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venerdì 31 dicembre 2021

 Preghiera a Gesù Bambino


Asciuga, Bambino Gesù, le lacrime dei fanciulli!

Accarezza il malato e l’anziano!

Spingi gli uomini

a deporre le armi

e a stringersi in un universale abbraccio di pace!

Invita i popoli,

misericordioso Gesù,

ad abbattere i muri

creati dalla miseria

e dalla disoccupazione,

dall’ignoranza

e dall’indifferenza,

dalla discriminazione e dall’intolleranza.

Sei tu,

Divino Bambino di Betlemme,

che ci salvi,

liberandoci dal peccato.

Sei tu il vero e unico Salvatore,

che l’umanità spesso cerca a tentoni.

Dio della pace,

dono di pace

per l’intera umanità, vieni a vivere

nel cuore di ogni uomo e di ogni famiglia.

Sii tu la nostra pace

e la nostra gioia!


Giovanni Paolo II

mercoledì 29 dicembre 2021

 DIO AMA CIO' CHE E' PERDUTO -

Dietrich Bonhoeffer


Dio non si vergogna della bassezza dell'uomo, vi entra dentro, Dio è vicino alla bassezza, ama ciò che è perduto, ciò che non è considerato, l'insignificante, ciò che è emarginato, debole e affranto; dove gli uomini dicono "perduto", lì egli dice "salvato"; dove gli uomini dicono "no", lì egli dice "sì".

Dove gli uomini distolgono con indifferenza o altezzosamente il loro sguardo, lì egli posa il suo sguardo pieno di amore ardente e incomparabile. 

Dove gli uomini dicono "spregevole", lì Dio esclama "beato".

Dove nella nostra vita siamo finiti in una situazione in cui possiamo solo vergognarci davanti a noi stessi e davanti a Dio, dove pensiamo che anche Dio dovrebbe adesso vergognarsi di noi, dove ci sentiamo lontani da Dio come mai nella vita, proprio lì Dio ci è vicino come mai lo era stato prima.

Lì egli vuole irrompere nella nostra vita, 

lì ci fa sentire il suo approssimarsi, affinché comprendiamo il miracolo del suo amore, 

della sua vicinanza e della sua grazia.”

lunedì 27 dicembre 2021

l'essenza del sentimento religioso

 

 l'essenza del sentimento religioso 

Un'ora dopo, mentre tornavo all'albergo, mi

imbattei in una contadina con un bambino in fasce. La donna era ancora giovane, e il

bimbo avrà avuto circa sei settimane. Il bimbo le aveva sorriso, così aveva osservato lei,

per la prima volta da quando era nato. Guardo, e vedo che d'un tratto si fa molto

devotamente il segno della croce. "Perché lo fai, sposina?" domando (allora non facevo

altro che interrogare la gente). "Ecco" dice, "la gioia che prova una madre quando vede

sorridere il suo bambino per la prima volta è la stessa gioia che prova Dio ogni volta che

il cielo vede che un peccatore si mette a pregare dal profondo del suo cuore." Questo mi

disse quella contadina, quasi con le stesse parole, esprimendo un pensiero tanto profondo,

tanto sottile e tanto sinceramente religioso, un pensiero in cui si esprime tutta l'essenza del

cristianesimo, e cioè la nozione di Dio come il nostro vero padre, e della gioia di Dio

davanti all'uomo come gioia del padre per il proprio figlio, il pensiero fondamentale di

Cristo! Una semplice contadina! È vero che era una madre... E, chissà, forse quella donna

era la moglie di quel soldato. Senti, Parfën, tu prima mi hai fatto una domanda, ed ecco la

mia risposta: l'essenza del sentimento religioso sfugge a qualsiasi ragionamento, a

qualsiasi colpa e delitto, a qualsiasi ateismo.

 C'è in esso qualcosa d'inafferrabile, e sarà eternamente inafferrabile,

 c'è in esso qualcosa su cui gli atei sorvoleranno sempre,

parlando eternamente di un'altra cosa. 

Ma la cosa importante è che si nota più chiaramentee più facilmente nel cuore dei russi.

 Ecco la mia conclusione!

Fëdor Michailovic Dostoevskij - L’idiota

sabato 25 dicembre 2021

 

  • Sono trascorsi molti anni, ma ricordo come se fosse ieri. Ero giovanissimo, avevo l'illusione che l'intelligenza umana potesse arrivare a tutto. E perciò m'ero ingolfato negli studi oltre misura. Non bastandomi la lettura di molti libri, passavo metà della notte a meditare sulle questioni più astruse. Una fortissima nevrastenia mi obbligò a smettere; anzi a lasciare la città, piena di tentazioni per il mio cervello esaurito, e a rifugiarmi in una remota campagna umbra. Mi ero ridotto a una vita quasi vegetativa: ma non animalesca. Leggicchiavo un poco, pregavo, passeggiavo abbondantemente in mezzo alle floride campagne (era di maggio), contemplavo beato le messi folte e verdi screziate di rossi papaveri, le file di pioppi che si stendevano lungo i canali, i monti azzurri che chiudevano l'orizzonte, le tranquille opere umane per i campi e nei casolari. Una sera, anzi una notte, mentre aspettavo il sonno, tardo a venire, seduto sull'erba di un prato, ascoltavo le placide conversazioni di alcuni contadini lì presso, i quali dicevano cose molto semplici, ma non volgari né frivole, come suole accadere presso altri ceti. Il nostro contadino parla di rado e prende la parola per dire cose opportune, sensate e qualche volta sagge. Infine si tacquero, come se la maestà serena e solenne di quella notte italica, priva di luna ma folta di stelle, avesse versato su quei semplici spiriti un misterioso incanto. Ruppe il silenzio, ma non l'incanto, la voce grave di un grosso contadino, rozzo in apparenza, che stando disteso sul prato con gli occhi volti alle stelle, esclamò, quasi obbedendo ad una ispirazione profonda: «Com'è bello! E pure c'è chi dice che Dio non esiste». Lo ripeto, quella frase del vecchio contadino in quel luogo, in quell'ora: dopo mesi di studi aridissimi, toccò tanto al vivo l'animo mio che ricordo la semplice scena come fosse ieri. Un eccelso profeta ebreo sentenziò, or sono tremil'anni: «I cieli narrano la gloria di Dio». Uno dei più celebri filosofi dei tempi moderni scrisse: «Due cose mi riempiono il cuore di ammirazione e di reverenza: il cielo stellato sul capo e la legge morale nel cuore».[8] Quel contadino umbro non sapeva nemmeno leggere. Ma c'era nell'animo suo, custoditovi da una vita onesta e laboriosa, un breve angolo in cui scendeva la luce di Dio, con una potenza non troppo inferiore a quella dei profeti e forse superiore a quella dei filosofi.[9]

venerdì 24 dicembre 2021

 

La concezione razionalista del cristianesimo è la seguente:

2000 anni fa è apparsa la Persona di Dio. Questa Persona dopo qualche tempo è ritornata di dove era venuta, lasciandoci una dottrina

La religione consiste nell’'instaurarsi di un nesso intimo, interiore, tra la persona umana e questa Persona divina.

Gradualmente la Persona divina viene sostituita dalla sua dottrina, e il razionalista abbandona il legame con la Persona divina per legarsi alla sua dottrina (il protestantesimo è in questa situazione, come pure tutte le sette razionaliste). La concezione ecclesiale è completamente diversa.

Chi appartiene alla Chiesa professa che Cristo Redentore ha assunto una carne, si è incarnato. Per questo ha scelto un popolo, una tribù, una famiglia. In que-sto è racchiuso il significato dell'Antico Testamento. Incarnandosi, la Persona divina, il Redentore, per proseguire la propria missione, crea nuovamente per sé una carne traendola dalla natura umana. Questa sua carne è la Chiesa. La Chiesa è il Corpo di Cristo.Ogni singolo uomo appartenente alla Chiesa è «membro del Corpo di Cristo».Quando il razionalista dice: «io vivo», intende dire che si è legato a Cristo. Quando l'uomo di Chiesa dice: «io vivo», in questo modo vuol dire e dice: «io vivo, ma non sono piu io che vivo, Cristo vive in me» (Gal 2,20). Quando il razionalista parla della «vita spirituale» intende solo e soltanto la vita della propria anima. L’uomo di Chiesa, invece, per «vita spirituale» intende molto di più. Egli intende infatti anche la vita comunionale di tutte le cellule del Corpo di Cristo, nellunità dello Spirito Santo.

Quando il razionalista o il settario parlano della grazia , intendono una sorta di aiuto divino, inviato  al singolo  vivificante il singolo. Il membro della Chiesa, oltre a questo, afferma che la  grazia da lui ricevuta penetra in tutte le cellule del Corpo di Cristo, vale a dire in tutti gli amici di Cristo, in tutte le membra della Chiesa.
Protestanti e razionalisti pensano che lo Spirito di Cristo venga ad abitare in ogni credente e gli dia vita.
In quest'ottica il cristianesimo è qualcosa di esclusivamente personale.Non esiste alcun legame fra le persone, oltre a quello che esiste in qualunque organizzazione socialedemocratica. Allo sguardo ecclesiale, il cristianesimo è una realtà comunionale; i membri della Chiesa sono molecole di un unico organismo.C'è differenza? Si, una differenza enorme. Se il battista Sidor riceve il dono dello Spirito Santo, il battista Ivan non ne ricava nulla. Da questo fatto egli non ottiene nulla per sé. Infatti, se bagno una pietra nel mucchio, le altre non ne verranno bagnate. Nella Chiesa le cose vanno ben diversamente: la grazia ricevuta da Sidor non fa rivivere solo Sidor, ma tutti i membri della Chiesa. Esattamente come avviene in un melo, o nel nostro corpo. Se una cellula è ma-lata, tutte soffrono. Si innaffiano le radici, e i rami ricevono acqua. Per chi vive la Chiesa, essa non è solo un sistema o una dottrina, ma una Persona vivente. E questa Per sona è Cristo. La Chiesa visibile è il Corpo naturale, visibile e tangibile di Cristo. Per questo le sorti della Chiesa devono essere simili alle sorti di Gesù Cristo. 

giovedì 23 dicembre 2021

Innamorati di Cristo

 Innamorati di Cristo


Le parole che il Santo Padre ha rivolto il 7 marzo scorso a ciascuno di noi, che viviamo l’esperienza di Comunione e Liberazione, mi hanno fatto rivivere l’abbraccio che mi diede don Giussani mandandomi in Paraguay. Mi veniva chiesta una vera “decentralizzazione”, come ad Abramo: «Lascia tutto e vai verso un paese che io ti mostrerò». Grazie alla Madonna, la mia libertà riconobbe che quel gesto di obbedienza non poteva non contenere qualcosa di buono e di bello per la mia vita. L’abbraccio di don Giussani che mi aveva accompagnato all’aeroporto era la continuità di quel primo abbraccio, pieno di misericordia, con cui mi aveva accolto alcuni mesi prima, nel momento più doloroso della mia vita. Ricordo lo sguardo di mia madre inferma e il silenzio pieno di dolore di mio padre; eppure, non solo non fecero obiezioni, ma abbracciandomi, mi diedero la benedizione.


Nelle parole del Santo Padre ho sentito abbracciata tutta la mia vita: non si tratta solo delle stesse parole di don Giussani, ma della medesima concezione che lui aveva della fede; per questo siamo partiti in molti, raggiungendo America, Africa, Asia e l’est Europa. Sono grato per il richiamo all’origine del carisma, del cammino per arrivare a Gesù. Quante volte don Giussani ci ha ripetuto che il fine di Cl era quello di comunicare la fede e che l’unica opera del movimento era quella di costruire la Chiesa là dove Dio ci collocava, vivendo intensamente la realtà in tutte le sue dimensioni e che nessuna circostanza, anche la più difficile e dolorosa, era una obiezione per amare Gesù.


È la stessa posizione che padre Julián Carrón ci testimonia oggi e con lui migliaia di amici. Quanto vedo accadere oggi intorno alla mia fragile persona è una piccola testimonianza di cosa vuol dire “decentralizzazione” del carisma, che arriva fino alle necessità più drammatiche, abbracciando ogni miseria umana. L’origine di quanto Dio fa con me è il frutto della passione per Cristo comunicatami da don Giussani. Nei primi anni di missione guardavo fuori dal finestrino dell’autobus e mi cadevano le lacrime pensando se gli abitanti di quelle casupole illuminate avessero o meno incontrato Gesù. Erano gli anni della mia depressione, eppure la passione per Gesù non è mai venuta meno. L’anno scorso, in un momento in cui qualcuno aveva dubitato della mia appartenenza al movimento, addolorato, sono andato da Carrón. E lui mi disse: «Padre Aldo, al movimento appartengono coloro che sono innamorati di Cristo».


Fu per me una gioia sentirmi riconfermato in ciò che anche il Papa ci disse, un anno dopo, in piazza San Pietro. Quale amore più grande di quello di un padre che desidera per i suoi figli che vivano la freschezza del carisma, che è la strada che ci conduce a Gesù e da Gesù ci porta nelle periferie, cioè a vivere la dimensione missionaria della fede? Quando don Giussani, in un incontro con gli insegnanti a Viterbo, negli anni Settanta, ci disse che «era necessario creare un movimento nel movimento», aveva chiaro che noi rischiavamo di trasformare Cl in un club. Un rischio sempre presente se non ci assimiliamo alla testimonianza che ci dona chi guida il movimento e coloro che vivono la freschezza di questa amicizia.


Dov’è “l’anima della ricreazione”?

In questi giorni ho letto ciò che don Bosco, già anziano, diceva ai suoi sacerdoti: «Vidi l’oratorio e tutti voi che facevate ricreazione. Ma non udivo più grida di gioia e canti, non vedevo più quel movimento, quella vita come nella prima scena. Osservai e vidi che ben pochi preti e chierici si mescolavano tra i giovani, e ancor più pochi prendevano parte ai loro divertimenti. I superiori non erano più l’anima della ricreazione. (…) Sapete che cosa desidera da voi questo povero vecchio, che per i suoi cari giovani ha consumato tutta la vita? Niente altro fuorché, fatte le debite proporzioni, ritornino i giorni felici dell’antico oratorio. I giorni dell’affetto e della confidenza tra giovani e superiori; i giorni dei cuori aperti; i giorni della carità e della vera allegrezza per tutti».

Una provocazione che vale anche per me e i miei amici, se non prendiamo sul serio il dono che la Misericordia divina ci ha fatto incontrare. Non riuscirei ad alzarmi dal letto la mattina se aprendo gli occhi non sentissi vibrare in me questa appartenenza, che si manifesta nello sguardo a questo popolo che Dio mi ha donato.


Padre Aldo Trento, Lettera 05/05/2015

mercoledì 22 dicembre 2021

 Il Manzoni, che è sempre un po’ la “coscienza” di noi lombardi, ha scritto – nell’incompiuto Il Natale del 1833 – i versi più terrestri che siano usciti da una penna cristiana:

“Vedi le nostre lacrime,

intendi i nostri gridi;

il voler nostro interroghi,

e a tuo voler decidi:

mentre a stornare il fulmine

trepido il prego ascende,

sordo il tuo fulmin scende

dove tu vuoi ferir.

Ma tu pur nasci a piangere;

ma da quel cor ferito

sorgerà pure un gemito,

un prego inesaudito…”.

1983

(Giacomo Biffi, da “Lettere a una carmelitana scalza” )


La coscienza di noi lombardi, realistica e severa.


Quanta preghiera inesaudita.

Non possiamo fingere che così non sia.


Di fronte all’oceano di dolore che sommerge il mondo, e pare travolgerci,

ci resta solo di scegliere tra l’assurdo e il mistero.

martedì 21 dicembre 2021

non c’è nulla di più sublime, di un buon ricordo dell’infanzia

 cari i miei figlioletti, forse voi non comprenderete quello che vi sto dicendo, perché spesso

dico cose incomprensibili, ma voi ricordate lo stesso e un giorno, in futuro, sarete

d’accordo con le mie parole. Sappiate che non c’è nulla di più sublime, di più forte, di più

salutare e di più utile per tutta la vita, di un buon ricordo e soprattutto di un ricordo

dell’infanzia, della casa paterna. Vi parlano molto della vostra educazione, ma qualche

meraviglioso, sacro ricordo che avrete conservato della vostra infanzia, potrà essere per

voi la migliore delle educazioni. Se un uomo porta con sé molti di questi ricordi nella vita,

egli sarà al sicuro fino alla fine dei suoi giorni. E anche se dovesse rimanere un solo buon

ricordo nel nostro cuore, anche quello potrebbe servire un giorno per la nostra salvezza.

Potremo anche diventare cattivi un giorno, potremo anche non essere capace di frenarci

davanti a una cattiva azione, potremo ridere delle lacrime degli uomini e di coloro che

dicono, come ha detto Kolja poco fa, “voglio soffrire per tutti gli uomini”, di quegli

uomini potremo anche prenderci beffa con cattiveria. Tuttavia, per quanto possiamo

diventare cattivi - che Dio non voglia - quando ricorderemo il giorno in cui abbiamo

sepolto Iljuša, come lo abbiamo amato negli ultimi giorni della sua vita e come, in questo

momento, ci siamo parlati da amici, stando tutti insieme presso questo macigno, allora

anche il più cattivo fra di noi, anche il più cinico - ammesso che si sia diventati tali - non

oserà, dentro di sé, ridere di quanto è stato buono e nobile in questo momento! Potrebbe

accadere che proprio questo ricordo lo distolga da un grande male ed egli potrà riflettere e

dire: “Sì, allora ero buono, coraggioso e onesto”. Che rida pure di se stesso, non fa niente,

gli uomini ridono spesso di ciò che è buono e onesto, ma lo fanno solo per leggerezza; vi

assicuro però, signori, che nel momento stesso in cui riderà, egli dirà dentro se stesso:

“No, ho fatto male, perché su queste cose non si ride!”»

UOMO

 UOMO

Le bottegucce e i venditori della festa di ieri non sono ancora partiti. Hanno passato la notte in mezzo al cortile accendendo fuochi, chiacchierando, cantando e suonando.

È una notte di luna nuova. Quando mi sono messo al posto dove faccio la mia preghiera quotidiana, mancava ancora molto tempo all'aurora: tutto attorno era buio profondo. Le stelle del cielo trasparente, senza pulviscolo, senza nebbia, brillavano come la veglia, senza preoccupazioni, degli occhi instancabili di Dio. In mezzo al cortile qualche fuoco mandava la sua luce. La gente della festa ormai passata alimentava il fuoco con foglie secche.

Gli altri giorni, in questi momenti prima dell'aurora, c'erano tanta pace e tanto silenzio. Quando tutti gli uccelli del bosco si risvegliano, il loro canto non disturba questa quiete, né il fruscio delle foglie dalla foresta mosse dal vento turbano questa pace.

Invece, perché il mormorio di alcuni uomini rompe la serenità dell'aurora? Il contemplativo, per meditare, non cerca un posto senza uccelli e senza animali, ma cerca un posto senza uomini. Perché?

Questa è la ragione: non c'è unione perfetta tra l'uomo e la natura dell'universo. L'uomo non cammina a tempo, in ritmo con il flusso dell'universo. Perciò l'uomo turba in ogni parte le acque del cosmo. Egli non può stare in silenzio, senza dire parole, come le stelle; non può star fermo, senza muoversi, come la quercia. Il suo essere avanza sconvolgendo.

Dio ha voluto con l'uomo rompere un po' l'armonia dell'universo. Gli è piaciuto così! In mezzo ai nostri cinque elementi primordiali ha infuso un po' d'intelligenza, ha messo un po' d'orgoglio: così noi fummo separati dall'universo; per questo le nostre linee si sono spezzate. Non possiamo più camminare in accordo con gli astri. Dove noi siamo, siamo noi: non possiamo dimenticarlo.

Perché Dio, spezzata l'armonia, ci ha messi in una sola casa con la natura e dobbiamo, dalla mattina alla sera, camminare nella confusione del nostro lavoro?

Perché è stata spezzata l'armonia, non c'è pace nell'universo, nella nostra stessa natura. Dentro di noi si alzano voci: «Voglio, voglio, voglio»! Il corpo dice: «Voglio»! La mente dice: «Voglio»! Il cuore dice: «Voglio»! Non c'è un momento di riposo per queste voci. Se ci fosse una unione indissolubile con il tutto, non ci sarebbero in noi mille voci di desideri. Questa mattina nell'oscurità dell'aurora ho sentito in ogni parte questo bisbiglio di voleri svariati, tante grida di necessità: «Oh, dov'è la mucca? Dammi un po' di fuoco! - Dammi del tabacco! - Chiama il carro! - La pentola è rovesciata »!

Gli uccelli al mattino cantano in un solo modo e nello stesso tono. Ma le voci degli uomini non si accordano con quelle degli altri, né nel tono, né nelle parole: perché Dio ci ha fatti nascere separati dal nostro mondo, avvolti nel nostro « io », ognuno a sé.

I nostri appetiti e desideri, gli sforzi, tutto si risolve in diversi centri e ciascuno prende forme diverse e strane. In pratica veniamo a cozzare l'un contro l'altro. Non c'è fine alle discordie e alle risse, senza termine sono le rinascite delle collere e dei disaccordi. Il nostro disordine, disgustato dalle strinature, bruciato dall'ira, domanda armonia e ordine. Perciò noi non viviamo solo dopo aver mangiato: noi abbiamo bisogno di canto, di unione; e questo bisogno non è da meno del nostro cibo e del nostro vestito. Desideriamo ardentemente l'armonia.

In questo non ci sono discussioni: noi ci diamo alla poesia. Quanto abbiamo scritto, quanto abbiamo dipinto, quanto abbiamo costruito! Abbiamo costruito case, fondato società, stabilito eredi. Quante funzioni, quante istituzioni, quante leggi! Sotto la pressione del desiderio dell'armonia, l'uomo ha creato regni di forme diverse, in diversi paesi. Quanti costumi, quanti governi, quante diverse educazioni! Tutti gli uomini di tutto il mondo in questa contemplazione: come sarà possibile da diversi uomini, da diversi « io », formare una unità varia e bella?

Sotto il fervore dello sforzo l'uomo ha preparato una creazione. Esiliato in mezzo all'orgoglio della creazione dell'universo, gli è stata necessaria per lui una creazione. La storia dell'uomo è la storia di questa creazione, la storia di questa combinazione. Tutta la sua religione, il suo lavoro, le sue aspirazioni, i suoi progetti sono per mettere insieme le cose in disordine: «Voglio creare, voglio unirmi! »; fuori di questa preghiera non ha altre parole.

Quando in mezzo al cortile tanta gente, secondo il proprio bisogno, chiamava e gridava, in mezzo alla confusione ho sentito cantare: «O Dio, fammi passare di là, senza pagare »! Mi sembrò che quella fosse la voce di tutto il tumulto. In mezzo a tanti desideri, noi desideriamo passare oltre. Chi è separato dice: «Ahimè, fammi passare oltre la separazione »! Passata la separazione, si trova l'amore perfetto. Senza l'amore perfetto, nulla ci soddisfa. Altrimenti passiamo da una morte all'altra, giriamo solo attorno ad essa. Se noi possiamo unirci, finisce ogni grave pericolo. Unione vuol dire passare attraverso la separazione per avere l'immortalità.

Dio, per mezzo dell'« io », ci ha preparato questo gioco d'amore. Se non ci fosse l'« io » non ci sarebbe separazione, e se non ci fosse separazione non ci sarebbe unione: senza unione non ci sarebbe amore. Così l'uomo, seduto sulle sponde dell'oceano della separazione, desiderando l'amore, in tante maniere si è costruito tante barche: tutte barche per passare. Chiama pure tutto questo politica, società o religione, tutto quello che vuoi.

Se è così, dove possiamo passare? Abolito l'« io », andati nel paese della perfetta indissolubilità, è guadagnare l'eternità? Anche in questo paese ci saranno polvere, terra e pietre. Dove tutti insieme camminiamo uniti in un solo ritmo non si conosce la separazione. Deve l'uomo piangere per questo annichilimento di se stesso?

Non sia mai! Se fosse così, si consolerebbe e godrebbe di tutte le morti. Non c'è bisogno di dar prova della paura intima che l'uomo ha dell'estinzione. Il ricordo che qualche cosa se ne è andata non è certo un ricordo di gioia. Insieme alla paura e ai ricordi è legata una tristezza profonda della vita. L'uomo vuole trattenere, eppure non riesce a trattenere nulla. Se c'è una cosa che l'uomo non desidera con tutto il cuore è il suo annichilimento.

Se è così, forse egli vuole l'indipendenza basata sulla separazione, sul disordine? No, non è possibile, egli si sente sempre morire per questa separazione e disordine. Il peccato, le passioni sono il rifugio di questi mali. Perciò l'uomo ha elevato il canto: «O Dio, fammi passare senza pagare »! Ma se viene eliminato il passare di là, non cadiamo in pericolo. Allora la vita presente sarebbe dolore e la vita futura un imbroglio. Noi non vogliamo né dolore, né imbroglio. Allora che cosa vogliamo e come possiamo averlo?

Noi domandiamo l'amore! E quando riceviamo questo amore? Quando c'è armonia nella separazione e nell'unione; quando la separazione inghiottisce l'unione e l'unione inghiottisce la separazione; quando tutte e due stanno insieme, senza eliminarsi l'una e l'altra e diventano compagne.

Tutti i nostri desideri sono diretti verso la separazione e l'unione. Tutti i nostri sforzi, le nostre creazioni sono per vedere la separazione non opposta all'unione, ma immagine dell'unione. Il Dio dell'amore, quando ci passerà all'altra sponda, nasconderà nella gioia eterna la separazione del nostro dolore eterno. Allora Egli riempirà il calice della nostra separazione e ci farà bere l'ambrosia dell'unione; allora ci farà capire quale preziosa perla sia la separazione.

23 dicembre 1908.

Il vero danno è fatto da quei milioni di persone che vogliono "sopravvivere

 «Il vero danno è fatto da quei milioni di persone che vogliono "sopravvivere". Gli uomini onesti che vogliono solo essere lasciati in pace. Quelli che non vogliono che la loro piccola vita sia disturbata da qualcosa di più grande di loro stessi. Quelli che non prendono posizione né sposano cause. Chi non misura le proprie forze, per paura di entrare in conflitto con le proprie debolezze. Chi non ama agitare le acque o farsi nemici. Coloro per cui la libertà, l'onore, la verità e i principi sono solo teorie. Quelli che vivono in sordina, si accoppiano in sordina, muoiono in sordina. È l'approccio riduzionista alla vita: se vivi “in piccolo”, avrai tutto sotto controllo. Se non fai rumore, l'uomo nero non ti troverà. Ma è tutta un'illusione, perché anche loro muoiono, quelle persone che avvolgono il loro spirito in piccole palline per essere al sicuro. Al sicuro? Da cosa? La vita è sempre sull'orlo della morte; le strade strette conducono allo stesso luogo dei viali larghi, e una candela debole si spegne proprio come una torcia fiammante. Scelgo io il modo in cui bruciare.»


SOPHIE SCHOLL, decapitata dai nazisti il 22 febbraio 1943 a 21 anni

domenica 19 dicembre 2021

La soavità del Natale nella notte del mondo

 


23 dicembre 2014

La soavità del Natale nella notte del mondo

natività betlemme

CANTI

Rosa tra le rose

Iesu dulcis memoria

In questa notte splendida

In piedi diciamo l’angelus guardando l’immagine della Madonna che è così pietosa, è così piena di affetto, di pietà per coloro che la invocano – come è scritto in alto –[Maria clemens liberando pia largiendo].

ANGELUS-ANGELO DI DIO-VENI SANCTE SPIRITUS

Potete venire avanti se in fondo non ci sono dei posti. Anche qui ai lati dell’altare ci sono dei posti. Quando l’abbiamo ricantato qualche momento fa, Iesu dulcis memoria, questa sera la frase che più mi ha confortato era: /nec lingua valet dicere/. Perché sentendomi così impacciato nel parlare [mi ha confortato] questo /nec lingua valet dicere/ la lingua non è capace di dire, la lingua può dire quello che il Signore sul momento dona di dire. Così che se diciamo cose nostre – tante volte S. Agostino ripete questa cosa anche al termine della sua opera teologica più importante, possiamo dire così, il De trinitate –, se abbiamo detto cose nostre perdonateci. Se diciamo cose che sono date da Dio imparate da Lui e ringraziate Lui. E quindi anche l’impaccio nel parlare può essere utile suggerimento di preghiera.

Questa sera [è] per aiutarci a vivere il Natale, cioè per aiutarci a pregare, innanzitutto in questo momento, qui in questo santuario. È la prima volta che vengo in questo santuario, ma mi ha subito colpito il fatto – non lo sapevo ­– che il cardinale Ferrari, arcivescovo di Milano, sia nato proprio qui vicino e anzi da piccolo abbia ricevuto una grazia, la grazia di una guarigione dalla Madonna di questo santuario a cui era devoto. C’è una frase sulla statua del cardinal Ferrari [posta qui] fuori che è molto bella che dice che i giorni più belli della sua esistenza sono legati al ricordo di questo santuario. E poi vicino c’è la statua di monsignor Conforti che io ricordo perché quando da piccolo in quarta ginnasio sono entrato in seminario ho letto, credo il primo anno, la vita di monsignor Conforti che è stato vescovo a Parma e che ha fondato questo istituto missionario, i Saveriani.

Quindi così immediatamente l’ospitalità così cordiale di padre Daniele mi ha fatto trovare familiare questo luogo, anche se è la prima volta che venivo. E soprattutto lo sguardo della Madonna! In fondo l’unica cosa, quello che vorrei suggerire, prende lo spunto dalla lettera del Santo Padre Spe Salvi, salvi nella speranza, per dire che salvi nella speranza vuol dire salvi nella preghiera. [Come] quando il cardinal Ratzinger in alcuni esercizi spirituali che ha predicato a metà degli anni ottanta – cui ho avuto la fortuna di partecipare – ha ripetuto questa frase di S. Tommaso d’Aquino: petitio interpretativa spei/ la domanda è la voce della speranza, la domanda è l’espressione della speranza. [È] questa immagine che la speranza vuol dire la preghiera, sperare vuol dire domandare. Sperare, il dono della speranza si esprime nel domandare, la speranza vive come domanda. Tanto è vero che dice ancora S. Tommaso d’Aquino che Gesù per insegnarci a sperare, cioè per donarci la speranza, ha insegnato il Padre Nostro. E dicendo il Padre Nostro, cioè ripetendo le parole della preghiera, ci dona e ci insegna che cosa sia la speranza. Dice ancora il papa nella sua enciclica commentando un versetto della lettera di S. Paolo agli Efesini che senza Cristo, senza l’incontro con Cristo non c’è speranza, che vuol dire anche che se Gesù non si avvicina non domandiamo. Se lui non si avvicina non si domanda, per domandare bisogna essere attratti. Non si può domandare una cosa da cui non si è attratti, non si può domandare una cosa che non si desidera. Desiderium praesuppostum spei/ il desiderio è il presupposto della speranza, così ancora S. Tommaso inizia il trattato ultimo sulla speranza – non lo ha neppure concluso –. Per sperare bisogna desiderare ciò che si spera e per desiderare bisogna essere attratti da ciò che si desidera. Il desiderio non ce lo possiamo dare noi, il desiderio nasce dall’attrattiva della cosa. E così senza l’attrattiva Gesù – per dire questa espressione che secondo me è l’espressione più bella di Giussani ed è l’espressione che più dice la grazia che il Signore ha donato a Giussani – non si può neppure domandare Gesù. Senza l’attrattiva Gesù non si può neppure desiderare Gesù. Almeno sull’ultimo orizzonte questa attrattiva deve brillare per il cuore, altrimenti non lo si può desiderare – non si può desiderare! – non si può domandare. Se un bambino non avesse esperienza che la mamma viene quando la chiama non la chiamerebbe, non potrebbe chiamarla! Bisogna avere esperienza della risposta per potere chiamare, per potere domandare.

Innanzitutto questa domanda ha come una promessa. Questa domanda o questa attesa ha come una promessa ed è il gesto con cui il Signore ci crea. Il Signore ci crea come domanda, il Signore crea il nostro cuore come domanda. E così questo gesto creatore di per sé potrebbe rendere possibile la domanda del cuore, il Signore crea il nostro cuore come domanda. La frase di Pavese che tante volte Giussani ci ha ricordato intuisce questo: «Forse qualcuno ci ha promesso qualcosa? Allora perché attendiamo?». Se attendiamo vuol dire che qualcuno ci ha promesso qualcosa. Se attendiamo vuol dire che il gesto con cui Dio crea il cuore lo crea – il cuore dell’uomo – come attesa, come attesa di felicità, come attesa quindi di quella felicità che è l’incontro con Gesù. Perché questa per l’uomo, per l’uomo fatto di anima e di corpo, è la possibilità della felicità. La possibilità della felicità è l’incontro con Gesù. Così questo è il cuore dell’uomo.

Ma c’è una preghiera che mi è tanto cara della liturgia ambrosiana, che dice come concretamente è questo cuore dell’uomo. Il cuore dell’uomo è attesa di felicità, è attesa di incontrare la felicità resa carne, il paradiso reso presenza umana. È attesa di questo. Ma dice la liturgia in una preghiera dei vespri – l’antica liturgia in una preghiera dei vespri dice –: oratio captiva peccatis/ ma questa domanda è schiava del peccato /quae, inimico impediente, fuscatur/ ed è impedita dal diavolo ed è offuscata. Così è la domanda del cuore, la domanda del cuore è prigioniera ed è impedita. Come è bello questo – come è bello cioè come è vero: non è bello che sia così, ma è vero che è così – che è impedita, la domanda del cuore è impedita, l’attesa del cuore è impedita, la domanda è offuscata, la domanda del cuore non sorge dal cuore. /Quae, inimico impediente, fuscatur, vultus tui candore purgetur/ occorre che il volto della felicità si riveli, si riveli nella sua bellezza, occorre che il volto della felicità si faccia vicino allora la domanda viene purificata, allora la domanda sorge dal cuore. Se il volto della felicità non si avvicina il cuore non domanda, il cuore non attende più. Occorre che il volto /vultus tui candore/ la bellezza del volto si avvicini, si faccia visibile, tangibile e vicina; allora il cuore ritorna puro; allora il cuore ritorna cuore, cioè ritorna domanda.

E così questa sera vorrei innanzitutto suggerire l’immagine di queste cose se pensiamo ai pastori. E per pensare i pastori la notte di Natale vi leggo l’inizio del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia perché mi sembra che esprima in tutta la sua bellezza poetica la condizione di quelle persone, di quelli che erano gli ultimi, erano gli esclusi. Addirittura i pastori non avevano neppure la dignità di testimoniare nei processi nel popolo di Israele. Erano proprio le persone ai margini. Ebbene Leopardi secondo me comunque descrive la condizione non solo dei pastori ma anche la condizione di ciascuno di noi – di ciascuno di noi! – se quel volto non brilla vicino. Se quel volto – se il volto della felicità, il volto umano della felicità che è il volto di Gesù, quel volto di carne che Maria gli ha dato – non brilla vicino quello che Leopardi dice del pastore d’Asia vale per ciascuno di noi. L’inizio lo conosciamo: /Che fai tu luna, in ciel? dimmi, che fai, /Silenziosa luna? /Sorgi la sera, e vai, /Contemplando i deserti; indi ti posi. /… /Somiglia alla tua vita/ La vita del pastore./ Sorge in sul primo albore/ Move la greggia oltre pel campo [sorge all’alba e muove, accompagna, guida il gregge oltre], e vede /Greggi, fontane ed erbe [e vede tante cose durante la giornata]; /Poi stanco si riposa in su la sera: /Altro mai non ispera [ma non spera che capiti qualcosa, non spera che durante la giornata capiti qualcosa. È sempre così la giornata dal mattino alla stanchezza della sera. /Altro mai non ispera/ ma questa è la condizione anche nostra, anche di chi ha incontrato, se l’incontro non è presente. Come è importante per la vita cristiana – per la vita cristiana e per poter essere vicini agli uomini fratelli di oggi che siamo innanzitutto noi – la percezione di questa precarietà della vita cristiana, che il dogma della Chiesa in questo piccolo catechismo della Chiesa di Roma del secolo V – in cui la Chiesa di Roma ha raccolto tutta la dottrina dogmatica sulla grazia – esprime in termini che sono definitivi e semplicissimi: «come per sua grazia abbiamo vinto, così se di nuovo la sua grazia non ci viene data siamo vinti». Questa è la precarietà della nostra vita – anche noi! –. /Iterum/ dice proprio /iterum/, se di nuovo non ci viene dato siamo vinti. Se quel volto non brilla di nuovo a noi anche per noi: /altro mai non ispera/. Anche per noi! Non si spera più che qualcosa accada nella giornata. Se di nuovo la sua grazia non viene data siamo vinti. Per questo la vita cristiana è in speranza cioè è in preghiera, è in domanda. In domanda di questo rinnovarsi di questo volto vicino, del rinnovarsi di quando… Ma poi continua ancora Leopardi.]./Dimmi, o luna: a che vale/Al pastor la sua vita [a che vale la sua vita?],/La vostra vita a voi? dimmi: ove tende/Questo vagar mio breve,/Il tuo corso immortale?/. Così leggo di quella notte quando all’uomo che non sperava più nulla gli angeli hanno annunciato una grande gioia. Allora dice il Manzoni: /senza indugiar, cercarono/l’albergo poveretto/. Senza indugiare!

Ma mi ha colpito un pensiero di Padre Pio – nel prossimo numero di 30giorni come aiuto a vivere il Natale ho fatto pubblicare alcuni pensieri di Padre Pio. La semplicità di quella devozione del popolo cristiano nella sua povertà, nella sua semplicità come è grazia di Dio per tutta la Chiesa! –. Padre Pio mi ha colpito perché dice che Gesù chiama i pastori attraverso l’angelo, gli angeli, e Gesù chiama i magi attraverso la loro stessa scienza, perché guardavano il cielo e hanno visto questa stella eccezionale, e mossi dall’influsso della sua grazia corrono. Non basta essere chiamati se non si è attratti. Non basta essere chiamati, non basta ascoltare parole cristiane se non si è attratti. Non basta neppure l’annuncio degli angeli: bisogna essere attratti, bisogna che quell’annuncio tocchi il cuore. Perchè è così? Perché l’ha detto Gesù: “nessuno viene a me se non lo attira il Padre mio”. E questo – vedete – dà uno sguardo sugli uomini fratelli, dà uno sguardo sull’uomo che non crede che è innanzitutto di gratitudine per un dono immeritato. Non è innanzitutto un giudizio. S. Agostino in una delle pagine più stupende commenta il fatto che a Cafarnao quando Gesù promette il pane della vita, di dare da magiare la sua carne e da bere il suo sangue, si allontanano e non andavano più con lui. E dice ai suoi: “volete andarvene anche voi?”. Poi Agostino commenta: «“ma io so perché non comprendete e io so perché non domandate”. Perché? “Perché nessuno viene a me se non lo attira il Padre mio”». Non è innanzitutto un giudizio di condanna, è innanzitutto una gratitudine per coloro che il Padre attira. Questo è lo sguardo del cristiano sul mondo. È innanzitutto una gratitudine per un dono immeritato, per un dono immeritato! Siamo cristiani per un dono immeritato – così il catechismo di S. Pio X – per un dono che non abbiamo potuto meritare. Ma questo vale magari per i figli di qualcuno di voi che magari non frequentano la chiesa. Perché solo una domanda a colui che attira… Non basta ripetere le parole cristiane, le parole cristiane sono tutto quello che possiamo fare noi, cioè in fondo niente. È importante per noi ripetere le parole cristiane, ma ripeterle come domanda, come domanda a colui che muove attirando il cuore: “Nessuno viene a me se non lo attira il Padre mio”. Allora rileggo il Manzoni: /senza indugiar, cercarono/l’albergo poveretto/que’ fortunati/quei fortunati! Non erano i migliori, sono stati fortunati. /que’ fortunati, e videro,/siccome a lor fu detto/videro in panni avvolto,/in un presepe accolto,/[videro] vagire il Re del Ciel./ Sono stati fortunati e che cosa videro? Videro vagire il re del cielo.

E così adesso vorrei leggervi tre preghiere di S. Ambrogio – e così finiamo con la lettura di queste tre preghiere –. Tre preghiere di S. Ambrogio in cui quello che ho tentato di dire è espresso con la dignità e la tenerezza di S. Ambrogio. La tenerezza di S. Ambrogio: come era facile a piangere S. Ambrogio! C’è una predica bellissima del cardinal Montini sulla facilità al pianto di Ambrogio, sulla facilità alla commozione di Ambrogio, tanto è vero che Ambrogio scrive che le armi di difesa di un sacerdote, di un vescovo, sono le sue lacrime. E allora il primo è proprio una breve preghiera nel commento al vangelo di Luca, nel commento alla nascita di Gesù a Natale.

«Così lui si è fatto piccolissimo [proprio piccolissimo, come diceva il canto che abbiam fatto: “un bimbo piccolissimo”], si è fatto [ripete ancora] /infantulus/ [che vuol dire proprio piccolo bambino, piccolo infante] perché tu possa essere uomo perfetto». Uomo perfetto! L’uomo perfetto è l’uomo che domanda. La perfezione dell’uomo è il cuore che domanda. Questa è la perfezione dell’uomo, la perfezione dell’uomo è domandare. Non può fare altro di perfetto l’uomo se non domandare. Tanto è vero che la Madonna ha sempre domandato. E ha sempre domandato perché è sempre stata amata. Perché mai – mai! – è stata toccata dalla ferita del peccato. Ha potuto sempre domandare perché dall’inizio, dall’inizio della sua esistenza, è stata prediletta. È stata sempre prediletta. Così è evidente che ha potuto pregare sempre perché la risposta alla sua domanda era sempre vicina. Era sempre abbracciata dalla risposta della sua domanda. Più la dolcezza della risposta cresce, più la dolcezza della risposta è vicina, e più – dice S. Agostino – il desiderio e più la domanda è potente. Anzi dice /avidius/ e più si domanda con avidità. Più la dolcezza aumenta, più l’abbraccio è dolce e più la domanda di essere abbracciati è potente. Si è fatto piccolo perché tu potessi sempre domandare. Perché se non si fosse fatto piccolo… non basta sapere che Dio è la felicità per domandare la felicità. Come è vero questo! Come è vera l’esperienza di Agostino che sapeva che Dio era la felicità! Era il vertice della filosofia neoplatonica che la felicità consisteva nell’unità con l’uno creatore. Sapeva che Dio è la felicità ma i piaceri del mondo erano più attraenti, perché si segue inevitabilmente – dice Agostino – ciò che piace di più: «E allora cercavo [non basta sapere che Dio è la felicità per godere della felicità] come godere – dice ancora Agostino – della felicità. E non potei godere della felicità finché non abbracciai, umile, l’umile mio Dio Gesù».

Se non si fosse fatto uomo l’uomo non avrebbe domandato, domandato di essere felice. Se non si fosse fatto vicino, se non avesse guardato Maria Maddalena, Maria Maddalena non avrebbe pianto. Non si piange per la verità di Dio, si piange per l’umanità di Gesù. Si piange nell’incontro con la sua umanità. La sua umanità è la felicità dell’uomo. /Ad hunc finem beatitudinis homines reducuntur per humanitatem Christi/Al loro destino di felicità – dice Tommaso d’Aquino – gli uomini sono ricondotti, ri–condotti dopo il peccato originale, per l’umanità di Cristo. «È stato avvolto in panni perché tu potessi essere liberato dai lacci del peccato. Lui nel presepe perché tu potessi accostarti all’altare».

E vi leggo ancora un piccolo pensiero di Padre Pio su questo: «Quanto mi rende allegro [lieto] Gesù! Quanto è soave il suo spirito! Ma io mi confondo e non riesco a fare altro se non che piangere e ripetere: “Gesù, cibo mio” ». Io «non riesco a fare altro se non che piangere e ripetere: “Gesù, cibo mio”». Si esprime così la felicità dell’uomo. /habet et laetitia lacrimas suas/ dice ancora S. Ambrogio. Si esprime in questo pianto di gratitudine. Non si riesce a fare altro che piangere perché si è così amati, perché si è così abbracciati. E poi continua: «la sua povertà è la mia ricchezza, la sua debolezza è la mia forza. Lui ha preferito essere mancante perché tutti potessero abbondare in grazia». E poi qui ci sono i vagiti: «il suo pianto di lui piccolo che vagisce [/infantiae vagientis/il suo pianto di lui piccolo che vagisce] mi ha purificato. Quelle lacrime hanno lavato i miei peccati». «Io debbo di più, debbo di più come riconoscenza, alla sua debolezza che mi ha salvato che non alla sua potenza che mi ha creato. /Non prodesset nasci, nisi etiam redimi profuisset/non sarebbe valso nulla il nascere se non avessi fatto esperienza di essere amato».  Se non si fa esperienza di essere amato – perché redenti vuol dire essere amati –. Essere amati con quell’amore così potente che perdona, che rende puro, che rende innocenti più che non la purezza originale. A nulla sarebbe valso il nascere se non fossimo stati così amati.

La seconda preghiera. La seconda preghiera è il riconoscimento – la sapevo a memoria in seminario questa preghiera – di chi è Gesù Cristo per l’uomo, di chi è per ogni uomo. Di chi è come possibilità per ogni uomo e di chi è per colui che senza suo merito lo riconosce. «/Omnia igitur habemus in Christo/ noi in Cristo abbiamo tutto, tutto quello che abbiamo lo abbiamo in Cristo. Ogni anima si accosti a lui, sia l’anima malata per i peccati del corpo [malata di lussuria], sia l’anima che è schiava di qualche cupidigia mondana [malata di avarizia, malata di cupidigia di potere], sia l’anima ancora imperfetta ma che a lui guarda [e quindi cresce in questo guardare, in questo domandare lui], sia l’anima a cui già la sua grazia ha dato molte virtù. /Omnis in domini potestate est/ogni anima è nel potere del Signore». Come è bello questo «ogni anima è nel potere del Signore». E come i santi soprattutto più che i peccatori hanno riconosciuto questo: che erano nelle mani del Signore. Se la sua attrattiva non li attraeva cadevano. Se la luce del suo volto non brillava erano nell’oscurità. «Ogni anima è nel potere del Signore. /Et omnia Christus est nobis/e per questo Cristo è tutto per noi». Tutto noi abbiamo in Cristo e Cristo… lui! Non so se riesco a suggerire questo. Lui! Tutto è per lui. Lui vuol dire la sua presenza, non è una cosa di cui ci dobbiamo convincere noi. Lui è tutto per noi. Il bambino non si convince che la mamma è tutto, è la presenza della mamma che è di fatto tutto. «Se vuoi curare la ferita, lui è medico. Se sei febbricitante, accaldato per la febbre, lui è sorgente. Se sei appesantito per il peccato, lui è la giustizia». Come c’era nello studio di don Giussani in via Martinengo. Come era bella quella immagine dei pastori che guardavano Gesù bambino. E la scritta in latino – non me la ricordo tutta – diceva che guardandolo venivano perdonati i loro peccati. Guardandolo venivano perdonati. Guardando quel bambino! Era quel bambino il perdono dei loro peccati. «Se hai bisogno di aiuto, lui è la forza. Se hai paura della morte, lui è la vita. Se desideri il paradiso, lui è la strada. Se fuggi le tenebre, lui è la luce. Se cerchi il cibo, lui è il cibo. Gustate e vedete quanto soave è il Signore». Quanto soave! Dice il dogma della fede, del Vaticano I, che la fede è impossibile senza la grazia di Dio, senza la grazia dello Spirito Santo che dà la soavità nel riconoscerlo e nell’aderirlo. Senza questa soavità, senza questa dolcezza né lo si riconosce né vi si aderisce. «Gustate e vedete quanto soave è il Signore. Beato l’uomo che in lui spera».

E poi la terza preghiera. La terza preghiera è la più bella. Perché la terza preghiera… Permettete questo accenno alla mia vita, perché nel mio seminario quando sapevo a memoria /Omnia igitur habemus in Cristo. Et omnia Christus est nobis/ era per me, nell’ingenuità della mia infanzia così bella e della mia fanciullezza e della mia giovinezza così bella, un’evidenza bella che mi dava conforto. Ma gli anni della vita [l’]hanno resa domanda. Perché se è tutto per noi, la percezione che è tutto si esprime solo nel domandare, si esprime solo nel dire “vieni”. Il bambino non sa che la mamma è tutto per lui ma la domanda. Dice “vieni”. Viene prima il “vieni”, esistenzialmente viene prima il “vieni”, che non il sapere che è tutto. Viene prima il domandarlo. Non si può umanamente percepire che è tutto, che noi abbiamo tutto in lui, se non lo si domanda: è nel domandarlo, è quando lo si domanda. Per questo questa terza preghiera di Ambrogio è di una bellezza unica. Sta commentando il versetto del salmo 118: «/quaere servum tuum quia mandata tua non sum oblitus/cerca il tuo servo perché non ho dimenticato i tuoi comandamenti. /Veni ergo, Domine Iesu,/vieni dunque Signore Gesù, cerca il tuo servo. Cerca questa pecora spossata. Vieni pastore, cerca. [E poi c’è la frase più bella] /Erravit ovis tua, dum tu moraris,/mentre tu attendevi la tua pecorella si è smarrita. Se tu attendi, se tu indugi noi ci smarriamo. Mentre tu indugiavi noi ci eravamo smarriti. /Dimitte/lascia le novantanove pecore nell’ovile. Vieni a cercare quella sola che si è perduta. [Poi dice] Vieni senza i cani, vieni senza i cattivi operai, vieni senza i mercenari [anche questo come è attuale. Vieni senza i mercenari] che non entrano per la porta che sei tu. [Poi dice] /Veni sine adiutore,/vieni senza intermediari [perché la Chiesa non è un intermediario. La Chiesa è la possibilità dell’immediatezza del rapporto con lui. La Chiesa è il suo corpo – suo corpo! – di lui vivo. Pensate, la Chiesa è come la carezza della mamma al bambino. Ma se fosse morta la mamma come sarebbe mostruosa la carezza. Se non fosse vivo, se non fosse il suo corpo, immediatamente suo corpo, suo di lui vivo. Vieni senza intermediari], vieni /sine nuntio,/vieni senza neppure essere annunziato, è già tanto che ti attendo. Vieni improvvisamente senza essere neppure annunziato, è già tanto che aspetto, che aspetto che tu venga. Vieni senza la verga. Vieni con affetto e con tenerezza. /Ad me veni/ [e poi aggiunge] vieni a me che sono incorso nei morsi dei lupi. Vieni a me che sono stato scacciato dal paradiso e che sono tentato dal veleno del serpente per la ferita del peccato [è bellissimo questo. Per la ferita del peccato io sono continuamente tentato dal veleno del serpente]. /Quaere me, quia te requiro;/cercami perché ti cerco, [meglio] perché ti possa cercare. /quaere me, inveni me, suscipe me, porta me/cercami, trovami, sostienimi, rialzami, portami. Tu mi puoi trovare, tu mi puoi rialzare, tu mi puoi portare sulle tue spalle. Non ti sia di fastidio questo peso di tenerezza, questo peso pio, questo peso di mettermi sulle tue spalle. Non ti sia di fastidio. Non ti sia di peso questo gesto di giustizia, della tua giustizia. /Veni ergo, Domine/vieni dunque Signore. Vieni, perché se anche sono fuggito lontano, se anche sono andato lontano non ho dimenticato i tuoi comandamenti [e anche questo è bello. Non ho dimenticato. Non ho dimenticato di ripetere. Come da questo punto di vista è insostituibile il santo rosario! Di ripetere! Magari anche nella distrazione così che si offre anche l’umiliazione delle tante distrazioni. Di ripetere! Io non ho smesso di ripetere l’Ave Maria. Con l’Ave Maria non ci si può perdere. Non ho smesso di ripetere l’Ave Maria]. Vieni, o Signore, solo tu mi puoi ricondurre. [E poi qui è bello] E se mi riconduci non rendi tristi le novantanove pecorelle che sono rimaste. Anzi quando tu riconduci me le rendi più contente. /Veni ut facias salutem in terris, in coelo gaudium/vieni perché tu faccia la salvezza sulla terra e in paradiso la gioia [“C’è più gioia nel cuore di Dio per un peccatore che ritorna che non per novantanove giusti”]. /Veni ergo, et quaere ovem tuam/Vieni dunque e cerca la tua pecorella. Vieni non per i servi, non per i mercenari, ma vieni tu stesso. Ricevimi nella tua carne, quella carne che in Adamo è caduta [perché la sua carne, la carne che gli ha dato Maria nei nove mesi che l’ha portato nel grembo è senza peccato, ma ha le conseguenze di fragilità. Tanto è vero che ha la mortalità, la mortalità conseguenza del peccato. Tanto è vero che viene per morire.] /Suscipe/prendimi in braccio per Maria, da Maria [è bellissimo /suscipe me ex Maria/]. Prendimi in braccio da Maria che è vergine incontaminata, /sed virgo per gratiam/ma è vergine per tua grazia. Perché per tua grazia è preservata [dice /integra ab omni labe peccati/], per tua grazia non è mai stata toccata dal peccato. Portami sulla croce nella quale solo c’è riposo per me nel mio essere portato, nel quale solo c’è speranza per chi muore».

E poi finisco. Finisco con questa piccola frase ancora di S. Ambrogio. Questa frase non è una preghiera al Signore ma è una preghiera a ciascuno di noi. Anzi è una preghiera all’uomo fratello che è lontano e dice: «Vieni anche tu /Veni et tu/ [Sta commentando, Ambrogio, il brano in cui Giuseppe di Arimatea va da Pilato – dopo che Gesù è morto sulla croce – a chiedere di poter seppellire il corpo di Gesù]. Vieni anche tu. Vieni pure in ritardo, non importa se sei in ritardo. Vieni di notte, non importa se vieni dalla notte del peccato. In qualunque ora tu vieni /Iesum venientes ad suscipiendum paratum/ troverai Gesù che è pronto a riceverti. In qualunque ora tu vieni troverai Gesù che è pronto a riceverti. E non ti darà una felicità minore se vieni in ritardo. Colui che è venuto la prima ora [è la parabola degli operai] non è stato defraudato e colui che è venuto all’ultima ora ha ricevuto la stessa pienezza, la stessa pienezza di felicità. Vieni, vieni anche [non solo in ritardo ma vieni anche] di notte, anche dalla notte del peccato. Anche Nicodemo è venuto di notte. /Nox erat quia adhuc non erat ressurectio/ Era notte perché Gesù non era ancora risorto».

Così, perché è vivo, anche le parole non possono dire l’attrattiva di lui vivo: come lui vivo attrae e abbraccia il nostro povero cuore.

Usciamo possibilmente in silenzio così che possiamo rimanere magari anche solo un istante a guardare la Madonna e a dire un’Ave Maria.

Grazie

venerdì 17 dicembre 2021

il corrotto

 il corrotto 

***

 il corrotto ha sempre la faccia di chi dice: <<Non sono stato io!». Quella che mia nonna chiamava <<faccia da santarellino>>. Il corrotto è quello che s'indigna perché gli rubano il portafoglio e si lamenta per la scarsità di sicurezza che c'è nelle strade, ma poi truffa lo Stato evadendo le tasse, e magari licenzia i suoi impiegati ogni tre mesi per evitare di assumerli a tempo indeterminato oppure sfrutta il lavoro in nero. E poi si vanta pure con gli amici per queste sue furbizie. È quello che magari va a messa ogni domenica, ma non si fa alcun problema nello sfruttare la sua posizione di potere pretendendo il pagmento di tangenti. La corruzione  fa perdere il pudore che custodisce la verità, la bontà, la bellezza. Il corrotto spesso non si accorge del suo stato, proprio come chi ha l'alito pesante e non se ne rende conto. --

Papa Francesco  Guarire dalla corruzione

adesso ci sono soltanto gli specialisti che si fanno pubblicità a tutto spiano sui giornali

  Adesso ci sono soltanto gli specialisti che si fanno

 pubblicità a tutto spiano sui giornali

Ti dico che non si trovano più, più, i dottori di un tempo che ti curavano

da tutte le malattie, adesso ci sono soltanto gli specialisti che si fanno pubblicità a tutto

spiano sui giornali. Se ti fa male il naso, vatti a curare a Parigi: lì, dicono, c’è uno

specialista europeo che cura il naso. Vai a Parigi, quello ti esamina il naso e ti dice: “Posso

curarvi soltanto la narice destra, perché non curo le narici sinistre, non è la mia specialità,

ma dopo la mia cura andate a Vienna, lì c’è lo specialista adatto che riuscirà a guarirvi la

narice sinistra”. Che fai allora? Io sono ricorso ai rimedi popolari, un dottore tedesco mi

ha consigliato di cospargermi di miele e sale durante il bagno a vapore. Io ci sono andato

solo per farmi un bagno di vapore in più: mi sono impiastricciato tutto e senza alcun

beneficio. Disperato, ho scritto al conte Mattei a Milano, che mi ha mandato un libro e

delle gocce, che Dio lo benedica. Ma pensa un po’: è stato l’estratto di malto di Hoff a

farmi bene! L’ho comprato per caso, ne ho bevuto una bottiglietta e mezza ed ero subito

pronto a ballare, mi aveva fatto sparire il dolore in un baleno. Mi ero proposto di far

assolutamente pubblicare un ringraziamento sui giornali, mosso da un sentimento di

gratitudine e, figurati un po’, che a questo proposito è venuta fuori un’altra storia: neanche

una redazione me lo ha accettato, con la motivazione: “Sarebbe molto reazionario, non ci

crederà nessuno.

Dostoevskij I Fratelli Karamazov

martedì 14 dicembre 2021

amare significa essere vulnerabili.

 

amare significa  essere

 vulnerabili.

***

Non esiste investimento sicuro: amare significa, in ogni caso, essere vulnerabili. Qualunque sia la cosa che vi è cara, il vostro cuore prima o poi avrà a soffrire per causa sua, e magari anche a spezzarsi. Se volete avere la certezza che esso rimanga intatto, non donatelo a nessuno, nemmeno a un animale. Proteggetelo avvolgendolo con cura in passatempi e piccoli lussi; evitate ogni tipo di coinvolgimento; chiudetelo col lucchetto nello scrigno, o nella bara del vostro egoismo. Ma in quello scrigno - al sicuro, nel buio, immobile, sotto vuoto - esso cambierà: non si spezzerà; diventerà infrangibile impenetrabile, irredimibile.L’alternativa al rischio di una tragedia è la dannazione. L’unico posto, oltre al cielo, dove potrete stare perfettamente al sicuro da tutti i pericoli e i turbamenti dell’amore è l’inferno.                                                     C.s:Lewis, da I quattro amori