividere
e infondere qualcosa di sé ad un’altra persona?

Un abbraccio è esprimere la propria esistenza
a chi ci sta accanto, qualsiasi cosa accada,
nella gioia e nel dolore.

Esistono molti tipi di abbracci,
ma i più veri ed i più profondi
sono quelli che trasmettono i nostri sentimenti.

A volte un abbraccio,
quando il respiro e il battito del cuore diventano tutt’uno,
fissa quell’istante magico nell’eterno.
Altre volte ancora un abbraccio, se silenzioso,
fa vibrare l’anima e rivela ciò che ancora non si sa
o si ha paura di sapere.

Ma il più delle volte un abbraccio
è staccare un pezzettino di sé
per donarlo all’altro
affinché possa continuare il proprio cammino meno solo

domenica 15 ottobre 2023

Santa Teresina di Lisieux

 Teresa Martin, ragazza normanna, a 15 anni si è seppellita in un convento ove è morta di tubercolosi a 24 anni. Però aveva scritto a mano tre quadernetti che, pubblicati, hanno scatenato all’inizio del secolo scorso ciò che chiamarono “un uragano di gloria”. Leggendoli un papa santo, Pio X, disse che quella ragazzina era «la più grande santa dei tempi moderni», e già nel 1925 l’austero e dotto Pio XI la dichiarò santa in piazza San Pietro: santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo, carmelitana scalza. Chiuso? Macché: nel 1996 Giovanni Paolo II l’ha proclamata Dottore della Chiesa, alla pari di due sole altre donne in 2000 anni: Caterina da Siena e Teresa d’Avila. E da allora tutti i papi si sono occupati di lei. Ora papa Francesco pubblica un’esortazione apostolica dedicata a quella che tutti chiamano “la piccola” Teresa di Gesù Bambino.

Ma chi è stata, allora, questa ragazza francese? Nata nel 1873, presto orfana di madre, padre sant’uomo, ma fragile, e quattro sorelle un po’ nevrotiche. A meno di tre anni dice che si farà suora. A dieci una malattia gravissima la porta in punto di morte: guarisce di colpo e dice che la Madonna le ha sorriso. A undici anni prima Comunione: racconta di essersi “fusa” con Gesù. A quattordici anni pregando chiede a Gesù che un triplice assassino feroce, Enrico Pranzini, condannato alla ghigliottina, dia un segno di conversione. I giornali del 1° settembre 1887 raccontano: già con la testa sotto la lama, quello chiede un crocifisso e lo bacia.

Per lei è il segno decisivo e vuole andare in convento. Tutti la sconsigliano: troppo giovane. Cocciuta, va dal vescovo: niente. Chiuso? Macché. Va fino a Roma, dal Papa, e il 20 novembre 1887 si aggrappa letteralmente alle ginocchia del vecchio Leone XIII: «voglio entrare in convento!». La spunta, e l’8 aprile 1888, a quindici anni, si seppellisce al Carmelo di Lisieux: suor Teresa di Gesù Bambino. Nove anni di convento e di vita nascosta, la malattia e la morte, 30 settembre 1897. Finito? Macché! Comincia allora, e lei l’aveva detto esplicitamente: «Voglio passare il mio cielo a fare del bene sulla terra».

Gli altri riposano in pace, lei no. Quei tre quadernetti vanno stampati in tutte le lingue in milioni di copie. Prima in diocesi, poi a Roma, sono costretti a fare i conti con lei. Decine di migliaia di grazie, centinaia di richieste di riconoscimento di miracolo, tutto pubblico, tutto agli atti nero su bianco. Come una “pioggia di rose”. Perciò, anche esagerando, l’hanno chiamata “la santa delle rose”.

La prima pagina del manoscritto con l’Atto di offerta all’Amore Misericordiosoredatto da santa Teresa di Lisieuxil 9 giugno 1895

La prima pagina del manoscritto con l’Atto di offerta all’Amore Misericordiosoredatto da santa Teresa di Lisieuxil 9 giugno 1895 - -

Ma c’era altro. In quei tre quadernucci la Chiesa cattolica ha trovato una vera lezione per tutti. Eccola: Dio vuole che l’uomo diventi Dio, con Lui, e che ami gli uomini, tutti, con il suo stesso Amore che chiede soltanto di invadere l’umanità intera. Ed è l’amore che fa muovere il mondo. E Dio è il destino di tutti, anche e soprattutto dei peccatori, degli ultimi, dei dubbiosi, dei lontani. Lei si è dichiarata sorella degli atei e dei disperati, annunciando che tutti, anche i delinquenti più feroci, se si lasciano invadere dal perdono e dall’amore di Dio, possono essere felici fin da questa vita, e poi definitivamente nell’altra.

La seconda pagina del manoscritto con l’Atto di offerta all’Amore Misericordiosoredatto da santa Teresa di Lisieuxil 9 giugno 1895

La seconda pagina del manoscritto con l’Atto di offerta all’Amore Misericordiosoredatto da santa Teresa di Lisieuxil 9 giugno 1895 - -

La religione che ha vissuto e descritto lei, avendo come unico maestro Gesù, non è l’oppio del popolo, ma la felicità offerta realmente a tutti. Una pazza? Una visionaria? Un’esaltata? No. Una piccola ragazza francese è diventata una gigante, e i grandi l’hanno presa sul serio, da Paul Claudel a Joseph Roth, che l’ha messa al centro della sua “Leggenda del Santo Bevitore”, da Gilbert Cesbron a giganti della teologia come Hans Urs von Balthasar. E infine Giovanni Paolo II l’ha messa in cattedra: Dottore della Chiesa. Benedetto XVI l’ha proclamata maestra dei teologi, e papa Francesco le ha dedicato in questi giorni un’intera esortazione apostolica. Una lezione per tutti. Teresa Martin, ragazza normanna, testa dura e cuore grande, ha scritto che bisogna camminare nella luce, e ha insegnato che Dio, l’amore, la felicità, è a portata di tutti

giovedì 12 ottobre 2023

un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio

 Ti prometto una cosa, Dio, soltanto una piccola cosa: cercherò di non appesantire l’oggi con i pesi delle mie preoccupazioni per il domani – ma anche questo richiede una certa esperienza. Ogni giorno ha già la sua parte. Cercherò di aiutarti affinché tu non venga distrutto dentro di me, ma a priori non posso promettere nulla. Una cosa, però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi. L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini. (…) Esistono persone che all’ultimo momento si preoccupano di mettere in salvo aspirapolveri, forchette e cucchiai d’argento – invece di salvare te, mio Dio. E altre persone, che sono ormai ridotte a semplici ricettacoli di innumerevoli paure e amarezze, vogliono a tutti i costi salvare il proprio corpo. Dicono: me non mi prenderanno. Dimenticano che non si può essere nelle grinfie di nessuno se si è nelle tue braccia. Comincio a sentirmi un po’ più tranquilla, mio Dio, dopo questa conversazione con te. Discorrerò con te molto spesso, d’ora innanzi, e in questo modo ti impedirò di abbandonarmi. Con me vivrai anche tempi magri, mio Dio, tempi scarsamente alimentati dalla mia povera fiducia; ma credimi, io continuerò a lavorare per te e a esserti fedele e non ti caccerò via dal mio territorio.”


Etty Hillesum (1914-1943), Diario 1941-1943, Milano, Adelphi, 1985

Augusto Bissiri, il sardo che inventò la televisione.

 Il 10 settembre 1879, nasce Augusto Bissiri, il sardo che inventò la televisione.


Quasi tutti l'hanno dimenticato ma fu un inventore sardo, Augusto Bissiri, a ideare l'antenato della televisione, capace di trasmettere immagini da una parte all'altra del mondo.


Augusto Bissiri nasce a a Seui da Giovanni Bissiri e Maria Luigia Caredda, il padre faceva il segretario comunale, il fratello Attilio fu come lui un brillante scienziato inventore. 


Resterà a Seui sino alle scuole secondarie, mentre le scuole superiori le farà a Cagliari. 


Andrà poi a Roma per studiare Giurisprudenza e mentre studia inizia ad appassionarsi di fumetti e novelle di fantasia che lui stesso realizza e che spesso gli verranno pubblicate con successo ne La Domenica del Corriere. 


Pian piano scopre di avere un'attitudine per la meccanica; a questa disciplina inizia ad applicarsi con particolari accorgimenti che pian piano prenderanno forma in vere e proprie invenzioni. 


Nel 1900 balza agli onori della cronaca per via di una sua particolare invenzione, un particolare congegno che oltre che dare allarme impediva lo scontro fra treni che transitavano nello stesso binario


Il brevetto viene subito acquisito dalla Società Statunitense Westinghouse Electric Company; inoltre tale scoperta viene messa subito in pratica da Luigi Merello, gestore delle Tranvie del Campidano, su un piccolo trenino a vapore che collegava Cagliari a Quartu. 


Siamo nel 1905 quando decide, insieme alla sua famiglia, di partire alla volta delle Americhe, stabilendosi per diverso tempo a New York, dove lavorerà presso diverse case discografiche e imprese grafiche. 

Ma fu nel 1906, un anno dopo il suo arrivo in America, che Bissiri progettò l’invenzione destinata a entrare nella storia: presso la sede del quotidiano “New York Herald” lo scienziato riuscì, attraverso un macchinario di sua creazione chiamato “Live Picture Production”, a trasmettere un’immagine fotografica da una stanza all’altra. 


La notizia si diffuse e fece rimbalzare il suo nome su tutti i quotidiani dell’epoca; persino il sindaco di New York gli dedicò una targa, tutt’ora conservata a Seui presso la Casa Farci. 


Ma le sue ricerche non terminarono qua. Bissiri continuò a perfezionare il progetto e, nel 1917, riuscì ad ottenere un altro straordinario risultato: teletrasmettere via cavo alcune immagini dalla redazione del quotidiano London Daily Mail di Londra alla sede newyorkese del New York Times. 


Era ufficiale: il tubo catodico aveva appena visto la luce e Bissiri ne registrò il brevetto il 7 agosto 1922.


Tutta la sua vita fu dedicata alla ricerca tecnologica, come dimostrano le tante apparecchiature da lui realizzate: congegni a pedale per girare le pagine degli spartiti musicali, posacenere con spegnimento automatico dei mozziconi, strumenti per la registrazione vocale, nonché una sorta di cerbottana per il lancio di piccoli aerei di legno e un dispensatore di palline a moneta.


Nel 1968 Bissiri si spense nella sua casa di Los Angeles e lentamente la sua figura venne dimenticata.


Negli stessi ambienti sardi in cui era stato ampiamente celebrato dopo l’invenzione del “Live Picture Production” (leggiamo sull’Unione Sarda del 22 maggio 1906 “Ai valorosi che, come il giovane Bissiri, per il bene dell’umanità si sacrificano, vada il nostro plauso e la nostra ammirazione”) non si parlò quasi più di lui. 


Solo a Seui, dove a lui e al fratello Attilio è intitolato il Liceo Scientifico, il ricordo di questo illustre cittadino è ancora vivo.


Fonti:

https://www.treccani.it/enciclopedia/augusto-bissiri/

Wikipedia

Vistanet


Testo a cura di Ornella Demuru


Augusto Bissiri, un vero e proprio genio sardo

Genio, un termine che viene spesso utilizzato in modo abusivo, beh, non é questo il caso, Augusto Bissiri é stato senza dubbio un vero e proprio genio sardo.

Nasce a Cagliari, e non a Seui come molti erroneamente affermano, il 10 settembre 1879. 

Seui, paesino della Barbagia, trascorre infanzia e adolescenza in compagnia della sua numerosa famiglia.

A Seui, Augusto rimane per tutto il periodo di istruzione primaria, successivamente si trasferisce a Cagliari, dove frequenta il liceo Dettori.

Nel 1900 si iscrive in legge a Cagliari ma dopo brevissimo tempo si trasferisce a Roma dove continua il suo percorso di studi, che non riguarderanno mai il campo ingegneristico.

Nella città eterna, Augusto Bissiri, si laurea in legge nel 1904 e nel mentre comincia a coltivare la passione per la tecnica, le scienze e la scrittura che fin da bambino lo caratterizzava.

Nel 1905 si trasferisce in California, dove registra numerosi brevetti.

In foto, l’illustrazione del brevetto di Bissiri del 1925 denominato “Live Picture Production”, dedicato alla produzione di immagini in movimento, il padre della telecamera.

Nel 1917 Augusto Bissiri, riesce a teletrasmettere via cavo alcune immagini dalla redazione del ‘Daily Mail’ a quella del ‘New York Times’, un passo fondamentale verso il brevetto del ‘Live Picture Production’ del 1925, incredibile, Augusto riesce a trasmettere un’immagine fotografica da Londra e New York. La notizia in pochi giorni fa il giro del mondo.

Un primo passo rivoluzionario nel mondo delle telecomunicazioni, Bissiri getta le fondamenta di quella invenzione che oggi conosciamo come televisione, il seuese é mito

Questa invenzione lo porterà a collaborare con diverse aziende di apparecchi teletrasmittenti, facendo altre scoperte legate ai tubi catodici e ai cinescopi, tanti dei quali sino a poco tempo fa conservavano ancora la sua firma.

Muore a Los Angeles nel 1968.

Tra i brevetti depositati negli States si scoprono altre invenzioni di Bissiri: uno sfogliatore di spartiti (1906), una pulitrice automatica per dischi telefonici (1930), un sistema per spegnere le sigarette con una sferetta piena d’acqua (1935), un dispensatore automatico di palline a moneta (1936).

domenica 8 ottobre 2023

Pensiero

 

Coloro che non sono innamorati della bellezza  della giustizia e della sapienza sono incapaci di pensiero.

 Hannah  Arendt

martedì 3 ottobre 2023

"vi lascio in eredità il possedimento della povertà e della pace"

 Notte del Transito di frate Francesco ✨🪔 "vi lascio in eredità il possedimento della povertà e della pace"


"Egli, (san Francesco) del resto, aveva conosciuto molto tempo prima il  momento del suo transito.


"Quando il giorno della morte fu imminente, disse ai frati che presto doveva deporre il tabernacolo del proprio corpo, come gli era stato mostrato da Cristo.

Erano passati due anni dall' impressione delle stimmate e vent'anni dalla sua conversione. 

Egli chiese che lo portassero a Santa Maria della Porziuncola: 

Voleva pagare il suo debito alla morte e avviarsi al premio della ricompensa eterna, proprio là dove, ad opera della Vergine Madre di Dio, aveva concepito lo spirito di perfezione e di grazia. 

Condotto al luogo predetto, per mostrare con l'autenticità dell'esempio che nulla egli aveva in comune col mondo, durante quella malattia che mise fine a ogni infermità, si pose tutto nudo sulla terra: voleva, in quell'ora estrema, lottare nudo con il nemico nudo.


Giacendo, così denudato, nella polvere della terra, I'atleta di Cristo con la mano sinistra ricoprì la ferita del fianco destro, che non si vedesse, e, levata al cielo, secondo il suo solito, la serena faccia, tutto teso a quella gloria, incominciò a magnificare l'Altissimo, perché (sciolto da tutto) liberamente ormai stava per passare a Lui.

 Finalmente, quando sovrastava ormai l'ora del suo trapasso, fece venire a sé tutti i frati che dimoravano nel luogo e, consolandoli della sua morte con parole carezzevoli, li esortò con affetto paterno all'amore di Dio.


Inoltre lasciò loro in testamento, per diritto di successione, il possedimento della povertà e della pace e li ammonì premurosamente a tenersi fissi alle realtà eterne e a premunirsi contro i pericoli di questo mondo; li indusse, con le parole più efficaci che poté, a seguire perfettamente le orme di Gesù crocifisso.


E mentre i figli stavano tutt'intorno a lui, il patriarca dei poveri, con gli occhi ormai offuscati, non per la vecchiaia ma per le lacrime, I'uomo santo, quasi cieco e ormai prossimo a morire, incrociò le braccia e stese su di loro le mani in forma di croce (aveva sempre amato questo gesto) e benedisse tutti i frati, presenti e assenti, nella potenza e nel nome del Crocifisso.

Chiese, poi, che gli venisse letto il Vangelo secondo Giovanni, a incominciare dal versetto: 

Prima del giorno della  Pasqua:  voleva sentire in esso la voce del Diletto che bussava, dal quale lo divideva ormai soltanto la parete della carne. Finalmente, siccome si erano compiuti in lui tutti i misteri, pregando e salmeggiando l'uomo beato s'addormentò nel Signore. 

E quell'anima santissima, sciolta dalla carne, venne sommersa nell'abisso della chiarità eterna.

In quello stesso momento uno dei suoi frati e discepoli veramente famoso per la sua santità, vide quell'anima beata salire direttamente in cielo: aveva la forma di una stella fulgentissima, e una nuvoletta candida la sollevava al di sopra di molte acque: quell'anima, fulgida per il candore della coscienza e risplendente di meriti, veniva portata in alto dalla sovrabbondanza della grazia e delle virtù deiformi; perciò non si poteva, per lei, neppure un poco, ritardare la visione della luce celeste e della gloria.

Così pure: I'allora ministro dei frati nella Terra di Lavoro, che si chiamava Agostino, uomo caro a Dio, si trovava in punto di morte. 

Pur avendo perso ormai da tempo la parola, improvvisamente esclamò, in modo che tutti i presenti lo sentirono:

"Aspettami, Padre, aspetta! 

Ecco: sto già venendo con te!" Siccome i frati chiedevano, stupiti, a chi stava parlando in quella maniera, egli affermò di vedere il beato Francesco che stava andando in cielo; e subito, detto questo, anche lui felicemente spirò.

Nella medesima circostanza, il vescovo d'Assisi si trovava al santuario di San Michele sul monte Gargano:

 il beato Francesco gli apparve, tutto lieto, nel momento del suo transito e gli disse che stava lasciando il mondo per passare gioiosamente in cielo. 

Al mattino, il vescovo, alzatosi, raccontò ai compagni quanto aveva visto e, ritornato ad Assisi indagò sollecitamente e riscontrò con certezza che il beato Padre era uscito da questa vita nel momento in cui glielo aveva notificato per visione."


Fonti Francescane

lunedì 2 ottobre 2023

La compassione

 a riflettere un istante proprio sul significato della compassione. Paradossalmente, il padre ha ragione nel considerarla una forma di debolezza. Infatti la compassione è l'incapacità di resistere al dolore e alla gioia dell'altro, specialmente quando l'altro è portatore di uno svantaggio, di un bisogno, di una mancanza. Saper intercettare il dolore altrui è il grande dono della compassione, ma questo dono è a doppio taglio. Infatti, in un mondo dove si vince accelerando il passo, il compassionevole non riesce a passare oltre e molto spesso rallenta il suo vivere, apparendo agli occhi degli altri come chi ha perso tempo prezioso. Chi ha compassione è sempre in perdita perché dà del suo per supplire a ciò che non c'è.

L.M. Epicoco

INFIAMMAZIONE CRONICA DI BASSO GRADO

 

INFIAMMAZIONE CRONICA DI BASSO GRADO: QUALI ESAMI?
corpo (intestino)
29 settembre 2023
Infiammazione cronica di basso grado: quali esami? | Stefano Manera Blog

Come ho spiegato nel mio articolo Infiammazione cronica di basso grado, l’infiammazione sistemica cronica di basso grado è una condizione silente e molto subdola perché crea le basi per la maggior parte delle patologie.
Molti pazienti chiedono se sia possibile rilevarla e misurarla.


La risposta è "sì è possibile", e ci sono diversi modi per farlo, ma è importante ricordare che i biomarcatori utilizzati non sono tutti sensibili e affidabili allo stesso modo.
È importante ricordare anche che i classici esami utilizzati per rilevare l’infiammazione acuta non servono per captare l’infiammazione cronica.
Il messaggio fondamentale è questo: misurare l’infiammazione cronica di basso grado ci deve poter permettere di agire in modo da prevenire i danni prima che si verifichino e, come sappiamo, la prevenzione è in assoluto il primo obiettivo della medicina funzionale.


Velocità di eritrosedimentazione (VES): è un indicatore non specifico di infiammazione e indica la velocità con cui la parte corpuscolata del campione di sangue prelevato si sedimenta alla base della provetta.
Questo indice aumenta in presenza di patologie infettive e infiammatorie (come l’artrite reumatoide), ma anche in presenza di altre patologie come infarto del miocardio, anemia, tumori, eccetera.
Quando la VES aumenta significa che il danno d’organo è già presente e, di solito, di una certa entità.
La VES è una misura indiretta delle concentrazioni di proteine plasmatiche ad azione pro-infiammatoria ed è influenzata da una serie di stati patologici.
Poiché la VES dipende da diverse proteine con emivite variabili, la velocità aumenta e diminuisce più lentamente rispetto alla PCR.


Proteina C Reattiva (PCR): è un buon indicatore di infiammazione cronica ed è molto utilizzata in medicina
funzionale
.
Essa è una proteina prodotta dal fegato in elevate quantità durante un processo infiammatorio.
È possibile rilevarla con un semplice esame del sangue periferico (di solito, i valori di riferimento della PCR sono inferiori a 5-10 mg/L).
Come la VES però, anche la PCR indica un danno già avvenuto e rileva l’infiammazione acuta, mentre è poco sensibile per quella cronica di basso grado.

Più indicativo è il test per la proteina C-reattiva ad alta sensibilità, utilizzata ad esempio in cardiologia per valutare il rischio di eventi cardiovascolari.


Altri markers di infiammazione includono l’amiloide sierica Ale citochine (come l’IL-6 e il TNF-α), la ferritinala glicoproteina alfa-1-acida, la viscosità plasmatica, la ceruloplasmina, l’epcidina e l’aptoglobina.
Tuttavia, l’alto costo, la disponibilità limitata e la mancanza di standardizzazione possono limitare l’uso clinico pratico di questi marcatori nella valutazione dell’infiammazione.
La ferritina elevata, ad esempio, può indicare la presenza di un'infiammazione, tuttavia è un marcatore non specifico e un suo incremento può essere presente anche durante infezioni e patologie oncologiche.

 

Anche il "semplice" emocromo può dare informazioni circa la presenza o meno di un quadro infiammatorio cronico.
È importante dire che oggigiorno la lettura attenta dell’emocromo è sempre meno diffusa, e questo per due motivi:
     1. sempre meno medici dedicano del tempo alla lettura dell’emocromo;
     2. sempre meno medici sanno leggere l’emocromo in maniera approfondita.


Per avere misurazioni più precise e affidabili circa lo stato infiammatorio bisogna considerare una diagnostica più sofisticata, come il rilevamento ematico di alcune specifiche citochine.
Le citochine sono mediatori che fungono da segnali di comunicazione fra le cellule del sistema immunitario e tra queste e i diversi organi e tessuti.
Alcune citochine hanno un effetto pro-infiammatorio, come l’IL-6 (interleuchina 6), la più citata in letteratura.
L’IL-6 viene prodotta da cellule del sistema immunitario ed è un marcatore della sua attivazione perché aumenta in presenza di infiammazione.
Anche in questo caso i suoi livelli spesso sono associati a varie malattie (autoimmuni, cardiovascolari, tumori) e spesso viene misurata in pazienti con diabete e altri fattori di rischio cardiovascolare.


Oltre all’IL-6 si possono misurare i livelli plasmatici di altre citochine infiammatorie, come il TNF e la IL-1β.
Trattandosi però di misurazioni molto costose, esse non trovano un utilizzo frequente nella pratica clinica.
Da considerare anche la recente introduzione di test che misurano i livelli salivari di queste citochine, ma ad oggi, mancano ancora dati da studi clinici su casistiche importanti.


Oggi è possibile considerare l’indagine genetica attraverso la ricerca di specifici polimorfismi genetici.
È possibile ricercare quelli che codificano, per esempio, per la già citata IL-6, per l’IL-10, il TNF e la IL-1β.
Io ad esempio utilizzo spesso questa metodica di ricerca per i miei pazienti e penso che nel prossimo futuro potrebbero diventare esami di routine.
Inoltre, la ricerca dei polimorfismi genetici rappresenta l’esame più indicato in un contesto di prevenzione primaria.


Come si può vedere, non esistono dei veri e propri esami biochimici specifici che ci permettono di
diagnosticare con certezza un quadro di infiammazione sistemica cronica di basso grado
.
In questo caso, sarà importante incrociare i dati anamnestici con la ricerca di opportuni markers.
Ovviamente un medico esperto, disponendo di tutti questi dati, potrà porre una diagnosi con un elevato grado di accuratezza e indicare la terapia più opportuna per quello specifico caso clinico.




domenica 1 ottobre 2023

Dostoevskij Einstein

 "Dostoevskij mi dà più di qualsiasi pensatore scientifico, più di Gauss. Dostoevskij ci ha mostrato la vita, ma il suo obiettivo era attirare la nostra attenzione sul mistero dell'esistenza mentale. Ero entusiasta di leggere I fratelli Karamazov. Questo è il libro più impressionante su cui abbia mai messo le mani. "


- Albert Einstein

Abbiamo spostato sul corpo una questione che riguarda l'anima

 Si può essere vecchi anche se si è anagraficamente giovani, e si può restare giovani anche se si è anagraficamente vecchi. La vera domanda rimane riguarda le nostre attese, non il nostro corpo. Se non c'è più nulla da attendere cosa rimane del presente? Cancellare una ruga è un'illusione o una soluzione? Questo è uno dei tanti dilemmi della nostra contemporaneità. Abbiamo spostato sul corpo una questione che riguarda l'anima. È infatti in noi che si costruiscono le nostre attese. Combattiamo la morte cancellando il passaggio del tempo sul nostro corpo ma non ci domandiamo quasi mai che cosa il tempo ha lasciato dentro di noi. Non si tratta di moralizzare la questione estetica, ma di recuperare profondità su ciò che non può riguardare semplicemente la superficie del nostro corpo. Il cinismo e il disincanto che si sedimentano in noi sono la vera vecchiaia che dovremmo temere. Aver cura di sé è una linea sottile che non di rado può diventare accanimento di sé. Infatti ogni bene sa manifestare la sua onda benefica quando accompagna ma non stravolge. Certe scelte che riguardano il nostro corpo sono il chiaro segno della fatica che facciamo a convivere con l'idea della morte. Invece non esiste nessun altro modo di fronteggiare la morte se non vivere, opporle una vita viva, non un semplice corpo.

L.M. Epicoco

Parola- silenzio

 Ma ogni parola è come una nota musicale, per risplendere in tutta la sua bellezza ha bisogno di silenzio e di armonia. Il silenzio non è vuoto, ma ascolto. Se solo avessimo la percezione di quanto possa essere salvifica una parola messa al posto giusto, o un silenzio usato nel momento giusto. Se solo avessimo la percezione di quanto alcune parole feriscano a morte e alcuni silenzi pesino come macigni.

L.M.Epicoco