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mercoledì 31 luglio 2013

L'AMORE

 L'AMORE
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“Mentre mia moglie mi serviva la cena, le presi la mano e le dissi: ”Devo parlarti”.
Lei annui e mangiò con calma. La osservai e vidi il dolore nei suoi occhi, quel dolore che all’improvviso mi bloccava la bocca. Mi feci coraggio e le dissi:’ ‘Voglio il divorzio”. Lei non sembrò disgustata dalla mia domanda e mi chiese soavemente: ”Perché?”.
Quella sera non parlammo più e lei pianse tutta la notte. Io sapevo che lei voleva capire cosa stesse accadendo al nostro matrimonio, ma io non potevo risponderle. Aveva perso il mio cuore a causa di un’altra donna, Giovanna! Io ormai non amavo più mia moglie, mi faceva solo tanta pena.
Mi sentivo in colpa, ragion per cui sottoscrissi nell’atto di separazione che a lei restasse la casa, l’auto e il 30% del nostro negozio. Lei quando vide l’atto lo strappo a mille pezzi! Come?! Avevamo passato dieci anni della nostra vita insieme ed eravamo ridotti a due perfetti estranei?!.
A me dispiaceva tanto per tutto questo tempo che aveva sprecato insieme a me, per tutte le sue energie, però non potevo farci nulla, io amavo Giovanna!
All’improvviso mia moglie cominciò a urlare e a piangere ininterrottamente per sfogare la sua rabbia e la sua delusione, l’idea del divorzio cominciava ad essere realtà.
Il giorno dopo tornai a casa e la incontrai seduta alla scrivania in camera da letto che scriveva, non cenai e mi misi a letto ero molto stanco dopo una giornata passata con Giovanna.
Durante la notte mi svegliai e vidi mia moglie sempre li’ seduta a scrivere, mi girai e continuai a dormire. La mattina dopo mia moglie mi presentò le condizioni affinché accettasse la separazione. Non voleva la casa, non voleva l’auto, tantomeno il negozio, soltanto un mese di preavviso, quel mese che stava per cominciare l’indomani. Inoltre voleva che in quel mese vivessimo come se nulla fosse accaduto! Il suo ragionamento era semplice: ”Nostro figlio in questo mese ha gli esami a scuola e non è giusto distrarlo con i nostri problemi”. Io fui d’accordo però lei mi fece un ulteriore richiesta: ”Devi ricordarti del giorno in cui ci sposammo, quando mi prendesti in braccio e mi accompagnasti nella nostra camera da letto per la prima volta, in questo mese però ogni mattina devi prendermi in braccio e devi lasciarmi fuori dalla porta di casa”.
Pensai che avesse perso il cervello, ma acconsentii per non rovinare le vacanze estive a mio figlio per superare il momento in pace. Raccontai la cosa a Giovanna che scoppiò in una fragorosa risata dicendo: ”Non importa che trucchi si sta inventando tua moglie, dille che oramai tu sei mio, se ne faccia una ragione!”.
Io e mia moglie era da tanto che non avevamo più intimità, così quando la presi in braccio il primo giorno eravamo ambedue imbarazzati, nostro figlio invece camminava dietro di noi applaudendo e dicendo: ” Grande papà, ha preso la mamma in braccio!”.
Le sue parole furono come un coltello nel mio cuore, camminai dieci metri con mia moglie in braccio, lei chiuse gli occhi e mi disse a bassa voce: ”Non dirgli nulla del divorzio, per favore”. Acconsentii con un cenno, un po’ irritato, e la lasciai sull’uscio. Lei uscì e andò a prendere il bus per andare al lavoro.
Il secondo giorno eravamo tutti e due piu’ rilassati, lei si appoggiò al mio petto e potetti sentire il suo profumo sul mio maglione. Mi resi conto ch era da tanto tempo che non la guardavo. Mi resi conto che non era più così giovane, qualche ruga, qualche capello bianco! Si notava il danno che le avevo fatto! Ma cosa avevo potuto fare da ridurla così?
Il quarto giorno, prendendola in braccio come ogni mattina avvertii che l’intimità stava ritornando tra noi, questa era la donna che mi aveva donato dieci anni della sua vita, la sua giovinezza, un figlio e nei giorni a seguire ci avvicinammo sempre più. Non dissi nulla a Giovanna per rispetto!
Ogni giorni era più facile prenderla in braccio e il mese passava velocemente. Pensai che mi stavo abituando ad alzarla, e per questo ogni giorno che passava la sentivo più leggera. Una mattina lei stava scegliendo come vestirsi, si era provata di tutto, ma nessun indumento le andava bene e lamentandosi disse: ”I miei vestiti mi vanno grandi”. Lì mi resi conto che era dimagrita tanto, ecco perché mi sembrava così leggera! Di colpo mi resi conto che era entrata in depressione, troppo dolore e troppa sofferenza pensai. Senza accorgermene le toccai i capelli, nostro figlio entrò all’improvviso nella nostra stanza e disse: ”Papà è arrivato il momento di portare la mamma in braccio (per lui era diventato un momento basilare della sua vita).
Mia moglie lo abbracciò forte ed io girai la testa, ma dentro sentivo un brivido che cambiò il mio modo di vedere il divorzio. Ormai prenderla in braccio e portarla fuori cominciava ad essere per me come la prima volta che la portai in casa quando ci sposammo, la abbracciai senza muovermi e sentii quanto era leggera e delicata, mi venne da piangere! L’ultimo giorno feci la stessa cosa e le dissi: ”Non mi ero reso conto di aver perduto l’intimità con te”.

Mio figlio doveva andare a scuola e io lo accompagnai con la macchina, mia moglie restò a casa. Mi diressi verso il posto di lavoro, ma a un certo punto passando davanti casa di Giovanna mi fermai, scesi e corsi sulle scale, lei mi aprì la porta e io le dissi: ”Perdonami, ma non voglio più divorziare da mia moglie. Lei mi guardò e disse: “Ma sei impazzito?” Io le risposi: ”No, è solo che amo mia moglie, era stato un momento di noia e di routine che ci aveva allontanato, ma ora ho capito i veri valori della vita, dal giorno in cui l’ho portata in braccio mi sono reso conto osservandola e guardandola che dovevo farlo per il resto della mia vita!”
Giovanna pianse mi tirò uno schiaffo e entrò in casa sbattendomi in faccia la porta. Io scesi le scale velocemente, andai in macchina e mi fermai in un negozio di fiori. Le comprai un mazzo di rose e la ragazza del negozio mi disse: “Cosa scriviamo sul biglietto?” Le dissi: ”Ti prenderò in braccio ogni giorno della mia vita finché morte non ci separi”.
Arrivai di corsa a casa, feci le scale entrai e di corsa mi precipitai in camera felicissimo e col sorriso sulla bocca, ma mia moglie era a terra, morta!

Stava lottando contro il cancro ed io che invece ero occupato a passare il tempo con Giovanna senza nemmeno accorgermene. Lei per non farmi pena non me lo aveva detto, sapeva che stava per morire e per questo mi chiese un mese di tempo. Si un mese, affinché a nostro figlio non rimanesse un cattivo ricordo del nostro matrimonio, affinché nostro figlio non subisse traumi, affinché a nostro figlio rimanesse impresso il ricordo di un padre meraviglioso e innamorato della madre.”

martedì 30 luglio 2013

L'idolatria

L'idolatria
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L’uomo, perso l’orientamento fondamentale che dà unità alla sua esistenza, si disperde nella molteplicità dei suoi desideri; negandosi ad attendere il tempo della promessa, si disintegra nei mille istanti della sua storia. Per questo l’idolatria è sempre politeismo, movimento senza meta da un signore all’altro. L’idolatria non offre un cammino, ma una molteplicità di sentieri, che non conducono a una meta certa e configurano piuttosto un labirinto. Chi non vuole affidarsi a Dio deve ascoltare le voci dei tanti idoli che gli gridano: "Affidati a me!". La fede in quanto legata alla conversione, è l’opposto dell’idolatria; è separazione dagli idoli per tornare al Dio vivente, mediante un incontro personale.
 LUMEN FIDEI papa Francesco e papa Benedetto

Biagio Conte e la sua Missione tra gli ultimi di Palermo

Biagio Conte e la sua Missione tra gli ultimi di Palermo


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luglio 28, 2013 Rodolfo Casadei

Viaggio in una “periferia esistenziale” dove i miracoli sono possibili. Quello che sembrava un caso da ospedale psichiatrico è diventato segno evidente dell’amore cristiano per i poveri


tempi-biagio-conte-palermoSe una parola, un fatto, un incontro vi ha lasciato il presentimento che valga la pena accostarsi alla povertà come mistero e non come problema, come benefico scandalo e scandalosa risorsa nello stesso tempo e non come disgrazia che riguarda altri e di cui deve occuparsi lo Stato, venite a Palermo. Non perché il rapporto dell’Istat diffuso settimana scorsa assegna alla Sicilia il primato della povertà relativa in Italia (col 29,6 per cento delle famiglie in tale condizione) e una posizione molto alta nella classifica della povertà assoluta con 180 mila nuclei familiari che non sono in grado di accedere al paniere dei beni di prima necessità. Numeri buoni solo per alimentare l’angoscia, il senso di impotenza, la speculazione politica.
Ma venite a Palermo perché qui troverete la Missione di Speranza e Carità di via Archirafi che ospita 300 esseri umani di sesso maschile strappati alla vita di strada; la Cittadella del Povero e della Speranza in via Decollati che dal 2002 alloggia, nutre e prepara all’avventura dell’integrazione 650 stranieri arrivati da Lampedusa e da altre vie di fuga; l’ex convento di santa Caterina in via Garibaldi che permette di vivere con dignità e senza paura a 120 donne sole di ogni età e mamme single col loro bambino; e ogni sera la Missione notturna, un camper che al calar delle ombre esce dal cancello principale di via Archirafi col suo carico di 6-7 volontari muniti di thermos con latte e tè caldi, medicine, sacchetti con panini e scatolette, coperte e vestiti e segue un percorso dettato da una strana geografia: quella dei ripari che i senzatetto si sono scelti in giro per la città, un muro e qualche cartone che segnano i confini della loro deriva solitaria. Li trovate in via Crispi, dall’altra parte dei moli delle barche a vela, lungo la centralissima via Vittorio Emanuele, ce n’è persino uno annidato dietro l’Albero Falcone, la magnolia ricoperta di messaggi e biglietti all’ingresso di quella che fu la casa del giudice ucciso dalla mafia.
Queste opere e la loro gente, volontari (circa 300 quelli che si alternano nella Missione notturna, 400 quelli che ruotano nei tre centri di accoglienza della Missione di Speranza e Carità) e fratelli della strada e del disagio – non chiamateli “barboni” davanti a fratel Biagio, l’uomo da cui ha preso le mosse tutto questo, perché si arrabbierebbe – sono la traduzione carnale di ciò che papa Francesco disse il 18 maggio scorso in piazza san Pietro ai movimenti ecclesiali a proposito della povertà e delle “periferie esistenziali”. Ricordate? «Quando io andavo a confessare nella mia diocesi, venivano alcuni e sempre facevo questa domanda: “Ma lei dà l’elemosina?” – “Sì, padre!”. “Ah, bene, bene”. E gliene facevo due in più: “Mi dica, quando lei dà l’elemosina, guarda negli occhi quello o quella a cui dà l’elemosina?” – “Ah, non so, non me ne sono accorto”. Seconda domanda: “E quando lei dà l’elemosina, tocca la mano di quello al quale dà l’elemosina, o gli getta la moneta?. Questo è il problema: la carne di Cristo, toccare la carne di Cristo, prendere su di noi questo dolore per i poveri. La povertà, per noi cristiani, non è una categoria sociologica o filosofica o culturale: no, è una categoria teologale. Direi, forse la prima categoria, perché quel Dio, il Figlio di Dio, si è abbassato, si è fatto povero per camminare con noi sulla strada. E questa è la nostra povertà: la povertà della carne di Cristo, la povertà che ci ha portato il Figlio di Dio con la sua incarnazione. Una Chiesa povera per i poveri incomincia con l’andare verso la carne di Cristo. Se noi andiamo verso la carne di Cristo, incominciamo a capire qualcosa, a capire che cosa sia questa povertà, la povertà del Signore».

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Vicino a Vincenzo-la-mia-gioa
Si incomincerebbero a capire storie come quella di Vincenzo-la-mia-gioia, una “periferia esistenziale” in carne e ossa. Più ossa che carne da quando l’Aids si era manifestato nel corpo di questo omosessuale tossicodipendente, ospite fisso da qualche anno di un cantuccio delle poste centrali di Palermo. La sua barba lunghissima e finissima pareva quella di un sikh o di un santone indù, mai tagliata; il cumulo dei capelli svettava come quello di Marge Simpson, ricoperto da un’apposita protezione di stoffa. Non si liberava mai di un cappottone fumo di Londra lungo fino ai piedi. «Lo avevamo soprannominato così – spiega Ottavio, il responsabile coordinatore dei volontari della Missione notturna – perché quando ci vedeva arrivare apostrofava tutti, ma soprattutto le ragazze del gruppo, con le parole: “sei la mia gioia!”, pronunciate abbandonandosi ad accentuate movenze femminee». Accarezzava le pettinature e vagliava la fattura delle gonne accompagnando il tutto con esclamazioni imbarazzanti. Si era sempre rifiutato di abbandonare la strada per una sistemazione in via Archirafi.

Quando si era manifestata la malattia, aveva respinto i ricoveri ospedalieri mentre la famiglia aveva continuato a ignorarlo, ancora esasperata per tutte le volte che si era presentato con una siringa insanguinata a chiedere soldi e aiuti vari. Scene penose di squadre di sanitari e agenti delle forze dell’ordine che si avvicinavano per evacuarlo e venivano respinti con grandi strepiti si erano ripetute innumerevoli volte. Approssimandosi i suoi ultimi giorni, la Missione aveva escogitato la soluzione di collocare un vero e proprio letto nel suo piccolo territorio e di circondarlo di cartoni alti come separé. Lì Vincenzo-la-mia-gioia agonizzava, mentre la gente che andava in posta gli sfilava accanto. Ventiquattro ore su 24 i volontari della missione si alternavano al suo capezzale. «Un giorno arriva un gruppetto di ragazzini fra i 9 e i 13 anni», racconta Ottavio. «Facce dure che avevano perso l’infanzia molto presto. Figli di detenuti e di altre famiglie problematiche del quartiere. “Abbiamo fatto una colletta, per Vincenzo”, mi dice uno mostrando il palmo delle mani pieno di monetine. “I soldi non gli servono più, se volete fargli un favore comprategli un succo di frutta con una cannuccia. Ma voi chi siete?”. “Noi siamo quelli che lo torturavano. Gli tiravamo i sassi, gli urlavamo ‘finocchio!’. Lo facevamo disperare”. Sono tornati col succo e il più grande si è avvicinato al capezzale e ha alzato la voce per farsi sentire: “Vincenzo, ti vogliamo bene!”. Lui, che era quasi sempre privo di conoscenza, si è sollevato un po’ e con la voce che gli rimaneva ha risposto: “Bambini, lo sapete che vi voglio bene!”. Il giorno dopo era di turno Francesco, che è anche medico volontario nei due ambulatori della Missione. Vincenzo è morto fra le sue braccia pronunciando parole misteriose: “Senti che bella musica!”, diceva. “Senti queste campane!”. Ma intorno non c’era nessun suono, quella musica poteva sentirla soltanto lui!».
La fuga e il lungo peregrinare
Se siete meravigliati del mistero di una storia come questa, è perché non conoscete ancora quella del fondatore della Missione, fratel Biagio Conte, oggi cinquantenne palermitano. Oggi. Ma un quarto di secolo fa c’era un Biagio giovane, giovane e agitato come un mare in tempesta, arrabbiato e indignato con tutto e con tutti. Un giovane benestante, figlio di un imprenditore edile, un ragazzo che sapeva bene cosa voleva dire una bella automobile, una bella compagnia e delle belle fidanzate in successione. Eppure sempre inquieto, insoddisfatto e alla fine depresso. In rapida sequenza aveva rinnegato Dio, la famiglia, la società. A scandalizzarlo era l’indifferenza di Palermo davanti alla povertà visibile nelle sue strade: i senzatetto, i bambini con le scarpe a pezzi, i quartieri decrepiti. Una notte, in piena crisi emotiva, alza gli occhi e fra i poster di cantanti e calciatori di camera sua riprende coscienza del crocefisso che è appeso lì da quando era bambino. Sente una voce interiore: «Una società che lascia indietro i più deboli non può essere una società giusta, e si sfalderà». Scrive una lettera di addio ai genitori e in piena notte sale verso i monti dell’entroterra coi soli vestiti che ha addosso. È il 5 maggio 1990: vagherà per otto mesi, prima in Sicilia, poi in Calabria e infine pellegrino ad Assisi. Lo cercheranno anche attraverso la trasmissione Chi l’ha visto?, allora agli esordi.

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Un digiuno, una conquista
I primi giorni sono tremendi. Biagio praticamente non mangia e beve pochissimo. «Non sentivo bisogno di nulla. Mi sentivo sempre più libero e pensavo che avrei vissuto per sempre nella natura, lontano dalla civiltà», racconta. Ma a un certo punto cade stremato per la fame e la disidratazione. «Mi sembrava di stare per morire. Ho raccolto le ultime energie e ho pregato Dio di non abbandonarmi. Un calore improvvisamente ha attraversato il mio corpo e una luce fortissima mi ha abbagliato. Il freddo, la fame, la stanchezza sono sparite. Stavo bene, potevo continuare a camminare. Da quel momento sono stato certo che Gesù era con me e mi avrebbe guidato». Si ferma a lavorare per tre mesi nella casa di un contadino. In Calabria viene fermato dai carabinieri che lo fanno incontrare coi genitori, venuti a cercarlo. Chiarisce la situazione e prosegue il suo viaggio, divenuto un pellegrinaggio. Di ritorno da Assisi promette a se stesso di partire missionario per l’Africa. Ma appena arrivato nella capitale siciliana è di nuovo ferito dalla vista dei senzatetto, stavolta quelli della stazione ferroviaria centrale. Decide di condividere la loro vita: dorme con loro, mangia con loro, comincia a raccogliere aiuti. Gli si affiancano volontari laici sempre più numerosi, un sacerdote salesiano, don Pino Vitrano, un altro frate, Giovanni, e poi tre giovani donne che oggi si occupano della comunità femminile: Mattia, Alessandra e Lucia. Comincia il ventennale cammino che vedrà sorgere le opere citate all’inizio. Sostenute da finanziamenti e aiuti che arrivano da parrocchie, fondazioni bancarie, Assoindustria Palermo, Banco Alimentare, Regione
Sicilia, Comune e Provincia di Palermo. Quello che sembrava un caso da risolvere nelle corsie di un ospedale psichiatrico, diventa l’origine di uno dei segni più visibili dell’amore cristiano per i poveri in una grande città italiana.

Ma non si deve pensare a un cammino trionfale. La strada è stata sempre accidentata e lo è tuttora. Come ammoniva Chesterton rivolgendosi ai cristiani spiritualisti, «non si può amare qualcosa senza voler combattere per essa». Ogni spazio conquistato è costato digiuni di protesta da parte di fratel Biagio e attese interminabili. Il primo braccio di ferro è stato subito nel 1991, per ottenere dalle Ferrovie dello Stato un locale di servizio per i senzatetto della stazione: sei giorni di digiuno seduto contro un capannone per avere una stanzetta di 40 metri quadrati. Poi nel 1993 ci sono voluti dodici giorni di digiuno (con un ricovero ospedaliero al decimo giorno) davanti ai cancelli dell’ex ospedale per infettivi di via Archirafi per ottenere la concessione di quella struttura e farne il centro di ospitalità per i senzatetto; quella volta Biagio attirò l’attenzione di tivù e giornali, anche perché lo accompagnavano decine di barboni che la notte dormivano accampati attorno a lui. 
Anche l’ostello femminile nell’ex convento di santa Caterina e la Cittadella del povero hanno avuto bisogno di digiuni e della protesta rappresentata dall’andare in giro a piedi nudi per settimane per diventare realtà di accoglienza. Oggi dentro alla struttura di via Decollati, insieme a una marea umana di rifugiati forniti di permesso di soggiorno per motivi umanitari o per protezione sussidiaria usciti da poco dai Centri di identificazione ed espulsioni che dormono su materassini in cinque saloni, ci sono laboratori per elettricisti, falegnami, fabbri, ceramisti, sarti, mugnai e panettieri dove si alternano italiani provenienti dal rifugio di via Archirafi e stranieri che imparano un mestiere o che riprendono in mano quello che già sapevano fare. Perché, non dimentichiamolo, si tratta spesso di profughi per ragioni politiche che una vita e un lavoro ce li avevano, prima di fuggire.
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Il viaggio a Lourdes
Eliseo, fuggito qualche anno fa dalla Costa D’Avorio, addirittura era un giovane che aveva sentito la chiamata di Dio ma non se l’era sentita di entrare in seminario per la contrarietà dei genitori. Approdato a Lampedusa al tempo della guerra civile ivoriana, dopo qualche anno di lavori saltuari è entrato in seminario e oggi è sacerdote della diocesi di Monreale. Anche lui ha sostato a lungo in via Decollati. E in questa atmosfera di miracoli sempre possibili, quasi non fa notizia che fratel Biagio, che da cinque anni si muoveva quasi esclusivamente in sedia a rotelle per i dolori causati da alcune vertebre schiacciate e una terribile artrite cervicale, dopo un viaggio a Lourdes nel giugno scorso sia tornato a camminare senza sostegni di alcun tipo. Ma anche senza nessuna presunzione che la sua guarigione sia dipesa da meriti accumulati di fronte all’Altissimo. Chi esce dalla cappella della Misericordia, dove ogni mattina don Pino celebra la Messa con cui inizia la giornata della Missione, sopra la porta d’ingresso trova a grandi lettere il monito del Vangelo di Matteo che capovolge i rapporti fra centri e periferie esistenziali: «I pubblicani e le prostitute vi precederanno nel Regno dei cieli»

domenica 28 luglio 2013

Lo stato autoritario visto da Sartre

 Lo stato autoritario visto da Sartre
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Per me il fascismo è lo Stato in quanto non è più una forma d’azione e d’amministrazione universale, un po’ astratta, che lascia la vita dei cittadini essere quella che è o la vita privata quella che è. In realtà è un nuovo Stato che si proietta nella coscienza di ciascun cittadino in maniera tale che il cittadino stesso è dentro di sé “statizzato. Lo Stato è creato all’interno degli individui con i suoi principi, la sua maniera di parlare, la sua maniera di ragionare che poi non è altro che ciò che noi comunemente chiamiamo Stato. È un pensiero che non è più personale ma impersonale e fondato su delle necessità o almeno su ciò che si stima essere delle necessità.
Penso dunque che il fascismo non sia l’apparizione di uno stato dittatoriale, può avere altre forme oggi, ma è innanzitutto il fatto che lo Stato è in sé una struttura composta da individui diventati cittadini dalla nascita, ma non cittadini in senso democratico ma nel senso di soldati di un esercito. Penso che se dovesse trionfare, il fascismo trasformerebbe ogni persona in un corpo individuale con un pensiero universale. La persona in quanto tale sparirebbe. E questa è la cosa più importante ovvero il fatto che il fascismo non può costruirsi se non attraverso la sparizione della persona non in quanto corpo ma in quanto persona avente dei pensieri personali ed una situazione personale ma che, essendo immersa soltanto in situazioni generali, risponderà oramai solo con pensieri generali.
Nei movimenti fascisti c’è un po’ di tutto questo anche se è difficile attuare questo programma fino in fondo dato che tutto ciò è in contraddizione con la natura individuale e personale dell’uomo. Quale che sia il suo rapporto con il sociale, l’uomo è innanzitutto individuo. Un movimento politico che vuole sopprimere la persona in quanto ingombrante è un movimento anti–umano e di conseguenza non può sopravvivere; il destino del fascismo è, presto o tardi, quello di scomparire perché la persona che viene negata o trasformata in qualcos’altro si ricostituisce e nel momento in cui si ricostituisce lo fa attraverso la distruzione dello stato fascista»

Sartre

La famiglia

  La famiglia
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Santo Padre, quanto è importante la famiglia, oggi, nell’evangelizzazione del "nuovo mondo"?
R. - Non solo direi è importante per l’evangelizzazione del nuovo mondo. La famiglia è importante, è necessaria per la sopravvivenza dell’umanità. Se non c’è la famiglia, è a rischio la sopravvivenza culturale dell’umanità. La base è, ci piaccia o no, la famiglia.

PAPA FRANCESCO a: Radio Cattedrale GMG BRASILE Luglio 2013

INCONTRO CON I GIOVANI ARGENTINI NELLA CATTEDRALE DI SAN SEBASTIÁN

INCONTRO CON I GIOVANI ARGENTINI NELLA CATTEDRALE DI SAN SEBASTIÁN
PAROLE DEL SANTO PADRE FRANCESCO
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Giovedì, 25 luglio 2013
  
Grazie…, grazie per essere qui, grazie per essere venuti… Grazie a coloro che sono dentro e molte grazie a coloro che sono rimasti fuori. Ai trentamila che mi dicono essere fuori. Li saluto da qui. Sono sotto la pioggia… grazie per il gesto di essersi avvicinati, grazie per essere venuti alla Giornata della Gioventù. Avevo suggerito al dottor Gasbarri, che è la persona che gestisce, che organizza il viaggio, di trovare un posticino per un incontro con voi, e in mezza giornata ha sistemato tutto. Voglio anche ringraziare pubblicamente il dottor Gasbarri per ciò che è riuscito a fare oggi.
Desidero dirvi ciò che spero come conseguenza della Giornata della Gioventù: spero che ci sia chiasso. Qui ci sarà chiasso, ci sarà. Qui a Rio ci sarà chiasso, ci sarà. Però io voglio che vi facciate sentire nelle diocesi, voglio che si esca fuori, voglio che la Chiesa esca per le strade, voglio che ci difendiamo da tutto ciò che è mondanità, immobilismo, da ciò che è comodità, da ciò che è clericalismo, da tutto quello che è l’essere chiusi in noi stessi. Le parrocchie, le scuole, le istituzioni sono fatte per uscire fuori…, se non lo fanno diventano una ONG e la Chiesa non può essere una ONG. Che mi perdonino i vescovi ed i sacerdoti, se alcuni dopo vi creeranno confusione. E’ il consiglio. Grazie per ciò che potrete fare.
Guardate, io penso che, in questo momento, questa civiltà mondiale sia andata oltre i limiti, sia andata oltre i limiti perché ha creato un tale culto del dio denaro, che siamo in presenza di una filosofia e di una prassi di esclusione dei due poli della vita che sono le promesse dei popoli. Esclusione degli anziani, ovviamente. Uno potrebbe pensare che ci sia una specie di eutanasia nascosta, cioè non ci si prende cura degli anziani; ma c’è anche un’eutanasia culturale, perché non li si lascia parlare, non li si lascia agire. E l’esclusione dei giovani. La percentuale che abbiamo di giovani senza lavoro, senza impiego, è molto alta e abbiamo una generazione che non ha esperienza della dignità guadagnata con il lavoro. Questa civiltà, cioè, ci ha portato a escludere i due vertici che sono il nostro futuro. Allora i giovani: devono emergere, devono farsi valere; i giovani devono uscire per lottare per i valori, lottare per questi valori; e gli anziani devono aprire la bocca, gli anziani devono aprire la bocca e insegnarci! Trasmetteteci la saggezza dei popoli!
Nel popolo argentino, io chiedo, di vero cuore, agli anziani: non venite meno nell’essere la riserva culturale del nostro popolo, riserva che trasmette la giustizia, che trasmette la storia, che trasmette i valori, che trasmette la memoria del popolo. E voi, per favore, non mettetevi contro gli anziani: lasciateli parlare, ascoltateli e andate avanti. Ma sappiate, sappiate che in questo momento voi, giovani, e gli anziani, siete condannati allo stesso destino: esclusione. Non vi lasciate escludere. E’ chiaro! Per questo credo che dobbiate lavorare. La fede in Gesù Cristo non è uno scherzo, è una cosa molto seria. E’ uno scandalo che Dio sia venuto a farsi uno di noi. E’ uno scandalo che sia morto su una croce. E’ uno scandalo: lo scandalo della Croce. La Croce continua a far scandalo. Ma è l’unico cammino sicuro: quello della Croce, quello di Gesù, quello dell’Incarnazione di Gesù. Per favore, non “frullate” la fede in Gesù Cristo. C’è il frullato di arancia, c’è il frullato di mela, c’è il frullato di banana, ma per favore non bevete “frullato” di fede. La fede è intera, non si frulla. E’ la fede in Gesù. E’ la fede nel Figlio di Dio fatto uomo, che mi ha amato ed è morto per me. Allora: fatevi sentire; abbiate cura degli estremi della popolazione, che sono gli anziani e i giovani; non lasciatevi escludere e che non si escludano gli anziani. Secondo: non “frullate” la fede in Gesù Cristo. Le Beatitudini. Che cosa dobbiamo fare, Padre? Guarda, leggi le Beatitudini che ti faranno bene. Se vuoi sapere che cosa devi fare concretamente leggi Matteo capitolo 25, che è il protocollo con il quale verremo giudicati. Con queste due cose avete il Piano d’azione: le Beatitudini e Matteo 25. Non avete bisogno di leggere altro. Ve lo chiedo con tutto il cuore. Va bene; vi ringrazio per questa vicinanza. Mi dispiace che siate ingabbiati, però vi dico una cosa. Io, ogni tanto, lo sperimento: che brutta cosa è essere ingabbiati. Ve lo confesso di cuore, ma vediamo… Vi capisco. Mi sarebbe piaciuto esservi più vicino, ma comprendo che, per ragioni di sicurezza, non si può. Grazie per essere venuti, grazie per pregare per me; ve lo chiedo di cuore, ne ho bisogno. Ho bisogno delle vostre preghiere, ne ho tanto bisogno. Grazie per questo. Ebbene, vi voglio dare la Benedizione e dopo benediremo l’immagine della Vergine che percorrerà tutta la Repubblica… e la croce di San Francesco, che viaggeranno missionariamente. Ma non dimenticate: fatevi sentire; abbiate cura dei due estremi della vita, i due estremi della storia dei popoli, che sono gli anziani e i giovani; e non frullate la fede. E adesso preghiamo, per benedire l’immagine della Vergine e darvi poi la Benedizione.
Ci alziamo in piedi per la Benedizione, ma prima voglio ringraziare per quello che ha detto mons. Arancedo, perché da autentico maleducato non l’ho ringraziato. Quindi, grazie per le tue parole!

PREGHIERA
Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Ave, Maria…
Signore, Tu hai lasciato in mezzo a noi tua Madre perché ci accompagnasse.
Che abbia cura di noi e ci protegga nel nostro cammino, nel nostro cuore, nella nostra fede.
Che ci faccia discepoli come Lei lo è stata, e missionari come anche Lei lo è stata.
Che ci insegni a uscire per le strade.
Che ci insegni a uscire da noi stessi.
Benediciamo questa immagine, Signore, che percorrerà il Paese.
Che Lei, con la sua mansuetudine, con la sua pace, ci indichi il cammino.
Signore. Tu sei uno scandalo. Tu sei uno scandalo: lo scandalo della Croce. Una Croce che è umiltà, mansuetudine; una Croce che ci parla della vicinanza di Dio. Benediciamo anche questa immagine della Croce che percorrerà il Paese.
Molte grazie, ci vediamo in questi giorni. Che Dio vi benedica. Pregate per me. Non dimenticatelo!

Franca Sozzani

Legge sull'omofobia
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Il ministro Franceschini ha affermato che: “Una legge che contrasti l’omofobia non c’entra nulla con i temi etici, riguarda il codice penale e l’introduzione di norme efficaci, che da troppo tempo attendono un’approvazione, è urgente e non più rinviabile”.


Il senatore Lucio Malan afferma invece: “A quanto pare, una legge che con il pretesto dell’omofobia limita gravemente la libertà di istruzione e di educazione, è una priorità per autorevoli esponenti del Pd e Sc.



Il testo in discussione alla Camera infatti, oltre a introdurre l’aggravante per reati motivati dall’orientamento sessuale - cosa discutibile ma accettabile - punisce con la reclusione chiunque affermi che un certo orientamento sessuale è preferibile ad altri. Addirittura si spinge a punire la mera appartenenza a qualsiasi organizzazione che affermi la peccaminosità dei rapporti sessuali con persone dello stesso sesso.


Una legge meno aggressiva di questa ha già portato in Inghilterra all’arresto di diversi attivisti cristiani anche se hanno sempre sottolineato il rispetto per le persone accanto alla condanna della pratica. Sarebbe un ironico modo di commemorare i 1700 anni dell’Editto di Costantino quello di approvare una legge che mandi in carcere dei cristiani in quanto tali. Sono i risultati della sudditanza culturale di troppi ai velleitari editti di quel politically correct che qualcuno vuole instaurare come religione di Stato.


È davvero stupefacente, in particolare, la presa di posizione del ministro Franceschini, il cui programma di governo non includeva certo aberrazioni di questo genere".


A voi di commentare. Io non ho più parole!!!



@francasozzani

Negri: Legge omofobia, si va verso il totalitarismo

Negri: Legge omofobia, si va verso il totalitarismo  
di Riccardo Cascioli26-07-2013
Monsignor Luigi Negri
«Questo della legge sull’omofobia è un fatto gravissimo, è la sconfitta dello Stato laico e l’affermarsi di una nuova tendenza totalitaria. E in tutto questo la cristianità sembra assente». E’ quanto afferma monsignor Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara-Comacchio in questa intervista a La Nuova Bussola Quotidiana, primo pastore italiano a prendere chiaramente posizione su questo tentativo di far passare con una procedura d’urgenza la legge anti-omofobia che – come La Nuova BQ sta documentando da settimane -  è una legge contro la libertà di espressione e contro la libertà religiosa.

Monsignor Negri, perché una legge sull’omofobia è un fatto gravissimo?
Intanto questa legge è un’ammissione di impotenza da parte dello Stato.

In che senso?
In tutta questa vicenda ci sono delle questioni sostanziali che vengono ridotte o addirittura dimenticate. La prima è che alla coscienza dell’uomo della strada - quale io sono – non è affatto chiaro perché lo Stato abbia bisogno di difendere particolarmente una certa categoria di cittadini. Questa legge in sostanza dice che ci sono dei cittadini che devono essere difesi nei loro diritti al di là dei diritti che ogni cittadino italiano gode per il fatto che è parte della società italiana. E’ evidente allora che c’è una debolezza dello Stato: è come se lo stato dicesse che c’è bisogno di qualcosa di eccezionale per consentire a questi cittadini italiani di vivere adeguatamente i loro diritti di cittadini. Il che mi sembra obiettivamente una cosa assurda.
In ogni caso nessuna spiega in che cosa questi cittadini omosessuali - pratici o teorici che siano - devono essere particolarmente difesi. E vorremmo sapere quali sono le ragioni di necessità obiettiva, culturale, storica e sociale per cui si invoca questa situazione di eccezionalità. Perché anche situazioni di fatto, retaggio del passato e che comunque in Italia sono un fenomeno abbastanza ridotto, sono più che altro segno di inciviltà e di barbarie che si aiuta a risolvere con l’educazione e non con le leggi.

Peraltro lo si fa con una procedura d’urgenza, lasciando indietro situazioni che ogni cittadino può giudicare ben più importanti: la crisi economica, il lavoro, la lentezza della giustizia.
E infatti non si comprende questo carattere di urgenza, un’urgenza tale da autorizzare la presentazione di un disegno di legge che – lo si vede dalle reazioni -  apre scenari impegnativi. E qui entra un secondo punto di estrema gravità, ovvero la strada che si è scelta per questa difesa di una categoria particolare.

Si riferisce al reato d’opinione?
Esattamente. Perché la strada che si è scelta poco o tanto finirà per adombrare nel nostro paese il reato di opinione. E qualsiasi, pur frettoloso, studioso della realtà sociale e politica dell’Europa sa che il reato di opinione non è un segno né di democrazia né di una concezione ampia e seria della vita sociale. Nel caso specifico, accadrà che il solo esplicitare le ragioni per cui in forza di precise convinzioni di carattere personale, sociale, culturale, religioso si ritiene che l’omosessualità sia una realtà non condivisibile, metterà in una posizione di discriminazione. Il cattolico, per esempio, che ritiene in perfetta buona fede sul piano della sua esperienza personale di appartenenza alla grande tradizione della Chiesa cattolica che l’omosessualità sia un fatto di disordine, potrà essere addirittura inquisito perché metterebbe in crisi i diritti della minoranza-maggioranza omosessuale.
In sostanza lei dice che a essere discriminati sarebbero coloro che, ad esempio, ritengono ingiusto il matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Si aprirebbe una discriminazione gravissima di carattere teorico ancorché pratico fra le varie opinioni presenti nel nostro paese. E questo ci riporterebbe a una situazione più o meno implicita di dittatura. Ricordo che la laicità della nostra vita sociale è ribadita in maniera esplicita dalla Carta Costituzionale che ha messo fine a un periodo di dittatura dove i delitti di opinione erano all’ordine del giorno. Ora si vorrebbe  che una opinione, che delle opzioni di carattere sociale vengano di fatto privilegiate dallo Stato al punto che chi in qualche modo ha delle obiezioni di carattere culturale e religioso su queste posizione corre il rischio di essere considerato reo di delitti o di reati di opposizione a una convinzione che non può e non deve essere messa in discussione. In una situazione autenticamente laica e democratica non ci devono essere posizioni che non possano essere discusse, che non possano essere accettate e che possano essere vissute con piena libertà in una vita sociale che proprio nella diversità delle posizioni trova la sua ricchezza.

Però la Costituzione vieta anche delle opinioni.
Certo, la Costituzione ha stabilito ben prima di questo disegno di legge che ci sono delle opinioni che possono e debbono essere contestate dallo Stato, ma si tratta di quelle che mettono tra i loro principi fondamentali e i loro obiettivi la distruzione della situazione culturale e sociale che caratterizza il nostro paese. Non è certo questo il caso. Pare evidente quindi che questi iper-apostoli - se può essere usata questa espressione - questi cittadini le cui convinzioni non possono e non debbono essere messe in discussione, rappresentano un fatto di anomalia e quasi una metastasi nella vita della nostra società. La nostra società vive se tutti i nostri cittadini italiani possono essere veramente liberi di vivere, di esplicitare, di attuare nella vita sociale quelle convinzioni - anche le più diverse - che hanno raggiunto per un cammino personale di coscienza, di approfondimento, di educazione, in cui consiste la loro identità profonda.

Insomma lei ritiene che questa legge, se passasse, ci farebbe scivolare verso una nuova forma di totalitarismo.
Mi pare oggettivo che si stia risvegliando una tendenza totalitaria nella vita sociale dello Stato, perché tutte le volte che in una situazione sociale e politica si privilegia una posizione a danno delle altre, che vengono in qualche modo ridotte quando non negate, si crea una ferita nella vita democratica e laica del paese. Vorrei ricordare a quei signori che hanno presentato questo disegno di legge e a maggior ragione a tutti quelli che si preparano a discuterne che il Novecento, il XX secolo, è terribilmente ricco di esperienze sociali in cui dei cittadini sono stati privati della loro libertà di vivere esplicitamente le convinzioni profonde della loro esistenza e sono stati addirittura privati della vita perché le loro convinzioni erano considerate negative o minacciose per lo stato, fascista o comunista che fosse.

Oggi domina il laicismo...
…Che ha una doppia faccia: la faccia di una realtà che ha intrapreso una battaglia anche lunga per l’affermazione dei principi fondamentali della laicità del paese, della società e dello Stato; ma – e questo è innegabile storicamente a meno di negare l’evidenza – dal laicismo è sorta anche quella tendenza di carattere totalitario sul piano ideologico e politico per cui la gente è stata privata crudelmente della propria possibilità di esprimere i propri diritti. Questo semplicemente perché le loro convinzioni non coincidevano con le convinzioni di taluni che lo Stato o il Partito aveva fatto proprie e riteneva assolutamente indiscutibili. E tali convinzioni si imponevano a tutti i cittadini con la forza della violenza di stato.

C’è però da dire che anche tra i cattolici non pare esserci un giudizio chiaro e univoco.
E’ indubbio che mentre il Paese è impegnato per volontà dei legislatori e del Parlamento in uno snodo difficilissimo della sua vita sociale sembra che la cristianità italiana non sia presente. E per cristianità intendo la realtà istituzionale della Chiesa, le realtà laicali, le realtà associative, tutto il complesso del popolo di Dio che vive oggi in Italia, senza evidenziare maggiori o minori responsabilità. La cristianità non è presente con una chiarezza di motivazioni, con una chiarezza di identità. La libertà è un valore assolutamente unico e indivisibile, bisogna lavorare per la propria libertà – ci invitava Giovanni Paolo II – perché lavorare per la propria libertà è lavorare per la libertà di tutti, accettare di ridurre o perdere la propria libertà è perdere e ridurre la libertà di tutta la società.
Lei dice che non c’è una chiarezza di motivazioni, eppure la Dottrina sociale della Chiesa è molto chiara su questi punti.
Avremmo infatti tutta la forza del Magistero sociale che non ha mai fatto sconti di fronte alle pretese delle istituzioni, qualunque esse siano, di intervenire nello spazio della libertà di coscienza personale.  Le proprie preferenze culturali, le proprie preferenze sessuali, le proprie pratiche sessuali sono un fatto che attiene alla libertà della coscienza individuale, personale, di gruppo, non sono una competenza dello Stato. Se lo Stato interviene non importa se per difendere o attaccare le concezioni e pratiche di carattere personale o sessuale, compie lo stesso errore di identificare la sua azione in campi in cui non può e non deve intervenire.
In questa vicenda della legge sull’omofobia c’è dunque in gioco la libertà della coscienza personale e sociale, c’è in gioco la laicità dello Stato.
Per la cristianità italiana è una grande occasione per una testimonianza corale.

Intende la necessità di una battaglia?
Non si devono scomodare termini verso i quali c’è una assoluta e motivata idiosincrasia – battaglia, confronto, e così via – ma certamente è necessaria una testimonianza corale della cristianità. Proprio la passione per la nostra identità di fede ci rende appassionati per la vita e la democraticità del paese. Come ricordava Giovanni Paolo II nella terza, straordinaria, parte della Redemptor Hominis, proprio per l’esperienza di fede ecclesiale che viviamo noi siamo buoni cristiani e autentici cittadini del nostro paese, senza nessuna riduzione e senza nessuna discriminazione.

Lei crede che un ripensamento del Parlamento sia ancora possibile?
Quello che è in gioco è sostanziale, per cui mi auguro che prevalga quella famosa cosa che Manzoni diceva essersi perduta o essersi nascosta durante la grande querelle sulla peste di Milano: il buon senso. Mi pare che ci voglia una grande iniezione di buon senso da parte di tutti quelli che intervengono in questa vicenda, che non ci siano scompensi di carattere demagogico, populistico, che non fanno bene al nostro paese, già così provato dal punto di vista della identità culturale e sociale.

finiamo “riempiti”, ma non nutriti,

FESTA DI ACCOGLIENZA DEI GIOVANI

SALUTO E OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Lungomare di Copacabana, Rio de Janeiro
Giovedì, 25 luglio 2013









Giovani amici,
«È bello per noi essere qui!»: ha esclamato Pietro, dopo aver visto il Signore Gesù trasfigurato, rivestito di gloria. Possiamo ripetere anche noi queste parole? Io penso di sì, perché per tutti noi, oggi, è bello essere qui insieme attorno a Gesù! E’ Lui che ci accoglie e si rende presente in mezzo a noi, qui a Rio. E nel Vangelo abbiamo ascoltato anche le parole di Dio Padre: «Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo!» (Lc 9, 35). Se da una parte, allora, è Gesù che ci accoglie, dall’altra anche noi vogliamo accoglierlo, metterci in ascolto della sua parola perché è proprio accogliendo Gesù Cristo, Parola incarnata, che lo Spirito Santo ci trasforma, illumina il cammino del futuro, e fa crescere in noi le ali della speranza per camminare con gioia (cfr Lett. enc. Lumen fidei, 7).
Ma che cosa possiamo fare? “Bota fé - metti fede”. La croce della Giornata Mondiale della Gioventù ha gridato queste parole lungo tutto il suo pellegrinaggio attraverso il Brasile. “Metti fede”: che cosa significa? Quando si prepara un buon piatto e vedi che manca il sale, allora tu “metti” il sale; manca l'olio, allora tu “metti” l'olio... “Mettere”, cioè collocare, versare. Così è anche nella nostra vita cari giovani: se vogliamo che essa abbia veramente senso e pienezza, come voi stessi desiderate e meritate, dico a ciascuno e a ciascuna di voi: “metti fede” e la vita avrà un sapore nuovo, la vita avrà una bussola che indica la direzione; “metti speranza” e ogni tuo giorno sarà illuminato e il tuo orizzonte non sarà più oscuro, ma luminoso; “metti amore” e la tua esistenza sarà come una casa costruita sulla roccia, il tuo cammino sarà gioioso, perché incontrerai tanti amici che camminano con te. Metti fede, metti speranza, metti amore! Tutti uniti: "metti fede", "metti speranza", "metti amore".
Ma chi può donarci tutto questo? Nel Vangelo sentiamo la risposta: Cristo. «Questo è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo!». Gesù ci porta Dio e ci porta a Dio, con Lui tutta la nostra vita si trasforma, si rinnova e noi possiamo guardare la realtà con occhi nuovi, dal punto di vista di Gesù, con i suoi stessi occhi (cfr Lett. enc. Lumen fidei, 18). Per questo oggi vi dico, a ciascuno di voi: "metti Cristo" nella tua vita e troverai un amico di cui fidarti sempre; “metti Cristo” e vedrai crescere le ali della speranza per percorrere con gioia la via del futuro; “metti Cristo” e la tua vita sarà piena del suo amore, sarà una vita feconda. Perché tutti noi desideriamo avere una vita feconda, una vita che sona vita agli altri!
Oggi, farà bene a tutti chiedersi con sincerità, che ciascuno pensi nel suo cuore: in chi riponiamo la nostra fiducia? In noi stessi, nelle cose, o in Gesù? Tutti abbiamo spesso la tentazione di metterci al centro, di credere che siamo l'asse dell'universo, di credere che siamo solo noi a costruire la nostra vita o di pensare che essa sia resa felice dal possedere, dai soldi, dal potere. Ma tutti sappiamo che non è così! Certo l’avere, il denaro, il potere possono dare un momento di ebbrezza, l’illusione di essere felici, ma, alla fine, sono essi che ci possiedono e ci spingono ad avere sempre di più, a non essere mai sazi. E finiamo “riempiti”, ma non nutriti, ed è molto triste vedere una gioventù “riempita”, ma debole. La gioventù deve essere forte, nutrirsi della sua fede e non riempirsi di altre cose! “Metti Cristo” nella tua vita, metti in Lui la tua fiducia e non sarai mai deluso! Vedete cari amici, la fede compie nella nostra vita una rivoluzione che potremmo chiamare copernicana: ci toglie dal centro e mette al centro a Dio; la fede ci immerge nel suo amore che ci dà sicurezza, forza, speranza. Apparentemente sembra che non cambi nulla, ma nel più profondo di noi stessi cambia tutto. Quando c'è Dio, nel nostro cuore dimora la pace, la dolcezza, la tenerezza, il coraggio, la serenità e la gioia, che sono i frutti dello Spirito Santo (cfr Gal 5, 22); allora la nostra esistenza si trasforma, il nostro modo di pensare e di agire si rinnova, diventa il modo di pensare e di agire di Gesù, di Dio. Cari amici, la fede è rivoluzionaria e io oggi ti chiedo: sei disposto, sei disposta e entrare in quest’onda rivoluzionaria della fede? Solo entrando in quest’onda la tua giovane vita acquisterà senso e così sarà feconda!
Caro giovane, cara giovane: “metti Cristo” nella tua vita. In questi giorni, Lui ti attende: ascoltalo con attenzione e la sua presenza entusiasmerà il tuo cuore; “Metti Cristo”: Lui ti accoglie nel Sacramento del perdono, con la sua misericordia cura tutte le ferite del peccato. Non avere paura di chiedere perdono a Dio perché Lui nel suo grande amore non si stanca mai di perdonarci, come un padre che ci ama. Dio è pura misericordia! “Metti Cristo": Lui ti aspetta anche nell'Eucaristia, Sacramento della sua presenza, del suo sacrificio di amore, e ti aspetta anche nell’umanità di tanti giovani che ti arricchiranno con la loro amicizia, ti incoraggeranno con la loro testimonianza di fede, ti insegneranno il linguaggio dell'amore, della bontà, del servizio. Anche tu caro giovane, cara giovane, puoi essere un testimone gioioso del suo amore, un testimone coraggioso del suo Vangelo per portare in questo nostro mondo un po’ di luce. Lasciati cercare da Gesù, lasciati amare da Gesù, è un amico che non delude.
“E’ bello per noi stare qui”, mettere Cristo nella nostra vita, mettere la fede, la speranza, l’amore che Lui ci dona. Cari amici, in questa celebrazione abbiamo accolto l'immagine di Nostra Signora di Aparecida. A Maria, le chiediamo che ci insegni a seguire Gesù, che ci insegni ad essere discepoli e missionari. Come Lei, vogliamo dire “sì” a Dio. Chiediamo al suo cuore di madre di intercedere per noi, affinché i nostri cuori siano disponibili ad amare Gesù e a farlo amare. Cari giovani, Gesù ci attende. Gesù conta su di noi! Amen.

La chiave di un uomo si trova negli altri:

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La chiave di un uomo si trova negli altri: è il contatto con il prossimo quello che ci illumina su noi stessi.
Paul Claudel(memorie improvvisate 1954)

 Forse l'amore è il processo con cui ti conducono dolcemente a te stesso
Saint Exùpéry

sabato 27 luglio 2013

Milioni di musulmani devoti alla Madonna e desiderosi di esorcismo


ISLAM-CRISTIANESIMOMilioni di musulmani devoti alla Madonna e desiderosi di esorcismo
di Samir Khalil Samir
Fatima, Harissa, Damasco, Samalut, Assiut, Zeitun e tanti altri luoghi dove è apparsa la Vergine sono meta di incessanti pellegrinaggi da Libano, Siria, Egitto, Iran. Si cerca la guarigione fisica, ma anche quella spirituale; la preghiera spontanea e mistica e non quella schematica e formale dell'islam ufficiale. I salafiti iconoclasti distruggono ogni anno luoghi di pellegrinaggio. Ma la devozione a Maria cresce, nutrita anche dai racconti del Corano. Il dialogo spirituale fra cristiani e musulmani è molto più promettente di quello culturale, teologico o politico.


Beirut (AsiaNews) - Milioni di musulmani si recano ogni anno in pellegrinaggio ai santuari mariani cattolici. Non solo ai grandi santuari come Fatima in Portogallo o Harissa in Libano, ma anche in Egitto, in Siria, in Iran. Musulmani - e soprattutto donne musulmane - vanno a chiedere grazie alla Madonna o a grandi santi cristiani, come san Charbel o san Giorgio.
Agli occhi di molti occidentali questi gesti sembrano quasi ridicoli o falsi: si parla di apparizioni, di preghiere, ma poi vi sono carneficine, uccisioni, violenze proprio in nome delle religioni!
Piaccia o non piaccia, il fenomeno religioso è vivo in America Latina, in Africa, in Asia. Quando si vedono milioni di indù andare a bagnarsi nel fiume sacro, nell'acqua sporca, può sembrare una cosa ridicola. Eppure per quelli che lo fanno è un gesto di purificazione, di preghiera. L'occidente si mostra al massimo tollerante e benevolo verso le altre religioni, ma verso i gesti cristiani è sempre ipercritico. L'occidente non è post-indù, post-islam. E' solo post-cristiano!
Il punto è che in occidente tutto ciò che è soprannaturale sembra passato di moda, bollato come mitologia, illusione, denunciando sempre tutte le difficoltà  che né miracoli, né pellegrinaggi riescono a cancellare.
Ma in gran parte del mondo la dimensione spirituale è viva. In oriente, fra musulmani, cristiani e altre religioni, il sentimento religioso è vivissimo. Invece in gran parte dell'occidente - soprattutto da parte degli intellettuali - il sentimento religioso è visto come una cosa sorpassata, irrazionale, credulona. Occorre dirlo chiaro: questa chiave di lettura è sbagliata.
La devozione mariana dei musulmani
In Egitto, ci sono almeno una decina di luoghi di pellegrinaggi alla Vergine, che commemorano il viaggio della Sacra Famiglia in Egitto. La tradizione è ricchissima nei testi apocrifi del IV-V secolo. Si può leggere alcuni brani nell'articolo di mons. Ravasi (oggi cardinale) del 28 dicembre 2007, per la festa dei Santi Innocenti, uscito sull'Osservatore Romano.
Ogni anno, in agosto, in occasione della Festa della Dormizione (Assunzione di Maria) almeno un milione di pellegrini vanno in pellegrinaggio nei vari santuari della Madonna. I più famosi sono in Alto Egitto (nel Sud), quello di Giabal al-Tair, vicino a Samalut, a circa 200 chilometri dal Cairo. La festa dura 15 giorni, la gente prega, battezza i bambini (per i Musulmani il parrocco ha fatto anche una specie di battistero, visto la richiesta di battesimi anche da loro) e festeggia.
Più al Sud, a circa 380 km dal Cairo e a 7 km di Assiut, a Deir Dronka dove si dice che la Sacra Famiglia sia stata e dove la Vergine si è riposata in una grotta, c'è un altro simile luogo di pellegrinaggio.
Nel periodo moderno sono state segnalate alcune apparizioni:
  • Il 22 gennaio 1980, la Vergine è apparsa a un diacono.
  • Il 10 gennaio 1988 è apparsa nella torre della chiesa ad una turista australiana, e Gesù è apparso con una colomba agli operai del monastero.
  • Il 7 agosto 1990, la Vergine è apparsa ai monaci, circondata da luce, in una grotta del convento.
Il pellegrinaggio annuale si fa durante il "digiuno della Vergine" (7-21 agosto, la festa della Dormizione essendo il 22 nel rito copto). Più di mezzo milione di pellegrini vengono, tra di loro decine di migliaia di musulmani. Uno dei monaci è "specializzato" per così dire nei battesimi, perché riesce a fare i 36 segni di croce liturgici sul corpo del bambino in un  minuto (me ne ha fatto una dimostrazione anni fa!).
Anche lì, i musulmani costituiscono un numero imponente dei partecipanti, si dice che sarebbero almeno un quarto dei pellegrini.
In Egitto, un altro pellegrinaggio a moderni luoghi di apparizioni mariane è quello a Zeitun, vicino al Cairo. L'apparizione, cominciata nel '68, è durata per diversi mesi. Vari sociologi - non egiziani - hanno definito il fenomeno una specie di compensazione affettiva, di consolazione piscologica per la durezza della vita. Ma la gente ci andava, musulmani e cristiani, perché vedevano una forma bianca sulla cupola della chiesa di Zeitun, che hanno interpretato come essendo Sittina Mariam, Nostra Signora Maria, la Madonna. Il fatto è difficile da spiegare, ma è stato visto da migliaia di persone e vi sono pure delle foto. Un'altra apparizione della Vergine viene celebrata a Imbaba, un quartiere molto popolare.
A Damasco, dal 1982 continuano ancora oggi le apparizioni della Madonna nel quartiere della Soufanieh. Dall'icona della Madonna scorre olio, e dalle mani di una ragazza di 18 anni, Myrna Nazzour, giovane normale e ben equilibrata, si nota essudazione di olio. Il parroco del tempo, molto contrario all'inizio, è poi diventato il più grande promotore. Anche lì, accorrono musulmani e cristiani.
Vicino a Damasco vi è anche un santuario per visitare il mausoleo di Settena Zainab, la figlia di Fatima ed Alì, il fondatore dello sciismo. Questo è un pellegrinaggio alle radici. Ma quando si va nei luoghi di apparizione della Madonna, vi sono motivi più profondi.
A Fatima, in Portogallo, da anni atterrano aerei dall'Iran, pieni di donne musulmane, per pregare davanti alla Madonna apparsa ai tre pastorelli. Il motivo è che la Madonna porta il nome della figlia di Maometto, e sposa di Ali Ibn Abi Talib.
Ad Harissa, in Libano, di continuo arrivano donne iraniane a pregare la Madonna, al punto che il rettore del santuario ha preparato una cappella apposta per loro, con icone, cartelli e preghiere alla Vergine in persiano, per facilitare la loro devozione.
L'anno scorso, durante il mese di maggio, in attesa della messa serale ad Harissa, ho visto centinaia di famiglie musulmane - probabilmente sciite - che si sono fermate ad ascoltare i canti prima della messa e sono andate via solo alla fine.
Quando ero in Marocco, ho scoperto che molte donne, durante la gestazione e anche dopo il parto, continuavano il cosiddetto "digiuno della Madonna", ispirate dal Corano, dove si parla di questo digiuno.
Maria nel Corano
I musulmani si mettono in cammino verso questi santuari mariani, sapendo che Maria è la donna più elogiata nel Corano, l'unica donna nominata per nome, definita "Siddīqah" (verace, credente, santa), titolo riservato agli uomini (siddīq). Solo di essa è detto nel Corano che Dio l'ha "eletta" (inna Allāh istafāqī), e per due volte; e che Dio l'ha preferita su tutte le donne della terra (wa-faddalaki 'ala nisā' al-'ālamīn); anzi, era consacrata (innī nadhartu mā fī batnī muharraran) nel seno della sua mamma, prima  della nascita.  Più ancora, un detto sacro (attribuito a Muhammad e considerato come detto sicurissimo) dice che ogni bambino, quando nasce, è "toccato" da Satana, all'eccezione di Maria e suo figlio; detto che somiglia al concetto dell'Immacolata Concezione.
Maria è, nel Corano, "la purissima", perché Dio stesso l'ha resa pura. Nell'annunciazione, Maria dice all'Angelo, in due capitoli diversi : "Come avrò un bambino, allorché nessun esser umano mi ha mai toccato?". Percio', Gesù viene chiamato nel Corano: "Il Cristo Gesù, figlio di Maria" (al-Masīh 'Īsā Ibn Mariam): mai qualcuno è chiamato in arabo "figlio di ... (una donna)", ma sempre di ... un uomo;  e però Gesù essendo nato da una donna che non ha conosciuto uomo, non poteva essere chiamato "figlio di Giuseppe"!
Perciò il Corano, nell'ultimo versetto (12) del capitolo 66 (al-Tahrīm), recita: "E Maria, figlia di 'Imran, che conservò la sua verginità; insufflammo in lei il Nostro Spirito. Attestò la veridicità delle parole del Suo Signore e delle Sue Scritture, e fu una delle devote".
Quando nell'islam si nomina Maria, si aggiunge: "'Alayhā l-salām" (su di essa sia la pace), un titolo che non è dato a nessun santo. Questo titolo viene dato anche dai cristiani a Maria. Vi è tutta una letteratura su Maria nel Corano, scritta da musulmani e da cristiani.
La devozione popolare ai santi cristiani, anche dai musulmani
Cosa spinge i musulmani a intraprendere questi pellegrinaggi? La gente cerca anzitutto di ritrovare la sua fede nell'essenziale; essa cerca un rinnovamento della fede; poi viene anche il desiderio di guarigione fisica. Ma la domanda di una guarigione spirituale è molto più forte. Ciò è molto simile al senso dei pellegrinaggi cristiani.
Va detto che nell'ortodossia musulmana, a parte il pellegrinaggio alla Mecca (hajj), i pellegrinaggi non hanno alcun valore. Escluso quello alla Mecca, si considera questa pratica una specie di idolatria. Per questo i musulmani radicali distruggono tutte le mete di pellegrinaggi, in particolare le tombe dei saggi sufi, che i musulmani mistici invece vanno a visitare ogni anno. Queste distruzioni sono tipiche dei salafiti, i quali compiono di continuo razzie iconoclaste in Tunisia, Libia, Egitto, Mali, Giordania, Pakistan, ecc...
Questa tendenza dell'islam radicale è un po' come il protestantesimo degli inizi: disprezzano la fede popolare come troppo ingenua e distorta. In realtà la gente cerca Dio attraverso le cose quotidiane, ma anche attraverso certi fenomeni o testimonianze straordinari. E non importa che questi siano cristiani o musulmani.
Vi sono visite regolari a san Giorgio in Egitto, al santuario di san Charbel Makhlouf in Libano, alla casa della Madonna a Efeso, frequentata ogni giorno da musulmani, di solito donne. Talvolta questi pellegrinaggi sono fatti per chiedere la grazia di avere un figlio; altre volte per domandare guarigioni fisiche. E sono sempre i musulmani ad andare dai cristiani.
Monaci esorcisti per i musulmani
Un altro elemento spirituale presente nella fede popolare è il timore del demonio. Un fatto che mi è successo molti anni fa, quando ero già religioso, ma non ancora sacerdote, è molto significativo. Ero all'università americana del Cairo e sono entrato e uscito diverse volte in un giorno per alcune ricerche. A un certo punto mi ferma il portiere e con molta gentilezza mi chiede un favore. "Mia figlia sedicenne - mi dice - è posseduta da un demonio". Era la prima volta che sentivo tale espressione nella vita. Lui mi spiega che questo demonio la butta per terra, le fa male. E aggiunge: "L'ho portata dai nostri imam e non hanno potuto fare nulla. Loro stessi mi hanno detto che solo un monaco la può liberare". E mi prega di fare qualcosa.
Io gli prometto che avrei pregato per loro, ma ho visto che è stato deluso dalla mia risposta. Quando poi ho raccontato l'episodio ai miei confratelli, tutti mi hanno criticato, perché secondo loro avrei dovuto operare un esorcismo, secondo il rito previsto dei libri liturgici. E ho scoperto che molti monaci e religiosi sono richiesti dai musulmani per scacciare i demoni dai loro familiari e che tale pratica è molto comune.
Di solito i musulmani vanno dai monaci o dai sacerdoti copti ortodossi e spesso tali esorcismi avvengono in pubblico. Una volta ho assistito ad uno di questi davanti alla piazza della stazione del Cairo (Bāb al-Hadīd), oggi chiamato Mīdān Ramsis, con candele e acqua benedetta. Un uomo, steso a terra, rigido, che bestemmiava ed era storpio ad un certo punto si è calmato.
Alcuni anni fa è giunto in Libano, nel settembre 1994, un sacerdote canadese del movimento carismatico, famoso per i miracoli, il Padre Emilien Tardif (1928-1999) dei Missionari del Sacro Cuore. Decine di migliaia di persone, moltissimi musulmani, lo hanno seguito domandando il suo intervento. La sua causa di beatificazione sta procedendo. Questo fenomeno è un fatto che non so spiegare. Ma penso che Dio dà ad alcuni un dono soprannaturale, da mettere a servizio di tutti. Questi doni sono distribuiti solo in ambiente cristiano, ma vengono certificati, verificati anche da non cristiani.
I miracoli vengono fatti a favore di chiunque ha fede; è la fede che porta Dio ad accordare il miracolo.
Nell'essere umano c'è un bisogno che non è soddisfatto nell'islam, ma che è invece vivo nel cristianesimo. C'è un bisogno di spiritualità, di mistica, di bellezza che viene offerto con facilità più nel mondo cristiano che nell'islam.
La pietà sincera unisce gli uomini. Maria, ponte tra musulmani e cristiani
La cosa più simbolica è stata la decisione del parlamento libanese di creare, tre anni fa, una festa nazionale per tutti, scegliendo la festa dell'Annunciazione di Maria. È stata una decisione voluta da cristiani e musulmani. Nel Corano ricorre due volte il racconto dell'annunciazione (nei capitoli 3 e 19), quasi negli stessi termini del Vangelo, e con uno stile molto più elegante e solenne. In questi testi si attribuisce alla Madonna un carattere di forte sottomissione a Dio e di stupore per quanto le succede, così che Dio stesso la conforta.
Queste esperienze spingono ad una collaborazione, ad una sintonia spirituale con molti musulmani. Se non è preso dal radicalismo islamico - che mescola religione e potere, religione e Stato, religione e politica - il musulmano, come ogni credente, sviluppa nel suo cuore un'apertura al soprannaturale, allo spirituale. Ma questo aspetto non si esprime liberamente nell'islam: anche lo spirituale è programmato, le cinque preghiere quotidiane sono predefinite e devono essere fatte con parole già fissate, tanto che se sbagli nel dirle, devi ricominciare daccapo. L'islam ufficiale manca insomma di spontaneità. Per questo, quando un musulmano cerca qualcosa di più intimo, lo cerca nel cristianesimo.
La devozione crea sentimenti di amicizia e non di antagonismo. In Occidente si dice spesso che le religioni, soprattutto i monoteismi, sono fonte di guerre e divisioni. Questa tesi è falsa dal punto di vista storico e dal punto di vista del contenuto. Certo, in nome della religione si è spesso fatto la guerra. Ma l'uomo lancia guerre in nome di qualunque ideologia e non è la religione a scatenare le guerre. E se pensiamo ai nazionalismi, alle divisioni e alle guerre mondiali avvenute in Europa, dobbiamo dire che il nazionalismo è stato causa di violenza molto più di ogni religione, e che le ideologie atee, nel ventesimo secolo, hanno prodotto più morti che le religioni.
Anche le guerre di religione avvenute in Europa erano basate su fenomeni politici che strumentalizzavano la religione ("cuius regio, eius religio"). Era la visione comune di allora, non la visione suggerita dal Vangelo. Questo legame fra politica e religione è ancora fortemente vissuto nell'islam e pure nell'ebraismo. Avere identificato uno Stato con una religione e con una etnia, generando il sionismo, ha creato un movimento violento che si è nutrito della religione e che crea difficoltà a molti fedeli ebrei che non vorrebbero sostenere la politica di Israele. Da parte islamica, aver identificato la causa palestinese con l'islam ha creato la stessa difficoltà, ed è forse per questo che il processo di pace e una possibile riconciliazione sono bloccati.
A tutt'oggi, a me pare che il cristianesimo sia la religione che tiene più distinte fede e politica, anche se non in modo perfetto ... come tutto ciò che è umano. Lo scrive anche Benedetto XVI nella sua Esortazione apostolica per il Medio Oriente: "La sana laicità, al contrario, significa liberare la religione dal peso della politica e arricchire la politica con gli apporti della religione, mantenendo la necessaria distanza, la chiara distinzione e l'indispensabile collaborazione tra le due." (Ecclesia in Medio Oriente, N° 29).
Di fatto, con i musulmani, appena si parla di Maria, si cambia atteggiamento: c'è un'atmosfera di pietà, di silenzio, di fraternità, come se dopo aver chiacchierato di tante cose, si entra in chiesa e si fa silenzio.
Qualcuno potrebbe vedere qui una specie di sincretismo. Ma in realtà, la devozione è un fenomeno aperto a tutti. Anche in Occidente, nei santuari mariani non ci vanno solo cristiani, ma anche altri credenti, o gente allontanata dalla Chiesa, o addirittura non credenti. E si celebra con chiarezza una liturgia cristiana. E se io, mentre prego la Madonna, vedo un musulmano che prega affianco a me, che problema c'è? Anzi: è un grande conforto perché la devozione è una base molto più forte di rapporto e di amicizia che i legami ideologici, politici o culturali. Chi pensa la fede cristiana in modo esclusivo, come talvolta fa un certo tradizionalismo cattolico, non ha capito ancora pienamente il cristianesimo.

perle,



mercoledì 24 luglio 2013

I bambini hanno bisogno di un padre e di una madre, anche se l’ideologia vuole convincerci del contrario 

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luglio 24, 2013 Giovanni Fighera
padre f 1 

In queste settimane (ma sarebbe più corretto dire anni) nella politica prevale l’ideologia sul buon senso e sull’evidenza della realtà. Vorrei allora proporre una riflessione sull’importanza della presenza di un padre e di una madre per la crescita di una persona. «Serve un padre per differenziarsi dalla madre, per accettare le ferite e riconoscere il senso ed esprimere il proprio Sé, entrando così personalmente nel tempo e nella storia» scrive Claudio Risé in Il padre. Libertà dono.
Nel mito Edipo uccide il padre Laio senza saperlo e sposa la madre Giocasta. La vicenda raccontata dal tragediografo greco Sofocle (496 a. C.-406 a. C.) profeticamente si è avverata nell’epoca contemporanea. Oggi l’uomo risente di una cultura plurisecolare (discendente dall’Illuminismo) che ha distrutto i padri tentando di conservare solo i valori di cui essi erano stati detentori fino ad allora. Il Settecento illuministico francese ha cercato di eliminare Cristo e la Chiesa conservando i valori di uguaglianza, fraternità, libertà che millesettecento anni di storia cristiana avevano portato in Europa. Il tentativo dell’eliminazione della figura del re e della monarchia in Francia e l’abolizione dell’Ancient régime con la Rivoluzione francese rappresentano simbolicamente la cancellazione dell’antico per l’instaurazione del nuovo, la decollazione del padre per l’intronizzazione del figlio.
La storia ha, poi, insegnato che non era possibile realizzare repentinamente questo passaggio brusco e rivoluzionario, perché i gradini si salgono con sacrificio e pazienza, non si possono saltare. I salti bruschi comportano di solito spargimento di sangue e involuzioni dal punto di vista della società e dei valori. Nietzche fa piazza pulita di tutti i padri del passato (Socrate, Cristo, s. Paolo, tradizione, i valori, …) per lasciare il bimbo superuomo solo con se stesso, senza padre né madre. Nel Novecento i segnali di questa ribellione al padre/tradizione/autorità sono moltissimi. Tra questi senz’altro la ribellione sessantottina è uno dei più clamorosi.
Negli ultimi quarant’anni, e oggi in maniera sempre più accentuata, la cultura e il diritto occidentali hanno reso superflua o facoltativa la figura del padre. Abbiamo sentito in questi giorni che in Francia si vuole sostituire la festa del papà e della mamma con la festa dei genitori in modo da non discriminare nessuno. Oggi si pretende, cambiando il nome agli arbitri personali, alle nefandezze, agli omicidi, inserendole nell’ambito del diritto e della legalità, di nobilitare ciò che non è nobile, di far passare come conquista ciò che è, invece, una sopraffazione dei più deboli, di chi non parla, di chi non può ancora dire ad alta voce che vorrebbe avere un padre e una madre.
Nella loro nascita i nomi nascondono sempre la verità delle cose. Il matrimonio deriva da munus matris, ovvero «il dovere o compito della madre». Chi vuole chiamare «matrimonio» l’unione tra due persone dello stesso sesso dovrebbe spiegare perché non possa o non voglia chiamarlo con un nome diverso. Non basta cambiare il nome alle cose per cambiarne la natura. Un cane rimane sempre un cane anche se decidessimo di chiamarlo «gatto». Se due persone dello stesso sesso adotteranno un bimbo, lo priveranno della diversità di un papà e di una mamma. La coppia che cresce un figlio ha la sua ricchezza proprio nella diversità e, in un certo senso, complementarietà della figura dell’uomo e della donna, del padre e della madre. Così è sempre stato nella storia dell’umanità, da quando gli esseri umani si sono distinti dalle fiere, per dirla col Foscolo dei Sepolcri (si vada a leggere la cosiddetta parte vichiana del carme «Dal dì che nozze e tribunali ed are»).
La madre è accoglienza, è pazienza, è colei che ha tenuto nel grembo per nove mesi il figlio, lo ha aspettato vivendo la dimensione del sacrificio e dell’abnegazione. Il femminismo degli ultimi decenni non ha certo valorizzato la donna, ma ha voluta equipararla all’uomo destituendola in realtà di quelle virtù che l’uomo deve spesso imparare da chi ha fatto esperienza dell’ospitalità in modo fisico e direi viscerale. Questa comunione con il figlio per nove mesi rende il rapporto tra madre e figlio fortemente biologico, fisiologico, carnale. Il padre inizia a conoscere il figlio solo dopo averlo visto nascere. Prima, nei nove mesi in cui il bimbo è nel ventre materno, è osservatore, non comunica con lui o poco, difficilmente prende pienamente coscienza della novità, poi diventa nel tempo autorità, legge, colui che pone le regole. Chiaramente ogni famiglia è a sé, in ogni nucleo padre e madre imparano a collaborare, a far crescere i figli, a comunicare loro le proprie esperienze e le proprie capacità. Qui, intendiamo, però, sottolineare che esiste una differenza di genere tra uomo e donna, una differenza ontologica e di storia tra papà e mamma.
Le conseguenze di questo processo di eliminazione della figura paterna sono sotto gli occhi di tutti: aggressività o cieca violenza, senso di sfiducia e di autostima, perdita dell’idea di autorità, incapacità di diventare papà e di creare una famiglia, assenza del senso del limite e del senso del sacrificio con conseguente inadeguatezza di fronte alle sconfitte e alle frustrazioni, atteggiamenti nevrotici o psicotici. Il giovane o l’adulto cerca di inibire o di sopire questa aggressività collettiva o individuale, non controllata e regolamentata, non soggetta al senso dell’autorità e della regola, attraverso assunzione di alcool o droghe (l’inibizione avviene qui attraverso la trasgressione), disinibizione dell’erotismo, forme di evasione come eccessivo uso di televisione e di videogiochi, infinite altre forme di intorpidimento dell’io. La società in cui viviamo è, in maniera simbolica, una «grande madre» che stimola i bisogni degli individui al fine di soddisfarli sempre meglio con beni crescenti, sempre più sofisticati, che tratta i suoi componenti guardando le sue necessità biologiche e fisiologiche. L’individuo regredisce ad una situazione infantile, si sente debole, deprivato di forza e di creatività, svuotato di energia spirituale, concepito solo per avere e possedere. Il giovane, spesso, regredisce allo stadio di dipendenza dalla madre rimanendo in casa fino all’età adulta, lasciandosi cullare da agio e tranquillità domestica.
Al figlio si deve mostrare un modo realistico e ragionevole di rapportarsi con la realtà. Mostrare che non è onnipotente, che ci sono dei limiti da rispettare, dei paletti entro cui camminare è profondamente educativo, perché introduce alla realtà indicando, nel contempo, che c’è anche una via da seguire, un sentiero. Il bimbo coglie così un senso, una finalità, un significato positivo che, nel tempo, imparerà a verificare per sé.
padre-figlioInvece, la pretesa violenta di incanalare il figlio in una strada o di progettarne il futuro non aiutano la sua crescita e la capacità di scelta. Ci si deve allora guardare dal tranello di voler dirigere la vita del figlio. Bisogna imparare a guardare il figlio con quel distacco, che è il contrario dell’indifferenza e della distanza, ma che potremmo descrivere con un’immagine dello scrittore francese C. Peguy. Un figlio è nell’acqua di un  fiume, ma non sa ancora nuotare. Il Padre (rappresenta Dio Padre) non vuole che lui anneghi, allora lo sostiene con le braccia, ogni tanto lo lascia perché vuole che lui impari a stare a galla, ma non può lasciarlo solo completamente perché berrebbe l’acqua. Peguy immagina che Dio dica: «Ho voglia, sono tentato di mettere loro la mano sotto la pancia/ Per sostenerli nella mia larga mano/ Come un padre che insegna a suo figlio a nuotare/ Nella corrente del fiume/ E che è diviso fra due sentimenti./ Perché se da un lato se lo sostiene sempre e lo sostiene troppo/ Il bambino si attaccherà e non imparerà mai a nuotare./ Ma anche se non lo sostiene al momento giusto/ Questo bambino berrà un sorso cattivo».

Come è bello vedere un figlio che acquista consapevolezza dei propri mezzi, nel contempo com’è drammatico lasciare la libertà a chi si vuole bene, coscienti che le scelte dell’altro potrebbero non essere indirizzate al suo bene! Eppure Dio ha deciso di scommettere totalmente sulla nostra libertà, perché senza di essa la nostra condizione non sarebbe dignitosa. Sostegno e libertà sono i due fattori su cui si gioca il rapporto tra genitori e figli. La verginità è quello sguardo capace di guardare l’altro senza pretese, senza desiderio di possederlo, ma con l’attenzione costante al Destino, al bene e alla felicità dell’altro.