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lunedì 29 marzo 2021

 Ritorna in te stesso e guarda: se non ti vedi ancora interiormente bello, fa' come lo scultore di una statua che deve diventare bella. Egli toglie, raschia, liscia, ripulisce finché nel marmo appaia la bella immagine; così anche tu leva il superfluo, raddrizza ciò che è obliquo, purifica ciò che è fosco e rendilo brillante, e non cessare di scolpire la tua propria statua, finché non ti si manifesti lo splendore divino della virtù.


Plotino, "Enneadi". (Nella foto: William Adolphe Bouguereau, L’innocenza.)

domenica 28 marzo 2021

 

Il virologo Bossche: col vaccino anti covid distruggiamo il sistema immunitario delle persone


Il timore dello scienziato che ha lavorato con Bill Gates: se i vaccini non fermano il contagio rischiano di indebolire ancora di più l'umanità. In una lettera aperta all'OMS e in una video intervista di follow-up, il dottor Geert Vanden Bossche, afferma che vaccinando tutti con un vaccino che non impedisce la trasmissione, stiamo distruggendo il sistema immunitario delle persone e preparando il terreno per un disastro sanitario globale.
Geert Vanden Bossche, DMV, Ph.D., non ha nulla contro i vaccini. In effetti, il virologo indipendente ha precedentemente lavorato per Gavi, The Vaccine Alliance e Bill & Melinda Gates Foundation . Bossche dice che i vaccini COVID approvati finora sono stati sviluppati da persone "semplicemente brillanti" e non ha critiche nei loro confronti. Ma, come dice al dottor Phillip McMillan in un'intervista, "per favore usa il vaccino giusto nel posto giusto. E non usarlo nel calore di una pandemia su milioni di milioni di persone ".



Bossche afferma che una campagna di vaccinazione di massa nel mezzo di una pandemia, con vaccini che non prevengono la trasmissione , è disastrosa a livello individuale e globale: “Pagheremo un prezzo enorme per questo. E mi sto emozionando perché penso ai miei figli, alla generazione più giovane. Voglio dire, è semplicemente impossibile quello che stiamo facendo. Non capiamo la pandemia. In una lettera aperta all'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), Bossche ha scritto che "stiamo attualmente trasformando i vaccinati in portatori asintomatici che perdono varianti infettive".

Bossche non ha ricevuto risposta dall'OMS, che lo riguarda. “Riguarda l'umanità ... voglio dire, riguarda i tuoi figli. È la tua famiglia. È la mia famiglia. Sono tutti. Giusto. Ed è semplicemente per me, metto tutto in gioco perché ho fatto i compiti. E questo è semplicemente un obbligo morale. Un obbligo morale". 
Bossche è ex Senior Program Officer in Vaccine Discovery for Global Health presso la Bill & Melinda Gates

sabato 27 marzo 2021

 Il potere ama che i cittadini si divertano, purché non pensino che a divertirsi. Lavora volentieri al loro benessere, ma vuole esserne l’unico agente e regolatore; provvede alla loro sicurezza, facilita i loro piaceri, tratta i loro principali affari, regola le loro successioni, divide le loro eredità; non potrebbe esso togliere interamente loro la fatica di pensare e la pena di vivere? Così ogni giorno esso rende meno necessario e più raro l’uso del libero arbitrio e toglie poco a poco a ogni cittadino perfino l’uso di se stesso.

Così dopo aver preso ogni individuo e averlo plasmato a suo modo, il potere estende il suo braccio sull’intera società; ne copre la superficie con una rete di piccole regole complicate, minuziose e d uniformi, attraverso le quali anche gli spiriti più originali e vigorosi non saprebbero come mettersi in luce e sollevarsi sopra la massa; esso non spezza le volontà, ma la infiacchisce; raramente costringe ad agire, ma si sforza continuamente di impedire che si agisca; non distrugge, ma impedisce di creare; non tiranneggia direttamente, ma ostacola, comprime, snerva, estingue, riducendo infine la nazione a non essere altro che una mandria di animali timidi e industriosi, della quale il governo è il pastore. 


Alexis de Tocqueville,  La democrazia in America. (Nella foto: Atlante Farnese.)

mercoledì 24 marzo 2021

Dovremmo regalare qualcosa al suo cuore

 Dovremmo regalare qualcosa al suo cuore

***

Il poeta Rilke abitò per un certo periodo a Parigi. Per andare all’Università percorreva ogni giorno, in compagnia di una sua amica, una strada molto frequentata. Un angolo di questa via era permanentemente occupato da una mendicante che chiedeva l’elemosina ai passanti, con la mano tesa e gli occhi fissi al suolo. «Dovremmo regalare qualcosa al suo cuore, non alle sue mani», disse il  poeta. Il giorno dopo arrivò con una splendida rosa, la depose nella mano della mendicante e fece l’atto di andarsene. La mendicante prese la mano dell’uomo e la baciò. Poi se ne andò stringendo la rosa al seno. Per una intera settimana nessuno la vide più. Ma otto giorni dopo, era di nuovo seduta al solito posto, immobile come sempre. «Di che cosa avrà vissuto in tutti questi giorni in cui non ha ricevuto nulla?», chiese l’amica. «Della rosa», rispose il poeta.

lunedì 22 marzo 2021

la chiacchiera

  la chiacchiera

***

«Certo, certo sarò un logorroico, 

un innocuo e fastidioso logorroico,

 come tutti noi. 

Ma che fare se la prima e unica destinazione dell'uomo intelligente è la chiacchiera,

cioè il meditato travasamento di un vuoto in un vuoto più grande?».


Fëdor Dostoevskij, “Memorie del sottosuolo”


domenica 21 marzo 2021

 Bisogna credere, cioè accogliere come certissima ed emozionante verità che Cristo è vivo. 

Se nel mio «cuore» – cioè nel mio mondo interiore, in cima ai miei pensieri, all’origine delle mie decisioni esistenziali – mi lascio afferrare dalla persuasione che Gesù c’è, che non è un mito, che non è il personaggio di un libro, che non è qualcuno dei defunti protagonisti della storia, chiamati «grandi» ma ormai ridotti in polvere come i «piccoli» su cui credevano di dominare, ma è un uomo che anche oggi è vivo e mi vede e mi ascolta ed è capace di strapparmi al peccato, alla disperazione, all’incubo dell’annientamento, allora vuol dire che davvero mi sono incamminato verso la mia autentica redenzione dal male. 

Dunque prima di tutto ci vuole dentro di me la fede nel Signore che è risuscitato dai morti; ma non basta. Bisogna anche che io tiri da questa certezza trasformante la conclusione più ovvia: vale a dire, è necessario che io confessi con la mia bocca che Gesù è il Signore. 

Una fede che restasse racchiusa nel segreto della coscienza, ben riparata dalle intemperie della vicenda umana e non si facesse pubblica testimonianza, principio di una obbedienza fattiva in tutti i campi alla signorìa di Gesù, professione del primato di Cristo in faccia a tutte le potenze mondane, non basterebbe a salvarci. Dobbiamo far sapere a tutti con le parole aperte e con le coerenti scelte di vita che non vogliamo avere altri padroni, altri maestri, altri liberatori, all’infuori di colui che è stato costituito «erede di tutte le cose» (cf. Eb 1,2), che è la Verità fatta persona e la benevolenza di Dio che ha assunto un volto d’uomo in mezzo a un’umanità «senza senno, senza costanza, senza amore, senza misericordia» (cf. Rm 1,31), che è il solo che può preservarci dai vari condizionamenti e dai molti asservimenti che da più parti ci insidiano. (11 febbraio 1989).

sabato 20 marzo 2021

La macchina da scrivere

 Auguri Giuseppe!

"Chiamare la meccanica in aiuto all'estesa e importante operazione dello scrivere, sostituire nell'uso generale della mano che traccia le lettere, l'azione d'un meccanismo, in cui le lettere sono già formate perfette e uniformi, invece che operare con una sola mano, operare con ciascuna delle dieci dita, ecco il problema che io mi sono proposto e alla cui soluzione attendo da 19 anni."

Così scriveva Giuseppe Ravizza, a cui dedico oggi gli Auguri sia di compleanno che di onomastico, non un matematico ma un "ingegnere" mancato a cui si fa risalire l'invenzione della macchina da scrivere.

Ravizza nacque a Novara il 19 marzo 1811 e dedicò quasi tutta la sua vita allo studio del problema della scrittura a macchina. 

Proveniva da un'illustre benestante famiglia novarese (uno dei suoi antenati fu Benedetto Cortesella, detto il Rozzo, uno dei capi lombardi alla prima Crociata) e si laureò in legge controvoglia, solo per compiacere il suo tutore che non gli aveva permesso di seguire gli studi di ingegneria verso cui si sentiva portato.

Dopo la laurea in legge, svolse per pochi anni la professione di avvocato a Novara e di sindaco a Nibbiola, perché, in quel periodo, venne a sapere che un certo ingegner Pietro Conti (1796 – 1856) di Cilavegna, stava studiando una macchina capace di scrivere meccanicamente. Incontrato così Conti, nel 1835, impiantò un laboratorio in casa e cominciò a progettare una macchina per scrivere.

Pietro Conti il 10 agosto del 1827, aveva infatti presentato all'Accademia delle Scienze di Francia la descrizione di due macchine di sua invenzione, rispettivamente dette "tacheografo" e "tacheotipo", intese a facilitare e accelerare la composizione tipografica. Conti ne fece rapporto all'ingegnere Claude-Louis Navier e al matematico Jean Baptiste Joseph Fourier, ma siccome i relativi documenti sono andati persi, non è chiara la differenza fra i due prototipi.

Fu proprio grazie al diario di Giuseppe Ravizza che è stato possibile ricavare dati specifici su questa sua invenzione.

L'attività e i riconoscimenti scientifici conseguiti da Conti in Francia non sono stati infatti ben documentati poiché i suoi brevetti andarono perduti a causa di una cattiva archiviazione e anche per gli eventi del terremoto di Messina, dove erano conservati alcuni fascicoli.

Proprio da questo diario si capisce che le soluzioni adottate dal Ravizza si basarono sull'invenzione di Conti, ma che perfezionò e brevettò con il nome di "cembalo scrivano" nel 1855.

Nel 1837, prendendo spunto dal "tachigrafo" dell'ing. Pietro Conti  iniziò a costruire il primo prototipo del "cembalo scrivano", così chiamato per via della forma dei tasti, simili a quelli dello strumento musicale. Utilizzò infatti i tasti di un pianoforte, e nel 1855 brevettò la sua invenzione migliorata e dotata di 32 tasti, presentandone una versione ormai definitiva, nel 1856  all'Esposizione Industriale di Torino e ad una mostra analoga a Novara dedicate alle "Arti e alla Tecnica", dove fu premiato con la medaglia d'oro.

La priorità non venne subito riconosciuta, e nel 1868 l'americano Christopher Latham Sholes (1819 – 1890) brevettò, per conto della Remington, una macchina da scrivere che si basava su principi del tutto identici a quelli della macchina di Ravizza. 

Siccome il "cembalo scrivano" venne esposto anche in Inghilterra, si pensa che l'americano conoscesse la macchina dell'italiano. 

Inoltre il "cembalo scrivano" presentava dei congegni in più quali la possibilità di ottenere, a seconda dell'esigenza, le lettere maiuscole o minuscole, cosa che non era presente nella macchina della Remington, il campanellino che suonava a fine riga, indizi che facevano sospettare che Sholes avesse approfittato dell'invenzione del Ravizza.

Ma nel gennaio 1940, il Podestà di Ivrea, per conto della Soc. An. Olivetti, donò al Museo Civico del Broletto di Novara, un modello del "Cembalo scrivano" di Giuseppe Ravizza con tutti i brevetti attinenti che documentavano la priorità italiana nell'invenzione della macchina da scrivere.

Nel brevetto veniva indicata come "cembalo scrivano, ossia macchina da scrivere a tasti" e veniva descritta la "tastiera a 32 tasti quadrati, in due linee sovrapposte, lettere in mezzo e interpunzioni ai lati". A ciascun tasto corrispondeva un martelletto e l'insieme dei martelletti era disposto in cerchio (prima cesta delle leve). 

La macchina presentava, inoltre, il telaio portafoglio mobile, il nastro inchiostratore (fino a quel momento veniva utilizzato un tampone per inchiostrare i tasti di scrittura), un dispositivo per fissare l'interlinea e il campanello indicatore di fine riga. 

Composta da quasi 600 pezzi in legno e circa 100 in ottone, risultava però piuttosto pesante e poco maneggevole.

Dotato di pensiero di scienziato e abilità di artigiano, Ravizza costruì ben 16 modelli, finché nel 1881 riuscì a realizzare il "cembalo a scrittura visibile", nel quale riuscì a disporre verticalmente il foglio di carta, permettendo così di poter leggere lo scritto man mano che lo si scriveva. 

Anche quest'ultimo prototipo passò quasi inosservato, ottenendo solo una menzione onorevole all'Esposizione di Milano dello stesso anno.

I vari prototipi, oltre che a Novara (1856), furono esposti a Torino (1857), Firenze (1861), Londra (1865) e Milano (1881), dove Ravizza ricevette varie medaglie di merito, ma nessuno dei modelli realizzati dal Ravizza venne però prodotto industrialmente, perché a quel tempo nessuno riuscì a capire l'importanza dell'invenzione e, tantomeno, prevederne il futuro sviluppo. 

A quel tempo solo pochi lo consideravano utile ed alcuni lo criticarono, nominandolo “pianoforte della bambola". 

L'unico che immaginò l'utilità dell'invenzione fu appunto l'americano Christopher Latham Sholes che, nel 1867, costruì un prototipo per la vecchia fabbrica di armi Remington, la quale, a partire dal 1875, aggiunse "la macchina per scrivere" ai suoi prodotti, e il successo fu tale, che ne vennero costruiti in serie milioni di esemplari.

Quando il vero inventore della macchina per scrivere morì a Livorno il 30 ottobre 1885, povero e abbandonato, in Italia si diffuse la Remington, favorendo l’errata convinzione della paternità americana.


Nel 2006, grazie allo spirito di iniziativa di un appassionato collezionista, Umberto Di Donato, nasceva a Milano, nel suggestivo quartiere Isola, il Museo della Macchina da Scrivere: 200 pezzi comprese alcune macchine da calcolo. 

Oggi, a distanza di quindici anni, la collezione ammonta a più di 1800 macchine, tra cui alcune antichissime (la Caligraph 1882 made in Usa), alcune storiche (la Williams del 1887 che ispirò l’avventura di Camillo Olivetti in Italia), alcune appartenute a personaggi famosi della storia del nostro Paese (Francesco Cossiga, Camilla Cederna, Matilde Serao, Carmen Covito e altri ancora), mentre un modello del "cembalo scrivano" si trova esposto al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano.


Immagini

Cembalo a scrittura visibile di Giuseppe Ravizza

Giuseppe Ravizza (1811 - 1885) inventore della "macchina da scrivere"

Cembolo scrivano di Giuseppe Ravizza

Tacheografo di Pietro Conti (1796 – 1856)

venerdì 19 marzo 2021

 Giorgio La Pira, “L’attesa della povera gente” (Cronache sociali, 1950)

L’attesa della povera gente (disoccupati e bisognosi in genere)? La risposta è chiara: un governo a obiettivo, in certo modo, unico: strutturato organicamente in vista di esso: la lotta organica contro la disoccupazione e la miseria.

C’è anzitutto una premessa di natura squisitamente cristiana: è vano – per un governo – parlare di valore della persona umana e di civiltà cristiana, se esso non scende organicamente in lotta al fine di sterminare la disoccupazione e il bisogno, che sono i più terribili nemici esterni della persona.

Il documento inequivocabile della presenza di Cristo in un’anima e in una società è stato definito da Cristo medesimo: esso è costituito dalla intima ed efficace “propensione” di quell’anima e di quella società verso le creature bisognose.

Vi sono disoccupati? Bisogna occuparli. La parabole dei vignaioli è decisiva in proposito: tutti i disoccupati che nelle varie ore del giorno oziavano forzatamente nella piazza – perché nessuno li aveva ingaggiati: nemo nos conduxit! – furono occupati; esempio caratteristico di «pieno impiego»: nessuno fu lasciato senza lavoro (Mt. 20,7).

Vi sono creature bisognose? Affamati? Assetati? Senza tetto? Ignudi? Ammalati? Carcerati? Bisogna tendere ad essi efficacemente il cuore e la mano (Mt. XXV, 31-46): l’esempio di questa «propensione» all’intervento è fornito dal Samaritano: scese da cavallo e prese minutamente cura del ferito (Lc. 34).

E si badi: non si tratta soltanto (come spesso si crede) di atti di carità confinati nell’orbita di azione di singoli: impegno di amore, cioè, che investe soltanto le singole persone: no, si tratta di un impegno che parte dai singoli e che investe l’intiera struttura e la essenziale finalità del corpo sociale.

Costruire una società cristianamente significa appunto costruirla in modo che essa garantisca a tutti il lavoro, fondamento della vita, e, col lavoro, quel minimo di reddito necessario per il «pane quotidiano» (cioè vitto, alloggio, vestiario combustibile, medicine), per sé e per la propria famiglia.

Solo così si può realizzare il fine che san Tommaso assegna a una società cristiana: garantire a tutti la possibilità di quel «riposo» restauratore a della preghiera che è l’atto che segue. Per dir così, al lavoro, che costituisce l’operazione ultima, la più delicata e la più pacificante e gioiosa della persona.

È questa una premessa che gli uomini di governo devono tener ferma nella loro mente: stella polare della loro azione politica, giuridica, finanziaria: dar lavoro a tutti, dare il pane quotidiano a tutti; sopra queste finalità prime, improrogabili elementari, deve essere costruito l’intero edificio dell’economia, della finanza, della politica, della cultura: la libertà medesima, respiro della persona, è in certo modo preceduta e condizionata da queste primordiali esigenze del lavoro e del pane.

Orazione fondamentale del Signore: Dacci oggi il nostro pane quotidiano!

Questa fondamentale premessa cristiana è, del resto, convalidata da una altrettanto fondamentale premessa economica: premessa, è vero, che non vige nell’orbita dell’economia classica, ma che è posta a base di tutto l’edificio dell’economia nuova: la disoccupazione è un consumo senza corrispettivo di produzione: è perciò, uno spreco di forze produttive (oltre che essere un disastramento morale e spirituale della persona).

E la ragione è evidente: i disoccupati esistono, se esistono devono vivere, per vivere devono consumare. Consumare senza produrre: è questo il paradosso economico della disoccupazione.

La povera gente – che ha buonsenso – non si dà pace quando riflette su questa incongruenza dell’attuale struttura dell’economia: ma come, con tante case da costruire, con tante terre da bonificare, con tanti beni essenziali da produrre, con tante “aree depresse” da elevare, si può permettere l’esistenza di tanti milioni di braccia operose?

E si tenga conto, inoltre, del fatto del “moltiplicatore”: per uno che cessa di lavorare cessano di lavorare altri (concetto tecnico in Di Fenizio, Economia politica, pp. 456 e sgg).

Come mai sia possibile questo vero «impazzimento» economico e morale la povera gente non lo capisce; essa comprende che c’è qualcosa di specioso, di fondamentalmente errato, nella risposta inumana che comunemente si dà per giustificare questo triste fenomeno della disoccupazione: Non c’è denari!

Il problema è complesso, si sa, ma una soluzione positiva di esso non può non esistere. La Provvidenza dà in proposito un insegnamento sicuro: per ogni bambino che nasce, nascono due fonti di latte destinate ad alimentarlo!

E poi c’è sempre l’altra risposta: Mancano i danari? Eppure vivere bisogna, per vivere bisogna consumare e per consumare bisogna spendere: quindi, in ultima analisi, i danari si trovano sempre, necessariamente!

Qui viene proprio da dire: più che i danari manca l’impegno necessario per mettere in circolazione il talento unico messo sotto terra! È un problema di “dinamica” della volontà, della tecnica inventiva, della finanza, dell’economica, della politica.

Che queste intuizioni della povera gente (basate sulle cose e sul Vangelo) non siano scientificamente errate lo dimostra l’impostazione delle più moderne teorie economiche.

Sentite Beveridge che riporta da Keynes: «È meglio occupare gente a scavare buche e a ricolmarle che non occuparla affatto: le persone occupate inutilmente daranno occupazione ad altre con quello che guadagnano e spendono. È meglio occupare gente, comunque venga trovato il danaro per pagarle, che non occuparle affatto: l’ozio forzato è uno spreco di risorse materiali e di vite umane che non potrà mai essere rimediato e che non può difendersi con ragioni di ordine finanziario».

A proposito del “moltiplicatore”, il Beveridge soggiunge: «Ogni atto ha una catena infinita di conseguenze; perciò l’atto di dare impiego a un disoccupato e di pagargli un salario non si esaurisce lì. L’uomo che viene assunto e percepisce un salario superiore alla somma che egli riceveva a titolo di sussidio per la disoccupazione o di assistenza (quando la riceve!) spenderà per la maggior parte o interamente il suo reddito addizionale in beni e servizi forniti da altri e darà occupazione ad altri. Costoro a loro volta avranno un reddito maggiore: ne spenderanno una parte dando luogo a una nuova occupazione e così via. Fintanto che in una comunità vi saranno dei disoccupati, il dare un’occupazione retribuita a uno di essi aumenterà il numero degli occupati di più di una unità, e aggiungerà alla produzione nazionale più di quello che egli da solo produce. L’effetto primo verrà moltiplicato grazie ai secondi e ai terzi effetti».

Questa premessa economica – che indica l’occupazione come essenziale finalità di un’economia sana a causa degli incrementi produttivi che necessariamente ad essa si collegano – è ora divenuta la stella polare della politica economica dei più grandi Stati del mondo: prescindendo dagli Stati a struttura comunista, ad essa si ispirano la Gran Bretagna (con la politica del pieno impiego sostanzialmente condivisa da tutti i partiti) e gli stessi Stati Uniti di America. L’obiettivo della massima occupazione sta alla base della politica economica che gli Stati Uniti perseguono all’interno e all’estero: il piano [Marshall] medesimo non esiste, in ultima analisi, senza un intrinseco rapporto con tale obiettivo.

Occupare tutte le unità lavorative, e quindi incrementare la produzione e, con essa, il tenore di vita degli uomini: è l’imperativo categorico che si impone agli Stati e ai governi del tempo nostro (Economist, cit.).

Se la disoccupazione deve essere eliminata – obiettivo fondamentale di uno Stato moralmente, socialmente ed economicamente sano – devono essere voluti e usati i mezzi per eliminarlo: questi mezzi si riassumano in uno solo: la spesa.

E infatti cosa è, in ultima analisi, la disoccupazione? Spesa non fatta: occupazione e disoccupazione si analizzano in queste posizioni: spesa che determina occupazione e, quindi, produzione; carenza di spesa che determina deficienza nella domanda dei beni e quindi disoccupazione, e quindi, carenza di produzione.

Il perno di tutta la nuova teoria economica sta qui, Keynes esplicitamente lo dice: l’occupazione dipende dalla spesa, e la spesa può essere di due specie: spesa di consumi, spesa per l’investimento. Quel che viene risparmiato, ossia quel che non viene speso in beni di consumo, crea occupazione soltanto se viene investito, o cioè speso per accrescere l’attrezzatura di beni capitali, quali le fabbriche, i macchinari, le navi, o ad accrescere le scorte di materie prime. Proporzionare la spesa – e, quindi, la produzione – alla occupazione: ecco il problema.

Anzitutto, chi opererà questo proporzionamento? Basterà, cioè, che lo Stato decida alcuni provvedimenti finanziari economici e politici a favore dell’iniziativa privata perché si operi automaticamente la spesa voluta e, perciò, il desiderato assorbimento della manodopera disoccupata?

No: che lo Stato abbia il dovere di favorire l’iniziativa privata in modo da orientare, stimolarne e accelerarne il ritmo produttivo e, quindi, la capacità di spesa e di occupazione, non c’è dubbio; ma non v’è parimenti dubbio che per questa via indiretta non si opererà mai il pieno impiego della manodopera: “l’automatico proporzionamento” è una di quelle pseudoarmonie economiche che l’esperienza dolorosa e permanente della disoccupazione ha sempre smentito.

La rivoluzione operata nel pensiero economico da J.M. Keynes – dice Beveridge – e aiutata dall’esperienza degli anni dopo il 1930 sta nel fatto che non viene più assunta come sicura l’adeguatezza della domanda di manodopera. L’analisi keynesiana porta alla conclusione che, anche astraendo dalla depressione ciclica, vi può essere deficienza cronica o pressoché cronica nella domanda complessiva di manodopera, per cui la piena occupazione si presenta fuggevolmente in casi rari.

Non bastano, quindi, i provvedimenti del primo tipo: bisogna prenderne altri di tipo diverso. Bisogna, cioè, che lo Stato intervenga direttamente con un piano organico di investimenti capaci di operare, a scadenze determinate, il graduale assorbimento della manodopera disoccupata; questi “massicci” investimenti pubblici costituiscono, del resto, uno stimolo efficacissimo per gli investimenti privati.

Il proporzionamento, perciò, della spesa all’occupazione non può essere determinato e attuato che dallo Stato: spetta al governo la determinazione del quanto della spesa (in base al numero discriminato dei disoccupati), calcolando la parte di spesa indiretta (operata dall’iniziativa privata per effetto dei provvedimenti di cui si è parlato) e quella di spesa diretta (mediante piani organici di attività produttiva pubblica).

Dette queste cose – che concernono il governo – bisogna dirne altre che concernono i privati: il risparmio ha valore solo come strumento di spesa capace di creare nuova occupazione e, quindi, nuova produzione. Altra legittimità sociale esso non possiede: è una legge economica (il risparmio è di per sé un fatto puramente negativo: significa non spendere; il risparmio in sé non ha alcuna virtù sociale. La virtù sociale del risparmio da parte di una persona dipende dal fatto che vi sia qualche altro che desidera spendere tale risparmio), ed è anche una legge della vita morale: Non vogliate tesaurizzare, dice categoricamente il Vangelo (Mt. VI, 19). La condanna del risparmiatore avaro è tremendamente rappresentata nel pauroso che empì i suoi granai senza pensare alla morte che lo attendeva (Lc. XII, 16): risparmiare per spendere o far spendere (il talento non doveva essere sotterrato ma almeno consegnato ad altri capaci di metterlo a frutto (Lc. XIX, 22; Mt. XXV, 14-30); questa è la “politica economica e finanziaria” del Vangelo.

Ecco ciò che i privati possessori di risparmi devono capire: è una tremenda responsabilità quella che grava sopra di loro, morale ed economica insieme: perché il risparmio non speso equivale a lavoro mancato e, quindi, a disoccupazione aumentata.

Ecco perché il problema del risparmio – cioè il problema delle fonti di spesa – è il problema fondamentale, in certo modo, di una comunità statale: sopra di esso poggia, appunto, come su una base, l’edificio della piena occupazione.

Ma la disoccupazione creata o aumentata significa lesione grave dell’ordine morale, dell’ordine economico e dell’ordine sociale; su questa lesione, come sul terreno propizio, si radicano le piante parassite dell’odio e del sovvertimento (cfr. Beveridge).

Bisogna spendere: deve spendere lo Stato, devono spendere i privati. Ma come? Disordinatamente o, invece, organicamente, cioè alla stregua di certi programmi di produzione che si distendono nel tempo (spesa pianificata a lungo termine?). La risposta è ovvia: spendere organicamente secondo piani determinati. Non bisogna lasciarsi impressionare dalle parole: “pianificare” significa mettere ordine, orientare verso uno scopo; significa che il sistema economico e finanziario di uno Stato, anzi – l’intero sistema economico e finanziario e mondiale – non può più essere lasciato a se stesso, ma deve essere finalizzato in vista di scopi proporzionati all’occupazione e ai bisogni essenziali dell’uomo. Lo stesso piano [Marshall], in ultima analisi, ad altro non dovrebbe mirare. Chi vuol costruire saldamente una casa e chi vuol fare efficacemente una guerra (qui: guerra efficace alla disoccupazione e alla miseria) deve «pianificare» la propria azione affinché essa dia un risultato felice (Lc. XIV, 28).

Quali obiettivi avranno questi piani? Evidentemente essi saranno scelti secondo un criterio di priorità sociale. Vi sono dei bisogni essenziali che attendono di essere rapidamente soddisfatti: case da costruire (perché non estendere e accelerare i piani esistenti?), energia da produrre, terre da bonificare, aree depresse da industrializzare; quanto bene da compiere, quanto amore concreto da seminare, quanta speranza e quanta gioia da donare!

Come finanziare questi piani? Dove trovare i danari occorrenti per questa spesa? Ecco: prima di rispondere a queste domande – che potrebbero provocare la risposta pigra: non ci sono i danari perché il bilancio dello Stato è in deficit – bisogna fare una premessa: l’ozio forzato è uno spreco di risorse materiali e di vite umane, che non potrà mai esser rimediato e che non può difendersi con ragioni di ordine finanziario. Bisogna capovolgere il modo comune di impostazione del problema, cioè proporzionare la cassa alla spesa e la spesa all’occupazione; si comprende, è un’impostazione del problema che esige un grande sforzo di riflessione, di volontà creatrice. Partire dall’uomo, cioè dal fine, non dal danaro, cioè dal mezzo.

È questa un’impostazione secondo il Vangelo (perché una impostazione umana dell’economia attira la benedizione di Dio e opera dei veri miracoli, incognita di ogni calcolo generoso!) ed è anche un’impostazione economicamente sana (perché tra l’altro i danari per dar da vivere ai disoccupati bisogna trovarli necessariamente).

Questa impostazione esige che il ministro del Tesoro (o quello del Bilancio o quello delle Finanze) rovesci, per dir così, il suo modo usuale di considerare la finanza dello Stato e il bilancio dello Stato; tale bilancio deve essere compilato con riferimento non più al danaro ma al potenziale umano disponibile: tanti uomini da occupare, tanti danari da spendere. Deve diventare un bilancio a “scala” umana.

Questo “rovesciamento”, del resto, non è poi così nuovo nella politica economica e finanziaria dei grandi Stati moderni: a parte gli Stati a struttura comunista, i grandi Paesi dell’Occidente (dalla Gran Bretagna all’America) costruiscono ormai i loro bilanci – anche se con graduazioni diverse – in vista del pieno impiego e del più alto tenor di vita della popolazione.

E infatti: inflazione significa danaro senza cose, rappresentante senza rappresentato; ma se le cose ci sono e c’è il danaro che le rappresenta, dov’è l’inflazione? Se cresce la popolazione (e, quindi, la spesa) è chiaro che deve crescere anche – a parità di velocità di circolazione – il volume del danaro che circola. L’inflazione c’è soltanto quando alla crescita della circolazione – a parità di velocità – non corrisponde una crescita proporzionata della produzione. È così chiaro!

E allora: se spendo un milione di lire per costruire un milione (anzi più) di case, o per bonificare un milione di terra, o per produrre un milione di energia, dov’è l’inflazione?

Il «vuoto inflazionistico» viene definito dall’ammontare di moneta che la collettività cerca di spendere «in eccedenza al suo reddito di piena occupazione e al di sopra del valore delle merci realmente prodotte» (Di Fenizio, op. cit., p. 473).

Ma tutto questo presuppone una cosa: che lo Stato si assuma questo compito nuovo di assicurare ai cittadini il lavoro (e il pane che ne deriva) e, quindi, di “regolare” adeguatamente, attraverso la spesa, la domanda di lavoro. L’assunzione di tale compito fondamentale produce trasformazioni profonde nella struttura del governo in genere e in quella dei Ministeri finanziari (e della spesa) in ispecie. Il governo diventa così davvero quello che già san Tommaso preconizzava: l’architetto del bene comune; il garante, per tutti, del lavoro e del pane.

Spesa fatta, occupazione creata, produzione incrementata, sofferenze lenite, energie e ricchezza moltiplicate, benedizioni di Dio ricevute! Vale proprio la pena.

1) È il governo persuaso che la disoccupazione, con la miseria morale che provoca, va combattuta come uno dei fondamentali nemici e delle fondamentali contraddizioni della società cristiana?

2) È il governo persuaso che la disoccupazione costituisca uno sperpero economico che incide gravemente sul reddito nazionale e che, a lungo andare, produce anche inflazione?

3) È il governo persuaso che l’eliminazione della disoccupazione presuppone un regolamento del mercato del lavoro da operarsi mediante una pianificazione della spesa (pubblica e privata) che esso solo può compiere?

4) È il governo persuaso che nessun ostacolo di natura finanziaria può e deve impedire il raggiungimento almeno graduale di questo obiettivo? Che i “danari” in ogni caso non possono non esistere anche se è certamente faticoso – ed esige sforzi intellettuali, volitivi e anche di preghiera! – reperirli? Che se c’è un bisogno essenziale umano non può mancare – perché Dio esiste ed è Padre – il mezzo adeguato per soddisfarlo? Che questa proposizione dettata dalla fede è perfettamente convalidata dall’esperienza e dalla più recente e vitale teoria economica?

5) È il governo persuaso che l’assunzione di questo compito nuovo e così fondamentale importa un mutamento in certo senso radicale della sua politica economica e finanziaria, interna e internazionale? Che esso importa l’elaborazione di un bilancio del Tesoro totalmente diverso per struttura e per finalità di quello attuale? Che esso importa un mutamento adeguato nella struttura del gabinetto e nella struttura dell’apparato burocratico statale?

6) E, infine, vuole intanto il governo procedere all’immediata erogazione delle somme necessarie per sovvenire in qualche modo alle prime e inderogabili esigenze dei disoccupati?

Ecco le domande precise che la povera gente fa al governo: se il governo può dare ad esse una risposta positiva, allora la “crisi” sarà risolta e il governo – attirando sopra di sé le benedizioni di Dio e della povera gente – farà come il sapiente costruttore del Vangelo: costruirà saldamente l’edificio sopra la roccia (Mt. VII, 24-29).

Se il governo darà ad esse una risposta negativa, allora la “crisi” assumerà dimensioni più vaste e il governo farà come lo stolto costruttore del Vangelo: costruì l’edificio sulla sabbia, venne la tempesta e vi fu grande rovina (Mt. VII, 24-29).

N.d.R.: Per agevolare la lettura sono state selezionate le parti a nostro avviso più significative dell’originale articolo di La Pira.

 "Io non so né perché venni al mondo; né come; né cosa sia il mondo; né cosa io stesso mi sia. E s’io corro ad investigarlo, mi ritorno confuso d’una ignoranza sempre più spaventosa. Non so cosa sia il mio corpo, i miei sensi, l’anima mia; e questa stessa parte di me che pensa ciò ch’io scrivo, e che medita sopra di tutto e sopra se stessa, non può conoscersi mai. Invano io tento di misurare con la mente questi immensi spazi dell’universo che mi circondano. Mi trovo come attaccato a un piccolo angolo di uno spazio incomprensibile, senza sapere perché sono collocato piuttosto qui che altrove; o perché questo breve tempo della mia esistenza sia assegnato piuttosto a questo momento dell’eternità che a tutti quelli che precedevano, e che seguiranno. Io non vedo da tutte le parti altro che infinità le quali mi assorbono come un atomo.”


Ugo Foscolo da Le ultime lettere di Jacopo Ortis

Santin (Yale): sorprendente efficacia dell’Ivermectina contro il covid

 

Santin (Yale):

 sorprendente efficacia dell’Ivermectina contro il covid

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Giovedì, 18 marzo 2021

L'intervista esclusiva allo scienziato e professore Alessandro Santin, a capo del Centro di Ricerca dell’Università di Yale negli USA

di Alessandro Pedrini per Affaritaliani.it

https://www.affaritaliani.it/milano/santin-sorprendente-efficacia-dell-ivermectina-contro-il-covid-729391.html

Santin (Yale): sorprendente efficacia dell’Ivermectina contro il covid

Alessandro Santin

Santin (Yale): sorprendente efficacia dell’Ivermectina contro il covid

L’Ivermectina, un farmaco low cost e disponibile su vasta scala, è efficace nelle diverse fasi del Covid 19 perché è dotata non solo di un effetto antivirale, ma anche di un potente effetto anti-infiammatorio simile a quello dei cortisonici, ma non immunosoppressivo. Insieme al vaccino può cambiare la storia



Prof. Santin, Lei è stato tra i pionieri nell’utilizzo del plasma iperimmune per i malati di Covid 19 che si è dimostrato molto efficace se somministrato nelle prime fasi della malattia. Ora sta promuovendo l’uso dell’Ivermectina, un farmaco utilizzato per via orale da oltre 40 anni come antiparassitario, contro il Covid. È un farmaco promettente?

L’Ivermectina è un farmaco la cui scoperta è valsa il premio Nobel per la Medicina a William C. Campbell e Satoshi Ōmura nel 2015. Questo farmaco è dotato di una potente azione antivirale e anti-infiammatoria contro il Covid 19 dimostrata sia in studi di laboratorio che in studi clinici. Sono oltre 40 gli studi clinici completati in diverse parti del mondo che hanno dimostrato come l’Ivermectina sia, non solo estremamente efficace nel ridurre la viremia nella fase iniziale dell’infezione, ma anche attiva durante la fase secondaria. Devo dire che gli effetti terapeutici dell’Ivermectina hanno sorpreso anche me. Non mi aspettavo che un farmaco approvato oltre 35 anni fa con altre indicazioni potesse davvero essere cosi’ efficace e ben tollerato nei pazienti Covid.



È solamente da metà gennaio che negli Stati Uniti è possibile prescrivere l’Ivermectina contro il Covid-19. Il via libera è avvenuto dopo l’audizione a Dicembre di Pierre Kory - medico specialista di terapia intensiva dell'Aurora Medical Center di St. Luke  - alla Commissione sulla Sicurezza Nazionale in Senato ( https://www.hsgac.senate.gov/imo/media/doc/Testimony-Kory-2020-12-08.pdf) in rappresentanza della Front Line Covid-19 Critical Care Alliance” (FLCCC)  https://covid19criticalcare.com/

In quell'occasione il Dr. Kory ha spiegato in che modo l’Ivermectina funzioni citando i diversi studi che ne attestano l’efficacia e la sicurezza, tanto da convincere le autorità sanitarie USA (NIH/FDA/CDC) a modificare il divieto di prescrizione sul territorio americano ( https://covid19criticalcare.com/wp-content/uploads/2020/11/FLCCC-Ivermectin-in-the-prophylaxis-and-treatment-of-COVID-19.pdf ) 

Ero inizialmente molto scettico, ma dopo avere cominciato ad utilizzarla nei miei pazienti Covid, sono convinto che l'Ivermectina possa davvero essere il game-changer nella lotta contro il Covid19. La letteratura mondiale sta dimostrando l’efficacia e la sicurezza in tutte le fasi dell’infezione di questo farmaco (https://ivmmeta.com/).

Sebbene il National Institutes of Health (NIH) in America non abbia ancora dichiarato il suo completo sostegno sul suo utilizzo ha comunque recentemente cambiato la sua posizione su l'Ivermectina da "contro" a essenzialmente "neutrale, in attesa di ulteriori dati di prova", che poi è la stessa dichiarazione attuale che permette di utilizzare gli anticorpi monoclonali (oggi usati in tutti gli USA e anche in Italia). 

La cosa più incredibile di questo farmaco è che sono risultati positivi sia gli studi randomizzati che hanno utilizzato l’Ivermectina come profilassi (nello studio di Carvallo in Argentina sugli operatori sanitari nessuno dei 788 che assumevano 12 mg di Ivermectina una volta alla settimana si è ammalato di Covid contro il 58% (237) dei 407 soggetti controllatisia quelli che l’hanno utilizzata nei malati Covid con forme più o meno gravi di infezione prevenendo l’ospedalizzazione nei pazienti trattati a domicilio o l’ulteriore aggravamento se ricoverati in ospedale. 

Non credevo possibile una efficacia del genere. Ho assistito in prima persona a risposte molto rapide dopo la somministrazione di Ivermectina sia in pazienti Long Covid che non respiravano bene da mesi, cosi’ come in pazienti estremamente gravi durante la fase acuta che erano sotto ossigeno e prossimi all’intubazione. Queste evidenze mi hanno convinto a cambiare rapidamente opinione.

In che modo agisce questo farmaco?

L’Ivermectina ha più di un meccanismo di azione potenzialmente efficace contro il Covid 19. Uno dei principali è la sua capacità di attaccarsi sulla proteina Spike1 del Coronavirus in diversi punti strategici usati dal virus per legarsi ed entrare nelle nostre cellule. Per questo motivo, a differenza degli anticorpi monoclonali, può funzionare contro tutte le varianti. Cosi’ facendo impedisce al virus di agganciarsi all'ACE2 – ovvero la principale delle porte d'entrata del virus nelle nostre cellule - e questo le permette di ridurre la capacità del virus di entrare nel nostro corpo. 

Se il Covid resta fuori dalle nostre cellule diventa una facile preda del nostro sistema immunitario che se ne può sbarazzare molto più facilmente. È importante sottolineare che la regione proteica di aggancio del virus – gli spuntoni dello Spike - si legano non solo ai nostri recettori ACE2, ma anche ad altri recettori di aggancio che sono importantissimi per il virus, quelli che si basano sull'acido sialico, sul recettore CD147 e su un recettore colinergico chiamato a7nAChr. Non voglio dilungarmi in tecnicismi, ma questa premessa ci aiuta a capire come il Covid attacca il nostro organismo. 

Una volta entrato nei nostri polmoni e averli danneggiati, il virus penetra nel sangue e viaggia nel nostro organismo portato dai globuli rossi e dalle piastrine che sono in numero enorme nel nostro sangue. Oggi sappiamo che il virus si attacca ai globuli rossi e e alle piastrine perché sono entrambi rivestiti di recettori di Acido Sialico e CD147 e grazie a questo invade tutti i vasi sanguigni finché si “sgancia” sugli endoteli (la parte interna dei nostri vasi sanguigni) e quindi causa una vasculite sistemica, che è il motivo per cui alla fine molti di noi non riescono a superare l’infezione. Quando il virus si replica all’interno delle cellule endoteliali dei vasi li infiamma e crea degli aggregati adesivi di globuli rossi e piastrine – delle masse dense, dei piccoli coaguli che inizialmente ostacolano la circolazione nei piccoli vasi (capillari) - ma poi progressivamente si ingrossano e bloccano vasi sempre più grandi. Quando questo accade nei polmoni causa mancanza di ossigeno che quindi danneggia tutti i nostri organi come il cervello, il fegato, i reni e il cuore, soprattutto negli anziani, nei diabetici e nelle persone con pregresse patologie. 

Il meccanismo con il quale si muove il virus nel sangue ci spiega anche come mai il Covid sia più letale in persone con livelli alti di glucosio come i diabetici e prediabetici. Il motivo è perché i recettori fatti di acido Sialico e CD147 sono fondamentalmente zuccheri. In un diabetico questi acidi sialici sono più ricchi di zucchero (glucosio) e il virus si attacca-incolla meglio ed è ancora più facile la sua diffusione sistemica. Questa selettività del virus per le caratteristiche di alcuni soggetti avviene anche per i gruppi sanguigni, ad esempio chi ha un gruppo sanguigno A o B, vanta globuli rossi con maggior presenza di acido sialico/zuccheri sulla superficie, mentre chi ha un gruppo sanguigno di tipo 0, invece, è meno suscettibile al virus, in quanto ha meno acido sialico/recettore che riveste i globuli rossi e quindi il virus si aggancia meno. Ipazienti diabetici o con questi gruppi sanguigni (A e B) hanno statisticamente un’evoluzione più grave della malattia. 

Quindi?

Uno dei meccanismi fondamentali per i quali l’Ivermectina funziona nei pazienti è perché “mette un muro”, (uno scudo) tra il nostro corpo (globuli rossi, piastrine e vasi) e il virus, e quindi non permette più di agganciarsi sulle nostre cellule facilitando cosi’ lo scorrimento dei globuli rossi che trasportano ossigeno nei vasi sanguigni. L'Ivermectina sembra essere in grado di rompere rapidamente il legame tra il virus (la chiave-Spike) e i suoi recettori (la porta di ingresso-ACE2, gli acidi sialici, il recettore CD147 e a7nAChr), e così i pazienti cominciano miracolosamente a respirare e ossigenarsi di nuovo in modo appropriato di norma in 24-48 ore. Questo è anche quello che accade in tutto il resto della micro-circolazione di tutto il corpo e che porta al miglioramento rapido della funzionalità dei vari organi.

È efficace anche nei long houlers?

L’Ivermectina sembra funzionare anche su moltissimi dei “long houlers”, ovvero quel 10-30% della popolazione che dopo l’infezione iniziale spesso di grado lieve o moderato (nella maggioranza non aveva reso necessario il ricovero), non sono poi più riusciti a tornare alla normalità per la persistenza di sintomi debilitanti, anche dopo molti mesi, né a respirare come prima, né a fare sport. Esistono diverse teorie, ma probabilmente il vero motivo è che il virus resta nascosto (persiste in piccole quantità), in questi soggetti, nei capillari/endoteli e in alcuni organi come il cervello, per mesi e mesi. Questi individui presentano una carica virale bassa, non rilevabile al tampone e non sono infettivi. Ma continuano a vivere in uno stato di infiammazione permanente, attivato dalle sentinelle più attente e sensibili del nostro sistema immunitario, le mast cell (mastociti) localizzate nei vasi sanguigni, che percepiscono ancora la presenza del virus e rilasciano grandi quantità di proteine (citochine) infiammatorie inclusa l’istamina. La cosa sorprendente è che ho trattato e sto trattando pazienti “long haulers”, con l’Ivermectina e dopo pochi giorni, senza praticamente nessun effetto collaterale, queste persone hanno riniziato a vivere e a respirare in modo normale.

Dr Santin, l Ivermectina è stata definita dal Dr Pierre Kory negli Stati Uniti il “game changer” per la pandemia. Esiste davvero la possibilità che utilizzando un farmaco cosi’ economico e già disponibile con una semplice ricetta medica in tutto il mondo si possa tornare ad una vita vicina alla normalità?

La valutazione sull'effettiva efficacia di un farmaco va fatta solo attraverso il filtro delle pubblicazioni scientifiche peer reviewed. A questo riguardo sono impressionanti i risultati sull’uso dell’Ivermectina in Perù, dove è stata usata massivamente su tutta la popolazione (oltre 33 milioni di persone). Ebbene, lo studio ha dimostrato il crollo della mortalità (picchi del 90%) rispetto alle regioni in Perù in cui e’stata distribuita con ritardo (come ad esempio a Lima, la capitale). Questo è uno studio al momento unico (https://ssrn.com/abstract=3765018), dato che è uno studio includente la popolazione di un intero paese. L’Ivermectina è un farmaco estremamente sicuro (oltre 4 miliardi di dosi sono state utilizzate dalla sua iniziale approvazione per uso umano) e che può essere prodotto facilmente da qualsiasi casa farmaceutica in grandi quantità sotto forma di pillole da ingerire (preferibilmente dopo il pasto per aumentarne l’assorbimento e attività clinica) in ogni parte del mondo e con costi minimi dato che è fuori brevetto. Per i nove stati in cui l’Ivermectina è stata distribuita dal governo peruviano alla popolazione con il consiglio di utilizzarla in regime domiciliare (a casa) ai primi sintomi di infezione da Covid, i decessi in eccesso a 30 giorni sono diminuiti di una media ponderata per la popolazione dal 70% al 90%(https://ssrn.com/abstract=3765018)”. 

Un altro studio interessante è quello fatto in Francia (https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/bjd.19821). Tra il 5 marzo e il 15 maggio 2020, 69 residenti di una struttura per anziani, con età media di 90 anni, e 52 membri del personale hanno ricevuto Ivermectina a causa di una epidemia acuta di scabbia (una malattia causata da un parassita contro il quale l’Ivermectina e’ estremamente efficace).Solo undici tra queste persone sotto Ivermectina hanno poi presentato sintomi dovuti a Covid-19 durante l’epidemia e nessuna ha necessitato di ricovero o è deceduta causa malattia. Questi risultati sono in forte contrasto rispetto alla prognosi del gruppo di pazienti controllo in altre strutture simili, con ospiti di età media di 86 anni, dove senza l’uso dell’Ivermectina il 22,6% è stato contagiato e il 5% è deceduto. Anche negli USA (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7550891/) sono state analizzate  le cartelle cliniche dei pazienti ricoverati in quattro ospedali Broward Health in Florida, con Covid-19 confermato, tra il 15 marzo e l'11 maggio 2020, trattati con o senza Ivermectina. Sono stati esaminati 280 pazienti, 173 trattati con Ivermectina e 107 senza Ivermectina. L'analisi  ha mostrato una mortalità significativamente inferiore nel gruppo Ivermectina (15,0% vs 25,2%). Ancora più evidente è stata la diminuzione della mortalità tra i pazienti trattati con ivermectina con grave coinvolgimento polmonare e sotto ossigeno (38,8% vs 80,7%)”. 

Dr. Santin, i vaccini a differenza degli USA non sono ancora disponibili su larga scala in Italia, pensa davvero che l’Ivermectina possa aiutare durante questa fase della pandemia il nostro paese?

Voglio sottolineare che l’uso dei vaccini e dell’ Ivermectina non sono in contrapposizione ma sono complementari. Iniziare a distribuire e/o avere disponibile l’Ivermectina come sta accadendo in Perù, e in larghe parti dell’ India (penso ad esempio allo stato dell’ Uttar Pradesh nell’ India del nord, popolato da oltre 210 millioni di persone), dove la mortalità è adesso enormemente più bassa rispetto all’Italia grazie alla sua distribuzione potrebbe anche da noi  rapidamente ridurre la gravità dell’infezione da Covid, in particolare nei soggetti a maggior rischio di aggravamento mentre la campagna vaccinale prosegue il suo corso. L’Ivermectina a differenza dei cortisonici - farmaci anti-infiammatori molto efficaci se utilizzati nella seconda fase dell’infezione (fase infiammatoria) da Covid ma dannosi se utilizzati troppo presto durante l’infezione (fase iniziale viremica) - non altera l’effetto dei vaccini sul nostro sistema immunitaro.

Riassumendo, la ragione per la quale l’Ivermectina e’ efficace nelle diverse fasi del Covid è perché’ è dotata non solo di un effetto antivirale, ma come descritto sopra anche come antiaggregante (simile ma più specifico rispetto a quello dell’eparina e aspirina). E infine è dotata di un potente effetto anti-infiammatorio simile a quello dei cortisonici, ma non immunosoppressivo come quello dei cortisonici (e quindi la risposta immunitaria delle cellule T e quella delle cellule B (produttrici di anticorpi) continua a svilupparsi durante l’uso dell’Ivermectina, agendo sul fattore di trascrizione NF-KB (che causa la tempesta di citochine quando iperattivato dal Covid).