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lunedì 7 luglio 2025

  Di Pino Suriano

09 Settembre 2013
Contestatore, sospeso a divinis, pannelliano, omosessuale, con Nichi Vendola fece nascere l'Arcigay. Poi, abbandonato da tutti, fu riaccolto da Joseph Ratzinger

Ai tanti che non lo hanno mai saputo potrà sembrare un’assurda fantasia, ma è semplicemente un fatto: l’Arcigay è stata ideata da un prete. Sì, l’associazione per i diritti omosessuali più importante e numericamente rilevante d’Italia deve la sua anima a un consacrato, omosessuale egli stesso. Accadde a Palermo nel dicembre del 1980 e quel sacerdote, allora quasi sessantenne e sospeso “a divinis” alcuni anni prima, si chiamava Marco Bisceglia, per tutti don Marco. Suo compagno di avventura nonché di appartamento, nei mesi successivi, un giovane obiettore di coscienza in servizio civile presso l’Arci, Nicola Vendola detto Nichi.

Chiare le premesse? Adesso, però, non ci si scandalizzi per il giudizio in arrivo, forse ancor più sorprendente: la storia di don Marco è una delle più belle storie di vita che si possano raccontare. Di quelle che rendono palese, per chi non lo credesse, quale straordinario luogo di accoglienza e ripresa umana possa essere la Chiesa.
Nelle scorse settimane, per la collana “DietroFont” dell’esordiente casa editrice lucana EdiGrafema, è uscito un libro (acquistabile su Ibs) che ne percorre la vita: Troppo amore ti ucciderà, con testimonianze di Vendola, Franco Grillini e Beppe Ramina. O meglio, ne percorre le “tre vite”, come recita il sottotitolo del testo, ben scritto e documentato dal giornalista potentino Rocco Pezzano. Nella biografia del sacerdote, infatti, si riconoscono almeno tre momenti di profondissimo strappo per contenuti e stili di vita.

IL PRIMO MATRIMONIO GAY. Nella sua “prima vita” don Marco Bisceglia è un prete di lotta. Nato nel 1925, sacerdote dal 1963, ha studiato e abbracciato la Teologia della Liberazione, in particolare la lezione del poco ortodosso teologo gesuita José Maria Diez-Alegria Gutierrez. Quando gli viene affidata la parrocchia del Sacro Cuore di Lavello, suo paese di origine in Basilicata, il desiderio di esprimere i propri ideali si trasforma in azione. La difesa dei più deboli è per don Marco l’autentico contenuto dell’evangelizzazione. Le cronache dell’epoca iniziano a chiamarlo “il don Mazzi del Sud”.
Don Marco si oppone a tutto ciò che reputa ingiusto, soprattutto all’interno della Chiesa: i funerali a pagamento, per esempio. La lotta al celibato dei sacerdoti, le operazioni finanziarie, le banche, gli investimenti immobiliari, l’arricchimento di alcuni preti con la speculazione edilizia. E la gente si lega a lui: tanti braccianti mai stati in chiesa prima d’allora, si ritrovano a seguirlo nelle sue battaglie, spesso vicine a quelle del Partito Comunista.
Don Marco esprime con toni forti, anche in pubblico, durante le omelie la sua opposizione decisa alla Chiesa e alla sua struttura organizzativa. Ne nasceranno presto contrasti con il vescovo della diocesi. Non solo per le idee, ma anche per le azioni. Don Marco, infatti, non si ferma alle parole. In quegli anni, assieme alla sua comunità, è protagonista e animatore di scioperi al fianco di lavoratori, blocchi stradali e altre forme di protesta “borderline”, talvolta con conseguenti procedimenti penali. Il 30 settembre 1974, in un clima di esasperata contrapposizione e dopo alcune richieste di ravvedimento, arriva il decreto di rimozione da parte del vescovo Giuseppe Vairo: la parrocchia del Sacro Cuore è dichiarata vacante. Le ragioni non mancano: adesione al movimento radicale per la depenalizzazione dell’aborto e la libertà sessuale; uso della parrocchia come sede dei comitati per i referendum; assenze continue; violenti attacchi a Chiesa cattolica, clero e gerarchia. Poi un’accusa anomala, «scelta socio-rivoluzionaria», e un’altra più drammatica, ma decisiva, «chiara rottura della Comunione col vescovo».
Da quel momento la vicenda prende una piega inattesa, che porterà a Lavello i corrispondenti dei maggiori quotidiani e settimanali italiani. La comunità del Sacro Cuore, infatti, non accetta il decreto e si barrica all’interno della chiesa, letteralmente la occupa. Sulla facciata del Sacro Cuore compare una scritta: “La Chiesa è del popolo”. È una dichiarazione di intenti. Lavello diventa un caso nazionale, un parroco e il suo popolo contro il vescovo e la Chiesa “ufficiale”.
Ma il fatto che più avrebbe fatto parlare di don Marco era accaduto pochi giorni prima di quella pubblicazione. È quello che le cronache ricorderanno per anni, seppur impropriamente, come il «primo matrimonio gay celebrato da un sacerdote italiano». Un giorno due omosessuali si presentano nella sagrestia e chiedono se la loro unione possa diventare sacra. «Il vostro matrimonio è già un sacramento di fronte a Dio», spiega don Marco. Quei due signori, in verità, non erano omosessuali ma Bartolomeo Baldi e Franco Iappelli, giornalisti del Borghese che registrano e spiattellano tutto sul giornale. Il 9 maggio 1975, il vescovo prende ulteriori provvedimenti: «Al sacerdote è proibito ogni atto di sacro ministero», si legge nel documento della curia. È la sospensione a divinis. Da quel momento l’immagine di don Marco, agli occhi della gente, si aggrava. Ma per don Marco non è un dramma. Tutto continua come prima. Si celebra, si fanno i sacramenti, si legge la Parola di Dio. Eppure il legame coi fedeli è sempre più debole. Le presenze si diradano, molti cominciano a staccarsi. Le foto dei primi anni di “occupazione” della parrocchia, sempre stracolma di gente, e quelle “spoglie” degli ultimi tempi, offrono l’immagine di questo progressivo distacco. È drammatica l’immagine dell’ultima Messa, il 25 aprile 1978, con don Marco che celebra tra poche vecchiette e dietro una fila di carabinieri e poliziotti.

In quei mesi, mentre Bisceglia è ancora impegnato con i Radicali, avviene un incontro decisivo. In «circostanze fortuite», ricorderà poi, incontra a Roma Enrico Menduni (presidente, dal 1978 al 1983, dell’Arci, storica associazione culturale della sinistra italiana) che propone a don Marco di curare l’aspetto organizzativo dell’Arci per la “sezione” diritti civili. Nasce da lì, nel giro di poco, il copyright dell’Arcigay, “proprietà” di Marco Bisceglia.
La fondazione ufficiale arriverà solo nel 1985, ma come si legge sul sito arcigay.it: «Il primo circolo Arcy-gay nasce informalmente a Palermo il 9 dicembre del 1980 da un’idea di don Marco Bisceglia, sacerdote cattolico dell’area del dissenso» (a destra, la conferenza stampa di presentazione dell’Arcigay. Si riconoscono don Marco e Franco Grillini, secondo e terzo da sinistra, e Nichi Vendola, secondo da destra).
Di qualche anno prima è il coming out di don Marco: la pubblica dichiarazione di omosessualità. Marco è già attivo da tempo nell’organizzazione dei diritti gay, ma non ha ancora liberato del tutto la sua, di omosessualità. Difficile ricostruire la data e la testata che avrebbe dato spazio alla clamorosa dichiarazione (qualcuno ricorda Panorama), ma nell’aprile 1982 un articolo di Andrea Marcenaro sull’Europeo ne parla come un fatto noto: «I preti omosessuali esistono, ma uno solo si è dichiarato», si legge. Quell’uno, naturalmente, è Marco Bisceglia. In quel periodo vive con 400 mila lire al mese (tanto è lo stipendio) e a stento riesce a recuperare i contributi da religioso per garantirsi una pensione. Risalgono a quegli anni l’amicizia e la convivenza con Nichi Vendola, che non smetterà mai di considerarlo «un maestro». I due vivono insieme per qualche mese a Monte Porzio Catone, nella casa di don Marco. Intanto con l’Arci, da qualche tempo, sorgono i primi problemi. Don Marco, in modo lento e silenzioso, si fa da parte. Non si avrà mai una vera e propria rottura, ma una sfumata e continua presa di distanza. E così, proprio quando la sua creatura metterà le ali per diventare un punto di riferimento nazionale, calerà il sipario sul suo padre nobile. Da quel momento si perdono le tracce di Marco Bisceglia. Una volta era inseguito dai cronisti di tutta Italia, da quel momento quasi nessuno scriverà più un rigo su di lui, e nessuno si preoccuperà di scoprire come finì i suoi giorni. È questo il merito più grande di Rocco Pezzano.
Nel luglio 1987 Bisceglia appare ormai lontano dall’Arcigay. Dalle sue lettere si apprende che si trova ancora a Monte Porzio Catone, dove convive con l’omosessuale Dadì, trentenne di origini algerine. In quei giorni scrive la sua lettera più intima, forse la più bella. È una sorta di diario epistolare destinato agli amici Carla e Wouter. Racconta di aver letto La conoscenza di sé, opera del filosofo francese René Daumal. «Ci sto trovando – scrive don Marco – alcune cose che stanno accadendo in me. Nonostante tutto, l’età dell’oro esiste sempre, simultaneamente, in rare persone, ma sta a noi meritare di poterle individuare e avvicinare». In quelle parole c’è tanto, troppo, della sua imminente svolta per non leggere l’affacciarsi in lui di una nuova prospettiva di liberazione (l’età dell’oro). Non più ricercata in un’organizzazione, in uno sforzo di cambiamento sociale, ma in un modestissimo desiderio di prossimità a persone autentiche.

IL RITORNO E LA RICONCILIAZIONE. In un giorno della prima metà degli anni Novanta, squilla il telefono della parrocchia di San Cleto a Roma, quartiere San Basilio. A un capo della cornetta c’è padre Paolo Bosetti, responsabile della parrocchia, dall’altro monsignor Luigi Di Liegro, fondatore della Caritas diocesana. La richiesta del prelato è quella di accogliere un sacerdote, il quale, però, porta con sé un tremendo fardello: l’Aids. «Cosa dobbiamo fare?», chiede padre Paolo. «Vogliategli solo bene», risponde il monsignore. Sarà così. Don Marco comincia, in punta di piedi, una nuova vita assieme ai confratelli della Congregazione di Gesù sacerdote che lì convivono. Poche parole, tanto tempo libero, nessun impegno parrocchiale.
La vita trascorre lenta, don Marco, semplicemente, segue e comincia a vivere tutte le tappe della giornata: lodi, Messa, cena. Sempre creativo e autonomo nelle scelte culturali, accetta anche consigli su cosa leggere: comincia dal Presbyterorum Ordinis, un decreto del Concilio Vaticano II sul ministero e la vita sacerdotale; poi l’Optatam Totius sulla formazione sacerdotale; senza tralasciare naturalmente Bibbia e Vangeli. Testi fondamentali se si pensa alla sua vita passata. Decisivi perché letti con occhi diversi. Don Marco si mette in discussione, come uomo e come sacerdote. Il suo passato è noto a tutti, ma nessuno ne parla. «Solo una volta è successo», ricorda padre Paolo. «Don Marco diceva di non rinnegare nulla, ma di voler prendere le distanze dal passato, per “qualcosa che gli gira dentro”, dice. E su cui don Marco vive e medita con serenità».
Vivendo al fianco di altri sacerdoti fiorisce nel suo cuore il desiderio più bello: tornare a celebrare l’Eucaristia. Sono trascorsi, dall’ultima volta, almeno quindici anni. Don Marco ne parla con i confratelli. Non può essere il capriccio di un istante, e allora si approfondisce la questione. A frenare tutto c’è la sua sospensione a divinis. Ma non è un ostacolo insormontabile. La persona da informare è il vicario generale, il cardinale Ugo Poletti (colui che fa le veci del Vescovo di Roma, allora Giovanni Paolo II), che si prodiga per la vicenda e che spiega che c’è un unico passo decisivo da fare: la supplica.
Don Marco prende carta e penna e stende la sua richiesta. La figura a cui presentare la supplica e che deve valutarla è il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Joseph Ratzinger. Dopo qualche tempo arriva la risposta: la sospensione a divinis è cancellata. Qualche giorno dopo don Marco ne dà notizia alla sorella Anita: «Sono cosciente della mia indegnità, così come sono fermamente fiducioso nel perdono di Dio e nella sua azione purificatrice e rigeneratrice. Spero di potere, con il suo aiuto, riparare ai miei errori e traviamenti». Quella missiva arriva da Loreto. Padre Bosetti ricorda: «Se si riprende a celebrare l’Eucaristia, che è il corpo di Cristo, non si può farlo senza la riconciliazione». E così è stato. Il giorno della “prima Messa” arriva a Loreto una delegazione della vecchia diocesi di don Marco, guidata da monsignor Vincenzo Cozzi. Quella Chiesa a lungo contestata è lì per riabbracciarlo nel giorno più bello. Nessun passato può vincere il presente: i rancori e le incomprensioni sono fatti reali, concreti, ma non prevalgono. È la festa del perdono e della rinascita, è l’Eucaristia.

GLI ULTIMI ANNI, DURI MA INTENSI. Quelli che restano da vivere sono anni duri ma intensi. Non è semplice la vita per un malato di Aids, tra continue visite e frequenti ricoveri. «Eppure lui è sereno», racconta Vittorio Fratini, un amico. Una serenità che diventa conforto per gli altri, come testimonia un compagno di stanza in ospedale. Vittorio gli chiede da dove gli provenga questa gioia. La risposta è di quelle che non si dimenticano: «Ricordati che io ero morto e sono risorto. Se devo andare verso la fine della mia vita, ci vado con tanta serenità». Una delle ultime lettere di don Marco è del 4 aprile 2001. Risponde all’amico Giancarlo che si lamenta delle gerarchie ecclesiastiche. Don Marco rompe gli schemi. Prima spiega di esserne consapevole, poi aggiunge: «Non lasciamoci irretire da facili stereotipi. Il mio vescovo è un uomo mite, ricco di umanità, ha favorito la mia reintegrazione, pur sapendo di avere a che fare con un soggetto sieropositivo». È sorprendente. Il vecchio sguardo polemico su ciò che nella Chiesa dovrebbe o non dovrebbe esserci, ha lasciato il passo a uno sguardo pieno di gratitudine per quello che c’è.
L’ideologia ha lasciato il posto all’esperienza. Marco Bisceglia muore il 22 luglio 2001, nei giorni del G8 di Genova. Il “contestatore” muore in un giorno di contestazione. Ma quanto è lontano quello scenario di lotta dalla pace che regna ora nel suo cuore. Oggi riposa nel cimitero di Lavello, nella cappella dedicata ai sacerdoti

sabato 5 luglio 2025

Basilica Madonna de Pilar storia

 Non capita spesso ricevere un viaggio “regalo” di grande ed elevato significato. Sono stato a Saragozza, la città spagnola, capitale dell’Aragona, dove è presente il Santuario dedicato alla Madonna del Pilar. Ho vissuto giorni intensi non solo di fervore religioso ma anche di curiosità storiche e artistiche. Sono riuscito addirittura a scambiare qualche riflessione con tre sacerdoti che ho trovato nelle bellissime chiese e con un caballeros de Nuestra Senora del Pilar, il signor Antonio all’interno della


Basilica. Avevo una conoscenza parziale del miracolo e della storia della Madonna.


Prima del viaggio ne ho approfittato di leggere e recensire il testo che Vittorio Messori, che aveva scritto nel 1998, “Il Miracolo. Spagna, 1640: Indagine sul più sconvolgente prodigio mariano” (Rizzoli), testo che era presente nella mia biblioteca, e che “aspettava” di essere letto. Naturalmente ora dovrei trovare qualche testo, possibilmente in italiano, per avere una maggiore conoscenza della storia sulla venuta di Maria Vergine nella città aragonese, ma anche del mastodontico santuario e della fede religiosa che caratterizza il popolo d’Aragona. Intanto mi sono accontentato di alcuni contributi sintetici trovati su internet.


La venuta della Madonna del Pilar a Saragozza ebbe luogo nel 40 d.C., quando Maria viveva ancora in Palestina. A differenza di altre apparizioni mariane, come quelle di Fatima o Lourdes, questo evento è considerato una venuta, non un’apparizione. A differenza del resto delle apparizioni mariane che avvengono dopo l’Assunzione in cielo, nel caso della Vergine del Pilar, più che un’apparizione in sé, si tratta di una traslazione o bilocazione, poiché la sua venuta a Saragozza avvenne durante la sua vita mortale, quando viveva ancora in Terra Santa.


La tradizione pilarista sostiene che la Beata Vergine Maria è intervenuta in modo straordinario per confortare e di incoraggiare San Giacomo e un gruppo di convertiti, lasciando loro una colonna di diaspro come simbolo della fermezza della fede cristiana per evangelizzare l’Hispania. Questo evento è all’origine principale della devozione mariana nella Penisola Iberica e, successivamente, in America.


Secondo la pia tradizione, nelle prime ore del 2 gennaio del 40 d.C., la Vergine Maria apparve in carne e ossa nella città romana di Caesaraugusta (Saragozza).


La Cattedrale-Basilica del Pilar conserva documenti del XIII secolo che confermano che questa tradizione risale ai tempi della Chiesa primitiva. Secondo questi documenti: “Passando per le Asturie, giunse con i suoi nuovi discepoli attraverso la Galizia e la Castiglia, fino all’Aragona, territorio che allora si chiamava Celtiberia, dove sorge la città di Saragozza, sulle rive dell’Ebro. Lì Giacomo predicò per molti giorni e, tra i molti convertiti, scelse otto uomini come compagni, con i quali di giorno discuteva del regno di Dio e di notte passeggiava lungo le rive per riposarsi.”


La notte tra il 2 il 3 gennaio del 40, nel corso della sua vita terrena, la Beata Vergine apparve all’apostolo Giacomo che stava pregando sulla riva dell’Ebro e supplicando l’intercessione di Maria per la buona riuscita dell’evangelizzazione in Spagna. La Madonna, accompagnata da diversi cori di angeli che portavano una sua raffigurazione e una piccola colonna di diaspro, comunicò all’apostolo la volontà divina di edificare un tempio a Lei dedicato: nacque così la prima chiesa della Spagna

e dell’intera cristianità. Solo dopo averla costruita Giacomo tornò a Gerusalemme dove, primo tra tutti gli apostoli, subì il martirio durante le persecuzioni di Erode Agrippa.


La tradizione del Pilar è antichissima ed è confermata dalle rivelazioni avute nell’età moderna dalla beata Anna Caterina Emmerick e, prima ancora, dal dettagliato racconto della venerabile Maria di Agreda che riporta le parole della Vergine all’apostolo: «L’eccelso Re ha prescelto questo posto affinché in esso gli innalziate un tempio, dove sotto il titolo del mio nome il Suo sia magnificato […].


Egli darà libero corso alle sue antiche misericordie a vantaggio dei credenti e questi per mezzo della mia intercessione le otterranno, se le domanderanno con autentica confidenza e pia devozione». Aggiunse la Madonna: «Questo pilastro con sopra la mia immagine resterà qui e durerà con la santa fede fino alla fine dei tempi».


Sono passati quasi duemila anni e l’attuale gigantesco santuario di Saragozza – sopravvissuto a tre bombe sganciate all’inizio della guerra civile spagnola (1936- 1939), nessuna delle quali esplose – sorge sullo stesso luogo dell’apparizione e custodisce il prezioso pilastro all’interno di una cappella, con un oculo che consente ai pellegrini di baciarlo e venerarlo. Questa grande devozione verso la Vergine, patrona della Spagna e di tutta l’ispanità, è constatabile anche nella diffusione del nome Pilar, nelle tantissime edicole e nei canti che le sono dedicati.

Nelle mie ricerche emerge un dettaglio importante: Il collegamento tra Pilar e Santiago, e anche l’argomento merita di essere approfondito.


La devozione pilarista è strettamente legata alla tradizione giacobina di Compostela, divenendo due assi fondamentali della spiritualità in Spagna.


Ci sono delle prove archeologiche e storiche. Fin dall’antichità, i cristiani di Caesaraugusta costruirono una dimora attorno alla Sacra Colonna, forse il primo tempio dedicato alla Vergine Maria. Numerose sono le testimonianze che confermano l’antichità di questa devozione:

Il sarcofago di Sant’Engracia (IV secolo) mostra un bassorilievo della Vergine che scende dal cielo per apparire a San Giacomo. A questo proposito visitando la Chiesa, che ha una bellissima facciata, ho ricevuto in dono un testo “Aragonia sacra”, uno studio di vari autori, di ben 475 pagine, naturalmente in lingua spagnola, monografico su S. Engracia e la città di Zaragoza. Il testo corredato di numerose immagini sulla Santa, originaria di Braga in Portogallo, che ha subito il martirio nel 303 d.C insieme a diciotto compagni. Non solo ma è ricco di immagini anche de Los Sarcofagos Romano-Cristianos che troviamo nella cripta della Basilica.

La venuta della Madonna a Saragozza è la prima apparizione mariana documentata della storia, divenendo la radice principale della devozione alla Vergine in Spagna e in America. La sua unicità risiede nel fatto che avvenne mentre Maria era ancora in vita, in carne e ossa, il che la distingue da altre apparizioni successive.


Questa forte devozione spinse la Santa Sede a riconoscere ufficialmente la Venuta della Vergine come “antica e pia credenza” e a consentire l’istituzione dell’Ufficio del Pilastro. Da allora, ogni 2 gennaio, la Basilica del Pilar ospita una Veglia Eucaristica presieduta dall’Arcivescovo, in commemorazione di questo evento.


Inoltre, in questo giorno, l’immagine della Vergine viene mostrata senza mantello, lasciando visibile il fusto del Pilar. La grande Festa di Nuestra Senora del Pilar si svolge il 12 ottobre di ogni anno.


Il 13 ottobre 2009 la Tradizione del Pilar è stata riconosciuta come Tesoro del Patrimonio Culturale Immateriale della Spagna, insieme al Cammino di Santiago. Qualche cenno storico sulla Basilica.

Esiste un documento del 714, anno dell’occupazione musulmana, che attesta come Saragozza fosse un’importante meta di pellegrinaggio per la cristianità.

Intorno all’anno 835, un monaco di nome Almoino, del monastero di Saint – Germain de Paris, scrisse un codice in cui faceva riferimento alla chiesa della Vergine Maria di Saragozza, indicando che nel III

secolo vi aveva prestato servizio il grande martire San Vincenzo. Mentre nel XV secolo, Ferdinando il Cattolico notò la diffusione del culto della Vergine del Pilar a Saragozza.


A metà del XVII secolo si iniziò a progettare la costruzione di una nuova chiesa più ampia, in linea con le linee guida del Concilio di Trento. Nel 1681 fu posata la prima pietra dell’attuale basilica, la cui costruzione si protrasse fino al XX secolo, nonostante diverse modifiche e interruzioni dei lavori. Una menzione speciale merita l’architetto Ventura Rodríguez, che progettò la Santa Cappella, realizzata tra il 1754 e il 1765. All’interno della Basilica meritano di essere sottolineate anche altre opere di grande valore artistico, come la pala dell’altare maggiore in alabastro di Damián Forment, gli stalli del coro scolpiti da Esteban de Obray e la volta affrescata del Coreto di Francisco de Goya, originario di Zaragoza

Il Pilastro è un fusto cilindrico, senza modanature né ornamenti, alto 1,67 m e con un diametro di 25 cm. Realizzato in diaspro, è racchiuso da una copertura in rame argentato, che è ciò che appare ai fedeli. Per consentire ai fedeli di avvicinarsi e baciare questa colonna, è stata lasciata un’apertura ovale sul fondo della cappella attraverso la quale è possibile venerarla. L’immagine della Vergine poggia sul pilastro. Si tratta di un’effigie lignea alta 38 cm, scolpita secondo i canoni della scultura gotica europea della prima metà del XV secolo e attribuita allo scultore Juan de la Huerta. Rappresenta la Beata Vergine come regina e madre, con corona e manto imperiale, e con il Bambino in braccio.

Alcune tradizioni suggeriscono che quest’immagine sia stata donata dalla regina Bianca di Navarra, sposata con Giovanni II d’Aragona, dopo la sua guarigione da una grave malattia. Esistono prove documentali che nel 1433 si svolse un pellegrinaggio in segno di gratitudine per questa guarigione, e il frutto e la testimonianza perpetua di ciò furono l’istituzione da parte della regina dell’Ordine del

Pilar, l’unico ordine cavalleresco sopravvissuto nell’ex Regno di Navarra. Del miracolo di Calanda ne ho già parlato presentando il libro di Messori.

Tra le curiosità religiose e tradizionali da segnalare:

Il pilastro è coperto da uno degli innumerevoli mantelli che la Vergine custodisce gelosamente, sebbene vi siano diversi giorni all’anno in cui viene scoperto per la venerazione dei fedeli. Questi giorni sono il 2, il 12 e il 20 di ogni mese, in commemorazione delle date più importanti della devozione pilarista: la venuta della Vergine a Saragozza il 2 gennaio 1940, la solennità della Madonna del Pilar il 12 ottobre e l’incoronazione canonica della Vergine del Pilar il 20 maggio 1905. Dal 1677, alcuni mantelli hanno acquisito un valore aggiunto. Dopo essere stati indossati dalla Vergine del Pilar, vengono prestati a chiunque li desideri per coprire i malati, anche in punto di morte. Molti necrologi recitano: “Morì sotto il manto della Madonna del Pilar “.

La richiesta di mantelli, sia dall’Aragona che dal resto della Spagna e dall’estero, era in crescita e a volte impossibile da soddisfare, così vennero create le “misure”. Si tratta di nastri di tessuto di tanti colori quanti mantelli della Vergine, la cui lunghezza corrisponde esattamente alla misura dell’immagine sacra . Servono al lo stesso scopo: ricordarci la protezione della Madonna sui suoi figli in ogni momento.

Ci sarebbero molti altri aspetti da sottolineare riguardo alla “Pilarica”. Ne ho evidenziati alcuni tra i più significativi per comprendere meglio questa devozione popolare, simbolo di identità per la Spagna e che ci permette di approfondire la spiritualità del popolo aragonese e spagnolo. Ho trovato un interessante studio, una tesis Doctorial: “Usos publicos de la Virgen del Pilar: de la guerra de la indipendencia al premier Franquismo” (568 pagine; 2012) di Ramon Solans

Francisco Javier.

Fonti

BUESA CONDE, Domingo J. e LOZANO LÓPEZ, Juan Carlos. Il Pilastro è una

Colonna. La storia di una devozione. Governo dell’Aragona – Consiglio Comunale di

Saragozza, 1995.

DÍEZ QUINTANILLA, José Manuel. Le apparizioni della Vergine Maria: Dottrina e

storia. Free Books, Madrid, 2020.

PARDO, Andrés (dir.). Il libro del culto della Vergine. Alfredo Ortells, Valenza, 1998.

PASAMAR LAZARO, José Enrique e BLANCO LALINDE, Leonardo. Le bandiere

del Pilar, in Emblemata nº11, 2005, pp.429-434.

giovedì 3 luglio 2025

Miracolo Nostra Signora del Pilar

 

Un miracolo unico e inutilizzato

 

Vittorio Messori, il più grande scrittore cattolico vivente, tra le tante indagini storico religiose che ha fatto, ce ne è una che ha del clamoroso, si tratta del miracolo (il Gran Miraglo) che avvenne a Calanda, villaggio della Bassa Aragona in Spagna.

La sera del 29 marzo 1640, per intercessione di Nostra Signora del Pilar, veneratissima a Saragozza, a ungiovane contadino (Miguel Juan Pellicer) fu restituita di colpo la gamba destra, amputata più di due anni prima e sepolta nel cimitero dell’ospedale. Messori racconta questa storia con rigorosa documentazione in uno studio pubblicato da Rizzoli nel lontano 1998, testo riedito dalle edizioni Ares nel 2023. Io ho letto il testo pubblicato da Rizzoli,

Il Miracolo. Spagna 1640: Indagine sul più sconvolgente prodigio mariano”. Messori ci ha abituati a queste particolari indagini, come quella ben documentata su Bernadette Soubirous, una indagine storica sulla verità di Lourdes. Non sto qui ad elencare i numerosi e importanti studi che hanno caratterizzato la vita dello scrittore cattolico. Il miracolo di Calanda ebbe un certo riscontro quando avvenne, dopo è calato un sospettoso silenzio, scrive Messori, rotto proprio dal suo libro, il primo italiano che si è occupato dell’evento prodigioso. Lo studio è frutto di indagini negli archivi, interrogazioni di studiosi aragonesi e soprattutto di viaggi che l’autore ha fatto nei luoghi dove avvenne il miracolo.

Col rigore storico e la capacità divulgativa di sempre Messori è riuscito a raccontare uno dei misteri più sconvolgenti e, al contempo, più saldamente provati della storia. Il testo di 254 pagine, si compone di cinque Parti. Nella Prima (La Sfida) lo scrittore racconta la sua avventura del viaggio verso la Spagna, nella regione dell’Aragona, teatro di sanguinosi conflitti, uno per tutti, la Guerra Civil del 1936-39. Quando los Rojos (anarco-comunisti), i repubblicani che per odio nei confronti della Religione cattolica hanno devastato chiese e ucciso sacerdoti e suore. Affrontando l’evento de “El Milagro de los milagros”, il miracolo dei miracoli, usa l’evento di Calanda per fare delle importanti riflessioni spesso sottili provocazioni nei confronti dei tanti increduli, scettici, atei, agnostici come Emile ZolaErnest Renan, David Hume & compagni.

Il noto razionalista Felix Michaud affermava: “Nessun credente avrebbe l’ingenuità di sollecitare l’intervento divino perché rispunti una gamba tagliata. Un miracolo del genere, che pur sarebbe decisivo, non è mai stato constatato. E possiamo prevederlo, non lo sarà mai”. Questi cosiddetti liberi pensatori hanno cercato di sminuire, di diffamare gli eventi miracolosi in genere e in particolare i 65 casi di guarigioni a Lourdes. Quello di Calanda è stato volutamente ignorato. In questa parte Messori spiega la questione delle apparizioni della Madonna e dei vari miracoli che ancora oggi accompagnano la vita dei credenti e soprattutto il comportamento della Chiesa.

Si tratta semplicemente di aiuti che l’Altissimo offre all’umanità intera perché si converta e creda al Vangelo. I prodigi, i miracoli, sono segni straordinari, imprevedibili, segni “gratuiti”, – scrive Messori – concessi, ad enigmatica discrezione divina, per rinsaldare fedi vacillanti; per riaffermare la presenza del Creatore, Signore del mondo; per confermare la Sua onnipotenza e bontà”.

Intanto, l’autore, chiarisce che la Chiesa, intesa come Gerarchia, non cerca affatto questo tipo di “prodigi”. Spesso si mostra estremamente prudente e ipercritica, prima di confermare un avvenuto miracolo: In ogni caso, per il cattoliconon sono obblighi, da accettare sempre e comunque: sono semmai, doni, da accogliere con riconoscenza […]” Per la fede sono “conferme, magari appoggi; non fondamenta”.

Più avanti Messori sottolinea che nessun miracolo è indispensabile per il cristiano, tranne che quello della Resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo, qui la fede sta o cade. Tuttavia, a detta del maggiore storico attuale del “fatto di Calanda”, don Tomas Domingo Perez, la Chiesa, “anche quando, dopo una verifica meticolosa, l’autorità ecclesiastica dichiara autentico un fatto prodigioso, non intende affatto forzare l’assenso dei suoi figli”. Il Nostro è un Dio che ama la libertà, scrive ad un certo punto Messori.

È un Dio che si propone e non impone. E prima di concludere la prima parte Messori si interroga sul perché si conosce poco di Calanda, perché nessuno neanche la Utet, si prende cura di “uno strano processo del XVII secolo presso il tribunale vescovile di Saragozza e che avrebbe avuto per oggetto – nientemeno – che la storia di una gamba ricresciuta a un contadino analfabeta, un mendicante di un villaggio della Bassa Aragona?”. Se da parte “laica” il silenzio è comprensibile, non dovrebbe essere così da parte dei religiosi.

Addirittura, Messori lamenta che il miracolo più inaudito della storia non ha avuto l’eco universale che meritava, neanche da parte dei più accaniti battaglieri apologeti della fede. È uno strano oblio, interrotto da qualche studioso come l’abbè francese André Deroo, che studiava e divulgava i fatti di Lourdes, ed era spesso interrotto nelle sue conferenze e dibattiti, da qualche voce che esclamava: “Tutte queste storie di guarigioni miracolose sono molto belle ed edificanti…Però, caro Padre, non si è mai vista rispuntare una gamba tagliata!”. Per questo motivo, l’abbè ha fatto come Messori, ha indagato di persona sul posto per divulgare la memoria del prodigio iberico.

Nella seconda Parte (L’Evento) Messori racconta l’evento in sé stesso. Prima di giungere alla sera del 29 marzo del 1640, la notte del miracolo della gamba riattaccata al povero Miguel. Messori descrive l’incidente. Il giovane contadino finito sotto la pesante ruota di un carro ha avuto la gamba destra spezzata, alla fine di ottobre del 1637, in ospedale hanno deciso di tagliarla perché si era incancrenita. Pertanto, il giovane contadino non potendo più lavorare gli fu concesso di elemosinare davanti al santuario della Madonna del Pilar a Saragozza.

Dopo tre anni, superando la vergogna della sua mutilazione, è ritornato faticosamente a casa dai genitori a Calanda con due stampelle e una gamba di legno. Qui nella notte del 29 marzo 1640 si risvegliò con la sua gamba riattaccata, quella che sotterrata nel cimitero tre anni prima. Messori racconta con documenti alla mano, tutte le varie tappe del prodigio. A cominciare del grande spavento dei genitori di Miguel, con la stanza dove si percepiva “profumo di Paradiso”.

E poi l’accorrere dei vicini di casa e i parroci con il vescovo di Saragozza monsignor Pedro Apaolaza Ramirez che dopo un anno di processi e verifiche, con un rigore disciplinare e morale, ha emesso la sentenza con la quale si dichiarava miracolosa, ottenuta per l’intercessione di Nostra Signora del Pilar, la restituzione a Miguel Juan Pellicer di Calanda, la gamba destra amputata e sepolta da due anni e cinque mesi. Questo è il titolo della Sentenza pubblicata nell’ultima parte del libro. Dove troviamo anche l’Atto pubblico steso in Calanda, Bassa Aragona il 2 aprile 1640 dal Notaio Reale di Mazaleon, dottor Miguel Andreu.

Messori ritorna spesso sulla questione che il miracolo di Calanda ha avuto l’imprimatur delle autorità civili aragonesi. Un atto pubblico addirittura garantito da un documento (steso da un notaio abilitato dallo Stato) secondo ogni regola del diritto e confermato da dieci testimoni oculari, scelti tra i più attendibili e informati sui moltissimi disponibili. Tra l’altro persone non nativi della borgata del giovane Pellicer. Paradossalmente scrive Messori, dopo le carte, qui, “anche le pietre parlano”, rifacendosi a un’immagine evangelica. Un intero villaggio non si può ingannare, osserva un sacerdote. Anche se Calanda, forse a causa del suo isolamento geografico, non è mai divenuto un luogo primario di pellegrinaggio come Lourdes.

Infatti, sottolinea Messori, poteva testimoniare tutto un popolo che aveva conosciuto il giovane contadino. Praticamente, “siamo di fronte a un intervento divino certificato da un Atto pubblico”. Un atto, addirittura dopo una settantina di ore dopo l’evento e sul luogo stesso di quei fatti sui quali viene steso e autentica il rogito. Un Atto che si è salvato da mille pericoli, soprattutto dalla furia iconoclasta dei nuovi giacobini comunisti e che troviamo nell’ufficio del sindaco nel municipio di Saragozza. Non a torto lo storico Leandro Aina Naval può osservare: “Con un simile documento ci avviciniamo a quella garanzia ideale reclamata dai razionalisti e dagli increduli di ogni tempo […]”.

Il Mistero, insomma, garantito dai sigilli del Dottor Andreu, quello che in pratica pretendeva l’antiCristo di un Voltaire: “un miracolo constatato da un certo numero di persone sensate e che non fossero interessate alla cosa”. Voltaire, voleva l’intervento di un notaio e un suo rogito in piena regola come quando si acquista una casa o si contrae un matrimonio, o un testamento. A proposito dell’atto notarile Messori fa una interessante considerazione, “nessuno storico, per quanto scrupoloso potrebbe esigere di più. La stragrande maggioranza dei fatti del passato (anche fra i maggiori) è attestata con assai minori certezze documentarie e garanzie ufficiali. È una constatazione oggettiva, non una rassicurazione apologetica”.

Interessante la riflessione di Messori sulla attendibilità del miracolo, non c’erano solo i parroci, le autorità civili, ma c’era anche la “Suprema”, l’Inquisizione che vegliava senza essere intervenuta sul caso Calanda. Istituzione che aveva in Spagna l’appoggio popolare pieno e convinto di ogni classe sociale, al contrario di quello che vogliono farci credere gli estensori della “leggenda nera”. Abbastanza interessante descrivere un altro “siparietto” alla corte del Re Filippo IV che volle conoscere il giovane suddito analfabeta favorito dalla più straordinaria delle grazie della Vergine del Pilar.

Il sovrano di fronte al Pellicer non ha esitato ad inginocchiarsi e baciare la gamba miracolata. Messori accenna anche alla storia del santuario dedicato alla Vergine Maria, servirebbe uno studio approfondito, comunque non si tratta della solita apparizione della Madonna come è accaduto in altri luoghi, ma di una venuta della Madonna proprio a Saragozza nel 40 d.C. dove c’era l’apostolo Giacomo il Maggiore e altri che stavano evangelizzando il popolo iberico.

La Vergine Maria è venuta in carne e ossa su un pilastro, invitando Giacomo, quello di Compostela, che sarà poi il primo apostolo a subire il martirio, a costruire un tempio in suo onore. Questo pilastro, di alabastro, è ancora conservato nella cappella della basilica ed è oggetto di grande venerazione. È un luogo unico, quella del santuario del Pilar a Saragozza. Dio non ha fatto una cosa simile per alcun popolo. C’è una sorta di misterioso parallelismo tra Saragozza e Calanda, sorge spontanea la domanda: “Perché proprio qui e non altrove?”.

Zaragoza diventa la prima “sede” mariana del mondo. Qui, sulla riva destra dell’Ebro, appena fuori le mura della romana Caesarea Augusta, nella notte del 2 gennaio dell’anno 40 è venuta la Vergine quando era ancora in vita, prima di “addormentarsi” e di essere assunta in Cielo. Trasportata dagli angeli, sarebbe venuta da Gerusalemme “in carne mortale”, come cantano da secoli a squarciagola i fedeli, e come più volte al giorno ripetono sulla piazza del Pilar gli altoparlanti.

Messori racconta altri aneddoti inerenti al Gran Milagro, come quelli che riguardano  Luis Bunuel, il famoso regista, ateo, ma devoto alla vergine del Pilar e al miracolo di Calanda. Per il regista spagnolo Lourdes è un luogo mediocre.

Nella terza Parte (La Lezione) di Calanda. Il significato sociale più che personale del miracolo. Un beneficio per la comunità intera non solo aragonese, ma di tutta la Spagna, per tutti noi che abbiamo appreso lo straordinario evento. Ma questo vale per qualsiasi altro evento miracoloso. Per quanto riguarda il dopo guarigione di Miguel Juan Pellicer si sa poco, ignoriamo quando sia morto, abbiamo poche certezze della sua vita dopo il miracolo. La quarta Parte è dedicata alle immagini, che per un libro sono tante.

Ultima parte i Documenti.

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martedì 1 luglio 2025

Khalil Gibran La poesia

 🔖<<La poesia è capire la completezza. Come farla comprendere a chi concepisce solo il particolare?>>🔖 


*Massima tratta dal libro 'Spiritual Sayings' del poeta, pittore, filosofo e teologo libanese naturalizzato statunitense Khalil Gibran (Bsharre, 1883 - New York, 1931), uno degli scrittori più famosi nel mondo.


Dopo William Shakespeare e Laozi, l'artista ed intellettuale mediorientale è l'autore più letto della storia, in particolare grazie alla sua raccolta di poesie in prosa 'Il Profeta', tra i più grandi successi editoriali del mondo. 


Pensatore di culto soprattutto per i giovani, che considerano le sue opere come breviari mistici, Gibran unì nei suoi componimenti la cultura orientale con quella occidentale.


"La poesia -recita una sua celebre lirica- è il salvagente cui mi aggrappo quando tutto sembra svanire." 


Nel volume 'Thoughts and Meditations' approfondisce la sua riflessione sul ruolo della scrittura in versi con queste parole: "La poesia, cari amici, è la sacra incarnazione di un sorriso. La poesia è un sospiro che asciuga le lacrime. La poesia è un pensiero che risiede nell’anima, il suo nutrimento è il cuore, il suo vino è l’affetto. La poesia che non si presenta sotto questa forma è un falso messia."


#Poesia #Poeti #Gibran #KhalilGibran #WilliamShakespeare #Laozi

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🔴IL POETA

  (Jubrān Khalīl Jubrān, famoso come Khalil Gibran)


Un anello tra questo mondo e l’aldilà;

una fonte di acqua limpida per gli assetati;

un albero cresciuto sulle rive del fiume della bellezza,

carico di frutti maturi ai quali anelano i cuori affamati.

Un uccello canterino che saltella sui rami del discorso,

gorgheggiando melodie che colmano le creature di dolcezza e tenerezza.

Una nube bianca nel cielo della sera,

che sorge e cresce fino a riempire i cieli,

e poi riversa la sua generosità sui fiori nei campi della Vita.

Un angelo inviato dagli dèi per insegnare agli uomini le vie degli dèi.


Una lampada risplendente inattaccabile dal buio,

perché non è nascosta sotto il moggio.

Astarte la riempì d’olio, Apollo la accese.

Solo, vestito di sincerità e nutrito dalla tenerezza;

siede in grembo alla natura imparando a creare,

e veglia nella quiete della notte

aspettando la discesa dello spirito.


Un contadino che sparge i semi del suo cuore

nel giardino del sentimento,

dove essi danno frutto

per quelli che raccolgono.

Questo è il Poeta, ignorato dagli uomini durante la sua vita,

e riconosciuto da loro solo quando abbandona il mondo per far ritorno alla sua dimora celeste.

Questi è colui che non chiede nulla agli uomini se non un piccolo sorriso;

il cui respiro si leva e riempie il firmamento di perenni visioni di bellezza.

Eppure la gente gli rifiuta nutrimento e rifugio.

Fino a quando, o Uomo,

fino a quando, o Vita,

costruirete palazzi di onore

a quelli che impastano la terra col sangue

e scanserete quelli che vi danno pace e armonia?


Fino a quando esalterete gli assassini

e quelli che fanno curvare il collo sotto il giogo dell’oppressione?

Dimenticando coloro che diffondono nel buio della notte

la luce dei loro occhi per mostrarvi lo splendore del giorno?

Coloro che hanno trascorso un’esistenza miserabile

affinché voi poteste gustare la felicità e il diletto.


E voi, Poeti, vita di questa vita:

avete conquistato il tempo

a dispetto della sua tirannia,

e meritato una corona d’alloro

affrontando le spine dell’inganno.

Voi siete sovrani sui cuori

e il vostro regno non avrà fine.

VITAMINA C

  ACIDO ASCORBICO O VITAMINA C

L’acido ascorbico è uno dei più importanti antiossidanti idrosolubili e presente nei liquidi organici e nel citoplasma del corpo umano. Il fatto che sia una vitamina, cioè indispensabile, nonostante esistano molti altri antiossidanti esogeni molto più potenti dipende dal fatto che solo lui è in grado di provocare la formazione del collageno trasformando la PROLINA in OSSIPROLINA la quale provoca la sintesi del COLLAGENO (sostanza fondamentale ). E’ curioso che quasi tutte le specie viventi riescano a sintetizzarlo con una produzione endogena mentre sono solo i PRIMATI e l’UOMO che hanno perso la capacità di sintetizzarlo. Pertanto nell’uomo è indispensabile un assunzione esogena. L’acido ascorbico è in grado di interrompere la reazione a catena che si innesca generalmente nell’infiammazione cronica ed è in grado di reagire con un vasto numero di ROS (radicali liberi), tra cui perossidi, ossigeno molecole ridotto, ipoclorito e radicali di zolfo. Esso protegge i lipidi e le membrane dai danni ossidativi, favorendo l’eliminazione dei radicali perossilici ed idrossilici. Ad esso viene attribuita la capacità di ridurre il rischio di cataratta e dei danni della retina, di potenziare la funzione immunitaria e la disintossicazione e di diminuire la tossicità dei metalli pesanti. L’assunzione di acido ascorbico riduce la produzione gastrointestinale di nitrosamine e mutageni (cancerogeni) fecali. Tali fattori concorrono a spiegare la relazione esistente fra una maggior assunzione di acido ascorbico e la diminuzione del rischio del cancro della cervice, dello stomaco, del colon e dei polmoni. L’integrazione di acido ascorbico è inoltre in grado di ridurre l’ossidazione delle LDL plasmatico, con conseguente aumento delle HDL. L’acido ascorbico presente nel plasma funge da marker biologico dello stress ossidativo. Per fare un esempio, il fumo di sigaretta consuma le riserve di acido ascorbico e riduce le capacità dell’organismo di svolgere reazioni di riduzione che garantiscono la presenza nel plasma di acido ascorbico in forma ridotta (bioattiva). Analogamente nei processi infiammatori gravi si può avere una drastica riduzione plasmatica di acido ascorbico; a ciò si può supplire consumando notevoli quantità (5-10 gr) di acido ascorbico (Vit C). Del resto si è visto che una maggior produzione endogena di acido ascorbico si ha nell’animale in seguito a processi infiammatori (in un cane di 50 Kg si può avere la produzione anche di parecchi grammi di acido ascorbico). L’acido ascorbico agisce congiuntamente al glutatione ed all’acido lipoico per rigenerare l’alfa tocoferolo (Vit E). Come il radicale tocoferolico anche il radicale ascorbico (non attivo) è relativamente stabile e presenta una scarsa tendenza ad attaccare le cellule. Si intende dire che l’acido ascorbico (Vit C) una volta che ha ricevuto o ceduto un elettrone non attacca le cellule e non presenta tossicità. . Il deidroascorbato può essere nuovamente ridotto in ascorbato dal glutatione e dal NADPH mediante riciclaccio redox. Nei modelli animali livelli elevati di ascorbato possono compensare la scomparsa produzione di glutatione e viceversa. Se esposto a livelli catalitici di rame e ferro , l’ascorbato favorisce la produzione di H2 O2 (acqua ossigenata) e radicali idrossilici. Per assicurare tale effetto sono necessarie alte concentrazioni di ascorbato e l’esaurimento del tocoferolo (Vit E). Durante uno stato infiammatorio così come può essere in un tumore, la liberazione di ferro o rame può svolgere un azione pro-ossidante. L ’accumulo eccessivo di ferro o rame assunti con la dieta potrebbe favorire l’ossidazione indotta dell’ascorbato. La RDA attuale per la Vit C di 60 mg viene ormai ritenuta del tutto inadeguata. Si è constatato che il fabbisogno di ascorbato (Vit C) dipende dalle patologie, ed in presenza di infiammazione o di tumore l’assunzione di molti grammi di ascorbato può rendersi necessaria per neutralizzare i radicali liberi che vengono continuamente prodotti. E’ buona cosa in queste patologie suddividere l’assunzione di Vit C più volte nella giornata. Si è visto che i flavonoidi della frutta possono aumentare l’assorbimento della Vit C ma anche ne garantiscono la stabilizzazione, cioè ne aumentano l’efficacia.

Dr. CLAUDIO Sauro

lunedì 30 giugno 2025

Vitamina D

  

Quanta Vitamina D è necessaria per Arrivare ai Livelli Ottimali? E’ vero che fa venire Ipercalcemia?

C’è una confusione totale sulle quantità da assumere, perchè 
i medici consigliano,mediamente, dosi inutilmente basse per paura di una tossicità che non è mai esistita.

Il Ministero della Salute invece ha recentemente portato da 1000 a 2000 UI la dose massima giornaliera da assumere. 

Un nuovo studio svela in maniera ben precisa che le dosi di vitamina D da prendere sono invece….

Di Claudio Tozzi

Nel paleolitico abbiamo vissuto per milioni di anni nella savana africana, dove stavamo tutto il giorno al sole, nudi, in un territorio con pochi alberi.

Questo ha fatto cosi che la produzione di questa preziosa sostanza, la Vitamina D, attraverso la nostra pelle, era ogni giorno talmente elevata che l’ evoluzione ha dovuto schermarla con la pelle molto scura.

Per questo motivo, quasi ogni cellula del corpo contiene un recettore della vitamina D.

Tuttavia circa 100.000 anni fa siamo usciti dall’ Africa e siamo andati in posti (specialmente a nord del mondo) dove invece era molto freddo, costringendosi a coprirci con delle pelli animali e riparandoci anche all’ interno delle grotte, ma cosi schermavamo i raggi solari e conseguentemente la relativa produzione di vitamina D. 

Senza contare che ci siamo stabiliti anche in posti, come l’ attuale Scandinavia, dove il sole non c’è quasi per nulla. 


Attualmente la maggioranza dei medici non fa proprio effettuare il dosaggio della vitamina D ai loro pazienti e quando le rare volte che lo fa, consiglia normalmente 25.000 UI ogni 15 giorni, o peggio, al mese. 

In realtà sono dosaggi praticamente inutili, tanto è vero che proprio recentemente anche il Ministero della Salute italiano ha aumentato da 1000 a 2000 UI giornaliere di vitamina D3 che si possono prendere come integratore. 

Del resto già dal 2011, la “Endocrine Society” americana ha rivisto le linee guida internazionali, con le dosi di Vitamina D che arrivano anche a 10.000 UI al giorno senza che possano provocare alcuna tossicità.

Il documento, completamente tradotto in italiano, è visionabile in toto nella sezione File del mio gruppo Facebook Paleoitalia —>QUI


Dopo tutte queste raccomandazioni in conflitto, è ovvio che la gente possa andare in totale confusione.

Ma allora qual è la verità? Di quanta vitamina D necessita i nostro organismo? A che livello la vitamina D è veramente troppa o tossica?

​Ebbene, alcuni ricercatori hanno condotto uno studio, (pubblicato sul “Journal Dermato-Endocrinology Volume 9, 2017”)  alla ricerca di queste risposte.

Hanno incluso nello studio un totale di 3.882 partecipanti, con l’età media di 60 anni. Meno dell’1% dei partecipanti sono stati considerati sottopeso, il 35,5% aveva un BMI normale, il 37,0% era in sovrappeso e il 27,5% era obeso.

IL Body Mass Index (BMI) o Indice di Massa Corporea (IMC)  è un parametro molto utilizzato per ottenere una valutazione generale del proprio peso corporeo.

Esso mette in relazione con una semplice formula matematica l’altezza con il peso del soggetto.
Si ottiene dividendo il peso in Kg del soggetto con il quadrato dell’altezza espressa in metri.

Il risultato di tale formula classifica il soggetto in un’area di peso che può essere: normale – sottopeso – sovrappeso – obesità di medio grado – obesità di alto.

Situazione peso                                          Min         Max

Obesità di III classe (gravissima)          ≥ 40,00
Obesità di II classe (grave)                     35,00     39,99
Obesità di I classe (moderata)               30,0       34,99
Sovrappeso                                              25,0       29,99
Regolare                                                  18,50     24,99
Leggermente sottopeso                        17,50     18,49
Visibilmente sottopeso
(anoressia moderata)                            16          17,49
Grave magrezza (inedia)                    <16

All’inizio dello studio, il 55% dei partecipanti ha riportato di aver preso vitamina D.

La dose media di vitamina D è aumentata da 2.106 UI al giorno all’inizio dello studio a 6.767 UI ogni giorno circa un anno dopo.

I livelli medi di vitamina D sono aumentati da 34,8 ng / ml a 50,4 ng / ml durante questo periodo.

I ricercatori hanno voluto determinare il dosaggio necessario per raggiungere livelli sani della vitamina D, definito da livelli di 40 ng / ml o superiori. 

Volevano anche determinare l’incidenza di effetti collaterali, compresa l’ipercalcemia, cioè la presunta causa della mancata prescrizione della vitamina D da parte del 90% dei medici mondiali.

Ecco cosa hanno trovato i ricercatori:

1) I cambiamenti nei livelli di vitamina D sono stati influenzati da dosaggi di vitamina D, indice di massa corporea (BMI) e i livelli di vitamina D all’inizio dello studio.

2) I partecipanti che avevano una carenza di vitamina D (<20 ng / ml) al basale hanno sperimentato un aumento più elevato di livelli di vitamina D rispetto a quelli con livelli insufficienti o sufficienti di vitamina D al basale.

3) ​I partecipanti senza deficit di vitamina D al basale hanno sperimentato una risposta insensibile alla stessa dose di vitamina D rispetto a quelli con deficit di vitamina D.

4) La risposta all’integrazione della vitamina D era minore con l’aumento del BMI. In altre parole, gli individui obesi hanno richiesto la massima integrazione per ottenere livelli sufficienti; invece quelli con peso normale o sottopeso richiedono un integrazione minima  per ottenere livelli sufficienti.

5) Per i soggetti con un BMI normale era necessario l’ apporto di almeno 6000 UI al giorno di vitamina D3  per raggiungere uno status di vitamina D superiore a 40 ng / ml.

6) I partecipanti in sovrappeso hanno richiesto l’assunzione di vitamina D3 di almeno 7.000 UI al giorno per ottenere uno status di vitamina D superiore a 40 ng / ml.

7) I partecipanti obesi hanno richiesto l’assunzione di vitamina D3 di almeno 8.000 UI al giorno per raggiungere uno status di vitamina D superiore a 40 ng / ml.

8) ll livello di calcio medio non è cambiato dall’inizio fino alla fine dello studio.

9) Un sottogruppo di partecipanti (285) non ha sperimentato un aumento significativo dello status della vitamina D, nonostante la segnalazione ha preso notevoli assunzioni di vitamina D (> 4000 UI al giorno).

I ricercatori hanno determinato che questo era probabilmente da attribuire a malassorbimento intestinale, ma senza dubbio la non-compliance (cioè i soggetti non hanno assunto la vitamina D3) ha anche svolto un ruolo. (Ad esempio, il tasso di non-compliance con i farmaci antipertensivi è di circa il 30%.)

10) Venti nuovi casi di ipercalcemia si sono verificati tra l’inizio e la fine dello studio. Quelli con livelli di vitamina D inferiori a 40 ng / ml avevano maggiori probabilità di verificarsi l’ipercalcemia rispetto a quelli con livelli di vitamina D di 40 ng / ml o superiore.

Cioè esattamente il contrario di quello che pensa il 90% dei medici al mondo, cioè eccessivi livelli di vitamina D aumenterebbe la calcemia, provocando così danni alle arterie, producendo calcoli renali, ecc. 

Infatti, i ricercatori hanno scoperto che l’incidenza dell’ipercalciuria è in realtà diminuita dopo l’integrazione di vitamina D, a partire da un totale di 67 casi ipercalciurici, ma al follow-up (cioè una serie di controlli periodici programmati) il 67% non era più ipercalciurico.

Inoltre, è importante sottolineare che nessuno dei partecipanti ha sviluppato alcuna prova di tossicità clinica di vitamina D, composta da ipercalcemia e 25 (OH) D> 200 ng / ml, stanchezza, anoressia, dolore addominale, minzione frequente, irritabilità, eccessiva sete, nausea e talvolta vomito.

La tossicità biochimica della vitamina D consisterebbe in valore superiore a 200 ng / ml, ipercalcemia e un livello di PTH (paratormone) soppresso senza sintomi clinici, ma a nessuno dei partecipanti è accaduta una cosa del genere. 

Poiché la maggior parte dei laboratori identificano la gamma normale di 25 (OH) D a 30-100 ng / ml, alcuni medici credono che 25 (OH) D superiore a 100 ng / ml sia tossicità.

​Non lo è, ovviamente, infatti di solito è solo ipervitaminosi D che comunque nel 99% dei casi non porta a nessuna conseguenza..

I ricercatori hanno concluso:

“Dosi di vitamina D superiore a 6.000 UI / d sono state necessarie per ottenere concentrazioni di 25 (OH) D di siero superiore a 100 nmol / L [40 ng / ml], soprattutto in individui che erano in sovrappeso o obesi, senza alcuna prova di tossicità”.

Una cosa che gli autori non hanno menzionato è il ruolo che la genetica può svolgere in questo.

Ad esempio, il gene che codifica per la 25-idrossilasi ha una variazione geneticamente determinata nella sua trascrizione e alcune persone hanno più 25-idrossilasi rispetto ad altri e pertanto otterranno livelli di 25 (OH) D maggiori rispetto ad altri.

Tenendo conto di questi risultati, prendendo in considerazione la genetica, l’unico modo per essere sicuri di avere più di 40 ng / ml di vitamina D nel sangue è quello di effettuare un semplice un test di 25 (OH) D in qualsiasi laboratorio d’ analisi.

In realtà in caso di malattie autoimmunitarie, tumori, ecc, oppure si pratichino attività sportive di medio-alto impegno, il livello consigliato è 75-80 ng / ml e in questo caso si consiglia di assumere 10.000 UI al giorno di Vitamina D3 insieme a 1000 mcg di Vitamina K2-MK7 che svolge un ruolo fondamentale nel metabolismo della D3 e elimina l’ eventuale calcificazione nelle arterie.

Il rapporto deve 1000 UI di vitamina D insieme a 100 mcg di vitamina K2-MK7 (no MK4, MK9).


Quindi, ricapitolando, il protocollo da seguire è questo:

1) Fare le analisi del sangue (Vitamina D – 25 OH)

2) Se il risultato è almeno 40 ng / ml e NON in presenza di malattie autoimmuni,tumori e attività sportive, prendere comunque più sole possibile in estate e almeno 2000 UI al giorno in inverno, senza protezione (non farebbe produrre vitamina D).

3) Tuttavia, nel 90% dei casi il risultato sarà sempre sotto 40 ng / ml, quindi in questo caso assumere 10.000 UI al giorno di Vitamina D3 insieme a 1000 mcg di Vitamina K2-MK7 

Per esempio 30 gocce di Savana D3 Raw” al giorno (oppure in 5 Capsule soft-gels) + 5 mini-compresse (2 a colazione-2 a pranzo-2 a cena) di “Primal K2 1000”.

In generale evitate gli integratori di Vitamina D a base di olio di girasole, che sono molto economici, ma quest’ olio danneggia l’ intestino creando la cosidetta “permeabilità intestinale”, che scatena praticamente tutte le malattie autoimmuni. 

In pratica uno prende la vitamina D per curarsi e dentro il prodotto c’è qualcosa che in realtà peggiora la situazione; quindi scegliete quelli a base di olio d’ oliva, possibilmente extravergine biologico e non ci saranno problemi.

Anche per quanto la Vitamina K2-MK7 NON deve essere derivata dal “Natto” di soia (come il 90% dei prodotti in commercio), ma da altre fonti vegetali. Evitate anche le forme MK4 e MK9. 

4) Dopo due mesi ripetere l’ analisi; se il valore ha raggiunto il valore di almeno 40 ng / ml, fare una dose di mantenimento di 7000-8000 UI al giorno e prendere comunque più sole possibile d’ inverno, senza protezione.

5) In presenza di malattie autoimmuni,tumori, ecc oppure si pratichino attività attività sportive a medio-alto livello, nel sangue il valore da raggiungere è di almeno 75-80 ng / ml. 

Il dosaggio in questo caso sarà sempre lo stesso, cioè 10.000 UI al giorno di Vitamina D3 insieme a 1000 mcg di Vitamina K2-MK7, cioè  30 gocce di Savana D3 Raw” al giorno (oppure in 5 Capsule soft-gels) + 5 mini-compresse (2 a colazione-2 a pranzo-2 a cena) di “Primal K2 1000”.

6) Dopo due mesi ripetere l’ analisi; se il valore ha raggiunto il valore di almeno 75-80 ng / ml, fare una dose di mantenimento di 7000-8000 UI al giorno e prendere comunque più sole possibile d’ inverno, senza protezione