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domenica 28 aprile 2024

Faa' di Bruno

 “Faa' di Bruno, un gigante della fede e della carità, un difensore della dignità della donna” di Domenico Bonvegn

Il buon cattolico che soggiorna a Torino pensa giustamente di visitare la Sindone, il Sacro lenzuolo dove è stato deposto Nostro Signore dopo la morte sul Calvario. L'ho fatto anch'io, anche se ho visitato la copia che viene custodita in una parete della sacrestia della Chiesa di S. Lorenzo a fianco del Palazzo Reale. Una volta osservato quest'obbligo, il mio pensiero si è rivolto alla numerosa schiera di santi sociali torinesi, vissuti nel solo Ottocento. Mi riferisco a don Bosco al Cottolengo, al Cafasso, per rimanere a quelli più conosciuti. Però ce n'è uno, meno conosciuto, a cui sono particolarmente legato: il beato Faà di Bruno.

L'ho conosciuto leggendo il brillante testo di Vittorio Messori«Un Italiano serio», pubblicato dalle edizioni Paoline nel 1990. Del resto, come mi ha confermato suor Carla Gallinaro, la postulatrice del beato, è stato proprio il giornalista cattolico torinese a far uscire dall'oblio generale il Faà di Bruno.
Pertanto recandomi in via San Donato, con grande emozione, ho ammirato la sua Chiesa dedicata a Nostra Signora del Suffragio e poi il suo splendido Campanile e il Museo. Qui ha operato Faà di Bruno, una straordinaria poliedrica figura; basta aprire il deplian, che promuove il Museo, ben curato da Centro Studi “Francesco Faà di Bruno”, per cogliere in un solo sguardo il vasto curriculum del beato. Fu un militare, capitano di Stato Maggiore, cartografoprofessorescienziatoinventore, astronomoarchitettoscrittoremusicistaoperatore socialesacerdotebeato.
A mia conoscenza non esiste un altro “santo” con queste caratteristiche. Del resto è tutto documentato nelle nove sale dell'ordinato Museo, che tutti possono ammirare.
Francesco Faà di Bruno, ultimo di dodici figli, nacque ad Alessandria il 29 marzo 1825. «una famiglia di antichissima nobiltà, ricca di gloriose tradizioni e di personaggi che illustrarono i vari campi della vita, religiosa, militare e politica. Una stupenda famiglia sia per l'accordo e la perfetta armonia dei genitori, il marchese Luigi e la nobildonna Carolina Sappa dei Milanesi, sia per i fortissimi vincoli di affetto dei dodici figli». (Anna Maria Bairati, «Il certosino laico», a cura delle Suore Minime di Nostra Signora del Suffragio, 3 rist. 2013)
Francesco trascorse l'infanzia nel castello di Bruno, nel cuore del Monferrato. La mamma Carolina, nonostante la sua morte prematura, lasciò a Francesco un'impronta indelebile per la sensibilità religiosa, il senso del dovere, la pietà, la dedizione alla famiglia. «Non è poi tanto difficile essere buoni. Basta voler bene per fare il bene», queste ultime parole della mamma, rimasero impresse per sempre nel cuore di Francesco.
Ben presto il padre fu costretto a sistemare il giovane Francesco nel collegio di Novi Ligure, retto dai padri Somaschi. Qui poi dovette scegliere che tipo di carriera intraprendere: quella religiosa o militare. Del resto, già due sorelle avevano scelto la vita religiosa, lo stesso per quanto riguarda due maschi. E' un percorso, «non dissimile da quello di altre famiglie altolocate: il primogenito eredita titolo e beni, i cadetti possono scegliere fra l'esercito e il sacerdozio, mentre alle femmine si pone l'alternativa fra il matrimonio e il monastero». (Pier Luigi Bassignana, Francesco Faà di Bruno. Scienza, fede e società, Edizioni del Capricorno, 2008)
Comunque sia il giovane Francesco aveva già avuto numerosi parenti che avevano abbracciato il sacerdozio, un prozio fu vescovo di Acqui.
Superato l'esame di ammissione, il 15 ottobre 1840, entrò nell'Accademia Militare di Torino e subito si distinse per disciplina e impegno negli studi. Del resto Francesco aveva in famiglia Emilio, ufficiale di marina, perito nella battaglia di Lissa. Incominciavano a profilarsi le sue tendenze per le scienze esatte, specialmente per la matematica nella quale svilupperà in seguito una vera e propria genialità. Nello stesso tempo arrivarono i distacchi e i dolori, due sorelle morirono, un carissimo fratello si trasferiva a Londra.
Intanto nell'agosto 1846 riceve la nomina di Luogotenente nel Regio Corpo di Stato Maggiore generale. «Il giovane ufficiale bello, elegante e brillante, sognava gloria e allori. La prima guerra d'indipendenza lo vide a fianco di Carlo Alberto, inquadrato nella Brigata Guardie della Divisione di riserva, comandata dal duca Vittorio Emanuele, quale aiutante di campo». (Anna Maria Bairati)
Nella battaglia di Novara, un fuciliere austriaco aveva centrato il suo cavallo, ma lui è rimasto in piedi sulle lunghe gambe. Della guerra, fu colpito dalla sua crudeltà che miete i giovani migliori, molti dei quali non avrebbero avuto nessuno che pregasse per la loro pace eterna. Francesco Faà di Bruno criticò anche il pressappochismo «dei comandanti, che portavano molto bene i pennacchi e la divisa, ma come i generali di tutti i tempi mandavano a morire i loro soldati con criminale stupidità». (Bruno Ferrero, Francesco Faà di Bruno. Storia di un genio formidabile, Elledici, editrice Velar, 2017)
Chissà cosa avrebbe pensato il giovane Faà di Bruno se avesse assistito alle crudeltà e alle aberrazioni della Prima guerra mondiale.
Salito al trono l'amico Vittorio Emanuele II, il Faà viene nominato insegnante di materie scientifiche per i due figli Umberto e Amedeo. I due principini avevano cinque e quattro anni. Intanto il capitano venne inviato a Parigi per frequentare i corsi di scienze naturali nella prestigiosa Università della Sorbona. Qui nella città dove molti andavano a divertirsi, Francesco trovò l'ambiente adatto per la serietà dello studio e l'impegno per il bene. Nella parrocchia di Saint-Sulpice, «trovò - scrive Ferrero - quello che il suo spirito stava inconsciamente cercando: un alto livello di preparazione religiosa, di ascetica, di catechesi, di liturgia, di musica e di canto sacro». Proprio qui venne a contatto con i membri della Conferenza di San Vincenzo di Saint-Germain-des-Pres, dove ha conosciuto Federico Ozanam, il fondatore delle Conferenze.
A questo punto una serie di avversità costrinsero Francesco a ripensare la propria vita. L'ultima fu il suo rifiuto a battersi in un duello con un collega ufficiale che l'aveva offeso. A 27 anni fu costretto ad abbandonare la carriera militare. La decisione è stata comunicata ai vertici dell'esercito Regio con queste parole: «Voglio dedicarmi interamente agli studi. Qualcosa da fare lo troverò. Dopotutto non sono un asino».
Adesso libero da impegni il Faà a 28 anni inizia il suo apostolato a favore delle donne, organizzando una scuola di canto sacro, un coro di sole donne presso la parrocchia di San Massimo.
Nel maggio 1854 riprese gli studi prediletti a Parigi in due anni si è laureato in scienze matematiche ed astronomiche, presso la Università della Sorbona. Il titolo gli è stato riconosciuto dal Ministero della Pubblica Istruzione italiano, che lo autorizzava a tenere dei corsi all'Università di Torino. Tenne la cattedra universitaria sino alla fine della sua vita.
In questo suo secondo soggiorno a Parigi, lo studioso Francesco Faà di Bruno venne a contatto con il cattolicesimo sociale parigino, con uomini come l'abate Moigno e tanti altri cultori di scienza e pratiche religiose.
A Parigi aveva visto all'opera la Società di San Vincenzo e questa per lui era stata un'esperienza fondamentale, perché, «gli fece scoprire il problema della povertà e della miseria e, insieme, gli additò delle soluzioni che erano accolte con favore dalla sua mentalità in quanto implicavano un grande impegno religioso, con esclusione delle diatribe politiche». ( P. Bassignana). E' qui che il professore Faà ha ammirato gli ostelli per apprendisti, pensioni per operai, l'opera di miglioramento alloggi, l'opera di collocamento cassa di mutuo soccorso, corsi serali. E poi le opere caritative religiose: gli orfanotrofi, catechismo, visita ai poveri, ai prigionieri, ai condannati a morte, agli ammalati, distribuzione dei buoni alimentari.
Rientrato a Torino, diventerà subito il suo campo di prova delle sue sperimentazioni didattiche e delle sue iniziative assistenziali. «Assistenza spirituale e assistenza materiale vanno a braccetto». Tuttavia, «Francesco si preoccupava anche degli effetti devastanti che la stampa areligiosa, quando non apertamente anticlericale, poteva provocare su persone culturalmente poco attrezzate. Nella prima esperienza francese aveva potuto constatare l'utilità degli almanacchi prodotti dalla Conferenza di San Vincenzo[...]». (Cfr. Bassignana)
A Torino bisognava contrastare l'influenza provocata soprattutto dal giornale Il Fischietto, fortemente polemico nei confronti della Chiesa. Francesco era convinto che bisognava dar vita a qualche iniziativa più organica, che, sull'esempio francese, si occupasse in maniera continuativa delle necessità, anche materiali, di una moltitudine di giovani donne. Un altro impegno era rappresentato dallo studio e dall'insegnamento. «Da quel momento in poi, - scrive Bassignana – apostolato sociale e attività scientifico-didattica marceranno a braccetto». Per comprendere meglio l'importanza delle opere del Faà di Bruno, Bassignana, cita un importante lavoro, sulla situazione socio-economica di quel periodo della città di Torino. «Torino era una città di diseredati che abbracciavano una parte vastissima della popolazione [...]mostrava una variegata stratificazione della miseria, una piramide che coincideva con lo strato più basso della società ed aveva una base molto larga. Ne facevano parte condizioni tutte di povertà, maggiore o minore, ma assai eterogenee, dal disoccupato all'inabile al lavoro per età o malattia, all'internato in qualche istituzione assistenziale o correzionale, al mendicante saltuario o di professione, alla prostituta, al ladro occasionale o a tempo pieno, al ciarlatano e all'imbroglione, al venditore ambulante di mille cose diverse [...]». (Umberto Levra, L'altro volto di Torino risorgimentale. 1814-1848, Comitato di Torino dell'Istituto per la storia del Risorgimento italiano, Torino 1989, p. 18)Naturalmente l'elenco potrebbe continuare.
Per tutta questa gente, «il problema primario da risolvere era quello della fame, di come assicurarsi quel minimo vitale che impedisse di morire prematuramente: a Torino, negli anni intorno al 1848, la durata media della vita si aggirava sui trentacinque anni». Addirittura Levra, notava una «decadenza fisica dei ceti inferiori, la loro bruttezza aggiunta alla denutrizione, alla bassa statura, alle deformità, a una debolezza organica diffusa». Leggendo questa citazione io da buon meridionale, siciliano, scopro una povertà nordica che non conoscevo. Certi storici mi avevano fatto intendere che la povertà era una condizione diffusa soltanto nel Sud della nostra penisola.
Peraltro anche lo stesso Bassignana non è da meno nell'analisi impietosa sulla Torino dell'epoca. «I mattinali di polizia riportavano ogni giorno notizie di furti, rapine, stupri. I più esposti ai pericoli e alle tentazioni erano i fanciulli e le donne. Quando la famiglia non era in grado di mantenerli, molto spesso i ragazzi, magari ancora bambini, venivano abbandonati a se stessi, finivano sulla strada, dove si organizzavano in bande o si dedicavano all'accattonaggio, con grave scandalo dei benpensanti [...]Quanto alle donne, la prostituzione era la strada più facile e, spesso, anche obbligata:'per lo più di età compresa fra i 16 e i 29 anni, non mancavano tra loro bambine di 12, 13 anni o addirittura di 9; affette spesso di malattie veneree[...]». Per lo studioso torinese, si trattava di un «esercito», in cui militavano le rappresentanti di tutti i mestieri praticati in città. Nei documenti si possono incontrare: serve, sarte, lavandai, filatrici, cucitrici, cameriere, etc. Poi c'era un altro «esercito» di mezzane, ruffiani, abilissimi nel prospettare a queste donne il miraggio di favolosi guadagni. «Per porre rimedio a questo stato di cose, o quantomeno per dare un po' di sollievo a una popolazione perennemente in bilico fra miseria e degrado, erano sorte numerose istituzioni caritative».
Tra queste iniziative Bassignana ricorda il Cottolengo, don Bosco, Saccarelli, don Cocchi, ma poi c'era anche l'aristocrazia, in particolare la marchesa Giulia di Barolo, che in particolare si occupava della popolazione femminile. In pericolo c'erano le donne di servizio, che negli anni sessanta ammontavano a circa 10.000 su una popolazione di 150.000 abitanti. E su questa categoria che si concentra l'interesse di Francesco Faà di Bruno.
Tuttavia il Faà per risolvere questa tragica situazione della fame, propose alle autorità torinesi, l'esperienza della San Vincenzo parigina, dei «fornelli economici» per i lavoratori. L'esperienza prevedeva dei negozi che preparassero e vendessero - non era educativo regalare - vivande cotte, pronte da consumare sul posto o da portare in famiglia, il costo delle quali era bassissimo, ma sufficiente a coprire le spese e capace anche di fornire un piccolo utile, un capitale, in modo che l'opera potesse estendersi ad un numero sempre maggiore di bisognosi.
La proposta non fu accolta, ma nel frattempo, Francesco istituisce lui un fornello che, oltre a fornire vivande, forniva anche medicinali. A questo punto sembra che il sindaco di Torino accolse l'iniziativa, fornendo dei contributi per quattro fornelli.
Altra iniziativa interessante del Faà di Bruno è un'associazione che propugnava il riposo festivo per tutti. A questa associazione collaborò anche don Bosco. Scrive Ferrero, il beato «non vedeva il problema della santificazione delle feste soltanto sotto il profilo religioso, ma anche sotto quello sociale: era cosa veramente ingiusta che i datori di lavoro sfruttassero le energie degli operai costringendoli, come scrisse in un appello agli operai, 'a rovinarsi la salute per lavorare la domenica'».
Questa iniziativa del Faà avviò in tutta Italia, la nascita di numerose associazioni per l'osservanza delle feste e suggerivano di servirsi presso i negozianti che osservavano il riposo festivo. Peraltro, «il problema è attuale ancora oggi. A conferma della vivacità 'profetica' delle intuizioni di Francesco».
Fa notare Ferrero, che in quell'epoca, c'era anche un problema di igiene, di salute pubblica. Se si pensa che il castello di Versailles, nonostante la vastità, possedeva un solo bagno. Pertanto non bisogna meravigliarsi se anche le case signorili erano sprovvisti di bagno e in molte case non c'era l'acqua corrente. Non esisteva un acquedotto moderno, frequenti erano le epidemie, specialmente durante la stagione calda. Francesco propose al Municipio di Torino un piano dettagliato per la costruzione di una rete di bagni e lavatoi pubblici economici, per contrastare le ricorrenti epidemie come il tifo e il colera, e per soccorrere le massaie, costrette a lavare sulle rive dei fossi, esposte alle intemperie. Ma anche questa proposta il governo liberale massonico non l'ha accolta.
Tra le tante opere assistenziali create da Faà di Bruno c'è sicuramente l'opera di S. Zita; anche qui Francesco guardava all'esperienza parigina. Le ragazze abbandonate a se stesse lo preoccupava, per questo comprò una casetta nel Borgo S. Donato, un quartiere povero e malfamato, non lontano da Valdocco e dall'opera del Cottolengo. «Fu un piccolo seme gettato nel terreno buono - scrive suor Bairati - chi oggi vede tutto il complesso di opere che fiorirono attorno al piccolo stabile, non può che rimanere stupito ed ammirato». Sostanzialmente proprio qui ebbe inizio, quella che chiamano la «cittadella della donna».
Pertanto, suor Bairati, può scrivere: «ai giovani stava pensando Don Bosco, ai malati aveva provveduto il Santo Cottolengo; Francesco, nobile, ricco, imparentato con personaggi di spicco e con una rete di conoscenze e di amicizie ad alto livello, scese ad occuparsi delle lavoratrici più disprezzate, sfruttate, spesso mal retribuite e per queste ragioni esposte a mille pericoli».
Il dott. Mario Cecchetto, definisce Faà di Bruno, «l'apostolo della dignità della donna», per questo nacque l'opera di S. Zita, destinata a provvedere in maniera organica alle necessità materiali e morali della vasta classe lavoratrice delle donne di servizio.
«Scopo principale dell'Opera è di rispondere alla necessità concreta di dare ricovero temporaneo e gratuito alle lavoratrici domestiche che hanno perso il posto di lavoro, offrendo loro altresì opportunità ed occasioni di lavoro, cercate o provocate dall'Opera stessa, insomma casa rifugio ed ufficio di collocamento». (M. Cecchetto, « I cardini della felicità. Francesco Faà di Bruno nella Torino del XIX secolo», in Atti dell'incontro di studi, Teatro dell'Istituto Faà di Bruno, 29.3.2003, Torino)
In quell'epoca a Torino, le donne di servizio erano il 6% della popolazione cittadina, provenivano per la maggior parte dalle campagne, ed erano le meno protette, per lo più analfabete, inesperte ed ingenue, spesso diventavano vittime di soprusi ed insidie. Nell'Opera le donne venivano preparate spiritualmente e professionalmente, alfabetizzate per essere immesse nel lavoro. Scrive Cecchetto: «nel rifugio le ospiti si mantenevano svolgendo i vari servizi, come in famiglia, nonché lavorando nella lavanderia modello, vera e propria intrapresa industriale, creata dal fondatore per sostenere l'Opera, ch'era priva di capitali[...]la fondazione s'ingrandì tanto da diventare come una cittadina tutta al femminile. Faà di Bruno era il generale in capo che, a mano a mano, che si presentavano delle necessità, vi faceva fronte, creando nuove classi, vale a dire gruppi omogenei, ognuno con propri locali, col proprio regolamento, orario e compiti appositi. Unico luogo dove ci si ritrovava insieme quotidianamente era la Chiesa».
Pertanto l'Opera S. Zita era strutturata per classi: la classe delle figlie di Santa Zita, quella delle pensionanti Signore di civile condizione. La classe delle Clarine, o figlie di santa Chiara. Accoglieva le povere giovani, con evidenti difetti fisici o con handicap. «Bisognava ammirare la straordinaria capacità di Faà di bruno di saper organizzare e valorizzare le capacità lavorative di tali persone […] Il fondatore ebbe sempre una particolare cura ed amorevolezza per queste giovani sfortunate e volel che fossero trattate, in specie per il vitto, meglio delle altre ospiti della casa».
Inoltre erano previste la Classe delle inferme e convalescenti, la classe delle pensionanti lavoratrici anziane: il beato garantiva fino al termine della loro vita un ambiente serena, servizi religiosi, vitto migliore e più abbondante che altrove. E' stato uno dei primi pensionati di categoria per anziane a Torino e in Italia.
Poi c'era la classe delle Educande interne ed esterne. Oratorio e patronato per le figlie di servizio. La classe delle tipografe, una novità per quei tempi, il Faà impiantò una tipografia tutta al femminile. La Classe delle allieve maestre ed istitutrici. 
A questo proposito fa notare Cecchetto che è prezioso e cruciale formare un esercito di insegnanti per i fanciulli nella nascente nuova Italia. Ormai ci si avviava verso la laicizzazione della scuola. Si stava passando da una scuola in mano agli ecclesiastici ad una scuola totalmente laica.
Nel 1868 Faà di Bruno rileva l'istituto magistrale femminile della SS. Ma Annunziata e lo trasferisce nella sua cittadella, con l'intento «di formare un piccolo esercito di insegnanti, per realizzare con esse la riconquista cristiana della società, a partire appunto dai fanciulli che queste sue maestre avrebbero educato nei vari comuni d'Italia. Come mirava a mettere una ragazza di servizio da lui formata in ogni famiglia per santificarla, così desiderava anche porre una sua maestra in ogni comune. Questa la strategia complessiva: santificare le famiglie con le sue domestiche, formare i fanciulli ai valori cristiani con le sue maestre».
Era un'opera di elevazione, di riscatto sociale per queste ragazze provenienti dalla campagne. Nel 1870 istituì anche un corso speciale per istitutrici, maestre cui dava «un'ulteriore specializzazione facendo loro apprendere, tra l'altro, le lingue inglese e francese e l'economia domestica al fine di prepararle all'impiego nell'educazione privata dei figli presso famiglie nobili o benestanti».
Il professore Faà di Bruno ha avuto sempre una speciale attenzione per la formazione delle sue allieve, facendogli apprendere anche discipline particolari come la fisica, meteorologia, chimica. Per loro preparò anche testi specifici di materie scientifiche, che poi furono adottati negli istituti magistrali e licei. «La sua pedagogia – scrive Cecchetto – è semplice e forte, centrata com'è sulla formazione integrale della maestra: cultura umanistica, cultura scientifica, cultura musicale, cultura morale e religiosa e, ultima ma non meno importante, cultura della 'manualità' integrate armonicamente».
Riflettendo con la volontaria che mi ha guidato nella visita al Museo, si concordava sull'opportunità di ricordare il beato Faà di Bruno, visto che ha lottato per tutta la sua vita a difesa e al riscatto delle donne più svantaggiate, come un grande e autentico emancipatore della donna. E perché non pensare di organizzare una manifestazione, un happening per evidenziare questo aspetto della vita del beato. Peraltro come sottolinea bene Bassignana, «l'emancipazione della donna passa anche attraverso la presa di conoscenza delle conquiste tecnico-scientifiche».
Un monumento «aere perennius», secondo suor Bairati, «più durevole del bronzo» fu la Congregazione religiosa femminile per garantire continuità alla sua Opera. Certo non era facile per un laico e per giunta maschio, fondare una congregazione religiosa di suore. Preparò il motto per le sue religiose: «Pregare, agire, soffrire». Anche il nome della Congregazione era nello stile del beato: Suore Minime del Suffragio. «All'origine della Congregazione c'è dell'eroismo. La vita delle prime postulanti fu assai dura, sia per le fatiche del lavoro, sia per l'austerità del regolamento nel quale possono veder riflesse le abitudini del militare ligio al dovere, esigente con se stesso e quindi anche con gli altri». L'ambiente di vita era abbastanza austero, spoglio e povero, il dormitorio per il piccolo drappello di novizie e postulanti era comune. La Provvidenza gli mandò la signorina Giovanna Gonella, che divenne poi la prima Superiora Generale della Congregazione.
Che cosa mancava a tutto questo grande impegno del «certosino laico»? Il primo a dirglielo è stato il vescovo di Mondovì:“Signor cavaliere, che manca a lei per essere prete? Si decida, ed in breve sarà ordinato”. Il 22 ottobre 1876, avviene la sospirata ordinazione. Tra i suoi capolavori, uno resta ben visibile nel quartiere, mi riferisco alla bellissima Chiesa di N. S. del Suffragio e allo stupendo campanile, con il suo orologio, per far vedere l'ora a tutti i borghigiani di allora. «Quella dell'orologio fu un'iniziativa importante e, al tempo stesso rivelatrice della mentalità con la quale Faà di Bruno affrontava i problemi della società del suo tempo. Come ha ricordato Vittorio Messori, un orologio era allora un lusso per privilegiati: in attesa di una società in cui tutti potessero permettersi di acquistarlo, Faà di Bruno pensò di risolvere subito il problema». (Bassignana)
Aveva scelto un architetto per la costruzione ma poi continuò da solo, anche con l'aiuto delle suore. Il campanile merita essere ricordato, alto ben 83 metri, studiato nei minimi particolari, «da mettere in rilievo la sicurezza delle nozioni possedute da lui in fatto di fisica, meccanica e matematica». Ho avuto il privilegio di poter visitare il prestigioso monumento e sopratutto di poter apprezzare le spiegazioni sulle tecniche di costruzione da parte della competente guida signora Sasso. Certo al mio posto ci voleva un ingegnere per capire meglio lo straordinario lavoro di Francesco.
E comunque nonostante la mia incompetenza sulla materia, ho inteso anch'io l'importanza del lavoro svolto dallo scienziato, che, come fa notare Bassignana, il Faà di Bruno, della scienza aveva una concezione più «sociale» che speculativa. «L'interesse che Faà di Bruno nutre per la matematica e l'insegnamento è dello stesso tipo di quello che lo porterà alla costituzione dell'Opera di Santa Zita. La scienza, come la carità, non debbono essere fine a se stesse, ma trovano giustificazione solo se riescono a essere 'utili'».
Concludo con le riflessioni che traggo dal testo di Bassignana, «Forse, il lascito più importante che Francesco Faà di Bruno consegna al nostro tempo consiste proprio in questa sua straordinaria capacità di comporre i contrasti, di superare le contraddizioni personali in nome della fede. Una fede assoluta cristallina, ma al tempo stesso razionale, una fiducia in Dio che gli indicava sempre la strada giusta, l'obiettivo da perseguire». L'altro miracolo importante che ci ha lasciato, è come scrive Messori, «quello dell'unione, nella stessa persona, della mentalità più moderna e più aperta al vero progresso, con la fedeltà alla Tradizione cattolica più classica, con la scelta più radicale di un 'si' al Dio di Gesù Cristo e anche a quella Chiesa che, con il Sillabo e con altri pronunciamenti, era giudicata ormai del tutto fuori gioco, un relitto di epoche in via di estinzione».
 

Mantieni i tuoi pensieri positivi

 "Mantieni i tuoi pensieri positivi,

perché i tuoi pensieri diventano parole.

Mantieni le tue parole positive,

perché le tue parole diventano i tuoi comportamenti.

Mantieni i tuoi comportamenti positivi,

perché i tuoi comportamenti diventano le tue abitudini.

Mantieni le tue abitudini positive,

perché le tue abitudini diventano i tuoi valori.

Mantieni i tuoi valori positivi,

perché i tuoi valori diventano il tuo destino."


Mahatma Gandhi

giovedì 25 aprile 2024

Storia della Chiesa in Sardegna

 Cari amici di Cagliari e della Sardegna, anche il vostro popolo, grazie alla fede in Cristo e mediante la spirituale maternità di Maria e della Chiesa, è stato chiamato ad inserirsi nella spirituale “genealogia” del Vangelo. In Sardegna il cristianesimo è arrivato non con le spade dei conquistatori o per imposizione straniera, ma è germogliato dal sangue dei martiri che qui hanno donato la loro vita come atto di amore verso Dio e verso gli uomini. È nelle vostre miniere che risuonò per la prima volta la Buona Novella portata dal Papa Ponziano e dal presbitero Ippolito e da tanti fratelli condannati ad metalla per la loro fede in Cristo. Così anche Saturnino, Gavino, Proto e Gianuario, Simplicio, Lussorio, Efisio, Antioco sono stati testimoni della totale dedizione a Cristo come vero Dio e Signore. La testimonianza del martirio conquistò un animo fiero come quello dei Sardi, istintivamente refrattario a tutto ciò che veniva dal mare. Dall’esempio dei martiri prese vigore il vescovo Lucifero di Cagliari, che difese l’ortodossia contro l’arianesimo e si oppose, insieme ad Eusebio di Vercelli, anch’egli cagliaritano, alla condanna di Atanasio nel Concilio di Milano del 335, e per questo ambedue, Lucifero ed Eusebio, vennero condannati all’esilio, un esilio molto duro. La Sardegna non è mai stata terra di eresie; il suo popolo ha sempre manifestato filiale fedeltà a Cristo e alla Sede di Pietro. Sì, cari amici, nel susseguirsi delle invasioni e delle dominazioni, la fede in Cristo è rimasta nell’anima delle vostre popolazioni come elemento costitutivo della vostra stessa identità sarda. 


Dopo i martiri, nel V secolo, arrivarono dall’Africa romana numerosi Vescovi che, non avendo aderito all’eresia ariana, dovettero subire l’esilio. Venendo nell’isola, essi portarono con sé la ricchezza della loro fede. Furono oltre cento Vescovi che, sotto la guida di Fulgenzio di Ruspe, fondarono monasteri e intensificarono l’evangelizzazione. Insieme alle reliquie gloriose di Agostino, portarono la ricchezza della loro tradizione liturgica e spirituale, di cui voi conservate ancora le tracce. Così la fede si è sempre più radicata nel cuore dei fedeli fino a diventare cultura e produrre frutti di santità. Ignazio da Láconi, Nicola da Gésturi sono i santi in cui la Sardegna si riconosce. La martire Antonia Mesina, la contemplativa Gabriella Sagheddu e la suora della carità Giuseppina Nicóli sono l’espressione di una gioventù capace di perseguire grandi ideali. Questa fede semplice e coraggiosa, continua a vivere nelle vostre comunità, nelle vostre famiglie, dove si respira il profumo evangelico delle virtù proprie della vostra terra: la fedeltà, la dignità, la riservatezza, la sobrietà, il senso del dovere.


E poi, ovviamente, l’amore per la Madonna. Siamo infatti qui, oggi, a commemorare un grande atto di fede, che i vostri padri compirono affidando la propria vita alla Madre di Cristo, quando la scelsero come Patrona massima dell’Isola. Non potevano sapere allora che il Novecento sarebbe stato un secolo molto difficile, ma certamente fu proprio in questa consacrazione a Maria che trovarono in seguito la forza per affrontare le difficoltà sopravvenute, specialmente con le due guerre mondiali. Non poteva essere che così. La vostra Isola, cari amici della Sardegna, non poteva avere altra protettrice che la Madonna. Lei è la Mamma, la Figlia e la Sposa per eccellenza: “Sa Mama, Fiza, Isposa de su Segnore”, come amate cantare. La Mamma che ama, protegge, consiglia, consola, dà la vita, perché la vita nasca e perduri. La Figlia che onora la sua famiglia, sempre attenta alle necessità dei fratelli e delle sorelle, sollecita nel rendere la sua casa bella e accogliente. La Sposa capace di amore fedele e paziente, di sacrificio e di speranza. A Maria in Sardegna sono dedicate ben 350 chiese e santuari. Un popolo di madri si rispecchia nell’umile ragazza di Nazaret, che col suo “sì” ha permesso al Verbo di diventare carne.


So bene che Maria è nel vostro cuore. Dopo cent’anni vogliamo quest’oggi ringraziarLa per la sua protezione e rinnovarLe la nostra fiducia, riconoscendo in Lei la “Stella della nuova evangelizzazione”, alla cui scuola imparare come recare Cristo Salvatore agli uomini e alle donne contemporanei. Maria vi aiuti a portare Cristo alle famiglie, piccole chiese domestiche e cellule della società, oggi più che mai bisognose di fiducia e di sostegno sia sul piano spirituale che su quello sociale. Vi aiuti a trovare le opportune strategie pastorali per far sì che Cristo sia incontrato dai giovani, portatori per loro natura di nuovo slancio, ma spesso vittime del nichilismo diffuso, assetati di verità e di ideali proprio quando sembrano negarli. Vi renda capaci di evangelizzare il mondo del lavoro, dell’economia, della politica, che necessita di una nuova generazione di laici cristiani impegnati, capaci di cercare con competenza e rigore morale soluzioni di sviluppo sostenibile. In tutti questi aspetti dell’impegno cristiano potete sempre contare sulla guida e sul sostegno della Vergine Santa. Affidiamoci pertanto alla sua materna intercessione.


Maria è porto, rifugio e protezione per il popolo sardo, che ha in sé la forza della quercia. Passano le tempeste e questa quercia resiste; infuriano gli incendi ed essa nuovamente germoglia; sopravviene la siccità ed essa vince ancora. Rinnoviamo dunque con gioia la nostra consacrazione ad una Madre tanto premurosa. Le generazioni dei Sardi, ne sono certo, continueranno a salire al Santuario di Bonaria per invocare la protezione della Vergine. Mai resterà deluso chi si affida a Nostra Signora di Bonaria, Madre misericordiosa e potente. Maria, Regina della Pace e Stella della speranza, intercedi per noi. Amen! Leggere che bello !!

Benedetto XVI al popolo sardo

martedì 23 aprile 2024

curioso

 FARE MIRACOLI ❤️


“Non e il miracolo che fa la fiducia ma la fiducia che fa il miracolo. Infatti solo chi ha fiducia nella vita ne è curioso, aggettivo derivante da “cura”: chi ha cura del mondo non solo vede i miracoli, ma li fa”.


Alessandro D’Avenia

lunedì 22 aprile 2024

Giacomo Matteotti

 Alla Direzione del Partito Comunista – Roma


"Riceviamo la vostra lettera contenente la solita proposta poligrafata per tutte le occasioni. 


L’esperienza delle altre volte, e dell’ultima in particolare, ci ha riconfermati nella convinzione che codeste vostro proposte, apparentemente formulate a scopo di «fronte unico», sono in sostanza lanciate ad esclusivo scopo di polemica coi partiti socialisti, e di nuove inutili dispute.

(...)

Restiamo ognuno quel che siamo: voi siete comunisti per la dittatura e per il metodo della violenza delle minoranze: noi siamo socialisti e per il metodo democratico delle libere maggioranze. Non c’è quindi nulla di comune tra noi e voi".

Giacomo Matteotti

Segretario del Partito socialista unitario

17 aprile 1924

domenica 21 aprile 2024

vitamina D

 FINCHÉ MALATTIA NON CI SEPARI


La storia della scoperta della vitamina D parte nel 1919 quando Huldschinsky osservò che bambini affetti da rachitismo guarivano se esposti alla luce ultravioletta. 


A.F. Hess e H.B. Gutman ottennero un risultato simile nel 1922 usando la luce solare.


Nello stesso periodo Mc Collum ipotizzò l'esistenza di un composto liposolubile essenziale per il metabolismo delle ossa, studiando l'azione antirachitica dell'olio di fegato di pesce da cui riuscì a identificare una componente attiva.


Oggi abbiamo molte conoscenze e tanta consapevolezza (non troppa, ahimè).


Sappiamo che la forma attiva della vitamina D (calcitriolo) regola l'omeostasi calcio-fosfato attraverso l'interazione con il recettore della vitamina D (VDR). Ha anche un enorme impatto sul corretto funzionamento dei sistemi muscoloscheletrico, immunitario, nervoso e cardiovascolare. 


La carenza di vitamina D è spesso associata a diverse malattie neurologiche, poiché il recettore della vitamina D è espresso in diverse strutture cerebrali tra cui l'ippocampo, l'ipotalamo, la substantia nigra e il talamo. 


È noto che la vitamina D inibisce la proliferazione e induce la differenziazione delle cellule di diversi ceppi ed è essenziale per la rigenerazione della barriera epiteliale, nonché per la maturazione delle cellule immunitarie. Ad esempio, linfociti, neutrofili, monociti e cellule dendritiche non solo esprimono VDR e sono bersagli diretti per il calcitriolo, ma attivano anche la 25(OH)D3 (calcidiolo) circolante.


Gli effetti immunomodulatori della vitamina D attiva includono il passaggio dalla risposta cellulo-mediata (Th1) all'immunità umorale (Th2). 


La vitamina D attiva i macrofagi e la produzione di sostanze antimicrobiche da parte delle cellule immunitarie, che sono essenziali nell'eradicazione delle infezioni batteriche o virali. 


Non sorprende che l'insorgenza delle infezioni stagionali, come l'influenza, sia spesso collegata alla carenza di vitamina D. 


È anche noto che il basso livello di vitamina D è associato ad un aumento del rischio di qualsiasi tipo di cancro e ad una diminuzione del tasso di sopravvivenza, principalmente a causa di un'aumentata gravità dei sintomi e del potenziale metastatico dei tumori maligni.


Alla luce di queste (e altre) conoscenze, si continua a trascurare l'importanza della vitamina D e la raccomandazione solita è "un flaconcino da 25000 unità una volta al mese" come se fare una busta di spesa una volta al mese fosse sufficiente per un intero condominio.


In ultima istanza, recentemente, uno studio pubblicato su una prestigiosa rivista scientifica (NEJM) conclude che la vitamina non avrebbe effetti utili sulla riduzione del rischio di fratture, nonostante un campione massiccio (40000 persone).


Peccato che fossero soggetti non particolarmente anziani, non carenti di vitamina D, ai quali sono state somministrate 2000 UI giornaliere. 


E lo stile di vita? 

E l'attività fisica? 

E la menopausa? 

E le patologie? 


E stica...voli se il tuo medico è ottuso e non vuole prescriverti la Vitamina D. Puoi sempre mandarlo a quel paese (a prendere un po' di sole)!


Sembra, ma è solo l'opinione di un semplice nutrizionista di paese, l'ennesimo tentativo per screditare (boicottare) una molecola libera, non brevettabile, economica e soprattutto EFFICACE e SICURA.


Ah, è la vitamina del sole, quindi... GIORNALIERA, mi raccomando!

#dottRanalli

#ranallinutrizionista

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Padre Michel M. Zanotti-Sorkine:


Padre Michel M. Zanotti-Sorkine: suggerimenti ai Sacerdoti, ma anche ai Fedeli Laici


Per la serie dedicata dal nostro sito al “Don Camillo” dei nostri tempi, vogliamo proporre la figura di un sacerdote che, non solo a parole, ma con la propria vita, dona a noi e a tutti i Sacerdoti ottimi suggerimenti per vivere in questi tempi difficili. Dal canto nostro, compiendo egli 25 anni di sacerdozio proprio quest’anno, vogliamo ringraziarlo e assicurare la nostra Preghiera per i Sacerdoti e per queste Vocazioni…


«Vergogna ai codardi, agli uomini d’apparato, ai cacciatori di promozioni, agli ossequiosi per interesse, agli sdolcinati che inabissano la Chiesa sotto un ammasso di ipocrisia e di viltà!».

«L’imprudenza è la qualità dei santi», in che senso? cosa vuol dire? Fare e pensare senza slancio, senza amore: «Ne ho voglia, non ne ho voglia.» «Questo mi va, questo no.» «Dopo, non adesso.»

«E poi, che altro ancora? Ma per chi mi prende, per un superuomo? Se osi pronunciare queste parole pensandole, tu sei lontano anni luce dalla Luce, e a causa tua Cristo si spegne, là dove voleva passare per illuminare…

La procreazione, che lo si voglia o no, si basa su una certa follia pulsionale che produce la vita. Qualche cosa di questo slancio deve impregnare il sacerdozio.

Non lasciare che il laico interpreti il ruolo del prete, né che il prete interpreti il ruolo del laico… Se Giacomina dice messa e padre Andrea fa il caffè, ancora vent’anni di queste assurdità e le parrocchie saranno vuote. D’altro canto le mele marce ci sono già.»


Questi alcuni dei pensieri contenuti in un libro dal titolo significativo “I tiepidi vanno all’inferno” (Mondadori, pagine 190).

L’autore è un sacerdote dalla vita avventurosa: Padre Michel Marie Zanotti-Sorkine.

ed anche in “CREDERE” – Come si può spiegare Dio, Gesù, la fede a chi non la vive o non la conosce?

Un altro suo libro che raccoglie le risposte di chi ascolta e si pone molte domande, un religioso che consiglia di «amare, anche in modo goffo, ma amare»;

così come un libro dedicato alla Vergine Maria: “Maria, mio segreto”, il segreto di una autentica fede in Cristo vissuta nella gioia di un “Fiat” operativo e non in banale ottimismo:

«… non dimenticare che in te la Vergine sente tutto, capisce tutto, riceve tutto – e soprattutto ripara tutto. Allora, approfittane e vivi con Maria come si vive un amore. È semplice, no? E talmente appagante!»



Ma perché la talare?

Vengono alla mente le parole del Beato Rolando Rivi, Martire: portava sempre con orgoglio l’abito religioso, spiegando che la talare: “È il segno che io sono di Gesù”.

– La veste è una divisa da lavoro, un grembiule da cottimista; seppur nera, è una tuta blu, e niente affatto uno smoking o un abito da cerimonia. Non perdere mai di vista il fatto che la semplicità della tenuta rende gemelli di Cristo.

«Per me – sorride Padre Zanotti – è una divisa da lavoro. Vuole essere un segno per chi m’incontra, e soprattutto per chi non crede. Così sono riconoscibile come sacerdote, sempre. Così per strada sfrutto ogni occasione per fare amicizia. Padre, mi chiede uno, dov’è la posta? Venga, l’accompagno, rispondo io, e intanto si parla, e scopro che i figli di quell’uomo non sono battezzati. Me li porti, dico alla fine; e spesso quei bambini, poi, li battezzo. Cerco in ogni modo di mostrare con la mia faccia un’umanità buona. L’altro giorno addirittura – ride – in un bar un vecchio mi ha chiesto su quali cavalli puntare. Io gli ho dato i cavalli. Ho chiesto scusa alla Santa Vergine, fra me: ma sai, le ho detto, è per fare amicizia con quest’uomo. Come diceva un prete, che è stato mio maestro, a chi gli chiedeva come convertire i marxisti: “Occorre diventare loro amici”, rispondeva».

e… diventare “amici” non significa necessariamente sposare le idee sbagliate che gli amici hanno, anzi, spesse volte certe amicizie servono proprio per tirare fuori gli amici dall’errore: se vengo a sapere che un amico è caduto in disgrazia, ha rubato, ha fatto male qualcosa, ecc… compito del cristiano è aiutare l’amico a tirarsi fuori dall’impiccio in cui è caduto, così ha fatto Gesù per noi.


Poi, in chiesa, la messa è severa e bella. Il prete affabile è un prete rigoroso.

Perché cura tanto la liturgia?

«Voglio che tutto sia splendente attorno all’Eucarestia. Voglio che all’elevazione la gente capisca che Lui è qui, davvero. Non è teatro, non è pompa superflua: è abitare il Mistero. Anche il cuore ha bisogno di sentire».

Lui insiste molto sulla responsabilità del sacerdote e afferma che un sacerdote che abbia la chiesa vuota si deve interrogare; e anche: «È a noi, che manca il fuoco»…

“Anche il cuore ha bisogno di sentire” – accoglie prostitute e senzatetto – “Do loro la comunione. Che dovrei dire? Diventate oneste, prima di entrare qui? Se c’è in loro il pentimento, come il Figliol prodigo che ritorna dal Padre, appena li vedo corro loro incontro e li abbraccio. Cristo è venuto per i peccatori che si pentono e io ho l’ansia, nel negare un sacramento, che Lui un giorno me ne possa rendere conto” – e chiede più sforzi ai suoi confratelli nel sacerdozio: “Il sacerdote è ‘alter Christus’, è chiamato a riflettere in sé Cristo.”

«Questo non significa chiedere a noi stessi la perfezione (anche se è Gesù stesso a chiederci di fare questo sforzo: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” Mt.5,48); ma essere consci dei nostri peccati, della nostra stessa miseria, per poter comprendere e perdonare chiunque si presenti in confessionale… Chi mi cerca prima di tutto domanda un aiuto umano, e io cerco di dare tutto l’aiuto possibile. Non dimenticando che il mendicante ha bisogno di mangiare, ma ha anche un’anima da salvare…»


Non ascoltare i blasfemi della forma che imperversano nei ranghi degli ecclesiastici. Hanno distrutto la bellezza della messa a vantaggio delle ciance, ed è così che il contenuto si è svuotato.

Chi fa a meno della bellezza partorisce la bruttezza.

Dei bei calici e delle belle coppe come per la Pasqua ebraica! Lascia i vasi in terra e altri recipienti per le olive, fintamente poveri e così poco simbolici!

La domenica, come il povero Curato d’Ars che di Vangelo se ne intendeva, prepara la tavola regale, tira fuori le stoviglie più belle che hai, ricopriti di splendore, e sali sull’altare sotto la magnificenza dei grandi organi, l’hanno detto tutti, almeno i teologi più affidabili: tu sei Cristo!

Nel momento del Sacrificio, non una parola né un gesto in sacrestia. La vittima e il prete si preparano.

Corporale, purificatorio, manutergio, senza difetti, bianchi candidi, è il minimo per l’Agnello! Usciresti con indosso una camicia con le maniche e il collo sporchi?

Che gli ornamenti siano all’altezza di quelli che il direttore d’orchestra e i musicisti indossano per una serata di gala all’Opéra di Parigi o la Staatsoper di Vienna. Ed è ancora troppo poco sapendo quale sinfonia fantastica dirige il prete!

Vestendo gli ornamenti per la celebrazione della santa messa, ricordati che il tuo essere, in se stesso e per come appare, deve far piombare il Cielo sulla terra.

Alba immacolata, cingolo annodato, casula brillante, tovaglie ultracandide, copricalice, candelabri d’oro o d’argento, la croce come si deve al centro dell’altare, canti appropriati, fumi d’incenso, cuore in fiamme, tutto è pronto per servire la Bellezza incarnata.

Il coro della chiesa in cui dimorano gli angeli – la tua fede lo ha forse dimenticato? – è un luogo sacro in cui Dio si dona e abita. Per crederlo e rendere a Dio tutta la gloria, il suo accesso deve essere riservato.

La messa non ti appartiene. È di Cristo e della sua sposa, la Chiesa, che vegliano su di lei con il loro amore geloso. Rispettala ricevendola nei suoi riti.

Vano il tempo dedicato a ricostruire la liturgia intorno a un tavolo, a riscrivere il messale, a cercare tre canti in due ore per la messa della domenica! Non occorre più di un quarto d’ora per sistemare ciò che lo è già.

Non perdere il tuo tempo sulle questioni liturgiche. Sono regolate dal Santo Padre che desidera vedere l’amore di Cristo indorarsi sotto la luce sacra di un rito al tempo stesso ordinario e straordinario.

Prendi la messa come si prendono i voti, con il corpo, con l’anima, e muori e resuscita sull’altare, e fai in modo che questo si senta e si veda!

Su un solo inchino si contempla tutta la fede del prete.

In confessionale, padre Michel-Marie va tutte le sere, con assoluta puntualità, alle cinque, sempre.

“La gente, dice, deve sapere che il prete c’è, comunque”. Poi resta in sacristia fino a notte inoltrata, per chiunque desideri andarci:

«Voglio dare il segno di una disponibilità illimitata».

A giudicare dal continuo pellegrinaggio di fedeli, a sera, si direbbe che funzioni. Come una domanda profonda che emerge da questa città, apparentemente lontana.

Cosa vogliono? «La prima cosa è sentirsi dire: tu sei amato.

La seconda: Dio ha un progetto su di te. Non bisogna farli sentire giudicati, ma accolti. Occorre far capire che l’unico che può cambiare la loro vita è Cristo. E Maria. Due sono le cose che secondo me permettono un ritorno alla fede: l’abbraccio mariano, e l’apologetica appassionata, che tocca il cuore».

«Chi mi cerca – continua – prima di tutto domanda un aiuto umano, e io cerco di dare tutto l’aiuto possibile. Non dimenticando che il mendicante ha bisogno di mangiare, ma ha anche un’anima. Alla donna offesa dico: mandami tuo marito, gli parlo io. Ma poi, quanti vengono a dire che sono tristi, che vivono male… Allora chiedo: da quanto lei non si confessa? Perché so che il peccato pesa, e la tristezza del peccato tormenta. Mi sono convinto che ciò che fa soffrire tanta gente è la mancanza dei Sacramenti. Il Sacramento è il divino alla portata dell’uomo: e senza questo nutrimento non possiamo vivere. Io vedo la grazia operare, e che le persone cambiano… – e a chi si stupisce del suo comportamento dice -: Io non sono un santo, e non credo che tutti i preti debbano essere santi. Però possono essere uomini buoni. La gente sarà attratta dal loro volto buono.. (..) Ogni giorno, alla stessa ora, entra nel tuo confessionale, Gesù conosce i tuoi orari, e ti manda le persone…. Non rimandare mai una confessione. Basta un secondo per morire, e potrebbe capitare durante la proroga che tu hai imposto a Dio. ».

Giornate totalmente donate, per strada, o in confessionale, fino a notte.


Altri consigli preziosi


Non permettere ad alcun laico di farti perdere tempo proponendoti una riunione per spostare un mazzo di fiori. Agisci ed evita quelli che non hanno granché da fare e che vogliono strutturare oltremisura il cammino delicato dello Spirito Santo.

Non lasciare che il laico interpreti il ruolo del prete, né che il prete interpreti il ruolo del laico.

Davvero, insisto: liberati dalle riunioni inutili (praticamente tutte), preferisci un buon caffè con i tuoi collaboratori, scegli l’ambito della casa, lascia all’impresa quello dell’impresa.

Non lasciare che i fedeli ti diano del tu. E se lo fanno per lunga consuetudine con te, che premettano padre al tuo nome. Poiché è stato chiesto all’uomo di nominare tutte le cose, è attraverso il linguaggio che la realtà si stabilisce e si riconosce.

I pretesi cristiani «impegnati» che aiutano il prete in parrocchia collocandosi al di sopra dei loro fratelli che bussano alla porta della chiesa per chiedere un sacramento, e sui quali esercitano un diritto di scelta, quelli sono mezzi diavoli. Bisogna riportarli al loro giusto posto di battezzati prima che Dio mostri a che punto «chiunque si innalza sarà abbassato».

Se Giacomina dice messa e padre Andrea fa il caffè, ancora vent’anni di queste assurdità e le parrocchie saranno vuote. D’altro canto le mele marce ci sono già.

Non essere mai prigioniero di un qualsiasi sistema, sia anche stato messo a punto da un’assemblea di votanti. Agisci a partire da Cristo e dalla sua libertà che esplode sotto i versi del Vangelo che abbaglia.

Non gridare mai. Non sei un maiale che viene sgozzato. L’autorità proviene dall’alto, deve passare attraverso di te per arrivare, come da un adulto ai bambini. E tutto va da sé, con semplicità!

I nostri metodi pastorali devono avere un’unica parola d’ordine perfettamente adatta alla natura di Dio, che è semplice come l’amore quando è sincero, e tu l’hai indovinata: semplificazione. Se questa parola ti fa paura e giustifichi i tuoi timori nei suoi confronti, significa che la tua dimora interiore non è più edificata su quella degli apostoli.

Non dire mai: «Io sono il curato, io sono il cappellano, comando io». Comanda e basta, anche agli spiriti impuri, Gesù te lo ha ordinato.

Governare, insegnare, santificare, che piaccia o no agli spiriti confusi che popolano i nostri cenacoli, spetta al prete e a lui solo. Che i laici escano dal tempio in cui il clero li ha ridotti allo stato di rane dell’acquasantiera * e che saltellino come canguri oltre il giardino del curato per andare in cerca dei loro amici che saltellano allegramente lontano dalla fede!

Sei un curato, hai in custodia le anime, governa con la tua intelligenza legata al tuo sentire immediato.

Per quanto riguarda le apparizioni riconosciute di Maria, smetti di dire in modo dotto che non sono di fede. Rimani un bambino per conquistare il bambino che muore nella coscienza dei benpensanti.

«Me ne infischio dei preti colti!» mi ha detto un giorno un ingegnere. «Quello che voglio è che mi diano Dio!»

La Santa Vergine ha un bel dare l’esempio nelle sue apparizioni, e dietro di lei i santi e i mistici in massa, madre Teresa in testa, il rosario non trova sempre il giusto livello d’amore nei suoi figli preti. Orgoglio incorreggibile, razionalismo acuto, indebolimento del senso sovrannaturale o forse incoscienza… «Se non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli.» Stai attento!

Niente di più vile del prete arrivista, diventato muto sui problemi scottanti, vero anti-Giovanni Battista, che liscia il suo vescovo per entrare nel suo clan!

Vergogna ai codardi, agli uomini d’apparato, ai cacciatori di promozioni, agli ossequiosi per interesse, agli sdolcinati che inabissano la Chiesa sotto un ammasso di ipocrisia e di viltà!

Servire sotto il vessillo del perfetto oblio di sé senza temere la pallottola che mira alla testa, ecco Cristo e ciò che devo essere.

Ma da dove inizia questa storia?

C’era a Marsiglia una grande chiesa che anni fa doveva essere demolita, o trasformata in un museo, tanto era vuota, pure nella popolosa Canebière, la centrale arteria in cui si trova. Oggi chi va a Saint-Vincent-de-Paul la domenica mattina vede, già prima delle dieci, un accorrere di fedeli, alcuni perfino con un seggiolino sottobraccio tanto le panche sono gremite, da quando c’è padre Zanotti-Sorkine…

A fronte della crisi della Chiesa in Occidente padre Zanotti-Sorkine scrive:

«Siamo onesti, la verità è questa. Siamo noi, che non abbiamo più il sacro fuoco. L’immagine che diamo del sacerdozio è troppo insignificante. Non tocca più il cuore».


Ma chi è questo prete che cammina per Marsiglia – dove una elevata percentuale della popolazione è di religione islamica e certe strade sembrano dei suk – con addosso la talare svolazzante, così inaspettata che la gente si volta a guardarlo?

La storia di Michel-Marie Zanotti-Sorkine è singolare.

Nato a Nizza nel ’59 da madre ebrea in una famiglia con origini italiane e corse e russe, il suo sangue è un groviglio di radici. Educato dai salesiani, orfano a tredici anni, fin da bambino ha il dono di una fede profonda; e insieme una grande passione per la musica, e una bellissima voce. Intorno ai vent’anni è la musica che ha la meglio, e il ragazzo va a Parigi e diventa uno chansonnier nei night-club. Uno chansonnier di successo, che però, in quel mondo notturno, è preda ancora di una insoddisfazione che rode come un tarlo:

Dio, da lui, cosa vuole?

Finché un giorno non decide, lascia Parigi e entra nell’ordine domenicano.

Irrequieto, passerà poi, affascinato da padre Kolbe, a quello francescano.

Infine, ed è la definitiva scelta, a quarant’anni diventa prete diocesano a Marsiglia: il 30 maggio 1999 è stato ordinato presbitero dal cardinale Bernard Panafieu, arcivescovo metropolita di Marsiglia, che lo ha accolto nella sua diocesi. È stato vicario parrocchiale della basilica del Sacro Cuore a Marsiglia dal 1999 al 2004, capo dei laici Missionari della Carità di Madre Teresa di Calcutta dal 1998 al 2004 e parroco della parrocchia di San Vincenzo de’ Paoli, situata nella parte superiore di La Canebière dal 2004. Questa era una parrocchia completamente in rovina. Sotto la sua guida, questa chiesa ha vissuto una rinascita spettacolare anche nella partecipazione alla messa. Per nomina di monsignor Georges Paul Pontier è stato decano del centro della città di Marsiglia dal 2006 al 2014.

Oggi, a venticinque anni dalla ordinazione, sulla Canebière padre Michel-Marie lo conoscono tutti. È il parroco della Grande Église, come la chiamano lì: la grande chiesa che doveva diventare un museo.


Le croci e le spine…

Nel 2014, dopo aver officiato per dieci anni come parroco a Marsiglia, in accordo con il suo vescovo, ha chiesto di essere accolto come confessore nella cappella della Medaglia Miracolosa in Rue du Bac a Parigi. All’ultimo momento, quando tutto era pronto, la missione gli è stata negata dai funzionari della cappella, a causa della sua popolarità suscitata dalla sua venuta. L’11 settembre 2014, d’intesa con monsignor Georges Paul Pontier e monsignor Jean-Michel di Falco, vescovo di Gap, hanno risposto favorevolmente alla richiesta di don Michel-Marie Zanotti-Sorkine di essere associato alla missione pastorale dei cappellani del santuario di Nostra Signora di Laus.

Il 1º novembre 2014 è stato accolto da più di mille fedeli. In questo santuario mariano, Michel-Marie Zanotti-Sorkine opera come cappellano, confessore e predicatore, anima diversi ritiri e sessioni che coinvolgono centinaia di persone. Dedica il resto del suo tempo alla realizzazione di progetti letterari e artistici.

Da settembre del 2017, secondo monsignor Georges Paul Pontier, egli è al servizio di una comunità laica dedicata che si trova sulla collina di Montmartre, gli “ausiliari del Cuore di Gesù”, dove riceve centinaia di persone ogni settimana. Persegue anche il suo lavoro sacerdotale, artistico e letterario.

La sua missione è quella di raccontare Gesù Cristo e la sua fede a tutti quelli che hanno voglia di ascoltarlo.

Padre Zanotti è un antico e modernissimo prete al tempo stesso, che indossa l’abito talare ma sa parlare ai giovani e a tutti quelli che la fede magari la vorrebbero trovare, ma non sanno dove cercarla.


Predica con la pancia – raccomanda ai confratelli, ossia esprimiti come quando assapori un cibo -. «Vi ho promessi infatti a un unico Sposo» è il grido di san Paolo! Non dare idee su Dio, ma Dio stesso, all’uomo non serve la tua opinione ma la Verità.

Un prete che non parla più del Cielo lo ha lasciato da molto tempo.

Un prete che non evoca mai il purgatorio si priva di speranza.

Un prete che non dice una parola sull’inferno con la voce rotta dal pianto rende vano il suo ministero e forse anche lo stesso mistero della Croce.

Dietro le loro storie, più che nelle loro idee, cercare la fiamma dei santi per accendere le nostre vite; contemplarli prima della gloria ricevuta, maltrattati da tutti, costretti all’isolamento, incompresi nelle file degli eletti, mai abbandonati da Dio. A chi vuoi piacere?

L’ecumenismo da due soldi, che consiste nel volere che i protestanti restino tali, farebbe sussultare i più grandi santi pacifisti della Storia, san Francesco di Sales, il dolce vescovo di Ginevra, per primo! Per amore loro, che sono tuoi fratelli, distruggi la novità della loro dottrina e raccogli di passaggio ciò che vi è nella loro vita di più autenticamente cristiano.

Un pensiero sul SILENZIO


– “Ciò che manca oggi all’anima della vita è una profondità silenziosa, un dirupo di solitudine, un angolo in cui ritirarsi. Non andiamo a cercare troppo lontano, l’ammasso di esseri umani è la prima ragione di questa empietà. Contro di essa, non potremo fare niente; la tela si restringe, il tessuto si tende, le case si sfiorano, e l’altro, con la sua musica e le sue grida, abita con me, peggio, dentro di me attraverso il rigetto che mi suscita.

Passi per le grida, sono umane, opera della mancanza di autocontrollo, meritano indulgenza, ma la musica, quella che si pretende tale, la musica satanica, squartamento di suoni, disordine d’armonia, profanatrice dell’udito, diventata padrona in ogni palazzo, e torrente di nullità che si riversa dalla banchina della metro fino alla superficie: che cosa facciamo contro di essa quando arriva con la sua potenza frustando il gusto e distruggendolo?

La nuova generazione che emerge scendendo sempre più nell’informe e nel limitato si allinea come un sol uomo, o più precisamente come una sola bestia, sull’attenti verso ciò che è dissonante e, senza renderlo esplicito, cosa ancor più grave, lo ama e se ne riempie.

Qui, il silenzio non è solo rotto, ma umiliato. Unica via d’uscita, agire sui nuovi arrivati; è in loro che bisogna recuperare la sensibilità cullandoli con grandi o piccole melodie, che importa, purché l’aria si riconosca e si canticchi.

Il principio è questo: la decomposizione dell’anima passa attraverso l’atmosfera molto più che attraverso le leggi, fossero anche cattive. Se si rovina un’atmosfera, si rovinerà l’uomo. Per me la guerra è quindi aperta e sarà senza tregua in questo campo. E poiché lo Stato lascia correre, correndo sempre dietro alla massa e al voto, le famiglie, rimaste isolate, proteggano i loro figli da questa musica che tale non è, e il silenzio riprenda i suoi diritti nel cuore della casa, al posto del paese.

Ognuno è padrone in casa propria, se lo ricordi.

All’alba, lo consiglio, nessuna voce al di fuori di quella dello sposo, della sposa, aprendo il giorno che inizia, prevedendo il meglio, prima che i bambini, ancora assonnati, buttino giù una cioccolata, chiudano le loro cartelle, un po’ in ansia per le lezioni che non sanno mai a sufficienza.

Un bacio a ognuno nel silenzio ed eccoli pronti. Questa è la vita, la vita normale, senza altre informazioni sgorgate da fuori; questa è la libertà conquistata, senza essere ingannati. Silenzio!

Il seguito della giornata è comprensibile, in quanto imposto. Aggrediti da ogni lato, ci ritorno ancora, non possiamo che subire la pressione dei rumori e dei suoni, dopando il movimento, anestetizzando l’animo, logorando il sistema nervoso. E occhio alla trappola, vi sento prepararla: in nome di mille ragioni giustificabili, la folla di abbindolati prende tutto ciò che viene trasmesso, e mentre riceve ciò che le si vuole dire, uscendo dal suo corso, dimentica di vivere.

Per fortuna cala la notte, e con essa il ritorno all’umano.

Baci, docce, e cena, vi prego, quest’ultima senza immagini, spegnete tutto: siano l’amore e il dono che si ascoltano e si parlano.

Dopo aver lavato i piatti e spazzato il pavimento, tocca a Dio scrivere le ultime parole sul cuore silenzioso, poiché bisogna saperlo, Lui non parla mai al di sopra di altre voci – da qui il suo silenzio in milioni di vite.

Musica stonata, voci troncate, andate in discarica, lasciatemi il mio silenzio pieno. Lasciate che io viva al centro di me stesso e che gusti infine l’arte di essere e di amare. Vattene! Sì, vattene brutto rumore organizzato! Non avrai la mia pelle, i miei nervi, la mia anima, il mio pensiero.”


UN ULTIMO CONSIGLIO-SUGGERIMENTO

– Un brivido ha appena percorso la mia vita, misurata in rapporto a queste parole che con il loro diluvio di esigenze si sono appena abbattute come un uragano sul mio essere, intirizzito fino alle ossa. E non posso che ripetermi a mezza voce, per non morire di paura, che il sacerdozio è temibile, tanto più che la parte che gli spetta nell’opera di Dio sul mondo è irriducibile. Inutile nascondersi dietro l’azione divina, che, pare, da sola e senza alcuna cooperazione umana potrebbe tirare fuori dal liquame dell’indifferenza e della non fede le anime eternamente amate. Purtroppo no!

Queste devono passare, mi spiace, attraverso il velo spesso opaco della materia sacerdotale per aspirare ai cieli cui sono promesse. Ciò significa: a preti tiepidi, risultati tiepidi o compromessi. Sarebbe meglio d’altronde per il bene della maggioranza accettare questa evidenza piuttosto che prendere a pretesto la libertà di Dio che domina le meditazioni umane, sempre pronto a riparare le nostre barche arenate, con gli alberi arrugginiti a forza di rimanere nel porto.

Dai, una piccola scossa allo scafo della barca, a quello del prete e a quello dei battezzati che lo seguono, ed eccoci ripartiti sui flutti, felici di remare come san Paolo alla volta di terre sconosciute agli ordini di capitan Cristo! Certo, il cielo è cupo ma a portata di mano – diciamocelo –, poiché sotto il suo grigio lattiginoso che potrebbe preoccupare il più navigato dei marinai, l’azzurro soleggiato illumina il firmamento di Dio, segno inequivocabile che riaccende la vittoria finale.

Prima di allora, ai contrattempi prevedibili del viaggio, potrebbe non essere vano – e non si tratta di una scappatoia per mitigare il terrore della responsabilità – ricordare la condizione di strumenti quali noi siamo, irrimediabilmente fragili a detta dello stesso Paolo di Tarso, che doveva certo sentire sopra la sua carcassa di combattente di Dio le crepe possibili e anche costitutive del vaso di argilla che era. «Io sono di carne, venduto come schiavo del peccato» scriveva ai Romani. «Io non riesco a capire neppure ciò che faccio … io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio.» E malgrado tutto, c’è il male che compie e il bene che si è realizzato e si realizza ancora attraverso di lui in proporzioni inaudite attraverso i secoli e nei cuori.

Ciò significa che Dio non se ne fa nulla della nostra santità? Io lo credo. Soprattutto, non infuriatevi, voglio parlare sicuramente dell’immagine dipinta a tinte sgargianti, scolpita di virtù nel marmo o nella pietra ormai infrangibile, di uomini e donne seduti nella loro gloria, appollaiati sopra gli altari delle nostre chiese, inseriti nel pantheon del calendario, paralizzati nella loro statura definitiva di esseri umani perfetti. Questa santità esiste solo in virtù del tempo che la ratifica imprimendola nell’arte, ma… una volta terminata la lotta. Perché lotta nella loro vita c’è stata, e contro loro stessi, soprattutto.

Ed è qui che voglio arrivare, con l’aiuto e l’approvazione di tutti i santi.

Dio non aspetta la perfezione dello strumento per servirsene.

Questo vale per il prete ma anche per tutti i cristiani che si sporcano le mani. Dio si impossessa del più sfondato dei vasi, e versa nelle gole assetate l’acqua viva della sua grazia, sempre contento e quasi fiero di utilizzare, mille volte incrinato e incollato, il povero contenitore, tanto che quest’ultimo, all’altezza del suo nome, lascia fare e tiene botta.

Questa non è evidentemente una ragione per rompere il suo vaso da tutte le parti, ma comunque la verità è lì: «Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole».

Forte di questa debolezza, e condannata con fermezza la via dello scoraggiamento, la Chiesa può allora concedersi la gioia di un lavoro incessante al servizio di un Maestro che lui solo, di fatto, è santo. Che tutti i battezzati se ne ricordino!”


Una cosa è certa, egli incarna il tipo di pastore indicato con forza da papa Francesco e, contemporaneamente, il rigore dogmatico e dottrinale di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI al quale, per altro, Padre Zanotti fa riferimento specialmente per l’Anno Sacerdotale 2009-2010 e per il dono del Summorum Pontificum nel 2007. Le liturgie curatissime di questo sacerdote francese vanno di pari passo con la sua accoglienza a 360 gradi. In questi tempi difficili, i luoghi da lui frequentati e governati, sono sempre pieni di fedeli e le conversioni dilagano.



sabato 20 aprile 2024

la croce

 «Se c’è un segno che caratterizza la cultura europea in tutte le sue dimensioni, questo è la croce. Si tratta di un simbolo dominante per tutti gli aspetti del nostro sapere. Perché tutti gli aspetti della nostra cultura si fondano su quella forma peculiare di monoteismo che è il cristianesimo, persino le dimensioni tecnico-scientifiche. I crocifissi andrebbero piuttosto messi dappertutto, se qualcuno sapesse davvero cosa vuol dire il crocifisso. [...] Qualche ignorante si stupirà nel sapere che Gesù è stato anche un maestro di laicità. Chi ha detto che il suo regno non è di questo mondo? Non esiste nessuna religione più laica del cristianesimo. La nostra laicità da dove viene? Da Marte? No, è un valore cristiano. E viene dal “date a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio”» 

«Se c’è un segno che caratterizza la cultura europea in tutte le sue dimensioni, questo è la croce. Si tratta di un simbolo dominante per tutti gli aspetti del nostro sapere. Perché tutti gli aspetti della nostra cultura si fondano su quella forma peculiare di monoteismo che è il cristianesimo, persino le dimensioni tecnico-scientifiche. I crocifissi andrebbero piuttosto messi dappertutto, se qualcuno sapesse davvero cosa vuol dire il crocifisso. [...] Qualche ignorante si stupirà nel sapere che Gesù è stato anche un maestro di laicità. Chi ha detto che il suo regno non è di questo mondo? Non esiste nessuna religione più laica del cristianesimo. La nostra laicità da dove viene? Da Marte? No, è un valore cristiano. E viene dal “date a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio”» #MassimoCacciari#MassimoCacciari

Era già scritto

 “Quando nasci ti danno un biglietto, indecifrabile, dentro il quale c’è scritto tutto il tuo avvenire. Le malattie, gli amori, il successo, l’insuccesso, gli incontri importanti, c’è scritto tutto lì. Anche il giorno e l’ora della tua morte. È nel ticket, è nel prezzo del biglietto. 

Io non capisco i miei amici quando cominciavano a diventare vecchi, cominciavano a diventare tristi. Perché non lo sapevi che s’invecchia?

Cos’è una novità? Ti devi preparare a tutto, come ti prepari alla vita quando sei giovane. Devi prepararti alla fine della vita, quando sei vecchio, senza disperazione perché è naturale.

Era già scritto.” 


( Andrea Camilleri )

 „Il Cielo non prende niente senza ripagare smisuratamente.“ 💙💖

(Edith Stein)

venerdì 19 aprile 2024

Quando un uomo è appena nato, è debole e flessibile

 "Quando un uomo è appena nato, è debole e flessibile. Quando muore, è duro e insensibile.. Durezza e forza sono compagni della morte. La piaga e la debolezza sono espressioni della freschezza dell'essere. Perché ciò che si è indurito non vincerà mai. ”


"Nei film di Tarkovskij, nello specifico Stalker, le por… Altro...

giovedì 18 aprile 2024

Le persone migliori

 “Le persone migliori possiedono un sentimento per la bellezza, il coraggio di rischiare, la disciplina di dire la verità, la capacità di sacrificio. Ironicamente, le loro virtù li rendono vulnerabili; spesso sono feriti, talvolta distrutti.”

Ernest Hemingway, “Addio alle armi”

mercoledì 17 aprile 2024

C'è buio in me

 C'è buio in me

in te invece c'è luce;

sono solo, ma tu non m'abbandoni;

non ho coraggio, ma tu mi sei d'aiuto;

sono inquieto, ma in te c'è la pace;

c'è amarezza in me, in te pazienza;

non capisco le tue vie, ma

tu sai qual è la mia strada.

Tu conosci tutta l'infelicità degli uomini;

tu rimani accanto a me,

quando nessun uomo mi rimane accanto,

tu non mi dimentichi e mi cerchi,

tu vuoi che io ti riconosca

e mi volga a te.

Signore, odo il tuo richiamo e lo seguo,

aiutami!

Signore, qualunque cosa rechi questo giorno,

il tuo nome sia lodato!

Amen.


Il #9aprile 1945 veniva ucciso Dietrich Bonhoeffer

#DietrichBonhoeffer

martedì 16 aprile 2024

Bellezza

 Il mio rammarico è che l’intensa bellezza che io vedo, e che mi viene offerta dalla scienza, sia vista da così poca gente.

Richard Feynman

L'epoca attuale è l'epoca dell'aurea mediocrità

 « L'epoca attuale è l'epoca dell'aurea mediocrità e dell'insensibilità, della passione per l'ignoranza, della pigrizia, dell'inettitudine all'azione e dell'aspirazione a trovare tutto già bell'e pronto. Nessuno riflette; raramente qualcuno matura una propria idea. » 


Fëdor Dostoevskij, "L'adolescenza" (1875)

lunedì 15 aprile 2024

 "Se c'è una cosa tremenda a scrivere quando si è cristiani è che per te la realtà suprema è l'Incarnazione, la realtà presente è l'Incarnazione e all'Incarnazione non ci crede nessuno"


Flannery O'Connor

Teresa Neumann

 Teresa Neumann


Il primo settembre 1939 era scoppiata la seconda guerra mondiale. I tedeschi invadevano la Polonia e, di lì a poco, sarebbero dilagati in Europa. Perché non mancasse nulla ai soldati del terzo Reich, fu razionato il cibo ai cittadini. Così, ai tedeschi fu data una tessera che stabiliva la quantità di pane e companatico spettante a ciascuno. Ad una sola cittadina fu ritirata immediatamente la tessera annonaria. Costei non beveva, né mangiava alcunché. In compenso le fu data una doppia razione di sapone, perché ogni settimana doveva far lavare le lenzuola e la biancheria inzuppata di sangue. Questa cittadina tedesca si chiamava Teresa Neumann, era di Konnerareuth, in Alta Baviera e viveva una vicenda straordinaria che avrebbe continuato a destare per anni, l’interesse di scienziati, medici, teologi, umili e grandi credenti o miscredenti.


Una normale contadina

Teresa era nata nel 1898, figlia di un povero sarto e di una contadina che andava a lavorare a giornata. Venne educata dai suoi con una sana e gioiosa formazione cristiana, senza scrupoli. Era cresciuta allegra, vivace, amante degli scherzi innocenti.

Era solita dire di non essere capace di prendersi sul serio.

La sua giornata iniziava all’alba con la preghiera; poi il lavoro rude nei campi e in casa, senza grilli per la testa, affatto romantica, di una concretezza a tutta prova.

La domenica, la Messa festiva e la Comunione. Era una buona compagna, una cara amica verso tutti e tutte, pur nella sua riservatezza di ragazza.

A vent’anni, un giorno correndo in soccorso di alcuni vicini cui stava bruciando la cascina, per compiere rapidamente un gesto di generosità e di coraggio, non controllò bene il terreno dove stava per mettere il piede. Cadde e si procurò una lesione alla spina dorsale. Rimase, prima paralizzata alle gambe, poi, in seguito, per un’altra caduta, diventò totalmente cieca.

Intanto il padre era stato chiamato alle armi, durante la prima guerra mondiale, a combattere sul fronte occidentale, contro i francesi. Tornando le aveva portato dalla Francia l’immaginetta di una giovane carmelitana la cui storia iniziava a diffondersi in tutta Europa: una certa Teresa del Bambin Gesù, del monastero di Lisieux. Teresa Neumann iniziò a pregarla intensamente. Il 29 aprile 1923, il giorno in cui Papa Pio XI beatificava la piccola suora francese, Teresa Neumann, stesa nel suo letto, riacquistò di colpo la vista.

Due anni dopo, il 17 maggio 1925, mentre il Papa dichiarava santa la carmelitana di Lisieux, Teresa Neumann guariva dalla paralisi e riprendeva a camminare liberamente.

Poteva ricominciare, con grande gioia la sua vita di sana e robusta contadina, lodando e benedicendo Dio. Così, la sua vita, ancor più di prima divenne un sì incondizionato a Dio.


Crocifissa del secolo XX

Un anno dopo, nel 1926, durante la settimana santa, nella quale la Chiesa celebra la memoria della morte e Risurrezione di Gesù, la giovane contadina di 28 anni scopriva nelle sue membra, mani, piedi, costato e persino sul capo, i segni della Passione di Cristo: le stigmate dolorose e sanguinanti, terribile e prezioso documento della predilezione di Dio per certe anime che chiama ad essere, anche nella carne, simili al Figlio suo.

Teresa, ben lungi dal desiderare il fenomeno, neppure lo conosceva, ma per 26 anni lo porterà nel suo corpo, sino alla morte.

Da allora, dalla notte di ogni giovedì, entrava letteralmente nei racconti evangelici della Passione. Era come se vivesse in tempo reale quei momenti e accompagnasse Gesù sino alla morte nel primo pomeriggio del venerdì, sanguinando copiosamente dalle ferite e versando sangue anche dagli occhi. La Passione di Gesù riviveva nelle membra straziate di Teresa Neumann.

I suoi studi erano stati appena quelli elementari e conosceva solo il dialetto della sua regione e un po’ il tedesco. Eppure ripeteva ad alta voce i lunghi dialoghi che sentiva dentro di sé in aramaico, greco e latino. Diversi specialisti di queste lingue antiche sedevano al suo capezzale sempre più sbalorditi dall’esattezza dei suoi discorsi.

Alle 15 del venerdì cadeva in un sonno profondo da cui si risvegliava felice, con le ferite richiuse, il corpo fresco, rivivendo nella sua carne, il mattino della domenica, il momento della Risurrezione di Cristo.

Nel suo cuore di donna, conquistato totalmente dall’amore infinito e crocifiggente di Dio, diventava sempre più una realtà unica con Gesù; la configurazione a Cristo, a partire dalla propria volontà, è la santità vera. Teresa Neumann, al di là dei fenomeni straordinari che viveva, cercava questa santità: essere come Gesù, diventare Gesù, accanto a Maria che la sosteneva.


La mia carne è vero cibo

Sin da quando era guarita dalla cecità e dalla paralisi, Teresa sentiva sempre di meno il desiderio di nutrirsi. Da quando ebbe le stigmate, per 36 anni, fino alla sua morte, non mangiò né bevve alcunché: soltanto ogni mattina, alle sei, riceveva Gesù Eucaristia. Pochi grammi di pane per ogni giorno.

Molti, giustamente, la pensavano una simulatrice. Tutto fu tentato per smascherarla, ma sempre i medici, invitati per controllarla, arrivavano scettici e se ne partivano convertiti. La Diocesi di Ratisbona, cui Teresa apparteneva, organizzò una commissione severissima che, a turno, per settimane intere, non la perse di vista neppure un istante, né di giorno, né di notte, senza mai lasciarla sola.

Altre commissioni, diverse da quella ecclesiastica, interamente formate da persone non credenti giunsero alla medesima conclusione: Teresa Neumann si nutriva di sola Eucaristia, rifiutando sempre d’istinto, quando per provarla, le offrivano un’ostia non consacrata. Ella voleva Gesù solo, viveva per Lui e di Lui, realizzando alla lettera il discorso del Divin Maestro proclamato nella sinagoga di Cafarnao: «Chi mangia di me, vivrà per me» (Gv 6,57).

Il suo parroco, constatato con sicurezza il fenomeno che durava da anni, affermò: «In Teresa si compì alla lettera la parola di Gesù: La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda; così come: Non di solo pane vive l’uomo. Quasi che il Cristo volesse mostrare che nutrirsi misticamente di Lui basta anche alla vita fisica».

Ed è proprio per questo fenomeno straordinario che il Reich di Hitler non diede, o meglio, ritirò a Teresa la tessera del vitto, benché già molto razionato, perché a lei bastava quell’Ostia che le portava ogni mattina il sacerdote. Così anche la burocrazia nazista rendeva testimonianza ad una meraviglia strabiliante. Era la meraviglia della follia della Croce che si realizzava in Teresa, ma quella follia l’aveva anche dotata di uno stupendo equilibrio psichico.

Al di fuori dei giorni della Passione e Risurrezione, Teresa Neumann conduceva una vita normalissima: lavorava in giardino e talvolta anche nei campi, si muoveva nei dintorni, riceveva, consolava, sosteneva i pellegrini che venivano a farle visita, rispondeva di persona ad innumerevoli lettere e qualcuno diceva che nella sua casa si operassero anche miracoli. Aveva l’aspetto florido e roseo della serena, buona e felice casalinga della Baviera; non aveva pose da mistica, tutta semplicità, bontà e serenità, donna di una giocondità straordinaria, di chi sa di essere chiamata alla Vita senza confini!

Teresa e la sua famiglia erano decisamente antinazisti, ma Hitler non la molestò mai, perché temeva quella donna che, attraverso le sue visioni, gli annunciava il giorno dell’ira e la sua catastrofe finale. Hitler infatti era soggiogato da tutto ciò che non era spiegabile razionalmente.

Una piccola umile donna, segnata dalle piaghe del Cristo che faceva tremare Hitler e le sue famigerate SS.

Teresa si spense nel 1962, a 64 anni. Migliaia e migliaia di persone hanno sollecitato presso la Diocesi di Ratisbona l’inizio del processo di beatificazione. Non si contano più le grazie a lei attribuite, decine sono i miracoli che sarebbero stati fatti per sua intercessione da Dio. Nel 2005 il vescovo di Ratisbona, Gerard Muller avviava il processo per la sua beatificazione. 

Teresa Neumann è stata il segno vivo della presenza del Cristo vivo nella storia.

Poiché la fede è l’incontro con il Vivente, credibile, palpabile, operante, anche per mezzo dei Santi.

domenica 14 aprile 2024

IL PRIMO VINO E' BELLISSIMO: L'INNAMORAMENTO...MA NON DURA PER SEMPRE...

 IL PRIMO VINO E' BELLISSIMO: L'INNAMORAMENTO...MA NON DURA PER SEMPRE...


...Come ho detto, è bello questo sentimento dell’amore, ma deve essere purificato, deve andare in un cammino di discernimento, cioè devono entrare anche la ragione e la volontà; devono unirsi ragione, sentimento e volontà. Nel Rito del Matrimonio, la Chiesa non dice: «Sei innamorato?», ma «Vuoi», «Sei deciso». Cioè: l’innamoramento deve divenire vero amore coinvolgendo la volontà e la ragione in un cammino, che è quello del fidanzamento, di purificazione, di più grande profondità, così che realmente tutto l’uomo, con tutte le sue capacità, con il discernimento della ragione, la forza di volontà, dice: «Sì, questa è la mia vita». Io penso spesso alle nozze di Cana. Il primo vino è bellissimo: è l’innamoramento. Ma non dura fino alla fine: deve venire un secondo vino, cioè deve fermentare e crescere, maturare. Un amore definitivo che diventi realmente «secondo vino» è più bello, migliore del primo vino. E questo dobbiamo cercare. E qui è importante anche che l’io non sia isolato, l’io e il tu, ma che sia coinvolta anche la comunità della parrocchia, la Chiesa, gli amici. Questo, tutta la personalizzazione giusta, la comunione di vita con altri, con famiglie che si appoggiano l’una all’altra, è molto importante e solo così, in questo coinvolgimento della comunità, degli amici, della Chiesa, della fede, di Dio stesso, cresce un vino che va per sempre...


BENEDETTO XVI - dal "Discorso al Parco di Bresso 02 giugno 2012 -

Le api

 Non conoscevo tutto questo…

Sapevi che il miele contiene una sostanza che aiuta il cervello umano a funzionare meglio?

Sapevi che il miele è l'UNICO cibo sulla terra che da solo può sostenere la vita umana?

Sapevi che un cucchiaino di miele è sufficiente per sostenere la vita umana per 24 ore?

Sapevi che la propoli prodotta dalle api è il più potente ANTIBIOTICO naturale?

Sapevi che il miele non ha una data di scadenza? 

Sapevi che per guadagnare 1 kg. di tesoro, hai bisogno del nettare di più di 1.000.000 di fiori?

Sapevi che c'è un cucchiaio di legno speciale per il miele, e non uno di metallo?

Sapevi che i pascoli di api sono il cibo più salutare del mondo?

Sapevi che Il polline può avere più di 1500 colori e sfumature?

Sapevi che i corpi dei grandi imperatori del mondo sono stati sepolti in bare d'oro e poi ricoperti di miele per evitare il marcimento?

Sapevi che le api sono gli UNICI insetti che producono cibo per l'uomo?

Sapevi che mamma (regina) depone il doppio del suo peso nelle uova in un giorno?

Sapevi che le api battono le ali più di 11.000 volte al minuto?

Sapevi che l'unico miele che può essere apprezzato da persone allergiche ai prodotti dell'apicoltura è il miele di manna (manuka).

Sapevi che il miele manuka è il miglior miele per le donne?

Sapevi che il miele di acacia non è dolcificato?

Lo sai questo?

Un'ape vive meno di 40 giorni, visita almeno 1000 fiori e produce meno di un cucchiaino di miele, ma per lei è tutta la vita! 


GRAZIE API LABORIOSE... 🐝🧡🐝


Grazie ad Annamaria