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martedì 31 maggio 2022

I giorni della prova

 I giorni della prova

Fui portato in una stanza del carcere, la numero dieci. Qui sarei rimasto tutto solo, soltanto con Dio e con il mio angelo custode fino al giorno della mia liberazione. Tre anni di isolamento, di penitenza, di preghiera e di tanti sacrifici. Andavo a letto alle ore 10,00 di sera; la sveglia era alle 5,00 del mattino; dovevo stare seduto sul letto e non sdraiato, potevo fare la solita passeggiata nella camera con tante buche e con l’umidità; quando veniva l’agente segreto della milizia rumena, dovevo stare con la faccia rivolta al muro. Egli apriva la porta per darmi qualcosa come il piatto di cibo, scarsissimo, o per vietarmi di parlare con qualcuno. Potevo farlo solo quando mi veniva chiesto. Era proibito avere carta, penna, ago ,filo e anche leggere. Trovandomi in questa difficile situazione, mi feci un programma rigoroso di preghiera e di meditazione. Dal momento che ero sacerdote dal 1937, conoscevo bene tutti i Vangeli delle domeniche. Avevo presente il materiale delle omelie nella mente, tutto pronto per essere meditato. Guardavo ogni sera il cielo dalla finestra e, dal movimento della luna, sapevo quando era la Pasqua e quindi quando era domenica. Facevo quasi un’ora e mezzo di meditazione, recitavo tre rosari meditati per intero, ogni giorno, recitavo le preghiere della Santa Messa che avevo imparato a memoria, facevo la Via Crucis passeggiando per la camera e fermandomi alle quattordici croci che avevo graffiato con le unghie sul muro. Due volte al giorno facevo uno scrupoloso esame di coscienza di almeno mezz’ora. In ogni momento sapevo benissimo quel che pensavo e che cosa mi piaceva o dispiaceva. Invece di cadere nella disperazione, incoraggiavo me stesso e mi preparavo per quello che Dio avrebbe voluto da me nel futuro. Certamente ebbi sufficiente tempo per ricordarmi di tutto il bene e il male che avevo fatto nella mia vita, dispiacendomi del male fatto e impegnandomi soltanto per il bene nel futuro. Per questo non si meravigli nessuno per quel che sto per dire: lo dico sinceramente e solo a Dio sia lode e gloria! Avevo una pace interiore così grande che, personalmente, se avessi avuto il Breviario e la Santa Messa, come anche un po’ più di cibo, non sarei voluto mai più andar via! Pensavo soprattutto in quanti posti della terra, a volte pericolosi e rischiosi, deve combattere l’uomo libero nella sua vita e quante sono le cose davvero necessarie per sentirsi bene e veramente realizzato, nel momento in cui ci si abbandona totalmente nelle mani di Dio. 

(p. Gheorghe Patrascu, I giorni della prova e della grazia, Serafica)

Io sono così

 

Io sono così

Quando tu riesci a non aver più un ideale,perché osservando la vita sembra un enorme pupazzata,

senza nesso, senza spiegazione mai;
quando tu non hai più un sentimento,
perché sei riuscito a non stimare,
a non curare più gli uomini e le cose,
e ti manca perciò l’abitudine, che non trovi,
e l’occupazione, che sdegni
– quando tu, in una parola, vivrai senza la vita,
penserai senza un pensiero,
sentirai senza cuore –
allora tu non saprai che fare:
sarai un viandante senza casa,
un uccello senza nido.
Io sono così.

L. Pirandello

venerdì 27 maggio 2022

Tutto è vanità

 Vanità di vanità.

Ogni cosa è vanità.
Tutto il Mondo, e ciò che ha
Ogni cosa è vanità.

Se del mondo i favor suoi
T’alzeran fin dove vuoi.
Alla morte, che sarà?
Ogni cosa è vanità.

Se regnassi ben mill’anni
Sano, lieto, senz’affanni.
Alla morte, che sarà?
Ogni cosa è vanità.

Se tu avessi d’ogn’intorno
Mille servi, notte e giorno,
Alla morte, che sarà?
Ogni cosa è vanità.

Se tu avessi più soldati
Che non ebbe Serse armati,
Alla morte, che sarà?
Ogni cosa è vanità.

Se tu avessi ogni linguaggio,
E tenuto fossi saggio,
Alla morte, che sarà?
Ogni cosa è vanità.

Se starai con tutti gli agi,
Nelle Ville, e ne’ Palagi,
Alla morte, che sarà?
Ogni cosa è vanità.

E se in feste, giuochi e canti
Passi i giorni tutti quanti,
Alla morte, che sarà?
Ogni cosa è vanità.

Sazia pur tutte tue voglie
Sano, allegro e senza doglie,
Alla morte, che sarà?
Ogni cosa è vanità.

Dunque a Dio rivolgi il cuore,
Dona a lui tutto il tuo amore,
Questo mai non mancherà,
Tutto il resto è vanità.

Se godessi a tuo volere
Ogni brama, ogni piacere,
Alla morte, che sarà?
Ogni cosa è vanità.

Se tu avessi ogni tesoro
Di ricchezze, argento ed oro.
Alla morte, che sarà?
Ogni cosa è vanità.

Se vivessi in questo mondo
Sempre lieto, ognor giocondo,
Alla morte, che sarà?
Ogni cosa è vanità.

Se lontan da pene e doglie
Sfogherai tutte tue voglie,
Alla morte, che sarà?
Ogni cosa è vanità.

Se qua giù starà il tuo cuore
Giubilando a tutte l’ore,
Alla morte, che sarà?
Ogni cosa è vanità.

Dunque frena le tue voglie,
Corri a Dio, che ognor t’accoglie,
Questo mai non mancherà.
Tutto il resto è vanità.

(San Filippo Neri. Da Giuseppe De Libero, Vita di S. Filippo Neri, Apostolo di Roma, Ed. Oratorio di Roma, 1960, pp.191 s.. Testo raccolto a cura di Giuliano Zoroddu)

sabato 21 maggio 2022

 Io sono un uomo nuovo

Talmente nuovo che è da tempo

Che non sono neanche più fascista

Sono sensibile e altruista orientalista

Ed in passato sono stato un po' sessantottista

Da un po' di tempo ambientalista

Qualche anno fa nell'euforia mi son sentito

Come un po' tutti socialista

Io sono un uomo nuovo

Per carità lo dico in senso letterale

Sono progressista

Al tempo stesso liberista antirazzista

E sono molto buono sono animalista

Non sono più assistenzialista

Ultimamente sono un po' controcorrente

Son federalista

Il conformista

È uno che di solito sta sempre dalla parte giusta

Il conformista

Ha tutte le risposte belle chiare dentro la sua testa

È un concentrato di opinioni

Che tiene sotto il braccio due o tre quotidiani

E quando ha voglia di pensare pensa per sentito dire

Forse da buon opportunista

Si adegua senza farci caso

E vive nel suo paradiso

Il conformista

È un uomo a tutto tondo che si muove

Senza consistenza il conformista

S'allena a scivolare dentro il mare della maggioranza

È un animale assai comune

Che vive di parole da conversazione

Di notte sogna e vengon fuori i sogni di altri sognatori

Il giorno esplode la sua festa

Che è stare in pace con il mondo

E farsi largo galleggiando il conformista

Il conformista

Io sono un uomo nuovo

E con le donne c'ho un rapporto straordinario

Sono femminista

Son disponibile e ottimista europeista

Non alzo mai la voce sono pacifista

Ero marxista-leninista

E dopo un po' non so perché mi son trovato

Cattocomunista

Il conformista

Non ha capito bene che rimbalza meglio di un pallone il conformista

Areostato evoluto che è gonfiato dall'informazione

È il risultato di una specie

Che vola sempre a bassa quota in superficie

Poi sfiora il mondo con un dito e si sente realizzato

Vive e questo già gli basta

E devo dire che oramai

Somiglia molto a tutti noi il conformista

Il conformista

Io sono un uomo nuovo

Talmente nuovo che si vede a prima vista

Sono il nuovo conformista

venerdì 20 maggio 2022

 .


Il "cuore": la sete di felicità, il desiderio di non sprecare la vita, ma anzi di trovare uno scopo. Lo dice bene 

:

 «Bisogna proporre un fine alla propria vita per viver felice [...].Io non ho potuto mai concepire che cosa possano godere, come possano viver quegli scioperati e spensierati che (anche maturi o vecchi) passano di godimento in godimento, di trastullo in trastullo, senza aversi mai posto uno scopo a cui mirare abitualmente, senza aver mai detto, fissato, tra se medesimi: a che mi servirà la mia vita? Non ho saputo immaginare che vita sia quella che costoro menano, che morte quella che aspettano» (Zibaldone  p. 4518).


Il "cuore", la mendicante domanda del "Cieco" di Pascoli che intuisce di essere guardato dal Mistero: "Chi che tu sia, rivela chi sei!"

giovedì 19 maggio 2022

 "La bellezza salverà il mondo" questa è la famosa frase non pronunciata (?) dal  principe Myškin ne "L'idiota" di Dostoevskij ma così recitata ...

«Di che cosa avete parlato? È vero principe che una volta avete detto che la “bellezza salverà il mondo”? Signori» prese a gridare a tutti, «il principe afferma che la bellezza salverà il mondo! ed io affermo che idee così frivole sono dovute al fatto che in questo momento egli è innamorato. Signori, il principe è innamorato, non appena è arrivato, me ne sono subito convinto. Non arrossite principe, mi impietosite. Quale bellezza salverà il mondo?»

A rivolgere queste parole al principe Miškin, protagonista del romanzo, è il giovane tormentato Ippolit. 

Formulate peraltro nei termini di un interrogativo, esse chiamano in causa la questione di un riscatto del mondo, il suo possibile affrancamento dal male, rappresentato nel romanzo dalla cappa di violenza e di morte che aleggia su vicende amorose insieme ingenue e torbide, destinate a precipitare nella tragedia da un momento all’altro. Che si possa redimere una condizione compromessa come il ‘mondo’ che Dostoevskij tratteggia nelle trame cupe dei suoi romanzi, resta il tema di un vero enigma, sospeso peraltro alla natura della ‘bellezza’ che viene chiamata in suo soccorso. Cosa significa qui ‘bellezza’?

F. M. Dostoevski, "L'Idiota"

______________

Lo stesso autore, nel suo ultimo romanzo, sullo stesso tema così si esprime, attraverso una frase di Dimitri Karamazov

"...La bellezza è una cosa terribile e paurosa. Paurosa, perché è indefinibile, e definirla non si può, perché Dio non ci ha dato che enigmi. Qui le due rive si uniscono, qui tutte le contraddizioni coesistono. Io, fratello, sono molto ignorante, ma ho pensato molto a queste cose. Quanti misteri! Troppi enigmi sulla terra opprimono l’uomo. Scioglili, se puoi, e torna salvo alla riva. La bellezza! Io non posso sopportare che un uomo, magari di cuore nobilissimo e di mente elevata, cominci con l’ideale della Madonna e finisca con l’ideale di Sodoma. Ancora più terribile è quando uno ha già nel suo cuore l’ideale di Sodoma e tuttavia non rinnega nemmeno l’ideale della Madonna, anzi, il suo cuore brucia per questo ideale, e brucia davvero, sinceramente, come negli anni innocenti della giovinezza. No, l’animo umano è immenso, fin troppo, io lo rimpicciolirei. Chi lo sa con precisione cos’è? Lo sa il diavolo, ecco! Quello che alla mente sembra un’infamia, per il cuore, invece, è tutta bellezza. Ma c’è forse bellezza nell’ideale di Sodoma? Credimi, proprio nell’ideale di Sodoma la trova l’enorme maggioranza degli uomini! Lo conoscevi questo segreto, o no? La cosa paurosa è che la bellezza non solo è terribile, ma è anche un mistero. E’ qui che Satana lotta con Dio, e il loro campo di battaglia è il cuore degli uomini. Già, la lingua batte dove il dente duole…E ora veniamo al fatto. Ascolta...”

- Fedor Dostoevskij da "I Fratelli Karamazov"

Commento:

Quale Bellezza salverà il mondo? "L'Idiota" di Dostoevskij e un difficile enigma, una interessante riflessione di Andrea Oppo del 26-5-2018 ed altri articoli da me raccolti...

http://www.gliscritti.it/blog/entry/4500

http://www.educational.rai.it/.../80608...

https://www.vitaepensiero.it/news-consigli-di-lettura...

Interessante, ancora, questa riflessione di Don Francesco Toffoli, tratta, in sintesi, da un suo articolo:

Curiosamente, negli infiniti salotti del romanzo, il principe non pronuncia mai quella frase direttamente, ma ogni volta gli interlocutori la riferiscono per sentito dire: “È vero che lei, principe, una volta ha detto…?” ecc. 

Sembra sempre che non c’entri nulla con le situazioni reali, una frase lontana buttata lì, che pure alla fine di tutto assume un peso specifico enorme.

Il romanzo ci aiuta poco a capirne il senso in maniera diretta. La narrazione invece, spietatamente, conduce in una sola direzione: il fallimento.

La bontà del principe si rivolge a tutto e a tutti in uguale misura, i rapporti umani sono l’unico interesse da cui sia preso pienamente e, per quanto “idiota” in teoria, capisce ogni cosa al primo colpo, le sue parole sono lucide intuizioni e profezie. Parimenti gli altri capiscono tutto: capiscono la sua “idiozia”, capiscono l’assoluta superiorità d’intelletto. Hanno davanti il più idiota e il più intelligente fra gli uomini. Ma è qui che la potente ombra che soggiace a tutta la spiritualità russa e slava in genere viene fuori con prepotenza devastante, nell’autore che più d’ogni altro ha saputo darle voce. Il “sottosuolo” dostoevskiano – così bene descritto da Ròzanov e Šestòv – è fatto di urla, lamenti, un caos primordiale che non accetterà mai d’esser sottomesso a un ideale, seppure di bellezza assoluta.

Il principe puro s’immerge nel fango per sua scelta ma è il fango a trascinarlo con sé, contro la sua volontà. Non basta scorgere la bellezza profonda di Nastasja Filippovna per salvarla, così per Aglaja o Rogožin. E la Spiegazione di Ippòlit è la denuncia più lucida che ci sia, in pieno stile Ivan Karamazov, dell’ingiustizia essenziale del mondo di quaggiù e della non disponibilità della “parte lesa” ad alcun compenso parziale. La sofferenza è sofferenza, non sarà un’idea qualunque a redimerla. Fosse anche la più perfetta tra le idee: come la bontà e la bellezza assolute.

Su questo passo il romanzo diventa un gran guazzabuglio in cui tutto risulta ambiguo: l’amore del principe per Nastasja e Aglaja, la sua virilità, la loro stessa “bellezza”, le vere intenzioni del principe e il dubbio se alla fine egli porti più conforto o disperazione. Il dubbio se la bellezza cosiddetta “pneumofora” nella tradizione russa, la bellezza che ha il potere di instaurare l’armonia nel mondo, rappresenti anche il mezzo della sua trasformazione e l’oggetto stesso della salvezza. Il finale tragico della storia consacra il fallimento della missione del principe e consegna il suo stesso destino a una tragedia perfino peggiore di quella da cui proveniva.

Un finale che per drammaticità è inferiore soltanto di poco all’episodio tremendo in cui Kirillov, nei Demòni, si suicida volendo diventare egli stesso Dio. 

Da cui la tragica scoperta, la luce nera del colpo di pistola, e il baratro che mostra in un istante la sciagurata pretesa di salvezza attraverso un autoinganno: ovvero la fede che il binomio Bellezza-Bene rappresenti la più elevata giustificazione morale, la più grande idea dell’umanità. Su questo Dostoevskij dopo le "Memorie dal sottosuolo", punto di svolta del suo pensiero non ha più dubbi: il nesso Bellezza-Bene è un legame mortale. È forse l’imbroglio più grande, quello che sta alla base della tragedia dell’uomo.

Ma siamo sicuri che le cose stiano esattamente in questa maniera? O forse proprio la frase del principe Miškin, “La Bellezza salverà il mondo”, l’insegnamento tradito dai fatti della sua missione fra gli uomini, cela in sé l’ultimo misterioso enigma?

È nota a molti la frase più volte ripetuta da Dostoevskij in privato e nei suoi diari: “L’umanità è stata capace di una sola grande idea e questa è la Resurrezione dai morti”. 

Parole da sempre ritenute ambigue e di difficile interpretazione rapportate ai suoi romanzi.

Alla fine di tutta questa storia ci ritroviamo con un pugno di mosche e una frase ormai vuota, “La Bellezza salverà il mondo”, che la vicenda del principe Miškin ha sancito fallimentare. 

E se invece proprio ora che ci restano soltanto quelle parole, come puro nome slegato dal suo dover esser cosa, se proprio adesso queste emergessero sotto un altro aspetto? Se la chiave di questo enigma Dostoevskij ce la fornisse nell’espressione stessa: “La Bellezza salverà il mondo”?

Così come appare nel testo – si è detto – è una frase lontana, che il principe non pronuncia mai, una suggestione riferita di seconda mano; allusione a fatti accaduti in passato ai quali non si accenna che di sfuggita. Come la Rivelazione cristiana, una vicenda tramandata da testimoni lontani, eppure forte speranza rivolta al futuro. 

La Bellezza è la speranza evocata. 

La Salvezza più che un attributo è il contenuto stesso di quell’evocazione, di quell’annuncio. Una “buona notizia”, appunto. Non è la bellezza in quel caso a salvare un bel niente. 

È l’idea di una salvezza ad evocare il senso smarrito e latente della “Bellezza”, che vive stavolta nel richiamo e nella distanza. È quella la sola bellezza che possa pretendere legittimamente di “salvare”: non fosse altro perché in quella lontananza sopravvive in tutto il suo vigore. E che cosa sono la lontananza e l’assenza, in assoluto, se non il segno evidente della propria libertà nel presente? Era questa la vera concezione di Dostoevskij secondo una famosa lettura che Berdjaev ne avrebbe fatto in pieno ‘900...

Qualunque altra idea è destinata a restare tale, o al massimo può trasformarsi in un ideale. Non per niente l’umanità è stata capace di “una sola grande idea”.

La Bellezza che per sé sola salverà il mondo può al massimo funzionare da analgesico potente; può per un attimo distogliere la mente dal dubbio che il caos assoluto sia la legge di sempre. E non è poco, c’è da giurarci. È tutto quello che l’arte ha cercato di fare nei secoli: riempire il buio vuoto, il disordine senza ragione; offuscare forse il sospetto che l’insensata tragicità – per dirla alla russa – fosse inizio e fine d’ogni cosa. La perfezione artistica, la sinfonia n. 40 di Mozart o la sequenza di colonne di Brunelleschi nella navata centrale in S. Spirito a Firenze, altro non sono che la prova dell’uomo a se stesso che misura e armonia possono unirsi in una struttura in qualche maniera dominante. Un’eccellente colla tra le parti divise: l’arte classica, l’arte superiore che si erge sopra il caos. “Potenza dello spirito e della parola, che regnano sorridendo sulla vita inconsapevole e muta”, diceva Thomas Mann.

Eppure proprio quell’arte superiore, l’arte che riempie e occupa gli spazi, davanti all’idea di una “bellezza che salva”, vacilla e non convince. E anche tutto questo ben di Dio si riduce ad essere una notizia di secondo piano, quando non un goffo tentativo di sopravvivenza, di fronte al pensiero, al sussurro, evocato da qualcosa d’altro, più lontano. Qualcosa che non interviene e salva per suo proposito, ma semplicemente “nomina” e “richiama”.

Parrà assurdo che un semplice sussurro metta a tacere le sinfonie di Mozart, eppure… Cosa avverrebbe se l’annuncio, soltanto quello, di un’altra bellezza balenasse in mente per un secondo: 

“Mir spasët krasotà”, “Il Mondo sarà salvato dalla bellezza”?

La storia del principe Miškin evoca inevitabilmente l’altra storia, quella evangelica. In questo preciso senso il finale delle due può addirittura considerarsi analogo: entrambe conducono ad un fallimento terreno; entrambe richiamano un annuncio di salvezza (e il suo sviluppo per Dostoevskij si vedrà nei due, immensi, romanzi successivi). È tutto lontano in quell’annuncio: ciò di cui si parla, i fatti e le cose avvenute. Che si tratti di lontananza nel passato o nel futuro, tra il mondo presente e quella Bellezza c’è di mezzo soltanto una “chiamata”. Quel chiamare che, heideggerianamente, è invito alle cose ad essere veramente tali per gli uomini. La linea mediana è l’intimità, quella che Heidegger chiama das Zwischen (il fra, il frammezzo), che non vuol dire fusione, ma esattamente il contrario: stacco (Schied), dif-ferenza (Unter-Schied). 

Quella differenza, quella chiamata lontana, porta il mondo al suo esser mondo, e la bellezza al suo esser bellezza. 

Nell’evocazione che è-da-sempre, nella lontananza, è anche il senso dell’unico annuncio, dell’unica frase e della sola bellezza che interessino per davvero: il richiamo della propria libertà (e, implicitamente, del suo contrario, a questo punto inteso come male assoluto). La speranza, il cui destino è la continua rimozione tanto è dura da sopportarne la visione, ritorna come un’eco e si vede per contrasto: sole attraverso un vetro scuro. Vera o no, l’origine è lì. Ma non è della sua verità che qui si discute, o della sua concreta esistenza. Non è un problema di fede, almeno per il momento; e neppure di verifica di ciò che si è sentito.

Quella “notizia” ha distolto l’attenzione da tutte le altre, facendole apparire ben poca cosa. La Resurrezione dai morti, il modo in cui avveniva, e il protagonista, erano troppo di più. Se scoppia la bomba atomica nel mondo, poco prima di cena, cosa pensate ne sarà degli altri servizi previsti nella scaletta del telegiornale di quella sera?

Provate a dare a dei naufraghi su un’isola queste due notizie: la prima è che è stata scoperta della legna per fare il fuoco, e per quella notte non patiranno il freddo; la seconda è che, all’orizzonte, sta passando una nave.

Secondo voi, quale interesserà?

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Nel 2019 è uscito questo testo di Sante AMBROSI

"Quale bellezza salverà il mondo. «L'idiota» di Fëdor Dostoevskij e la grammatica dell'amore"

L'umanità può vivere senza la scienza, può vivere senza pane, ma non senza la bellezza. Non potrebbe più vivere perché non ci sarebbe più nulla da fare al mondo. Tutto il segreto è qui. Tutta la storia è qui. Ma qual è la bellezza che salverà il mondo? Il tema della bellezza non è tra i più facili da approfondire ed esaminare. Quella vera non sarebbe nemmeno da ricercare in ciò che appare più evidente. Dostoevskij nelle sue opere la individua in tutte le sue manifestazioni, dalla natura alla bellezza dell'arte, ma la sola bellezza che può salvare il mondo, quella autentica, per lui è da ricercare altrove. In questa ricerca di un senso profondo da assegnare alla vita, Dostoevskij si pone su un altro piano, del tutto originale e spiazzante. 

Così, attraverso le pagine di un capolavoro letterario come "L'idiota", si scopre e si comprende la vera essenza del bello, in grado di sradicare e trascendere il quieto vivere dell'uomo di ogni tempo.

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La mia opinione

Ho presentato una "carrellata" di opinioni su questo argomento.

Vorrei dare un mio contributo, in relazione e per completare l'argomento, attraverso una mia visione per quanto acquisito e conosciuto in materia di psicologia del profondo junghiana.

La bellezza e la psicologia del profondo.

“È vero, principe, che voi diceste un giorno che il mondo lo salverà la «bellezza»? Signori, – gridò forte a tutti, – il principe afferma che il mondo sarà salvato dalla bellezza. E io affermo che questi giocosi pensieri gli vengono in mente perché è innamorato. Signori, il principe è innamorato; poco fa, appena è entrato, me ne sono convinto. Non arrossite, principe, se no mi farete pena. Quale bellezza salverà il mondo? Me l’ha riferito Kolja… Voi siete un cristiano zelante? Kolja dice che vi qualificate cristiano.

Il principe lo considerava attentamente e non gli rispose”

Ma,   cosa intendeva far dire al suo principe idiota? Di quale bellezza si sta parlando? E in che senso “salverà” il mondo?

Ma il principe, l’idiota, non risponde.

Ognuno ha detto la sua sia di questa frase che dell’opera intera (la critica letteraria ne è piena). Ci basti ricordare cosa scrive  Dostoevskij a sua nipote per il tramite di una lettera. In questa lettera l’autore confessa di voler descrivere un uomo assolutamente buono.

Quindi lui voleva descrivere un essere assolutamente che si tuffa nel mondo cercando di redimerlo con la sua sola bontà. 

“Al mondo esiste un solo essere assolutamente bello, il Cristo, ma l’apparizione di questo essere immensamente, infinitamente bello, è di certo un infinito miracolo“. 

Il principe Miškin è il tentativo di rappresentare quest’ideale di assoluta bontà e bellezza morale. 

Miškin, l’idiota,  è la purezza senza alcuna macchia.

Cosa accadrebbe se Cristo vivesse sulla terra ai giorni nostri? Come potrebbe mai redimerla? Ovvero: in quale modo, tecnicamente, la Bellezza salva il mondo?

Ecco, l’Idiota è la risposta di Dostoevskij a queste domande.

Ovviamente chi è interessato, può approfondire il concetto, molto più complesso e variegato di quanto ho citato sopra.

Proviamo invece ad approfondire la cosa da un altro punto di vista. Poniamoci una domanda:

Il mondo ha bisogno della bellezza?

Proviamo a rispondere dicendo che si, il mondo ha bisogno di essere salvato ma  ha bisogno anche di bellezza che poi altro non è che un bisogno spesso nascosto e tutt’altro che evidente, che  il mondo non potrebbe farne a meno.

Certo è giusto domandarsi: a cosa serve la bellezza, cosa produce? A cosa serve  un bel quadro, un bel libro, un bel concerto, una bella passeggiata a cavallo, magari al tramonto oppure in una notte di luna piena, oppure tutte le cose (oggetti, macchine, barche, etc) create dall’uomo?

Ma è questa la bellezza che salva il mondo?

Inoltre non è vero, forse, che tutto ciò che è bello,  rischia di venire dimenticato o ignorato anche perché i nostri sensi, di fatto, sono continuamente bombardati da mille stimolazioni, incessanti, talvolta assordanti. Immaginiamo di avere il quadro della Gioconda in casa nostra. 

Cosa ci sarebbe di più bello ed esaltante? Però dopo un pò, non accadrebbe forse, di passargli accanto e ignorarlo?

Infine Hillman , in “Politica della bellezza", sembra porvi rimedio sostenendo che ragioni estetiche profonde, suggeriscono che  l’anima ha la necessità di bellezza. 

“ … Il bisogno che ha la psiche di bellezza è fondamentale. (…) Quando il soddisfacimento di quel pressante bisogno di bellezza viene situato nella natura, e la natura è minacciata di distruzione, l’essere umano avverte una perdita d’anima” . La bellezza, infatti, è essenziale per il cammino di ogni essere umano, nella sua costante (anche se a volte inconsapevole) ricerca di senso e di significato.

Per non  degradare  la bellezza  ad un effimero oggetto di consumo, sarebbe molto utile l’incontro autentico che la bellezza mette sempre sul nostro cammino verso il nostro Sé.

Tale incontro provoca una ricerca di senso, sollecita delle domande, parla di ciò che cerchiamo e desideriamo.

Forse proprio ponendoci queste domande e ponendoci da questo punto di vista possiamo riconoscere che senza la bellezza l’anima si perde.

Dice ancora Hillmann: ‘….“Niente colpisce l’anima, niente le dà tanto entusiasmo, quanto i momenti di bellezza: nella natura, in un volto, un canto, una rappresentazione, o un sogno. E sentiamo che questi momenti sono terapeutici nel senso più vero: ci rendono consapevoli dell’anima e ci portano a prenderci cura del suo valore. Siamo stati toccati dalla bellezza. Eppure la terapia non parla mai di questo fatto nelle sue teorie, e l’aspetto estetico non ha alcun ruolo nella pratica terapeutica, nella teoria evolutiva, nella traslazione, nei concetti di trattamento riuscito o fallito e nella fine della terapia. Abbiamo forse paura del suo potere?”

Conclusioni in merito al concetto di bellezza in relazione alla psicologia del profondo.

Nella terapia va dato ampio spazio alla bellezza, perché altrimenti l’anima non può realizzarsi nella sua essenza. Quindi una compiuta psicologia del profondo, capace di esprimere la natura di Psiche, deve essere anche un’estetica del profondo e, infine, se vogliamo recuperare l’anima perduta, che poi è il fine principale di ogni psicologia del profondo, di ogni psicoanalista e di ogni terapia, dobbiamo ritrovare le nostre reazioni estetiche perdute, il nostro “senso della bellezza”.

domenica 15 maggio 2022

MARIA MADRE NOSTRA

 "Ci sono giorni nella vita in cui si sente 

di non potersi più accontentare dei santi patroni. 

Allora bisogna prendere il coraggio a due mani 

e rivolgersi direttamente a colei che è al di sopra di tutto. 

Essere coraggiosi. Per una volta.

Rivolgersi coraggiosamente a colei che è infinitamente bella. Perché è infinitamente buona. 

A colei che intercede.

La sola che possa parlare con l’autorità di una madre. 

Rivolgersi coraggiosamente a colei che è infinitamente pura. Perché è infinitamente dolce. 

A colei che è infinitamente nobile, 

perché è anche infinitamente cortese. 

Infinitamente accogliente" 


C. Péguy

La Santa Vergine

mercoledì 11 maggio 2022

L'assenza di una persona cara

 Sulla morte 

Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa


Non c'è nulla che possa sostituire l'assenza di una persona a noi cara.

Non c'è alcun tentativo da fare, bisogna semplicemente tenere duro e sopportare.

Ciò può sembrare a prima vista molto difficile, ma è al tempo stesso una grande consolazione, perché finché il vuoto resta aperto si rimane legati l'un l'altro per suo mezzo.

E' falso dire che Dio riempie il vuoto; Egli non lo riempie affatto, ma lo tiene espressamente aperto, aiutandoci in tal modo a conservare la nostra antica reciproca comunione, sia pure nel dolore.

Ma la gratitudine trasforma il tormento del ricordo in una gioia silenziosa.

I bei tempi passati si portano in sé non come una spina, ma come un dono prezioso.

Bisogna evitare di avvoltolarsi nei ricordi, di consegnarci ad essi; così come non si resta a contemplare di continuo un dono prezioso, ma lo si osserva in momenti particolari e per il resto lo si conserva come un tesoro nascosto di cui si ha la certezza.

Allora sì che dal passato emanano una gioia e una forza durevoli.

Educazione

 Se qualcuno invece ti avesse educato, non potrebbe averlo fatto che col suo essere, non col suo parlare. Cioè, col suo amore o la sua possibilità di amore: non è detto che, in qualche caso, il più umile dei tuoi insegnanti possa essere un uomo che non appartiene alla sottocultura ma alla cultura.)"...

P.P. Pasolini

domenica 8 maggio 2022

I figli di oggi

 “Bambini annoiati ai quali si fanno feste di compleanno grandiose, con torte giganti che non mangiano, con animatori che non ascoltano, con genitori che sembrano schiavi, dei figli e degli occhi della gente. Genitori attaccati a smartphone subitamente pronti a riprendere i figli che mangiano-dormono-bevono-RESPIRANO, troppo impegnati nelle frivolezze quotidiane e nel riempire i vuoti dei loro figli con quintali di giochi-giocattoli-vestiti-dolciumi-vizi inutili perdendo d’occhio quel che conta sul serio: crescere dei figli oggi per permettere loro di diventare adulti domani.

Bambini senza fantasia, che non sanno cosa fare se gli togli un tablet o uno smartphone dalle mani, che non ringraziano, che non salutano, a cui si elemosinano baci, che non accettano mai un NO come risposta. Bimbi iper protetti in tutto dagli errori, dagli insegnamenti, dalla vita...che non conoscono ragioni plausibili per chiedere scusa, per leggere un libro, per socializzare con chi non ha le scarpe firmate o l'ultimo modello di barbie!

Bambine truccate e smaltate, con vestiti da ragazza, con lo specchietto nella piccola borsetta ...che sbadigliano e non disegnano. 

Ragazzini che scrivono con le K al posto della C perché la grammatica è obsoleta.

Generazione che cambia, tempi che cambiano, i genitori fanno gli amici, i nonni fanno gli schiavi, gli insegnanti sono gli aguzzini che li stressano, poverini, stanchi come sono alla loro età imprecisata, fatta di troppi SI.

Forse dovremmo fermarci e RIEDUCARE (e in alcuni casi EDUCARE) non come ieri nè come oggi, dare ai piccoli la possibilità di essere piccoli e ai grandi l'occasione di crescere davvero!”


Elpidio Cecere

La lettera di Carl G. Jung sul significato della vita

 

La lettera di Carl G. Jung sul significato della vita

“Mia cara amica,

lei si chiede, e mi chiede, come possa la vita continuare dopo un evento così doloroso come solo può esserlo il distacco dall’amato, dalla persona cioè alla quale abbiamo unito il nostro desiderio e con la quale abbiamo affidato tutto noi stessi nelle mani del futuro. È questo è un interrogativo al quale, debbo confessarle, non so dare risposte.

Per quanto vittoriosa sia la fede, per quanta temperata, pure essa non sovrasta l’enigma della morte.

Quando la morte si manifesta sul nostro cammino, quando ci sottrae il nostro bene, è violenza insostenibile dalla quale sempre siamo sconfitti. E per quanto profonda possa essere, come lei gentilmente mi attribuisce, la conoscenza dell’animo umano, ebbene essa ci conduce solo là dove non si può che ammettere, per quanto a malincuore, la propria ignoranza.

Ugualmente lei mi impone di osare, e giustamente. Ebbene, per cominciare, debbo avvisarla di non prestare orecchio alle facili consolazioni che certamente riceve e riceverà e che sempre più d’altra parte si vanno facendo folla intorno a noi, complice la stessa psicologia di cui vorremmo essere fedeli e umili testimoni.

Le consolazioni consolano anzitutto i consolatori. Consentono a essi di coltivare l’illusione di essere immuni da ciò che agli altri è toccato in sorte, e ancor più d’essere saggi, prudenti e avveduti.

Così sentendosi al riparo e al sicuro, essi conservano la loro buona reputazione al prezzo di qualche buona parola. Ma, può esserne certa, se fossero onesti con se stessi, come dicono di esserlo, con gli altri, dovrebbero ammettere sinceramente che le consolazioni che offrono, consapevoli o meno che ne siano, nascondono null’altro che commiserazione per sé e risentimento per la vita.

Ecco dunque un primo consiglio: né commiserazione per sé né risentimento per la vita.

Benché oscuro sia lo sfondo sul quale la morte si manifesta, altrettanto oscuro quanto quello della vecchiaia e della malattia, per non dire di quello del peccato e della stoltezza, ebbene è lo stesso sfondo sul quale si staglia il sereno splendore della vita.

Per la nostra salute mentale sarebbe perciò un bene non pensare che la morte non è che un passaggio, una parte di un grande, lungo e sconosciuto processo vitale: sia nei giorni dolorosi nei quali precipitiamo per la perdita di chi ci è caro sia nei giorni tristi nei quali siamo sorpresi dal pensiero della nostra stessa morte.

La nostra morte è un’attesa o, se vuole, una promessa che non è mai compiuta. Per questo essa non ci impone di vuotare la nostra vita ma piuttosto di procedere alla sua pienezza.

Mentre la morte ci toglie ciò che ci è più caro, al tempo stesso ci restituisce a ciò che ci è più prezioso. Non è il mistero della morte che siamo chiamati a sciogliere: piuttosto è quello della vita.

La vita è un imperativo assoluto al quale nessuno deve sottrarsi. Per quanto ostico ci paia il compito, per quanto insostenibile, per quanto ostile, abbandonarci a noi stessi, abbandonare noi stessi non è contemplato tra le molte possibilità.

È la vita che dobbiamo piuttosto, direi addirittura, arrenderci alla vita e al suo costante fluire. A questo scorrere non possiamo imporre alcun argine, né potremmo tentare di deviarlo o di mutarne la traiettoria. Ciò sarebbe assai sciocco e per molti versi pericoloso.

Se vogliamo inimicarci la vita, se vogliamo davvero averla contro sappiamo come fare: rinunciamo a viverla. Vi sono numerosi modi per ottenere questo, l’ultimo dei quali, il più stupido e spietato, è troncarla con le nostre stesse mani. Questo è il supremo peccato.

Se ci teniamo al di sopra di questo baratro potremo sempre, in ogni caso, imporre alla vita un corso predeterminato, forzarla o sospenderla, in una parola dirigerla.

Abbiamo infiniti compiti che possiamo imporci e infinite mete verso le quali orientarci. Tutto ciò fa pur sempre parte della nostra vita, ma è ciò che la nostra vita ci chiede? La vita che abbiamo scelto per noi potrebbe infatti rivelarsi ben diversa da quella che avrebbe scelto noi.

Il problema è allora questo: giunto alla fine della mia vita che cosa mi ritrovo tra le mani? Se trovo solo il rimpianto per ciò che avrebbe potuto essere e non è stato non sarà gran cosa. Ma potremmo trovare ben di più, ben di peggio.

Ogni vita non vissuta accumula rancore verso di noi, dentro di noi: moltiplica le presenze ostili.

Così diventiamo spietati con noi stessi e con gli altri. Intorno a noi non vediamo che lotta, cediamo e soccombiamo alle perfide lusinghe dell’invidia. Si dice bene che l’invidia accechi il nostro sguardo è saturo delle vite degli altri, noi scompariamo dal nostro orizzonte. La vita che è stata perduta, all’ultimo, mi si rivolterà contro.

Perciò, l’ultima cosa che vorrei dirle, mia cara amica, è che la vita non può essere, in alcun modo, pura rassegnazione e malinconica contemplazione del passato. È nostro compito cercare quel significato che ci permette ogni volta di continuare a vivere o, se preferisce, di rispondere, a ogni passo, il nostro cammino.

Tutti siamo chiamati a portare a compimento la nostra vita meglio che possiamo.

(C. G. Jung in Jung parla. Interviste e incontri, Ed. Adelphi, 1999)

venerdì 6 maggio 2022

Donare un sorriso

 Donare un sorriso

Rende felice il cuore.

Arricchisce chi lo riceve

Senza impoverire chi lo dona.

Non dura che un istante,

Ma il suo ricordo rimane a lungo.

Nessuno è così ricco

Da poterne fare a meno

Né così povero da non poterlo donare.

Il sorriso crea gioia in famiglia,

Da sostegno nel lavoro

Ed segno tangibile di amicizia.

Un sorriso dona sollievo a chi è stanco,

Rinnova il coraggio nelle prove,

E nella tristezza è medicina.

E poi se incontri chi non te lo offre,

Sii generoso e porgigli il tuo:

Nessuno ha tanto bisogno di un sorriso

Come colui che non sa darlo

Frederick Faber

LA BELLEZZA DEL MONDO DI DIO

 "Allegre erano le piante, e gli uccelli, e gli insetti, e i bambini. Ma gli uomini - i grandi, gli adulti - non la smettevano di ingannare e tormentare se stessi e gli altri. Gli uomini ritenevano che sacro e importante non fosse quella mattino di primavera, non quella bellezza del mondo di Dio, data per il bene di tutte le creature, la bellezza che dispone alla pace, alla concordia e all'amore, ma sacro e importante fosse quello che loro stessi avevano inventato per dominarsi l'un l'altro." 


Da: "Resurrezione" di Lev Tolstoj  //

giovedì 5 maggio 2022

Napoleone su Gesù

 IL CINQUE MAGGIO: LA BELLA IMMORTAL BENEFICA FEDE CATTOLICA DI NAPOLEONE. Quello che i manuali scolastici non dicono (e che io ripeto a distanza di un anno per i nuovi amici di questa pagina).

Napoleone è morto giusto 201 anni fa, il CINQUE MAGGIO 1821: "Ei fu. Siccome immobile / dato il mortal sospiro / stette la spoglia immemore..." con quel che segue, fino a quegli ultimi sorprendenti versi di Manzoni, che sono un vero e proprio inno alla "bella immortal benefica fede". Tu, Fede cristiana, sei abituata a perdere tante battaglie, ma infine - da grande stratega - a vincere la guerra. Però questa è una vittoria davvero clamorosa: non era mai accaduto in 1800 anni di storia cristiana che un uomo così grande ("più superba altezza"), uno che aveva fama di mangiapreti, e che aveva usato il Papa come chierichetto quando si era autoincoronato imperatore, alla fine della vita si piegasse ai piedi del Crocifisso, "il disonor del Golgota".

Personalmente non avevo mai approfondito la cosa, finché un giorno - mi ricordo come se fosse accaduto un attimo fa - di fronte ad una porta di Gerusalemme Ettore Soranzo mi parlò di questo librettino:

Napoleone Bonaparte, Conversazioni sul cristianesimo, prefazione di Giacomo Biffi, ESD, pp. 90.

Conversazioni fedelmente trascritte dai suoi generali che erano con lui in esilio nell'isola di Sant'Elena. Due generali, uno agnostico e uno ateo, in seguito si convertirono grazie alla testimonianza del loro imperatore, il quale fra l'altro aveva chiesto e ottenuto dagli Inglesi che venisse celebrata la messa domenicale nell'isola di Sant'Elena.


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Ecco qualche frase di Napoleone:

«Sono cattolico romano, e credo ciò che crede la Chiesa»

«Il più grande miracolo di Cristo è stato fondare il regno della carità: solo lui si è spinto ad elevare il cuore umano fino alle vette dell’inimmaginabile, all’annullamento del tempo; lui solo creando questa immolazione, ha stabilito un legame tra il cielo e la terra. Tutti coloro che credono in lui, avvertono questo amore straordinario, superiore, soprannaturale; fenomeno inspiegabile e impossibile alla ragione».

«“Tutto di Gesù mi sorprende. Il suo spirito mi supera e la sua volontà mi confonde. Tra lui e qualsiasi altra persona al mondo non c’è possibilità di paragone. E’ veramente un essere a parte. Le sue idee, i suoi sentimenti, la verità che egli annuncia, la sua maniera di convincere, non si riescono a spiegare nè con le istituzioni umane nè con la natura delle cose. La sua nascita e la storia della sua vita, la profondità della sua dottrina che raggiunge davvero la vetta delle difficoltà e ne è la soluzione più ammirevole, il suo Vangelo, il suo cammino attraverso i secoli, tutto rappresenta per me un prodigio. E’ un mistero insondabile. Qui non vedo niente di umano, più guardo da vicino e più mi accorgo che tutto è al di sopra di me, tutto appare più grande. Tra il cristianesimo e qualsiasi altra religione c’è la distanza dell’infinito. Io di uomini me ne intendo e Gesù Cristo non era solamente un uomo. In Licurgo, in Numa, in Maometto, non vedo che dei legislatori i quali, poiché occupavano il primo posto nello Stato, hanno cercato la migliore soluzione al problema sociale. Non ci trovo nulla che nasconda la divinità ed essi stessi, del resto, non hanno mai alzato le loro pretese così in alto. Cerco invano nella storia qualcuno simile a Gesù Cristo o qualcuno che comunque si avvicini al Vangelo. Anche gli empi non hanno mai osato negare la sublimità del Vangelo che ispira loro una specie di venerazione obbligata! Che gioia procura questo libro! Dal primo giorno fino all’ultimo, egli è lo stesso, sempre lo stesso, maestoso e semplice, infinitamente severo e infinitamente dolce. Che parli o che agisca, Gesù è luminoso, immutabile, impassibile. Gesù si è impadronito del genere umano. Mentre tutto ciò che egli ha fatto è divino, negli altri, Zoroastro, Numa, Maometto, non c’è nulla, al contrario, che non sia umano. L’azione di questi mortali si limita alla loro vita. Cristo si tratta forse di una invenzione dell’uomo? No, al contrario è una realtà inspiegabile. Gesù è il solo che abbia osato tanto. E’ il solo che abbia detto chiaramente e affermato senza esitazione egli stesso di sé: io sono Dio. Voi parlate di Cesare e di Alessandro, delle loro conquiste e dell’entusiasmo che seppero suscitare nel cuore dei soldati, ma quanti anni è durato l’impero di Cesare? Per quanto tempo si è mantenuto l’entusiasmo dei soldati di Alessandro? Invece per Cristo è stata una guerra, un lungo combattimento durato trecento anni, cominciato dagli apostoli e proseguito dai loro successori e dall’onda delle generazioni cristiane. E che dura tuttora. Dopo san Pietro i trentadue vescovi di Roma che gli sono succeduti sulla cattedra hanno, come lui, subito il martirio. Durante i tre secoli successivi, la cattedra romana fu un patibolo che procurava sicuramente la morte a chi vi veniva chiamato. In questa guerra tutti i re e tutte le forze della terra si trovano da una parte, mentre dall’altra non vedo nessun esercito, ma una misteriosa energia, alcuni uomini sparpagliati qua e là nelle varie parti del globo e che non avevano altro segno di fratellanza che una fede comune nel mistero della Croce. Potete concepire un morto che fa delle conquiste con un esercito fedele e del tutto devoto alla sua memoria? Potete concepire un fantasma che ha soldati senza paga, senza speranza per questo mondo e che ispira loro la perseveranza e la sopportazione di ogni genere di privazione? Questa è la storia dell’invasione e della conquista del mondo da parte del cristianesimo. [...] Con un prodigio che supera ogni prodigio. Egli vuole l’amore degli uomini, vuole, cioè, la cosa al mondo più difficile da ottenere. Ciò che un saggio domanda inutilmente a qualche amico, ciò che un padre chiede ai suoi figli, la sposa al suo sposo, un fratello al fratello, in una parola il cuore, questo e ciò che egli vuole per sè. Lo esige in forma assoluta e immediatamente lo ottiene. Così egli conferma ai miei   la sua natura divina. Alessandro, Cesare, Annibale, Luigi XIV, con tutto il loro genio hanno fallito su questo punto. Hanno conquistato il mondo e non sono riusciti ad avere un amico. [...]L’esistenza del Cristo è da un capo all’altro un tessuto misterioso, lo ammetto. Ma questo mistero risponde a delle difficoltà che si ritrovano in tutte le esistenze. Rifiutatele e il mondo diventa un enigma. Accettatele e avrete una soluzione ammirevole della storia umana. [...]Il Vangelo possiede una virtù segreta, un "non so che" che affascina il cuore. Nel meditarlo si prova la stesso sentimento che a contemplare il cielo. Il Vangelo non è un libro, è un essere vivente, con una capacità di azione, con una potenza che invade tutto quello che si oppone alla sua espansione. Eccolo su questo tavolo, questo che è il libro per eccellenza (e qui l’Imperatore lo sfiora con rispetto). Non mi stanco mai di leggerlo, ogni giorno e sempre con lo stesso piacere. Il Cristo non muta. Non esita mai nel suo insegnamento e la sua più piccola affermazione ha un’impronta di semplicità e di profondità che cattura l’ignorante e il sapiente, per poco che vi prestino la loro attenzione. Da nessuna parte si ritrova questa serie di belle idee, di belle massime morali, che sfilano come battaglioni della milizia celeste e producono nel nostro animo lo stesso sentimento che si prova considerando la distesa infinita del cielo quando, in una bella notte d’estate, risplende di tutta la luce degli astri. Non soltanto il nostro spirito è occupato, ma è dominato da questa lettura e l’anima con questo libro non corre mai il rischio di smarrirsi. [...]Ciò che strappa la convinzione sono tutti i vantaggi e la felicità che derivano da una simile credenza. L’uomo che crede è felice!»

Il libro è di 90 pagine. A questo link si possono trovare le prime 27: http://www.napoleonbonaparte.eu/.../Conversazioni-sul...

mercoledì 4 maggio 2022

L'autostima

 "senza nessuno che ti dica mai che sei bello o che sei bravo, senza una parola di confronto che ti rassicuri dandoti il tuo posto al sole nel mondo, niente sarà mai abbastanza per ripagarti di quel silenzio. Dentro resterai sempre un bambino affamato di gentilezza, che si sente brutto, incapace e manchevole, qualsiasi cosa accada. E non importa se, nel frattempo, sei diventato la più bella delle creature.


“Sei la mia vita” di Ferzan Ozpetek











Potere dei mass-media

 « I giornali di un Paese possono, in due settimane, portare la folla cieca e ignorante a un tale stato di esasperazione e di eccitazione da indurre gli uomini ad indossare l'abito militare per uccidere e farsi uccidere allo scopo di permettere a ignoti affaristi di realizzare i loro ignobili piani. »


Albert Einstein, “Come io vedo il mondo”

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I mezzi di comunicazione di massa, la stampa, la radio hanno portato all’asservimento di corpi ed anime ad un’autorità strategica mondiale. E in ciò sta la principale fonte di pericolo per l’umanità.

Le moderne democrazie mascherano regimi tirannici; utilizzano i mezzi di comunicazione di massa come strumenti di disinformazione e di stravolgimento delle coscienze degli uomini. Nelle condizioni attuali, i capitalisti privati controllano inevitabilmente in modo diretto o indiretto, le principali fonti di informazioni. Per cui è estremamente difficile, e nella maggior parte dei casi impossibile, che il singolo cittadino possa arrivare a conclusioni oggettive e avvalersi in modo intelligente dei propri diritti politici. [ … ] la classe dirigente attuale possiede la scuola, la stampa e di solito anche la Chiesa. Questo consente loro di organizzare e influenzare le emozioni delle masse e di farle diventare un proprio strumento.”

A. Einstein

Per continuare a vivere tu hai bisogno di essere intero

 "Gli uomini impazziscono, perché non sanno che il conflitto è dentro di loro, e ciascuno addossa il torto all’altro. Se una metà dell’umanità è in torto, allora è in torto – per metà – ogni essere umano. Ma non vede il conflitto presente nella propria anima, che è però la fonte della sventura esterna. Quando sei irritato contro tuo fratello, pensa allora che sei irritato contro il fratello che è in te, vale a dire contro ciò che in te è simile a tuo fratello.(...)

 Per continuare a vivere tu hai bisogno di essere intero."


Jung, Libro Rosso, Cap. XI, Mistero. Soluzione