di Alessandro Belano
in: “Messaggi di Don Orione”, 1998, n.98, pp.11-42.
Versione integrale in messaggidonorione.it

  A sostegno della conversione del Carducci, sopravvenuta, per quanto possiamo sapere, negli ultimi anni di vita, esiste una serie di indizi ed altre esplicite testimonianze. Si tratta in particolare delle rivelazioni rilasciate dal Beato Don Luigi Orione[26] e da altri personaggi vicini al Poeta. Non ci consta, sul piano storico, che Don Orione abbia personalmente conosciuto il Carducci o abbia avuto una qualche relazione epistolare con lui. Tutti i dati che possediamo, anzi, escludono questa possibilità. Tra i due, tuttavia, esistono particolari elementi di comunanza e perfino un parallelo letterario.
         Ricorda un anziano Sacerdote dell’Opera fondata dal Beato: «Il 10 aprile 1932, accompagnai il Signor Direttore Don Orione all’Eremo di Sant’Alberto per la vestizione dei primi eremiti ciechi “tarcisiani”, vale a dire vestiti con la tipica tunica bianca a clavi neri… Di ritorno, passando per Pontecurone, egli mi indicò una casa: “Qui, disse, quando ero chierico, fui al pranzo per la prima Messa di un certo Don Lodi e vi recitai una poesia: era una parafrasi dell’«Inno a Satana» del Carducci…”. Allora io presi la palla al balzo, perché ricordavo che una sera, ai primi del mese, nel gennaio precedente, trovandomi ammalato a Tortona, il Servo di Dio era venuto a trovarmi e mi aveva detto che aveva fatto il proposito, per tutto quell’anno, di essere compiacente con tutti. Perciò gli dissi: “Signor Direttore, ricorda che ha fatto il proposito per quest’anno di essere sempre compiacente con tutti? Lo sia anche con me, e mi detti adagio le strofe della sua palinodia del “Satana”…».[27]
         Della composizione in parola si è fortunatamente conservata una minuta autografa, sebbene non sappiamo se sia la definitiva. I versi recitati da Don Orione al Confratello vi appaiono o non tutti o leggermente modificati. Del resto è noto a quale lavorio di lima il Beato Don Orione sottoponeva, in genere, i propri scritti. Ne riproduciamo integralmente il testo:

«Adergi il trono, o Religione,
Sovra la tomba della Ragione;
Si sciolga un canto, s’innalzin voti:
Ha vinto il Geova dei Sacerdoti.
Trionfa, o Chiesa, asciuga il pianto!
Il dì nefasto si volga in santo:
Lottar pel Papa l’intera vita,
Scorre i tuoi ferri, giurò il levita.
Salute, o prode campion di Cristo!
L’orgoglio fiacca del secol tristo;
Il genio ispira ai grandi eroi;
Pugna da forte: Dio è con noi!
L’Angiolo Igino[28] t’addita il campo;
Dall’aspra guerra certo è lo scampo.
La gloria è nostra: ecco gli allori:
Cingi la fronte di gigli e fiori.
Impugna il brando, Croce di Dio;
Vesti l’usbergo del popol pio;
Dei vincitori non senti i canti?
Slánciati in schiera: coraggio, avanti!
Sorgi, o fratello, non pigliar lena,
Scendi l’arringo, vola alla arena:
Fiero Golia oggi ci sfida,
Fratello, sorgi: il Ciel ti è guida.
Il foco sacro, che infiamma il core,
Al Sangue attinge del santo Amore.
Candide serba le bianche stole:
Muori per Cristo: Dio lo vuole!».[29]

         Questi paralleli tra il Carducci e Don Orione non si fermano qui. Un antico alunno, Taverna Felice, ricorda: «Una volta Don Orione ci commentò l’inno A Satana di Carducci: fece un commento estetico così bello, che mi fece grande impressione: parlava del progresso scientifico, non dette peso all’intenzione anticristiana. Era l’anno che facevo 5  ginnasiale (1899-1900)».[30] Il Carducci, nei primi anni del Novecento, era all’apice del successo e Don Orione, occasionale insegnante di Lettere nei suoi Istituti, evidentemente conosceva abbastanza bene le opere del Poeta e quando se ne presentava qualche occasione propizia utilizzava alcuni dei suoi versi più significativi.
         In data 7 settembre 1922, scrivendo a Don Gaetano Piccinini, responsabile della formazione ginnasiale dei futuri sacerdoti dell’Opera, Don Orione raccomanda di impartire una adeguata istruzione letteraria, sconsigliando però, in tale circostanza, la lettura del Carducci, ritenuta troppo ostica per quelle menti ancora troppo deboli:

«So che codesti nostri di V sono piuttosto debolucci in italiano, e per questo mi parrebbe che la lettura del Carducci sarà pane troppo duro pei loro denti e di effetto troppo forte su dei nervi ancora troppo deboli. Letture, facili, letture facili, e presto assimilabili, ci vogliono: sono bambini in italiano!».[31]

         In altra occasione (31 dicembre 1923) Don Orione invia a Don Carlo Sterpi, suo primo collaboratore, «due poesiole del Carducci, che, se si fa a tempo, gradirei le metteste in fine dell’opuscolo Poesie Religiose per la V e VI elementare, possibilmente unite, cioè una dopo l’altra». Non sappiamo quali fossero queste due poesie.
         Per quanto riguarda questi paralleli tra Carducci e Don Orione vorremmo segnalare una curiosa, anche se involontaria, analogia onomastica. Sappiamo che il Poeta era solito firmarsi con lo pseudonimo di Enotrio, impiegato per la prima volta proprio in occasione della pubblicazione dell’inno A Satana (1865) e conservato fino alle prime Odi barbare. Altrove egli ci offre anche una breve descrizione di questa scelta: «…Enotrio Romano non è che un artista; non vate, non precursore, non bardo, e per nessuna cosa al mondo poeta civile…».[32]
         Ebbene, anche Don Orione, almeno in età giovanile, era solito firmarsi in alcuni scritti, specie telegrammi, usando un appellativo la cui grafia richiama molto da vicino quella usata dal Carducci: Enoiro.[33] Sarebbe però sbagliato vedere in questa scelta presunte ideologie o tratti programmatici: si tratta semplicemente dell’anagramma del suo cognome letto all’incontrario: Orione-Enoiro. Era un ingegnoso quanto semplice ed efficace sistema di riconoscimento, un tacito codice cifrato con il quale il Beato firmava alcuni suoi messaggi riservati, nascondendo la vera identità dietro un nome che solo i più intimi erano in grado di decodificare.
         Ma ritorniamo all’oggetto della nostra indagine. La prima esplicita testimonianza rilasciata da Don Orione circa la conversione del Carducci avvenne sulla nave «Conte Grande», nel settembre del 1934, durante uno dei viaggi missionari che il Beato fece in Sud America. Essendo stato invitato a parlare ai passeggeri che si recavano al Congresso Eucaristico di Buenos Aires, Don Orione trattò della confessione sacramentale e, per sottolineare la straordinaria grandezza del sacramento, rivelò che il Carducci, durante un soggiorno a Courmayeur, aveva conosciuto l’Abate Chanoux,[34] noto predicatore che risiedeva al Piccolo San Bernardo, e che, dopo alcune conversazioni con lui, si era alfine confessato tornando alla fede cristiana.
         Una preziosa conferma di questo viaggio a Courmayeur, di cui parla Don Orione, viene dal riscontro con una affermazione di Libertà Carducci, figlia del Poeta, che ha segnato un appuntamento del padre con l’Abate Chanoux nell’ultimo volume dell’epistolario. Del resto il Poeta aveva compiuto precedenti viaggi e villeggiature a Courmayeur. La prima volta, da quanto risulta, la compì nel 1887, quindi nel 1889, tra luglio e agosto. Fu in quell’anno che compose l’ode Courmayeur.[35] Fu di nuovo a Courmayeur tra l’agosto e il settembre del 1895.
         Più tardi, nel corso di una intima conversazione, il Beato Don Orione, poco prima della sua morte, ebbe modo di ribadire quanto egli conosceva sulla conversione del Carducci. Queste notizie furono raccolte dal suo primo biografo, Don Domenico Sparpaglione.[36] Questi, in occasione del primo processo ordinario per la canonizzazione di Don Orione svoltosi a Tortona, sotto giuramento, testimoniò:

«Non saprei precisare quando, ma negli ultimi giorni trascorsi da Don Orione a Tortona, prima di recarsi a San Remo, dove morì, io per incarico del Salesiano Don Cojazzi chiesi a lui i particolari della confessione di Giosuè Carducci, della quale egli aveva parlato in una predica tenuta sul «Conte Grande». Egli, studiando bene le parole, confermò che il poeta andò durante un’estate a trovare l’Abate Chanoux sul Piccolo S. Bernardo, dal quale si confessò, e aggiunse di averlo saputo da una persona incapace di ingannare, ma non volle dirne il nome perché vincolato da un segreto, essendo quella persona depositaria di due lettere del Carducci relative all’avvenimento, ma in pericolo qualora il segreto fosse stato rivelato. Quanto alla morte cristiana del Carducci, Don Orione mi disse che la riteneva per lo meno probabile e che non bisogna lasciarsi ingannare da tutto quell’apparato massonico, che l’accompagnò».[37]

         Del racconto di Don Orione circa la conversione del Carducci, esistono altre testimonianze raccolte dalla viva voce dei testimoni. Riferiamo la versione lasciataci da Don Luigi Orlandi, confidente del Fondatore e, per molti anni, archivista e Postulatore generale della Congregazione fondata dal Beato:

«Nella settimana precedente la sua andata a San Remo, Don Orione mi chiamò in camera sua, vicino all’orologio, al Paterno, e venne a parlare della morte cristiana del Carducci, confessatosi e comunicatosi dall’Abate Chanoux. Tra l’altro mi disse che, molto spesso, si crede che gli uomini della politica siano morti lontani dalla Chiesa e dai Sacramenti, mentre spesso, in privato e di nascosto dal gran pubblico, si sono riconciliati con la Chiesa e con Dio».[38]

         Altra importante testimonianza è quella rilasciata da Don Giuseppe Zambarbieri, terzo successore del Beato Don Orione e, in età giovanile, a lui vicinissimo come segretario. Egli scrive:

«A proposito degli episodi dei quali il ven. fondatore era solito infiorare i suoi discorsi, onde renderli più vivi e fecondi di bene, narro quanto ho appreso da Don Orione medesimo in merito alla predica che egli tenne sul “Conte Grande” nel settembre del 1934, parlando anche del Carducci. Ne interpellai il Ven. fondatore, il quale disse: “È vero: il Carducci è tornato alla fede e si è confessato. Questo è avvenuto precisamente a Courmayeur”. E mi ha raccontato di una notte che il Carducci passò in piedi, passeggiando avanti e indietro nella sua stanza: una notte assai simile a quella famosa dell’Innominato. Al mattino si è presentato all’Abate Chanoux e si è confessato. Ho chiesto se vi sono prove di veridicità. Don Orione è stato di persona a Courmayeur per accertare il fatto, penso che sia stato inviato in missione straordinaria. Ed ebbe dall’Abate la conferma».[39]

         Una conferma indiretta di questo avvenimento legato alla conversione del Carducci si può ritrovare nella testimonianza della professoressa Enrichetta Mombelli di Casale, dotata di profonda cultura letteraria. Nel gennaio 1932, Don Orione, desiderando suggellare l’inaugurazione del Santuario della Madonna della Guardia in Tortona, da lui voluto, invitò la summenzionata a tenere una conferenza presso il Collegio Dante Alighieri, in Tortona, aperta alle signorine e donne della città. Riferendosi all’iniziativa, la professoressa Mombelli ricorda: «Alle Signorine Don Orione stesso fece una dimostrazione del come la confessione sia stata accolta anche da persone in alto, per scienza e vita politica, dicendo tra l’altro: “Quando si potrà scrivere una pagina sul Carducci, si saprà che, prima di morire, si è confessato”».[40]
         Per l’importanza e l’autorità della fonte, merita una segnalazione a parte la testimonianza di Luigia Tincani, fondatrice delle Missionarie della Scuola, figlia del noto latinista e grecista Carlo Tincani, allievo e ammiratore del Carducci che lo ricambiava di simpatia e amicizia. Dal racconto della Tincani, rilasciato nel corso di una intervista, apprendiamo nuovi e significativi particolari:

«Mio padre, pur se allora non era praticante, combatteva per la difesa della religione e della Chiesa. Era naturalmente Vice-presidente del Consiglio scolastico, che contava altri quattordici membri: tutti massoni (…). Noi eravamo amiche delle figlie del custode della Certosa. Abbiamo sentito che Carducci in morte volle i Sacramenti e, malgrado la guardia feroce che gli montavano i massoni, li ebbe da un sacerdote vestito da barbiere e venuto con la scusa di fargli la barba».[41]

         Nel corso della sua testimonianza, Luigia Tincani ci ha consegnato altri interessanti particolari:

«Mi ricordo che andavamo a Messa, intorno al ’96, e passavamo davanti al Zanichelli; Carducci era già toccato al braccio, e non aveva più la parola sciolta. Stava seduto lì dal Zanichelli;[42] e molti dei suoi gli facevano circolo. Una volta capitò mio padre: “Dove sei stato?”. “A Messa!”. Lo irrisero. Capitò Carducci, s’inquietò, come faceva sempre, quando dell’anticlericalismo vedeva fare una bandiera. Carducci stigmatizzò quelli che deridevano il credente che era andato alla Messa: “Allora, gli risposero, bisogna credere anche a Cristo Dio!”. “E chi ti dice che Cristo non sia Dio, come pensano i cristiani?”. “Allora bisogna credere all’anima immortale e all’esistenza di Dio!”. E Carducci: “Disgraziato, e chi ti dice che non esista Dio, e che l’anima non sia immortale!”. E, tutto sdegnato se ne andò, prendendo il braccio di mio padre. Per tutta la strada tacque. Pensava…».[43]

         Queste le qualificate testimonianze. Forse fu proprio da Luigia Tincani che Don Orione apprese il particolare del viaggio di Carducci a Courmayeur e della sua successiva conversione. Don Orione aveva conosciuto a Messina la Serva di Dio ed è probabile che in qualche occasione essa abbia rivelato quell’importante segreto.
         Come mai il Carducci non manifestò mai apertamente la sua conversione, né parlò in pubblico dei suoi incontri con l’Abate Pietro Chanoux? Non lo sappiamo con certezza, ma, su questo punto, possiamo rifarci ad una efficace battuta di Don Orione davvero illuminante. Accennando, in alcuni suoi appunti, alla conversione del Poeta, il Beato Don Orione scrive che egli «fu troppo debole per dirlo forte».
         C’è ancora un elemento significativo al quale vorremo almeno accennare e che costituisce, a suo modo, un ulteriore indizio di questa conversione. È stato giustamente fatto notare che, in mezzo a tanta ribellione e frastuono, invettive e avversione, parole di fuoco e insulti letterari, ironia, sarcasmo e minacce, resta nel Poeta un rispettoso e quasi fanciullesco contegno nei confronti della Vergine Maria, la quale, nelle (poche) ricorrenze letterarie, è presentata in un alone di gentilezza e considerazione, se non proprio di venerazione. Si tratta solo di «cavalleresca generosità»? Non lo crediamo. Questa presenza mariana nella vita del Carducci non fu semplicemente occasionale, né priva di significato se dobbiamo ritenere sincere le parole pronunciate dallo stesso Carducci: «La Vergine mi deve voler bene, perché ne ho parlato bene».[44]
         Vogliamo concludere le nostre riflessioni segnalando un particolare curioso e, a suo modo, significativo. Da quanto ci risulta la prima composizione poetica (un sonetto) scritta dal Carducci, allora tredicenne, si intitola A Dio.[45] Una sera di maggio del 1848, contemplando il paesaggio dalla finestra della sua abitazione in Castagneto e suggestionato dal rintocco grave delle campane che suonavano la prima ora di notte, l’animo giovanile del Carducci sentì nascere spontanea la voce della poesia e proruppe in una ingenua lode a Dio. Molti anni più tardi, rifacendosi a questo lontano avvenimento, il Poeta aggiunse ai quattordici versi quanto segue: «Mi ride l’animo quando ripenso che io mossi la mia poesia da Dio, da quel Dio che mi ha dato questa anima sensibile e sdegnosa di cui lo ringrazio sempre, da quel Dio che io doveva poi dimenticare ed anche oltraggiare negli anni miei più belli per correre dietro a pazze larve di virtù affettata e di gioie false e vili».[46]
         Leggendo queste parole «non è difficile comprendere quale lavoro purificatore sia passato su quell’anima agitata, percossa da tempeste, traviata da sette, inghirlandata dalla gloria, ma intimamente buona, sdegnosamente superiore, che sa scrollare di dosso la polvere del lungo cammino, rompere vincoli triangolari e ha la forza eroica di vincere alla fine la più difficile delle sua battaglia: ritrovare se stesso».[47]
         Questa tardiva confessione ci sembra una straordinaria anche se ribelle conferma della sopraggiunta conversione del Poeta. Nel fondo del suo cuore irrequieto, dietro alle apparenze sdegnose portate avanti per lunghi anni, si celava un seme nascosto che avrebbe faticato a spuntare.
         Come una specie di inclusione poetico-esistenziale, la vita del Poeta si apre e si conclude alla luce della presenza di Dio. Per quei misteriosi e provvidenziali percorsi interiori che solo Dio conosce, e che, spesso, si caratterizzano da un incedere faticoso, incerto, doloroso, ma mai privo di speranza e grazia, l’antico ribelle doveva approdare a quel Dio che, troppo spesso, aveva indicato con una iniziale minuscola.
         Alla vigilia della morte, dell’indomito anticlericale, del propugnatore del libero pensiero non resta ormai che il ricordo letterario. Non ci è dato di sapere quale furono gli sviluppi di questa ritrovata fede. A questo punto della vicenda umana e poetica del Carducci i contorni si fanno sfumati, le voci si confondono, i versi tacciono. Sola, resta un’anima che, nel segreto, dialoga con il suo Dio.


Leggi anche:
– “Santa Maria degli Angeli” di Giosuè Carducci
– Una poesia contro Giosuè Carducci (in mortem)


[26]         Pontecurone 1872 – Sanremo 1940, Fondatore della Piccola Opera della Divina Provvidenza, beatificato da Giovanni Paolo II il 26 ottobre 1982.
[27]         Cfr. Venturelli G., Don Luigi Orione e la Piccola Opera della Divina Provvidenza. Documenti e testimonianze. Vol. I: 1872-1893, Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma 1958, 698-699.
[28]         Si tratta di Sua Ecc.za Mons. Igino Bandi, Vescovo di Tortona, la cittadina piemontese nella quale Don Orione compì gli studi di teologia e fu ordinato sacerdote.
[29]         Cfr. Archivio Generale della Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma, Scritti, 167‑205.
[30]         Cfr. Venturelli G., Don Luigi Orione e la Piccola Opera della Divina Provvidenza. Documenti e testimonianze. Vol. II: 1893-1900, Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma 1984, 305.
[31]         Cfr. Lettera del 7 settembre 1922, Archivio Generale della Piccola Opera della Divina Provvidenza.
[32]         Cfr. Lettera del 1869 a Diego Mazzoni, in Lettere di Giosue Carducci. Edizione Nazionale, Vol. VI, Zanichelli, Bologna 1938-1968, 58.
[33]         Eccone un esempio: «Ritarda stampa giornale. Mandato ieri articolo importantissimo. Prego stamparlo, presentarlo Vescovo. Scritto io. Riceverai lettera. Enoiro» (Telegramma inviato a Don Sterpi da Noto, in data 30 settembre 1898).
[34]         L’Abate Don Pietro Chanoux (1828-1909) dal 1860 alla sua morte fu cappellano e rettore del rifugio Piccolo San Bernardo, posto a 2188 metri sul livello del mare.
[35]         L’ode, un saluto alla piccola città sulla sponda della Dora Baltea, si caratterizza per le efficaci descrizioni che, sul finire, si confondono con le memorie e le speranze del poeta: «…Salve, o pia Courmayeur, che l’ultimo riso d’Italia / al piè del gigante de l’Alpi / rechi soave! te, datrice di posa e di canti, / io reco nel verso d’Italia…».
[36]         Sacerdote dell’Opera di Don Orione, letterato, apprezzato critico manzoniano (suo il pregevole saggio Guida al Manzoni, Ediz. Don Orione, Tortona), morto nel 1982.
[37]         Cfr. Sacra Congregatio pro Causis Sanctorum. Beatificationis et Canonizationis Servi Dei Aloisii Orione. Summarium, Roma 1976, 158-159.
[38]         Cfr. Archivio Generale della Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma, Posizione Orlandi, 8. I.
[39]         Cfr. Archivio Generale della Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma, Posizione Zambarbieri, 2.
[40]         Cfr. Archivio Generale della Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma, Posizione Mombelli, 4. I.
[41]         Cfr. Venturelli G., Don Luigi Orione e la Piccola Opera della Divina Provvidenza. Documenti e testimonianze. Vol. V: 1909-1912, Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma 1995, 316-317.
[42]         È Nicola Zanichelli, l’editore bolognese che dal 1875 in poi curò le pubblicazioni del Poeta.
[43]         Cfr. Venturelli G., Don Luigi Orione e la Piccola Opera della Divina Provvidenza. Documenti e testimonianze. Vol. V: 1909-1912, Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma 1995, 317.
[44]         Cfr. Landucci P.C., È provata la conversione del Carducci?, in Cento problemi di fede, Assisi 1962, 322. L’Autore, nel riferire questo particolare, accenna anche ad un tempietto bolognese della Vergine Immacolata, davanti al quale il Poeta, come ricordavano alcune donne del luogo, si scopriva con riverenza il capo.     
[45]         Cfr. Opere di Giosuè Carducci. Edizione Nazionale, Vol. I, Zanichelli, Bologna 1935-1940, 331-332.
[46]         Cfr. Opere di Giosuè Carducci. Edizione Nazionale, Vol. I, Zanichelli, Bologna 1935-1940, 331-332.
[47]         Cfr. Una testimonianza di Luzzati sulla religiosità di Carducci, «L’Osservatore Romano», 7 luglio 1940, 2. Il breve articolo non è firmato: forse si tratta di Lorenzo Ceresoli