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giovedì 30 novembre 2023

Il concetto di esperienza

 L SUO RAPPORTO CON LA FEDE

 Il concetto di esperienza

Innanzitutto, occorre allargare il concetto di esperienza rispetto a come viene comunemente inteso, per poterne cogliere pienamente la centralità nella proposta educativa di Giussani, in totale immanenza alla tradizione della Chiesa. Non a caso, ne Il rischio educativo, egli attribuisce al legame con la tradizione un ruolo fondamentale, indispensabile per l’educazione, senza del quale restiamo inevitabilmente – sono parole sue – «in balia delle forze più incontrollate dell’istinto [della nostra reattività] e del potere»4 di turno. Che all’esperienza sia riconosciuto un ruolo fondamentale, questo è chiaro fin dall’inizio (siamo nella seconda metà degli anni Cinquanta). È nota l’insistenza   Giussani sia sul cristianesimo come esperienza, incontro, Fatto,sia sull’esperienza come luogo della verifica della proposta cristiana. In anni successivi, l’esperienza è chiaramente sottolineata come necessario punto di partenza di ogni autentica conoscenza («l’uomo non può partire che dall’esperienza, che è il luogo dove la realtà emerge», «si fa conoscere». Sul tema dell’esperienza, in una lettera a Giussani del 1963, l’allora cardinale Montini esprime alcune trepidazioni: «Alludo specialmente all’esperienza cristiana come fonte della verità cristiana; come metodo pedagogico può anche andar bene, se un maestro lo guida e sa poi mettere a posto, anche nella mente dei giovani, la scala obbiettiva delle verità e dei valori: ma quel primato dell’esperienza, teorizzato come assoluto, non è ammissibile; e seguaci inesperti del metodo possono darvi espressione dottrinale inesatta».8 Montini formula la sua preoccupazione riportando posizioni che vengono da taluni attribuite a Giussani, anche se non sono sue. Pochi mesi dopo aver ricevuto la lettera, Giussani risponde alla preoccupazione di Montini con un libretto intitolato L’esperienza, che ottiene l’imprimatur di monsignor Carlo Figini, il censore della diocesi ambrosiana. Si tratta di poche pagine, ma densissime. Nel 1964, ne viene ripubblicata una parte in Appunti di metodo cristiano, quella relativa all’esperienza cristiana, mentre ne Il rischio educativo (1977) il testo viene ripubblicato per intero con il titolo Struttura dell’esperienza. Giussani vi propone la sua concezione di esperienza e al tempo stesso compie una duplice critica: dice no alla riduzione dell’esperienza a un provare senza giudizio, e dice no alla riduzione intimistica, interioristica, soggettivistica dell’esperienza, vale a dire alla riduzione protestante e modernista. Sul primo versante della critica, Giussani osserva : «Quello che caratterizza l’esperienza non è tanto il fare, lo stabilire rapporti con la realtà come fatto meccanico: è l’errore implicito nella solita frase “fare delle esperienze” ove “esperienza” diventa sinonimo di “provare”. Ciò che caratterizza l’esperienza è il capire una cosa, lo scoprirne il senso. L’esperienza quindi implica intelligenza del senso delle cose. E il senso di una cosa si scopre nella sua connessione con il resto, perciò esperienza significa scoprire a che una determinata cosa serva per il mondo».Don Giussani elabora una nozione di esperienza in cui l’esperienza non ha il giudizio fuori di sé (come a dire: c’è l’esperienza e “poi” c’è il giudizio), ma lo contiene, lo implica, è caratterizzata da esso. Il giudizio è parte integrante dell’esperienza. Ne Il senso religioso scrive: «L’esperienza coincide, certo, col “provare” qualcosa, ma soprattutto coincide col giudizio dato su quel che si prova».In altri contesti dice anche che l’esperienza è un «provare giudicato».Fin qui il riferimento è all’esperienza in generale.

 L’esperienza cristiana 

Il secondo versante della critica (il no alla riduzione soggettivistica dell’esperienza) viene sviluppato nella seconda parte del libretto del 1963, dove Giussani mette a tema l’esperienza cristiana. I passaggi dedicati al tema sono talmente essenziali, espressi in modo così chiaro e sintetico, che vale la pena citarli per intero. «L’esperienza cristiana ed ecclesiale emerge come unità d’atto vitale risultante da un triplice fattore:

a) L’incontro con un fatto obiettivo originalmente indipendente dalla persona che l’esperienza compie; fatto la cui realtà esistenziale è quella di una comunità sensibilmente documentata così come è di ogni realtà integralmente umana; comunità di cui la voce umana dell’autorità nei suoi giudizi e nelle sue direttive costituisce criterio e forma. Non esiste versione dell’esperienza cristiana, per quanto interiore, che   non implichi almeno ultimamente questo incontro con la comunità e questo riferimento all’autorità.

 b) Il potere di percepire adeguatamente il significato di quell’incontro. Il valore del fatto in cui ci si imbatte trascende la forza di penetrazione dell’umana coscienza, richiede pure un gesto di Dio per la sua comprensione adeguata. Infatti lo stesso gesto con cui Dio si rende presente all’uomo nell’avvenimento cristiano esalta anche la capacità conoscitiva della coscienza, adegua l’acume dello sguardo umano alla realtà eccezionale cui lo provoca. Si dice grazia della fede.

 c) La coscienza della corrispondenza tra il significato del Fatto in cui ci si imbatte e il significato della propria esistenza – fra la realtà cristiana ed ecclesiale e la propria persona –, fra l’Incontro e il proprio destino. È la coscienza di tale corrispondenza che verifica quella crescita di sé essenziale al fenomeno dell’esperienza». Il triplice fattore indicato ci mette di fronte alla concezione che Giussani ha dell’esperienza cristiana, che la sottrae alle riduzioni richiamate. Dunque, ricapitolando, senza l’uno o l’altro di questi fattori, l’incontro con un fatto obiettivo (comunità e autorità), la percezione del significato del fatto (grazia della fede), la coscienza della corrispondenza tra il Fatto, la realtà cristiana ed ecclesiale e la propria persona (quindi la verifica), non si può parlare di «esperienza cristiana», perché sarebbe compromessa la sua integralità e autenticità.

Evangelizzare

 Non serve dunque contrapporre all’oggi visioni alternative provenienti dal passato. Nemmeno basta ribadire semplicemente delle convinzioni religiose acquisite che, per quanto vere, diventano astratte col passare del tempo. Una verità non diventa più credibile perché si alza la voce nel dirla, ma perché viene testimoniata con la vita.

Lo zelo apostolico non è mai semplice ripetizione di uno stile acquisito, ma testimonianza che il Vangelo è vivo oggi qui per noi. Coscienti di questo, guardiamo dunque alla nostra epoca e alla nostra cultura come a un dono. Esse sono nostre ed evangelizzarle non significa giudicarle da lontano, nemmeno stare su un balcone a gridare il nome di Gesù, ma scendere per strada, andare nei luoghi dove si vive, frequentare gli spazi dove si soffre, si lavora, si studia e si riflette, abitare i crocevia in cui gli esseri umani condividono ciò che ha senso per la loro vita. Significa essere, come Chiesa, «fermento di dialogo, di incontro, di unità. Del resto, le nostre stesse formulazioni di fede sono frutto di un dialogo e di un incontro tra culture, comunità e istanze differenti. Non dobbiamo aver paura del dialogo: anzi è proprio il confronto e la critica che ci aiuta a preservare la teologia dal trasformarsi in ideologia»

Papa Francesco  29/11/23

mercoledì 29 novembre 2023

aforismi di Confucio

 

9 consigli di Confucio.

La filosofia del grande pensatore cinese si concentrava su questioni di moralità, personale e sociale. Confucio insegnò le regole dei rapporti tra le persone nella società, la giustizia e l'uguaglianza.

1. CONTINUARE A CAMMINARE
Non importa quanto lentamente si cammini, purché non ci si fermi. Se si continua a camminare sulla strada giusta, alla fine si raggiungerà la destinazione desiderata. Il lavoro duro deve essere fatto con costanza.
Una persona che ha successo è una persona che rimane impegnata e si muove verso il suo obiettivo nonostante le circostanze.

2. GLI AMICI CONTANO
Non stringete mai amicizia con una persona che non sia migliore di voi.
I vostri amici rappresentano una profezia del vostro futuro. Vi state dirigendo dove loro sono già arrivati.
Questo è un buon motivo per cercare amici che si muovono nella stessa direzione che voi avete scelto. Circondatevi quindi di persone con il fuoco nel cuore!

3. LE COSE BELLE HANNO UN PREZZO
È facile odiare e difficile amare. Molte cose nella nostra vita si basano su questo. Qualsiasi cosa buona è difficile da ottenere, mentre è molto più facile ottenere qualcosa di cattivo.
Questo spiega molte cose. È più facile odiare, è più facile essere negativi, è più facile trovare scuse. L'amore, il perdono e la generosità richiedono un grande cuore, una grande mente e un grande sforzo.

4. PRIMA DI OGNI COSA CHE FAI, DEVI PREPARARE TE STESSO
Le aspettative della vita dipendono dalla diligenza e dall'impegno. Un artigiano che vuole perfezionare il suo lavoro deve prima preparare i suoi strumenti.
Il successo dipende da una preparazione preliminare, senza la quale si può fallire.

5. NON C'È NIENTE DI MALE A SBAGLIARE
Non c'è nulla di male nei propri errori se non si continua a ricordarsene. Non preoccupatevi di nulla. Commettere un errore non è un crimine.
Non lasciate che gli errori vi rovinino la giornata. Non lasciate che la negatività occupi i vostri pensieri. Non c'è niente di male nel commettere un errore!

6. ATTENZIONE ALLE CONSEGUENZE
Quando siete arrabbiati, pensate alle conseguenze.
Ricordate sempre di mantenere la calma.

7. FARE AGGIUSTAMENTI
Quando è evidente che gli obiettivi non possono essere raggiunti, non modificate gli obiettivi, ma le azioni.
Se i vostri obiettivi non sembrano realizzabili quest'anno, è il momento giusto per allineare il vostro piano per raggiungerli. Non prendete il fallimento come un'opzione, regolate le vele del successo e muovetevi senza problemi verso il vostro obiettivo.

8. POTETE IMPARARE DA TUTTI
Se sto camminando con altre due persone, ognuna di loro mi farà da insegnante. Emulerò i tratti positivi di uno di loro e correggerò i difetti dell'altro in me stesso.
Si può e si deve imparare da tutti, che siano imbroglioni o santi. Ogni vita è una storia piena di lezioni da cogliere.

9. TUTTO O NIENTE.
Qualsiasi cosa facciate nella vita, fatela con tutto il cuore. Qualsiasi cosa facciate, fatela con pieno impegno o non fatela affatto. Per avere successo nella vita dovrete dare il meglio di voi stessi, e allora vivrete una vita senza rimpianti.

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Presento una raccolta di oltre 200 frasi, citazioni e aforismi di Confucio. Tra i temi correlati si veda Proverbi cinesi – Le più belle frasi di saggezzaLe più belle frasi di BuddhaLe frasi più belle e famose di Lao Tzu e Proverbi e detti latini.

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200 frasi, citazioni e aforismi di Confucio

confucio

Scegli un lavoro che ami, e non dovrai lavorare neppure un giorno in vita tua.

Se c’è rimedio perché te la prendi? E se non c’è rimedio perché te la prendi?

Se vedi un affamato non dargli del riso: insegnagli a coltivarlo.

Il momento migliore per piantare un albero è vent’anni fa. Il secondo momento migliore è adesso

Non preoccuparti se gli altri non ti apprezzano. Preoccupati se tu non apprezzi te stesso.

Non fare del bene se non sopporti l’ingratitudine.

È meglio accendere una piccola candela che maledire l’oscurità.

La vita è veramente molto semplice; ma noi insistiamo nel renderla complicata.

Chi conosce tutte le risposte… …non si è fatto tutte le domande.

Io chiedo a Dio nient’altro che una casa piena di libri e un giardino pieno di fiori.

Mi chiedi perché compro riso e fiori? Compro il riso per vivere e i fiori per avere una ragione per cui vivere.

Le stelle sono buchi nel cielo da cui filtra la luce dell’infinito.

Vivi come in punto di morte vorresti aver vissuto.

Se pensi in termini di anni, pianta il riso.
Se pensi in termini di decenni, pianta alberi.
Se pensi in termini di centinaia di anni, insegna alla gente.

Colui che chiede è uno stupido per cinque minuti. Colui che non chiede è uno stolto per sempre.

Il saggio esige il massimo da sé, l’uomo da poco si attende tutto dagli altri.

Non vendicarti, perché dopo la vendetta viene il pentimento.

Meglio tacere e sembrare stupidi che togliere ogni dubbio parlando.

Zengzi disse: Ogni giorno esamino me stesso su tre questioni:
Se agendo per gli altri sono stato leale.
Se trattando con gli amici sono stato sincero.
Se metto in pratica ciò che trasmetto agli altri.

Gli errori dell’uomo superiore sono simili alle eclissi di sole e di luna. Tutti se ne accorgono quando sbaglia, e tutti lo ammirano quando si ravvede

Non c’è uomo che non possa bere o mangiare ma, sono in pochi in grado di capire che cosa abbia sapore.

Non importa se ti muovi piano, l’importante è che non ti fermi.

Ogni cosa ha la sua bellezza ma non tutti la vedono.

L’uomo che sposta le montagne comincia portando via i sassi più piccoli.

Se incontri uno convinto di sapere tutto e sicuro di saper fare tutto, non ti puoi sbagliare: è un imbecille.

Abbiamo due vite, e la seconda inizia quando ci rendiamo conto che ne abbiamo una sola

Non parlate mai di voi stessi: né in bene, perché nessuno vi crederebbe, né in male, perché vi si crederebbe fin troppo.

Non correggere i nostri errori è come commetterne altri

Il silenzio è il vero amico che non tradisce mai.

E’ più vergognoso non fidarsi dei propri amici, che venire traditi da essi.

Se ascolto dimentico, se leggo ricordo, se faccio capisco.

Meglio un diamante con un difetto che un sasso perfetto.

Chi torna per la vecchia strada per imparare il nuovo, può essere considerato un maestro.

Non preoccuparti del fatto che la gente non ti conosce, preoccupati del fatto che forse non meriti di essere conosciuto.

In qualunque direzione tu vada, vacci con tutto il cuore.

Anche un viaggio di mille miglia inizia con un passo.

Saggezza compassione e coraggio sono le tre qualità morali universalmente riconosciute.

Dimentica le offese, non dimenticare mai le cortesie

La felicità più grande non sta nel non cadere mai, ma nel risollevarsi sempre dopo una caduta.

Vedere e ascoltare i malvagi è già l’inizio della malvagità.

Allontanarsi dal mondo, restare sconosciuti e non avere rimpianti: a questo può arrivare solo l’uomo superiore.

Se nel prossimo vedi il buono, imitalo; se nel prossimo vedi il male, guardati dentro.

Che vanità, voler penetrare il bersaglio quando tiri con l’arco. Ci sarà sempre uno più forte di te. L’unica cosa che conta è la correttezza del gesto.

Rispetta te stesso e gli altri ti rispetteranno

Le strade sono state fatte le strade per viaggiare non per arrivare a una destinazione.

Non mettetevi a discutere con un pazzo! Chi vi guarda non distinguerebbe l’uno dall’altro.

Ho imparato che la calma è molto più destabilizzante della rabbia, che un sorriso disarma molto più di un volto corrugato, ho imparato che il silenzio di fronte ad un’offesa è un grido che fa tremare la terra. Ho imparato che come un amore rifiutato non si perde ma torna intatto a colui che voleva donarlo.

Quello che l’uomo superiore cerca è in se stesso; quello che l’uomo inferiore cerca è negli altri.

La cosa più difficile di tutte è di trovare un gatto nero in una stanza buia, soprattutto se non c’è il gatto.

La gemma non può essere lucidata senza attrito, né l’uomo può perfezionarsi senza prove.

Ci sono due errori che si possono fare lungo la via verso la verità: non andare fino in fondo, e non iniziare.

Un leone mi ha cacciato su un albero, e ho molto apprezzato la vista dall’alto.

Abbi la fedeltà e la sincerità come primi princìpi.

L’ignoranza è la notte della mente, ma una notte senza luna né stelle.

Non si può aprire un libro senza imparare qualcosa.

Per mezzo di tre metodi noi apprendiamo la saggezza:
Primo, con la riflessione, che è il più nobile.
Secondo, con l’imitazione, che è il più facile.
Terzo, con l’esperienza, che è il più amaro.

In un paese ben governato, la povertà è qualcosa di cui vergognarsi. In un paese mal governato, la ricchezza è qualcosa di cui vergognarsi.

Attacca il male che è dentro di te, invece di attaccare il male che è negli altri.

Prima di intraprendere la strada della vendetta, scavate due tombe.

L’uomo superiore coltiva la virtù, l’uomo inferiore coltiva il benessere materiale. L’uomo superiore coltiva la giustizia, l’uomo inferiore coltiva la speranza di ricevere dei favori.

Vedere ciò che è giusto e non farlo è mancanza di coraggio.

Un padre che non insegna al figlio i suoi doveri è tanto colpevole quanto il figlio che non li segue.

La lanterna dell’esperienza non illumina che chi la porta.

Se c’è rettitudine di cuore, ci sarà bellezza di carattere. Se c’è bellezza di carattere, ci sarà armonia nella casa

L’uomo saggio agisce prima di parlare ed in seguito parla secondo la sua azione.

L’uomo superiore è calmo senza essere arrogante; l’uomo dappoco è arrogante senza essere calmo.

Una voce forte non può competere con una voce chiara, anche se questa non fosse altro che un semplice mormorio.

Quando incontrate persone virtuose cercate di emularle, quando incontrate persone che tali non sono, guardate in voi e meditate. Se viaggiassimo in tre, certamente avrei sempre un maestro accanto: dell’uno coglierei i pregi per trarne esempio, dell’altro coglierei i difetti per emendarmi. Pertanto è essenziale l’altrui presenza, giacché è nel rapporto con l’altro che si attiva il pensare e l’agire dell’uomo.

Confucio disse: «Desidero non parlare». Zigong obiettò: «Ma se il Maestro non parla, che cosa potranno tramandare i suoi discepoli?». Confucio disse: «Che il cielo forse parla? Le quattro stagioni seguono il loro corso e tutti gli esseri sono procreati. Che il cielo parla?».

La virtù non è fatta per stare da sola. Colui che la pratica avrà dei vicini.

La pazienza è potere: con il tempo e la pazienza, ogni foglia di gelso diventa seta.

Quando hai dei difetti, non aver paura di abbandonarli.

L’amore eterno dura tre mesi.

I 5 fondamenti della virtù: cortesia, generosità, onestà, diligenza e gentilezza.
Se sei cortese, non ti sarà mancato di rispetto;
se sei generoso, guadagnerai ogni cosa.
Se sei onesto, le persone faranno affidamento su di te.
Se sei diligente, otterrai risultati.
Se sei gentile, può essere aiutato dalle persone

Guardare ai piccoli vantaggi impedisce alle grandi opere di venire realizzate.

Quando si è parlato molto, si è detto sempre qualche cosa che sarebbe stato meglio tacere.

Il maestro disse: Il prodigo è arrogante e l’avaro è meschino. È preferibile la meschinità all’arroganza.

Fang Chi interrogò il Maestro sulla virtù dell’umanità. Il Maestro disse: “A casa essere rispettosi; nel trattare gli affari essere riverenti e nei rapporti con gli altri essere leali. Persino se si vive tra i barbari non si può rinunciare a queste qualità”.

Non ho mai conosciuto un uomo che vedendo i propri errori ne sapesse dar colpa a se stesso

Amare gli altri ed avere cura di loro, è agire con umanità. Comprenderli, è agire con virtù

Un giovane, quando è a casa, dovrebbe essere rispettoso dei genitori e, quando è all’estero dovrebbe esserlo dei più anziani.

Non lamentatevi della neve sul tetto del vicino, se non l’avete ancora spalata via dal vostro uscio.

Il padre che non insegna a suo figlio i suoi compiti è egualmente responsabile come il figlio che li trascura.

Non è la misura dell’aratro che conta, ma quanto tempo trascorri ad arare il campo.

L’uomo superiore comprende la giustizia e la correttezza; l’uomo dappoco comprende l’interesse personale.

Niente è più visibile di ciò che è nascosto.

Chi impara, ma non pensa, è perduto. Chi pensa, ma non impara, è in pericolo.

Per una parola un uomo viene spesso giudicato saggio, e per una parola viene spesso giudicato stupido. Dunque dobbiamo stare molto attenti a quello che diciamo.

Il Maestro disse a un suo allievo: “Yu, vuoi che ti dica in che cosa consiste la conoscenza? Consiste nell’essere consapevoli sia di sapere una cosa che di non saperla. Questa è la conoscenza”.

L’inizio della saggezza consiste nel chiamare le cose con il loro nome.

Non conta il colore del gatto, conta che acchiappi il topo.

Il perfezionamento del proprio io è la base fondamentale di tutto il progresso e lo sviluppo morale.

Dove c’è l’educazione non c’è distinzione di classe.

Se non si rispettano le cose sacre, non si ha nulla su cui basare la propria condotta.

La conoscenza reale è conoscere l’estensione della propria ignoranza.

Se non si sa cos’è la vita, come si può sapere cos’è la morte?

I saldi, i resistenti, i semplici, e i modesti sono vicini alle virtù.

La via della persona superiore è triplice; i virtuosi, sono liberi da ansie; i saggi sono esenti da perplessità; e gli audaci sono liberi dalla paura .

Colui che non prevede le cose lontane si espone ad infelicità ravvicinate.

L’allievo Tse Kung chiese: Esiste una parola che possa esser la norma di tutta una vita? Il maestro rispose: Questa parola è ‘reciprocità’. E cioè, non comportarti con gli altri come non vuoi che gli altri si comportino con te

L’uomo superiore è modesto nelle sue parole, ma eccede nelle sue azioni.

Quando il temperamento originario prevale sulla cultura si è rozzi; quando la cultura. prevale sul temperamento originario si è pedanti. Quando cultura e temperamento si equilibrano allora si è persone superiori

Il maestro disse: Si può indurre il popolo a seguire una causa, ma non a comprenderla.

Il maestro disse: Chi si modera, raramente si perde.

Il maestro disse: Chi arriva a quarant’anni senza essere apprezzato, non lo sarà mai più.

Un uomo senza baffi è un uomo senza anima.

Rari sono quelli che preferiscono la virtù ai piaceri del sesso.

È nel momento più freddo dell’anno che il pino e il cipresso, ultimi a perdere le foglie, rivelano la loro tenacia.

Quando due amici si comprendono completamente le parole sono soavi e forti come profumo di orchidee.

Non importa quanto lontano possa andare lo spirito, non andrà mai più lontano del cuore.

La pigrizia cammina così lenta che la povertà non fa grande fatica a raggiungerla.

Se il popolo è regolato dalle leggi ed uniformato attraverso le punizioni, esso cercherà di evitarle ma non sentirà alcun senso di rispetto. Se esso è invece guidato dalla virtù e uniformato attraverso le norme di buon comportamento e attraverso i riti, il popolo coltiverà il senso di rispetto, e quindi progredirà.

È difficile essere poveri e non avere risentimenti, così come è facile essere ricchi e non essere superbi.

C’è malvagità in un’intenzione malvagia, anche se l’atto non viene perpetrato.

Solo i più saggi o i più stupidi degli uomini non cambiano mai.

Studia il passato se vuoi prevedere il futuro.

L’uomo saggio è informato in ciò che è giusto. L’uomo inferiore è informato in ciò che pagherà.

Il vero signore è simile ad un arciere: se manca il bersaglio, ne cerca la causa in se stesso.

La via non può essere lasciata un solo istante. Se potessimo lasciarla, non sarebbe la via.

La mia casa è molto piccola, ma le sue finestre si aprono su un mondo grande e meraviglioso.

La natura umana è buona e il male è essenzialmente innaturale.

Quando le parole perderanno il loro significato le persone perderanno la loro libertà.

L’uomo nobile enfatizza le buone qualità degli altri, e non accentua le cattive. L’inferiore fa il contrario.

Quando si è in un pasticcio, tanto vale goderne il sapore.

L’uomo superiore che vuole arrivare a un certo punto cerca di portarvi anche gli altri. Poiché vuol capire, cerca di far sì che anche gli altri capiscano. Questa è la forza della superiorità: trovare l’esempio in se stessa.

Per mettere il mondo in ordine, dobbiamo mettere la nazione in ordine. Per mettere la nazione in ordine, dobbiamo mettere la famiglia in ordine, Per mettere la famiglia in ordine, dobbiamo coltivare la nostra vita personale, Per coltivare la nostra vita personale, dobbiamo prima mettere a posto i nostri cuori

Osserva molte cose, scarta quelle insicure e comportati con molta cautela nei confronti di quelle rimanenti. Avrai così minore probabilità di sbagliare.

È l’uomo che può rendere grande la Via, e non la Via che rende grande l’uomo

Akinfa e Marija Judina

 Nel mio gruppo c'era un "attaccabrighe", un ragazzino di otto-nove anni praticamente senza famiglia, che viveva presso parenti che non amava e da cui non era amato, di nome Akinfa; era indisponente, stuzzicava tutti, prendeva in giro i bambini ebrei, si azzuffava e così via. Noi tutti (e soprattutto io, che ne avevo la responsabilità!), cercavamo di esortarlo con la parola e con l'esempio. Ma una volta Akinfa passò tutti i limiti - picchiò uno dei compagni, prese a male parole gli adulti, commise un furtarello - e così fu "decretata" la sua espulsione. Quando venne il momento di eseguire la "condanna" - il momento del distacco - io, non so come, scoppiai a piangere. E a questo punto avvenne la "seconda nascita" di Akinfa! Scoppiò a piangere anche lui; chiese perdono a tutti, rese la refurtiva e da quel momento mi seguiva sempre ovunque, nel campo, come un fedele cagnolino; e spiegava a tutti che "in vita sua" non aveva mai visto una maestra che piangesse per il suo alunno: che piangesse, per dirla con le sue parole, "sull'anima e sulla vita" di un monello. Proprio questo era il senso del suo stupore e del desiderio di rimettersi sulla buona strada. L'episodio di Akinfa è stato l'inizio di tutta la mia successiva attività d'insegnamento, per tutta la vita. (Marija Judina - Più della musica - Ed. La Casa di Matriona)

martedì 28 novembre 2023

si richiede un’ipocrisia costante

 “È una malattia di questi ultimi tempi. Credo che le cause siano d’origine morale. Alla gran maggioranza di noi si richiede un’ipocrisia costante, eretta a sistema. Ma non si può, senza conseguenze, mostrarsi ogni giorno diversi da quello che ci si sente: sacrificarsi per ciò che non si ama, rallegrarsi di ciò che ci rende infelici. Il sistema nervoso non è un vuoto suono o un’invenzione. La nostra anima occupa un posto nello spazio e sta dentro di noi come i denti nella bocca. Non si può impunemente violentarla all’infinito”.


Il dottor Zivago,  Boris Pasternak

𝐈𝐋 𝐏𝐀𝐒𝐓𝐎𝐑𝐄 𝐂𝐇𝐄 𝐇𝐀 𝐅𝐀𝐋𝐋𝐈𝐓𝐎

 𝐈𝐋 𝐏𝐀𝐒𝐓𝐎𝐑𝐄 𝐂𝐇𝐄 𝐇𝐀 𝐅𝐀𝐋𝐋𝐈𝐓𝐎

Un pastore di un piccolo paese, è arrivato in chiesa animato e motivato per svolgere la riunione serale… il tempo passava ma non arrivava nessuno.


Dopo 15 minuti di ritardo, entrarono soltanto tre bambini, dopo venti minuti due giovani, quindi il pastore decise di iniziare il culto con solo cinque persone e con 35 minuti di ritardo. Durante lo svolgimento della riunione è entrata una coppia che si sedette agli ultimi posti della chiesa.


Quando il pastore iniziò la lettura della Bibbia prima di predicare, entrò un altro signore, con i vestiti sporchi e una corda tra le mani.

Ancora senza capire come mai fossero cosi pochi, e perchè il locale fosse deserto, il pastore guidò il culto, in modo animato e predicò con dedizione e zelo come se fosse gremito di gente.


Alla fine della riunione, rientrando in casa fu aggredito e picchiato da due ladri che gli presero la borsa dove, tra l'altro c'era la Bibbia e altri averi di valore.


Giunto a casa, tra le cure della moglie che medicava le ferite, descrisse quel giorno come:

-il giorno più triste della sua vita

-il giorno più fallito del suo ministerio

-il giorno più infruttuoso della sua carriera.

Cinque anni dopo, il pastore decise di condividere questa triste storia alla chiesa.


 Mentre lui finiva di raccontare la storia, una coppia di sposi presente interruppe il pastore dicendo: 

"𝘗𝘢𝘴𝘵𝘰𝘳𝘦, 𝘲𝘶𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘤𝘰𝘱𝘱𝘪𝘢 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘴𝘵𝘰𝘳𝘪𝘢 𝘤𝘩𝘦 𝘴𝘪 𝘦 𝘴𝘦𝘥𝘶𝘵𝘢 𝘴𝘶𝘭 𝘧𝘰𝘯𝘥𝘰 𝘦𝘳𝘢𝘷𝘢𝘮𝘰 𝘯𝘰𝘪... 𝘌𝘳𝘢𝘷𝘢𝘮𝘰 𝘴𝘶𝘭𝘭'𝘰𝘳𝘭𝘰 𝘥𝘦𝘭 𝘥𝘪𝘷𝘰𝘳𝘻𝘪𝘰 𝘢 𝘤𝘢𝘶𝘴𝘢 𝘥𝘪 𝘷𝘢𝘳𝘪 𝘱𝘳𝘰𝘣𝘭𝘦𝘮𝘪 𝘦 𝘪𝘯𝘤𝘰𝘮𝘱𝘳𝘦𝘯𝘴𝘪𝘰𝘯𝘪 𝘤𝘩𝘦 𝘤'𝘦𝘳𝘢𝘯𝘰 𝘯𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘯𝘰𝘴𝘵𝘳𝘢 𝘤𝘢𝘴𝘢. 𝘐𝘯 𝘲𝘶𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘯𝘰𝘵𝘵𝘦 𝘢𝘷𝘦𝘷𝘢𝘮𝘰 𝘥𝘦𝘤𝘪𝘴𝘰 𝘥𝘪 𝘱𝘰𝘳𝘳𝘦 𝘧𝘪𝘯𝘦 𝘢𝘭 𝘯𝘰𝘴𝘵𝘳𝘰 𝘮𝘢𝘵𝘳𝘪𝘮𝘰𝘯𝘪𝘰, 𝘮𝘢 𝘱𝘳𝘪𝘮𝘢 𝘢𝘣𝘣𝘪𝘢𝘮𝘰 𝘥𝘦𝘤𝘪𝘴𝘰 𝘥𝘪 𝘦𝘯𝘵𝘳𝘢𝘳𝘦 𝘪𝘯 𝘶𝘯𝘢 𝘤𝘩𝘪𝘦𝘴𝘢.. 𝘢𝘷𝘳𝘦𝘮𝘮𝘰 𝘭𝘢𝘴𝘤𝘪𝘢𝘵𝘰 𝘭𝘪 𝘭𝘦 𝘯𝘰𝘴𝘵𝘳𝘦 𝘧𝘦𝘥𝘪 𝘦 𝘱𝘰𝘪 𝘰𝘨𝘯𝘶𝘯𝘰 𝘢𝘷𝘳𝘦𝘣𝘣𝘦 𝘤𝘰𝘯𝘵𝘪𝘯𝘶𝘢𝘵𝘰 𝘪𝘭 𝘴𝘶𝘰 𝘤𝘢𝘮𝘮𝘪𝘯𝘰, 𝘮𝘢 𝘪𝘯 𝘲𝘶𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘴𝘦𝘳𝘢 𝘢𝘣𝘣𝘪𝘢𝘮𝘰 𝘳𝘪𝘯𝘶𝘯𝘤𝘪𝘢𝘵𝘰 𝘢𝘭 𝘥𝘪𝘷𝘰𝘳𝘻𝘪𝘰 𝘥𝘰𝘱𝘰 𝘢𝘷𝘦𝘳 𝘴𝘦𝘯𝘵𝘪𝘵𝘰 𝘲𝘶𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘱𝘳𝘦𝘥𝘪𝘤𝘢, 𝘱𝘦𝘳𝘤𝘩𝘦 𝘋𝘪𝘰 𝘤𝘪 𝘩𝘢 𝘱𝘢𝘳𝘭𝘢𝘵𝘰 𝘢𝘭𝘭𝘢 𝘯𝘰𝘴𝘵𝘳𝘢 𝘷𝘪𝘵𝘢, 𝘤𝘢𝘮𝘣𝘪𝘢𝘯𝘥𝘰𝘭𝘢 𝘦𝘥 𝘰𝘨𝘨𝘪 𝘴𝘪𝘢𝘮𝘰 𝘲𝘶𝘪 𝘤𝘰𝘯 𝘶𝘯𝘢 𝘤𝘢𝘴𝘢 𝘦 𝘶𝘯𝘢 𝘧𝘢𝘮𝘪𝘨𝘭𝘪𝘢 𝘳𝘦𝘴𝘵𝘢𝘶𝘳𝘢𝘵𝘢". 


Mentre quegli sposi parlavano, uno degli imprenditori più prosperi, che aiutava economicamente e sosteneva quella chiesa si alzò chiedendo l'opportunità di parlare e disse:

"𝘗𝘢𝘴𝘵𝘰𝘳𝘦 𝘪𝘰 𝘴𝘰𝘯𝘰 𝘲𝘶𝘦𝘭 𝘴𝘪𝘨𝘯𝘰𝘳𝘦 𝘤𝘩𝘦 è 𝘦𝘯𝘵𝘳𝘢𝘵𝘰 𝘵𝘶𝘵𝘵𝘰 𝘴𝘱𝘰𝘳𝘤𝘰 𝘤𝘰𝘯 𝘶𝘯𝘢 𝘤𝘰𝘳𝘥𝘢 𝘵𝘳𝘢 𝘭𝘦 𝘮𝘢𝘯𝘪... 𝘌𝘳𝘰 𝘴𝘶𝘭𝘭'𝘰𝘳𝘭𝘰 𝘥𝘦𝘭 𝘧𝘢𝘭𝘭𝘪𝘮𝘦𝘯𝘵𝘰, 𝘱𝘦𝘳𝘴𝘰 𝘯𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘥𝘳𝘰𝘨𝘢 𝘦 𝘯𝘦𝘪 𝘷𝘪𝘻𝘪, 𝘮𝘪𝘢 𝘮𝘰𝘨𝘭𝘪𝘦 𝘦 𝘪 𝘮𝘪𝘦𝘪 𝘧𝘪𝘨𝘭𝘪 𝘴𝘦 𝘯𝘦 𝘦𝘳𝘢𝘯𝘰 𝘢𝘯𝘥𝘢𝘵𝘪 𝘥𝘢 𝘤𝘢𝘴𝘢 𝘢 𝘤𝘢𝘶𝘴𝘢 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘦 𝘮𝘪𝘦 𝘤𝘰𝘯𝘵𝘪𝘯𝘶𝘦 𝘷𝘪𝘰𝘭𝘦𝘯𝘻𝘦. 𝘘𝘶𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘯𝘰𝘵𝘵𝘦 𝘭𝘢 𝘳𝘪𝘤𝘰𝘳𝘥𝘰 𝘣𝘦𝘯𝘪𝘴𝘴𝘪𝘮𝘰 𝘱𝘦𝘳𝘤𝘩𝘦 𝘵𝘦𝘯𝘵𝘢𝘪 𝘥𝘪 𝘧𝘢𝘳𝘭𝘢 𝘧𝘪𝘯𝘪𝘵𝘢 𝘶𝘤𝘤𝘪𝘥𝘦𝘯𝘥𝘰𝘮𝘪, 𝘴𝘰𝘭𝘰 𝘤𝘩𝘦 𝘭𝘢 𝘤𝘰𝘳𝘥𝘢 𝘴𝘪 𝘴𝘱𝘦𝘻𝘻𝘰, 𝘦 𝘲𝘶𝘢𝘯𝘥𝘰 𝘢𝘯𝘥𝘢𝘪 𝘱𝘦𝘳 𝘤𝘰𝘮𝘱𝘳𝘢𝘳𝘯𝘦 𝘶𝘯'𝘢𝘭𝘵𝘳𝘢, 𝘷𝘪𝘥𝘪 𝘭𝘢 𝘤𝘩𝘪𝘦𝘴𝘢 𝘢𝘱𝘦𝘳𝘵𝘢, 𝘥𝘦𝘤𝘪𝘴𝘪 𝘥𝘪 𝘦𝘯𝘵𝘳𝘢𝘳𝘦 𝘱𝘶𝘳 𝘦𝘴𝘴𝘦𝘯𝘥𝘰 𝘵𝘶𝘵𝘵𝘰 𝘴𝘱𝘰𝘳𝘤𝘰 𝘤𝘰𝘯 𝘭𝘢 𝘤𝘰𝘳𝘥𝘢 𝘵𝘳𝘢 𝘭𝘦 𝘮𝘢𝘯𝘪. 𝘐𝘯 𝘲𝘶𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘯𝘰𝘵𝘵𝘦 𝘪𝘭 𝘮𝘦𝘴𝘴𝘢𝘨𝘨𝘪𝘰 𝘱𝘳𝘦𝘥𝘪𝘤𝘢𝘵𝘰 è 𝘱𝘦netrato nel 𝘮𝘪𝘰 𝘤𝘶𝘰𝘳𝘦 𝘦 𝘴𝘰𝘯𝘰 𝘶𝘴𝘤𝘪𝘵𝘰 𝘥𝘢 𝘲𝘶𝘦𝘭 𝘭𝘶𝘰𝘨𝘰 𝘤𝘰𝘯 𝘢𝘯𝘪𝘮𝘰 𝘯𝘶𝘰𝘷𝘰 𝘥𝘦𝘤𝘪𝘴𝘰 𝘥𝘪 𝘷𝘪𝘷𝘦𝘳𝘦 𝘱𝘦𝘳 𝘊𝘳𝘪𝘴𝘵𝘰. 𝘖𝘨𝘨𝘪 𝘴𝘰𝘯𝘰 𝘭𝘪𝘣𝘦𝘳𝘰 𝘥𝘢𝘭𝘭𝘢 𝘥𝘳𝘰𝘨𝘢, 𝘭𝘢 𝘮𝘪𝘢 𝘧𝘢𝘮𝘪𝘨𝘭𝘪𝘢 𝘦 𝘵𝘰𝘳𝘯𝘢𝘵𝘢 𝘢 𝘤𝘢𝘴𝘢 𝘦 𝘴𝘰𝘯𝘰 𝘥𝘪𝘷𝘦𝘯𝘵𝘢𝘵𝘰 𝘪𝘭 𝘱𝘪𝘶 𝘨𝘳𝘢𝘯𝘥𝘦 𝘪𝘮𝘱𝘳𝘦𝘯𝘥𝘪𝘵𝘰𝘳𝘦 𝘥𝘦𝘭 𝘱𝘢𝘦𝘴𝘦".


E alla porta d'ingresso  della chiesa un credente addetto al servizio d'ordine gridò:

"𝘗𝘢𝘴𝘵𝘰𝘳𝘦..... 𝘴𝘰𝘯𝘰 𝘴𝘵𝘢𝘵𝘰 𝘪𝘰 𝘶𝘯𝘰 𝘥𝘪 𝘲𝘶𝘦𝘪 𝘭𝘢𝘥𝘳𝘪 𝘤𝘩𝘦 𝘭𝘰 𝘩𝘢 𝘢𝘨𝘨𝘳𝘦𝘥𝘪𝘵𝘰, 𝘭'𝘢𝘭𝘵𝘳𝘰 𝘦 𝘮𝘰𝘳𝘵𝘰 𝘪𝘯 𝘲𝘶𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘴𝘵𝘦𝘴𝘴𝘢 𝘯𝘰𝘵𝘵𝘦 𝘲𝘶𝘢𝘯𝘥𝘰 𝘢𝘣𝘣𝘪𝘢𝘮𝘰  𝘤𝘰𝘮𝘱𝘪𝘶𝘵𝘰 𝘶𝘯𝘢 𝘴𝘦𝘤𝘰𝘯𝘥𝘢 𝘢𝘨𝘨𝘳𝘦𝘴𝘴𝘪𝘰𝘯𝘦. 𝘕𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘣𝘰𝘳𝘴𝘢 𝘭𝘦𝘪 𝘢𝘷𝘦𝘷𝘢 𝘶𝘯𝘢 𝘉𝘪𝘣𝘣𝘪𝘢, 𝘪𝘯𝘪𝘻𝘪𝘢𝘪 𝘢 𝘭𝘦𝘨𝘨𝘦𝘳𝘭𝘢 𝘲𝘶𝘢𝘯𝘥𝘰 𝘮𝘪 𝘳𝘪𝘴𝘷𝘦𝘨𝘭𝘪𝘢𝘪 𝘭𝘢 𝘮𝘢𝘵𝘵𝘪𝘯𝘢, 𝘴𝘶𝘤𝘤𝘦𝘴𝘴𝘪𝘷𝘢𝘮𝘦𝘯𝘵𝘦 𝘥𝘦𝘤𝘪𝘴𝘪 𝘥𝘪 𝘦𝘯𝘵𝘳𝘢𝘳𝘦 𝘪𝘯 𝘲𝘶𝘦𝘴𝘵𝘢 𝘤𝘩𝘪𝘦𝘴𝘢, 𝘥𝘢𝘯𝘥𝘰 𝘭𝘢 𝘮𝘪𝘢 𝘷𝘪𝘵𝘢 𝘢 𝘎𝘦𝘴𝘶".


Il pastore rimase sotto shock e cominciò a piangere insieme alla congregazione... alla fine quella serata considerata "una notte di fallimenti"  fu in realtà una notte molto produttiva. 


𝙇𝙀𝙕𝙄𝙊𝙉𝙀 𝘿𝙀𝙇𝙇𝘼 𝙎𝙏𝙊𝙍𝙄𝘼:

1- Esercita la tua chiamata con dedizione e zelo, non basarti sul numero dei partecipanti.

2- Dai il tuo meglio ogni giorno, poichè ogni giorno sei uno strumento utile per la vita di qualcuno.

3- Nei giorni più “cattivi” della tua vita, puoi ancora essere una benedizione nella vita di qualcuno.

4- Il giorno che consideri più infruttuoso della tua vita sulla terra, in verità è il giorno più produttivo  del mondo spirituale se guidato da DIO.

5- Dio usa le circostanze cattive  della vita per produrre grandi vittorie.

6- Non dire mai: "Oggi Dio non ha fatto nulla", solo perché i tuoi occhi non l'hanno visto.

𝙳𝚒𝚘 𝚎 𝚊𝚕𝚕'𝚘𝚙𝚎𝚛𝚊 𝚚𝚞𝚊𝚗𝚍𝚘 𝚖𝚎𝚗𝚘 𝚝𝚎 𝚕𝚘 𝚊𝚜𝚙𝚎𝚝𝚝𝚒. 𝚁𝙸𝙼𝙰𝙽𝙸 𝙵𝙴𝙳𝙴𝙻𝙴 𝙰 𝙻𝚄𝙸

sabato 18 novembre 2023

La dinamica della fede

 La dinamica della fede 

In Si può vivere così?, e poi in Si può (veramente?!) vivere così?, parlando a giovani che hanno iniziato un cammino di dedizione totale a Cristo nella verginità, Giussani propone una descrizione della dinamica della fede cristiana, «di come la fede scatta», «nasce e si attesta umanamente, ragionevolmente». Per introdurci a essa, formula una lunga premessa sulla fede come metodo di conoscenza della ragione. La ragione ha, infatti, un metodo per conoscere «cose che non vede direttamente e che non può vedere direttamente»: essa «le può conoscere attraverso la testimonianza di altri». Si chiama «conoscenza indiretta per mediazione» o conoscenza per fede e non è meno certa di quella acquisita direttamente, a patto che si sia raggiunto, attraverso il metodo della certezza morale, un giudizio di affidabilità sul testimone: «Se [uno] raggiunge la certezza che una persona sa quel che dice e non lo vuole ingannare, allora logicamente deve fidarsi, perché se non si fida va contro se stesso». Così, posso non essere mai stato in America e affermare razionalmente, con certezza, tramite la testimonianza di altri, che essa esiste. Cultura, storia e convivenza umana si fondano su questo tipo di conoscenza. Premesso questo, rivolgendosi ai suoi interlocutori, Giussani osserva: «Cristo è l’oggetto totale della nostra fede. Come facciamo a conoscere Cristo in modo tale da potervi appoggiare tutto il sacrificio della vita?». Evidentemente, dei metodi «usati dalla ragione quello che qui si applicherà sarà la fede. Cristo non lo conosciamo direttamente, né per evidenza, né per analisi dell’esperienza».Lo conosciamo, appunto, per fede. Entriamo allora nella dinamica della fede cristiana. 

a) Per descriverla, Giussani torna all’origine, a come è sorto il problema nella storia, perciò a quella pagina del Vangelo di Giovanni in cui si narra l’incontro di Andrea e Giovanni con Gesù di Nazareth. È questo il primo fattore del percorso della fede cristiana. «La prima caratteristica della fede cristiana è che parte da un fatto, un fatto che ha la forma di un incontro». E questo, come ogni altro passo del cammino che richiameremo, vale identicamente per noi, oggi.

 b) Il secondo fattore è l’eccezionalità del fatto. L’uomo che avevano davanti era «una Presenza eccezionale». Come avrebbero potuto, altrimenti, dopo poche ore, fare proprie le parole che lui aveva detto di sé e ripeterle ad altri? «Abbiamo trovato il Messia». Ora, «eccezionale» significa per Giussani corrispondente alle esigenze originali del cuore umano. «Trovare un uomo eccezionale vuol dire trovare un uomo che realizza una corrispondenza con quel che desideri, con l’esigenza di giustizia, di verità, di felicità, di amore... che dovrebbe essere una cosa naturale, ma non capita mai, è impossibile, è inimmaginabile». In questo senso, sottolinea Giussani, «eccezionale equivale a divino: divino, perché la risposta al cuore è Dio. Qualcosa di veramente eccezionale è qualcosa di divino: c’è dentro qualcosa di divino».

19 c) Il terzo fattore è lo stupore: «Il fatto da cui parte la fede in Cristo, l’incontro da cui parte la fede di Giovanni e di Andrea […] ha destato in loro un grande stupore». In quei due e negli altri che formavano il primo gruppetto che accompagnava Gesù nei luoghi in cui andava, e poi in tutta la gente che lo incontrava, nasceva un irrefrenabile stupore: avevano davanti un uomo senza paragone, per quello che diceva («Nessuno ha mai parlato come quest’uomo»), per quello che faceva (i miracoli, il suo potere sulla realtà, la bontà, lo sguardo rivelatore dell’umano…). «Ma lo stupore è sempre una domanda, almeno segreta». Che a un certo punto esplode. 

d) Quarto: l’insorgere di una domanda paradossale: «Chi è costui?». È paradossale perché di Gesù «sapevano tutto, sapevano bene chi era, ma era così eccezionale il suo modo di fare, di comportarsi» che, anzitutto quelli «che erano i suoi amici, non hanno potuto non dire: “Ma da che parte viene Costui?”». Giussani osserva: «La fede incomincia esattamente con questa domanda: “Chi è costui?”».

 e) Quinto: la risposta sua.Quella appena richiamata è una domanda inesorabile, a cui però non si sa rispondere: chi Egli veramente sia non lo si può dire da soli, la sua identità (la sua divinità) sfugge alla presa della ragione. I Vangeli riportano un episodio occorso nei pressi di Cesarea di Filippo. Gesù si trovava lì insieme al gruppetto dei suoi. Colto da un pensiero improvviso, chiede: «La gente, chi dice che io sia?».Dopo le risposte, che conosciamo, rivolge a loro la domanda: «Ma voi, chi dite che io sia?». E Pietro, d’impulso: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».In più occasioni Giussani commenta: egli ripete «probabilmente, anche se non ne possedeva appieno il significato, qualcosa che aveva sentito dire da Gesù stesso».E viene lodato: «Beato sei tu, Simone figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli». È infatti una risposta che supera la capacità dell’umana ragione: «La ragione non può dimostrare la divinità di Cristo, perché la divinità in quanto personalmente presente in una realtà umana non è oggetto proprio della ragione. La ragione può arrivare al fatto che si trova di fronte a qualcosa di eccezionale, non può arrivare a definire chi è Gesù Cristo, in quanto divino che si comunica all’umano». Perciò Pietro può solo dire: «Sappiamo che sei Dio perché l’hai detto». La risposta alla domanda su chi Egli sia è sua, di Gesù. Pietro «crede» a quello che Gesù dice di sé. Come faceva a crederGli? Per Pietro e gli altri, giorno dopo giorno, a partire dal primo incontro, seguendoLo, stando con Lui, una cosa era diventata più di ogni altra evidente: «Che di Lui dovevano fidarsi: “Se non mi fido di questo uomo, non posso credere neanche ai miei occhi”».

 f) Sesto punto: la nostra responsabilità di fronte al fatto («il coraggio di dir di sì»29). «Di fronte alla domanda “Chi è Costui?” e di fronte alla risposta che Pietro dà, uno può dire sì o no: aderire a quello che dice Pietro oppure andar via come sono andati via tutti gli altri».Quella di Pietro è la risposta di fede: «La fede afferma una cosa perché l’ha detta Lui. Punto fermo». Ed è «ragionevole che uno accetti una cosa perché l’ha detta Lui, in quanto è storicamente afferrabile e affermabile una eccezionalità di comportamento, una eccezionalità di performance, che non è reperibile da nessun’altra parte». Anzi, sottolinea Giussani, «l’unica cosa razionale è il sì. Perché?». Perché Cristo «corrisponde alla natura del nostro cuore più di qualsiasi nostra immagine, corrisponde alla sete di felicità che noi abbiamo e che costituisceragione del vivere». Mentre «il no nasce sempre dal preconcetto, dal fatto che Gesù diventa scandalo, impedimento a quello che vorresti».Duemila anni dopo, ci troviamo esattamente nella stessa situazione. Come Pietro e gli altri avevano a che fare con l’uomo Gesù di Nazareth, con la sua eccezionalità, così noi abbiamo a che fare con la realtà umana dei suoi testimoni, con la Chiesa, attraverso cui Cristo diventa avvenimento nel presente. Imbattendoci in una certa persona, una certa comunità, un certo modo di vivere, anche in noi, per la sperimentata corrispondenza alle esigenze originali del cuore, nasce uno stupore che diventa domanda: «Come fanno a essere così?». E in virtù della fiducia nei testimoni, cresciuta in un cammino di convivenza che implica tutta la nostra ragione e libertà, matura l’apertura a riconoscere, ad aderire alla risposta che fu di Pietro, veicolata dalla realtà stessa della Chiesa, della compagnia cristiana incontrata. Come, dunque, il riconoscimento di Pietro diventa mio? Ora come allora, il contenuto divino del fenomeno umano in cui ci si imbatte non può essere conosciuto dalla ragione, poiché l’oggetto della fede (il divino presente nell’umano) è costitutivamente oltre l’oggetto normale e proprio della ragione: «Il riconoscimento della presenza di Cristo avviene perché Cristo “vince” l’individuo. Perché avvenga la fede nell’uomo e nel mondo deve cioè accadere prima qualcosa che è grazia, pura grazia: l’avvenimento di Cristo, dell’incontro con Cristo, in cui si fa esperienza di una eccezionalità che non può accadere da sola».La fede, sottolinea Giussani in Generare tracce nella storia del mondo, «è parte dell’avvenimento cristiano perché è parte della grazia che l’avvenimento rappresenta, di ciò che esso è. […] Come Cristo si dà a me in un avvenimento presente, così vivifica in me la capacità di afferrarlo e di riconoscerlo». Correlativamente, però, la nostra libertà è chiamata a domandare e ad accettare di riconoscerlo. Anche noi siamo in gioco. «La libertà dell’uomo si riassume nella domanda: “Accettando che tutto è grazia, Ti chiedo la grazia”: così si salva totalmente sia il fatto che tutto è grazia, sia il fatto che la grazia di Cristo dipende nella sua efficacia anche dalla mia libertà». Nessuno di noi può perciò arrivare alla certezza su Cristo, sulla divinità di Cristo, sulla sua identità di Figlio di Dio, soltanto – e sottolineo soltanto – in forza di qualcosa che gli accade adesso, della esperienza diretta che ne ha, fosse anche il miracolo più straordinario. Pensiamo, per ricapitolare quanto detto, all’episodio del cieco nato (come appare nell’immagine che abbiamo scelto per questa Giornata d’inizio) narrato nel Vangelo di Giovanni. L’esperienza che il cieco nato fa, quando Gesù gli spalma gli occhi col fango, è la guarigione dei suoi occhi. Ma che Gesù sia il Figlio di Dio, questo è un giudizio che neppure il cieco nato ha potuto formulare in forza della sua esperienza diretta. «Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: “Dà gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore”. Quello rispose: “Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: [prima] ero cieco e ora ci vedo”». Ecco, l’esperienza diretta gli fa dire questo. E poi, rispondendo alle obiezioni dei farisei, gli permette di aggiungere: «“Proprio questo stupisce, che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla”». Anche questo giudizio, conseguenza della constatazione precedente, è interno all’esperienza stessa. Ma il percorso non finisce qui. «Gli replicarono: “Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?”. E lo cacciarono fuori. Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò gli disse: “Tu, credi nel Figlio dell’uomo?”». Questo – attenzione – è il passaggio chiave: fin qui il giovane coglie l’eccezionalità del fatto che gli è capitato e della persona che ha davanti, ma non può ancora dare il nome appropriato all’autore del fatto, a Colui che gli sta di fronte («Il Figlio dell’uomo»). «Egli rispose: “E chi è, Signore, perché io creda in lui?”. Gli disse Gesù: “Lo hai visto: è colui che parla con te”. Ed egli disse: “Credo, Signore!”. E si prostrò dinanzi a lui». Ecco la fede, resa possibile dall’iniziativa di Cristo stesso lì davanti a lui, a cui il cieco nato aderisce. Senza quest’ultimo passaggio del riconoscimento non è ancora la fede, almeno secondo il proprium del nostro carisma. Giussani ce lo ha ripetuto fino allo sfinimento: la fede è riconoscere una Presenza, la presenza di Cristo.

Davide Prosperi Giornata d’inizio  d'anno 2023

giovedì 16 novembre 2023

Cristo il più grande rivoluzionario della storia

Cristo il più grande rivoluzionario della storia. Ho bisogno – e credo che tutti abbiano bisogno – di considerarlo come uomo e di considerare “umana” tutta la sua storia. Perché se lo si considera un Dio, non si può imitare; se lo si considera un uomo, sì.

Fabrizio De André



Gesù secondo De Andrè è il più grande rivoluzionario di tutti i tempi: un esempio da imitare. Già nel suo primo disco egli scrive una canzone dedicata a lui: Si chiamava Gesù. In essa esprime in modo diretto ed esplicito la propria convinzione: l’hanno chiamato Dio, ma era solo un uomo, una persona straordinaria, ma pur sempre uno come noi.

Non intendo cantare la gloria 
né invocare la grazia e il perdono
di chi penso non fu altri che un uomo
come Dio passato alla storia
ma inumano è pur sempre l’amore
di chi rantola senza rancore
perdonando con l’ultima voce
chi lo uccide fra le braccia di una croce.

(Tratto dalla canzone “Si chiamava Gesù)

 

De Andrè non professa la divinità del Cristo, ma nei suoi gesti e nelle sue parole non può fare a meno di vedere la traccia di qualcosa che va oltre una logica meramente umana: “inumano”, dice, a proposito del perdono pronunciato da Gesù nei confronti di chi l’ha messo in croce. “Ma inumano è pur sempre l’amore/ di chi rantola senza rancore/ perdonando con l’ultima voce/ chi lo uccide fra le braccia di una croce”. Gesù uomo inumano e non disumano, né sovrumano. De Andrè come il centurione romano ai piedi della croce, riconosce in Gesù qualcosa di inumano. Non arriva a chiamarlo Figlio di Dio (anzi, non può, non vuole, non deve), ma riconosce in lui una forza d’amore che va aldilà dell’umano! De Andrè insiste molto sulla solidarietà di Gesù nei confronti degli ultimi, dei poveri e degli sconfitti. Gesù si è fatto compagno di viaggio di tutti i crocifissi della storia. Sempre in Si chiamava Gesù egli prende la terra per mano e appare come uno di loro. Tutto ciò risulta evidente anche nel passaggio dal Laudate Dominum al Laudate hominem, nella Buona Novella (1970), dove De Andrè esprime chiaramente la sua intenzione di pensare e cantare Gesù come pienamente uomo, “fratello anche mio”.
Poi, poi chiamò dio
poi chiamo dio
poi chiamò dio quell’uomo
e nel suo nome
nuovo nome
altri uomini,
altri, altri uomini
uccise “.

Non voglio pensarti figlio di Dio
ma figlio dell’uomo, fratello anche mio.

 (tratto dalla canzone Laudate Hominen)

 

Gesù è dunque pienamente uomo, uomo in pienezza, modello di umanità. Il guardare a lui permette di comprendere in modo profondo, ricco e completo l’uomo. Nella sua umanità si rivela il senso pieno della “moralità”, intesa non semplicemente come codice formale di norme da rispettare, ma come possibilità di autenticità e di bene presente in ogni uomo. E’ questo il messaggio centrale dell’album La buona novella, nella quale De Andrè mira a contestare la morale formale e dogmatica dell’istituzione (incapace di comprendere la singolarità della persona e di custodire la dignità di ogni uomo, specie se debole, povero e sconfitto) riscoprendo il senso puro e autentico della “moralità” alla luce della testimonianza data dall’umanità di Gesù (vedi ultima strofa de Il Testamento di Tito). L’amore “in-umano” di Gesù interpella, scuote la coscienza (come a Tito), fa vedere tutta la realtà in modo diverso: apre il cuore e lo spinge a riscoprire una coscienza pura, una moralità fondata sul “comandamento” dell’amore.

Risultati principali

Venuto da molto lontanoA convertire bestie e genteNon si può dire non sia servito a nientePerché prese la terra per manoVestito di sabbia e di biancoAlcuni lo dissero santoPer altri ebbe meno virtùSi faceva chiamare Gesù
Non intendo cantare la gloriaNé invocare la grazia e il perdonoDi chi penso non fu altri che un uomoCome Dio passato alla storiaMa inumano è pur sempre l'amoreDi chi rantola senza rancorePerdonando con l'ultima voceChi lo uccide fra le braccia di una croce
E per quelli che l'ebbero odiatoNel getzemani pianse l'addioCome per chi l'adorò come DioChe gli disse sia sempre lodatoPer chi gli portò in dono alla fineUna lacrima o una treccia di spineAccettando ad estremo salutoLa preghiera l'insulto e lo sputo
E morì come tutti si muoreCome tutti cambiando coloreNon si può dire non sia servito a 
moltoPerché il male dalla terra non fu tolto
Ebbe forse un pò troppe virtùEbbe un nome ed un volto: GesùDi Maria dicono fosse il figlioSulla croce sbiancò come un giglio