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domenica 21 aprile 2024

Padre Michel M. Zanotti-Sorkine:


Padre Michel M. Zanotti-Sorkine: suggerimenti ai Sacerdoti, ma anche ai Fedeli Laici


Per la serie dedicata dal nostro sito al “Don Camillo” dei nostri tempi, vogliamo proporre la figura di un sacerdote che, non solo a parole, ma con la propria vita, dona a noi e a tutti i Sacerdoti ottimi suggerimenti per vivere in questi tempi difficili. Dal canto nostro, compiendo egli 25 anni di sacerdozio proprio quest’anno, vogliamo ringraziarlo e assicurare la nostra Preghiera per i Sacerdoti e per queste Vocazioni…


«Vergogna ai codardi, agli uomini d’apparato, ai cacciatori di promozioni, agli ossequiosi per interesse, agli sdolcinati che inabissano la Chiesa sotto un ammasso di ipocrisia e di viltà!».

«L’imprudenza è la qualità dei santi», in che senso? cosa vuol dire? Fare e pensare senza slancio, senza amore: «Ne ho voglia, non ne ho voglia.» «Questo mi va, questo no.» «Dopo, non adesso.»

«E poi, che altro ancora? Ma per chi mi prende, per un superuomo? Se osi pronunciare queste parole pensandole, tu sei lontano anni luce dalla Luce, e a causa tua Cristo si spegne, là dove voleva passare per illuminare…

La procreazione, che lo si voglia o no, si basa su una certa follia pulsionale che produce la vita. Qualche cosa di questo slancio deve impregnare il sacerdozio.

Non lasciare che il laico interpreti il ruolo del prete, né che il prete interpreti il ruolo del laico… Se Giacomina dice messa e padre Andrea fa il caffè, ancora vent’anni di queste assurdità e le parrocchie saranno vuote. D’altro canto le mele marce ci sono già.»


Questi alcuni dei pensieri contenuti in un libro dal titolo significativo “I tiepidi vanno all’inferno” (Mondadori, pagine 190).

L’autore è un sacerdote dalla vita avventurosa: Padre Michel Marie Zanotti-Sorkine.

ed anche in “CREDERE” – Come si può spiegare Dio, Gesù, la fede a chi non la vive o non la conosce?

Un altro suo libro che raccoglie le risposte di chi ascolta e si pone molte domande, un religioso che consiglia di «amare, anche in modo goffo, ma amare»;

così come un libro dedicato alla Vergine Maria: “Maria, mio segreto”, il segreto di una autentica fede in Cristo vissuta nella gioia di un “Fiat” operativo e non in banale ottimismo:

«… non dimenticare che in te la Vergine sente tutto, capisce tutto, riceve tutto – e soprattutto ripara tutto. Allora, approfittane e vivi con Maria come si vive un amore. È semplice, no? E talmente appagante!»



Ma perché la talare?

Vengono alla mente le parole del Beato Rolando Rivi, Martire: portava sempre con orgoglio l’abito religioso, spiegando che la talare: “È il segno che io sono di Gesù”.

– La veste è una divisa da lavoro, un grembiule da cottimista; seppur nera, è una tuta blu, e niente affatto uno smoking o un abito da cerimonia. Non perdere mai di vista il fatto che la semplicità della tenuta rende gemelli di Cristo.

«Per me – sorride Padre Zanotti – è una divisa da lavoro. Vuole essere un segno per chi m’incontra, e soprattutto per chi non crede. Così sono riconoscibile come sacerdote, sempre. Così per strada sfrutto ogni occasione per fare amicizia. Padre, mi chiede uno, dov’è la posta? Venga, l’accompagno, rispondo io, e intanto si parla, e scopro che i figli di quell’uomo non sono battezzati. Me li porti, dico alla fine; e spesso quei bambini, poi, li battezzo. Cerco in ogni modo di mostrare con la mia faccia un’umanità buona. L’altro giorno addirittura – ride – in un bar un vecchio mi ha chiesto su quali cavalli puntare. Io gli ho dato i cavalli. Ho chiesto scusa alla Santa Vergine, fra me: ma sai, le ho detto, è per fare amicizia con quest’uomo. Come diceva un prete, che è stato mio maestro, a chi gli chiedeva come convertire i marxisti: “Occorre diventare loro amici”, rispondeva».

e… diventare “amici” non significa necessariamente sposare le idee sbagliate che gli amici hanno, anzi, spesse volte certe amicizie servono proprio per tirare fuori gli amici dall’errore: se vengo a sapere che un amico è caduto in disgrazia, ha rubato, ha fatto male qualcosa, ecc… compito del cristiano è aiutare l’amico a tirarsi fuori dall’impiccio in cui è caduto, così ha fatto Gesù per noi.


Poi, in chiesa, la messa è severa e bella. Il prete affabile è un prete rigoroso.

Perché cura tanto la liturgia?

«Voglio che tutto sia splendente attorno all’Eucarestia. Voglio che all’elevazione la gente capisca che Lui è qui, davvero. Non è teatro, non è pompa superflua: è abitare il Mistero. Anche il cuore ha bisogno di sentire».

Lui insiste molto sulla responsabilità del sacerdote e afferma che un sacerdote che abbia la chiesa vuota si deve interrogare; e anche: «È a noi, che manca il fuoco»…

“Anche il cuore ha bisogno di sentire” – accoglie prostitute e senzatetto – “Do loro la comunione. Che dovrei dire? Diventate oneste, prima di entrare qui? Se c’è in loro il pentimento, come il Figliol prodigo che ritorna dal Padre, appena li vedo corro loro incontro e li abbraccio. Cristo è venuto per i peccatori che si pentono e io ho l’ansia, nel negare un sacramento, che Lui un giorno me ne possa rendere conto” – e chiede più sforzi ai suoi confratelli nel sacerdozio: “Il sacerdote è ‘alter Christus’, è chiamato a riflettere in sé Cristo.”

«Questo non significa chiedere a noi stessi la perfezione (anche se è Gesù stesso a chiederci di fare questo sforzo: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” Mt.5,48); ma essere consci dei nostri peccati, della nostra stessa miseria, per poter comprendere e perdonare chiunque si presenti in confessionale… Chi mi cerca prima di tutto domanda un aiuto umano, e io cerco di dare tutto l’aiuto possibile. Non dimenticando che il mendicante ha bisogno di mangiare, ma ha anche un’anima da salvare…»


Non ascoltare i blasfemi della forma che imperversano nei ranghi degli ecclesiastici. Hanno distrutto la bellezza della messa a vantaggio delle ciance, ed è così che il contenuto si è svuotato.

Chi fa a meno della bellezza partorisce la bruttezza.

Dei bei calici e delle belle coppe come per la Pasqua ebraica! Lascia i vasi in terra e altri recipienti per le olive, fintamente poveri e così poco simbolici!

La domenica, come il povero Curato d’Ars che di Vangelo se ne intendeva, prepara la tavola regale, tira fuori le stoviglie più belle che hai, ricopriti di splendore, e sali sull’altare sotto la magnificenza dei grandi organi, l’hanno detto tutti, almeno i teologi più affidabili: tu sei Cristo!

Nel momento del Sacrificio, non una parola né un gesto in sacrestia. La vittima e il prete si preparano.

Corporale, purificatorio, manutergio, senza difetti, bianchi candidi, è il minimo per l’Agnello! Usciresti con indosso una camicia con le maniche e il collo sporchi?

Che gli ornamenti siano all’altezza di quelli che il direttore d’orchestra e i musicisti indossano per una serata di gala all’Opéra di Parigi o la Staatsoper di Vienna. Ed è ancora troppo poco sapendo quale sinfonia fantastica dirige il prete!

Vestendo gli ornamenti per la celebrazione della santa messa, ricordati che il tuo essere, in se stesso e per come appare, deve far piombare il Cielo sulla terra.

Alba immacolata, cingolo annodato, casula brillante, tovaglie ultracandide, copricalice, candelabri d’oro o d’argento, la croce come si deve al centro dell’altare, canti appropriati, fumi d’incenso, cuore in fiamme, tutto è pronto per servire la Bellezza incarnata.

Il coro della chiesa in cui dimorano gli angeli – la tua fede lo ha forse dimenticato? – è un luogo sacro in cui Dio si dona e abita. Per crederlo e rendere a Dio tutta la gloria, il suo accesso deve essere riservato.

La messa non ti appartiene. È di Cristo e della sua sposa, la Chiesa, che vegliano su di lei con il loro amore geloso. Rispettala ricevendola nei suoi riti.

Vano il tempo dedicato a ricostruire la liturgia intorno a un tavolo, a riscrivere il messale, a cercare tre canti in due ore per la messa della domenica! Non occorre più di un quarto d’ora per sistemare ciò che lo è già.

Non perdere il tuo tempo sulle questioni liturgiche. Sono regolate dal Santo Padre che desidera vedere l’amore di Cristo indorarsi sotto la luce sacra di un rito al tempo stesso ordinario e straordinario.

Prendi la messa come si prendono i voti, con il corpo, con l’anima, e muori e resuscita sull’altare, e fai in modo che questo si senta e si veda!

Su un solo inchino si contempla tutta la fede del prete.

In confessionale, padre Michel-Marie va tutte le sere, con assoluta puntualità, alle cinque, sempre.

“La gente, dice, deve sapere che il prete c’è, comunque”. Poi resta in sacristia fino a notte inoltrata, per chiunque desideri andarci:

«Voglio dare il segno di una disponibilità illimitata».

A giudicare dal continuo pellegrinaggio di fedeli, a sera, si direbbe che funzioni. Come una domanda profonda che emerge da questa città, apparentemente lontana.

Cosa vogliono? «La prima cosa è sentirsi dire: tu sei amato.

La seconda: Dio ha un progetto su di te. Non bisogna farli sentire giudicati, ma accolti. Occorre far capire che l’unico che può cambiare la loro vita è Cristo. E Maria. Due sono le cose che secondo me permettono un ritorno alla fede: l’abbraccio mariano, e l’apologetica appassionata, che tocca il cuore».

«Chi mi cerca – continua – prima di tutto domanda un aiuto umano, e io cerco di dare tutto l’aiuto possibile. Non dimenticando che il mendicante ha bisogno di mangiare, ma ha anche un’anima. Alla donna offesa dico: mandami tuo marito, gli parlo io. Ma poi, quanti vengono a dire che sono tristi, che vivono male… Allora chiedo: da quanto lei non si confessa? Perché so che il peccato pesa, e la tristezza del peccato tormenta. Mi sono convinto che ciò che fa soffrire tanta gente è la mancanza dei Sacramenti. Il Sacramento è il divino alla portata dell’uomo: e senza questo nutrimento non possiamo vivere. Io vedo la grazia operare, e che le persone cambiano… – e a chi si stupisce del suo comportamento dice -: Io non sono un santo, e non credo che tutti i preti debbano essere santi. Però possono essere uomini buoni. La gente sarà attratta dal loro volto buono.. (..) Ogni giorno, alla stessa ora, entra nel tuo confessionale, Gesù conosce i tuoi orari, e ti manda le persone…. Non rimandare mai una confessione. Basta un secondo per morire, e potrebbe capitare durante la proroga che tu hai imposto a Dio. ».

Giornate totalmente donate, per strada, o in confessionale, fino a notte.


Altri consigli preziosi


Non permettere ad alcun laico di farti perdere tempo proponendoti una riunione per spostare un mazzo di fiori. Agisci ed evita quelli che non hanno granché da fare e che vogliono strutturare oltremisura il cammino delicato dello Spirito Santo.

Non lasciare che il laico interpreti il ruolo del prete, né che il prete interpreti il ruolo del laico.

Davvero, insisto: liberati dalle riunioni inutili (praticamente tutte), preferisci un buon caffè con i tuoi collaboratori, scegli l’ambito della casa, lascia all’impresa quello dell’impresa.

Non lasciare che i fedeli ti diano del tu. E se lo fanno per lunga consuetudine con te, che premettano padre al tuo nome. Poiché è stato chiesto all’uomo di nominare tutte le cose, è attraverso il linguaggio che la realtà si stabilisce e si riconosce.

I pretesi cristiani «impegnati» che aiutano il prete in parrocchia collocandosi al di sopra dei loro fratelli che bussano alla porta della chiesa per chiedere un sacramento, e sui quali esercitano un diritto di scelta, quelli sono mezzi diavoli. Bisogna riportarli al loro giusto posto di battezzati prima che Dio mostri a che punto «chiunque si innalza sarà abbassato».

Se Giacomina dice messa e padre Andrea fa il caffè, ancora vent’anni di queste assurdità e le parrocchie saranno vuote. D’altro canto le mele marce ci sono già.

Non essere mai prigioniero di un qualsiasi sistema, sia anche stato messo a punto da un’assemblea di votanti. Agisci a partire da Cristo e dalla sua libertà che esplode sotto i versi del Vangelo che abbaglia.

Non gridare mai. Non sei un maiale che viene sgozzato. L’autorità proviene dall’alto, deve passare attraverso di te per arrivare, come da un adulto ai bambini. E tutto va da sé, con semplicità!

I nostri metodi pastorali devono avere un’unica parola d’ordine perfettamente adatta alla natura di Dio, che è semplice come l’amore quando è sincero, e tu l’hai indovinata: semplificazione. Se questa parola ti fa paura e giustifichi i tuoi timori nei suoi confronti, significa che la tua dimora interiore non è più edificata su quella degli apostoli.

Non dire mai: «Io sono il curato, io sono il cappellano, comando io». Comanda e basta, anche agli spiriti impuri, Gesù te lo ha ordinato.

Governare, insegnare, santificare, che piaccia o no agli spiriti confusi che popolano i nostri cenacoli, spetta al prete e a lui solo. Che i laici escano dal tempio in cui il clero li ha ridotti allo stato di rane dell’acquasantiera * e che saltellino come canguri oltre il giardino del curato per andare in cerca dei loro amici che saltellano allegramente lontano dalla fede!

Sei un curato, hai in custodia le anime, governa con la tua intelligenza legata al tuo sentire immediato.

Per quanto riguarda le apparizioni riconosciute di Maria, smetti di dire in modo dotto che non sono di fede. Rimani un bambino per conquistare il bambino che muore nella coscienza dei benpensanti.

«Me ne infischio dei preti colti!» mi ha detto un giorno un ingegnere. «Quello che voglio è che mi diano Dio!»

La Santa Vergine ha un bel dare l’esempio nelle sue apparizioni, e dietro di lei i santi e i mistici in massa, madre Teresa in testa, il rosario non trova sempre il giusto livello d’amore nei suoi figli preti. Orgoglio incorreggibile, razionalismo acuto, indebolimento del senso sovrannaturale o forse incoscienza… «Se non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli.» Stai attento!

Niente di più vile del prete arrivista, diventato muto sui problemi scottanti, vero anti-Giovanni Battista, che liscia il suo vescovo per entrare nel suo clan!

Vergogna ai codardi, agli uomini d’apparato, ai cacciatori di promozioni, agli ossequiosi per interesse, agli sdolcinati che inabissano la Chiesa sotto un ammasso di ipocrisia e di viltà!

Servire sotto il vessillo del perfetto oblio di sé senza temere la pallottola che mira alla testa, ecco Cristo e ciò che devo essere.

Ma da dove inizia questa storia?

C’era a Marsiglia una grande chiesa che anni fa doveva essere demolita, o trasformata in un museo, tanto era vuota, pure nella popolosa Canebière, la centrale arteria in cui si trova. Oggi chi va a Saint-Vincent-de-Paul la domenica mattina vede, già prima delle dieci, un accorrere di fedeli, alcuni perfino con un seggiolino sottobraccio tanto le panche sono gremite, da quando c’è padre Zanotti-Sorkine…

A fronte della crisi della Chiesa in Occidente padre Zanotti-Sorkine scrive:

«Siamo onesti, la verità è questa. Siamo noi, che non abbiamo più il sacro fuoco. L’immagine che diamo del sacerdozio è troppo insignificante. Non tocca più il cuore».


Ma chi è questo prete che cammina per Marsiglia – dove una elevata percentuale della popolazione è di religione islamica e certe strade sembrano dei suk – con addosso la talare svolazzante, così inaspettata che la gente si volta a guardarlo?

La storia di Michel-Marie Zanotti-Sorkine è singolare.

Nato a Nizza nel ’59 da madre ebrea in una famiglia con origini italiane e corse e russe, il suo sangue è un groviglio di radici. Educato dai salesiani, orfano a tredici anni, fin da bambino ha il dono di una fede profonda; e insieme una grande passione per la musica, e una bellissima voce. Intorno ai vent’anni è la musica che ha la meglio, e il ragazzo va a Parigi e diventa uno chansonnier nei night-club. Uno chansonnier di successo, che però, in quel mondo notturno, è preda ancora di una insoddisfazione che rode come un tarlo:

Dio, da lui, cosa vuole?

Finché un giorno non decide, lascia Parigi e entra nell’ordine domenicano.

Irrequieto, passerà poi, affascinato da padre Kolbe, a quello francescano.

Infine, ed è la definitiva scelta, a quarant’anni diventa prete diocesano a Marsiglia: il 30 maggio 1999 è stato ordinato presbitero dal cardinale Bernard Panafieu, arcivescovo metropolita di Marsiglia, che lo ha accolto nella sua diocesi. È stato vicario parrocchiale della basilica del Sacro Cuore a Marsiglia dal 1999 al 2004, capo dei laici Missionari della Carità di Madre Teresa di Calcutta dal 1998 al 2004 e parroco della parrocchia di San Vincenzo de’ Paoli, situata nella parte superiore di La Canebière dal 2004. Questa era una parrocchia completamente in rovina. Sotto la sua guida, questa chiesa ha vissuto una rinascita spettacolare anche nella partecipazione alla messa. Per nomina di monsignor Georges Paul Pontier è stato decano del centro della città di Marsiglia dal 2006 al 2014.

Oggi, a venticinque anni dalla ordinazione, sulla Canebière padre Michel-Marie lo conoscono tutti. È il parroco della Grande Église, come la chiamano lì: la grande chiesa che doveva diventare un museo.


Le croci e le spine…

Nel 2014, dopo aver officiato per dieci anni come parroco a Marsiglia, in accordo con il suo vescovo, ha chiesto di essere accolto come confessore nella cappella della Medaglia Miracolosa in Rue du Bac a Parigi. All’ultimo momento, quando tutto era pronto, la missione gli è stata negata dai funzionari della cappella, a causa della sua popolarità suscitata dalla sua venuta. L’11 settembre 2014, d’intesa con monsignor Georges Paul Pontier e monsignor Jean-Michel di Falco, vescovo di Gap, hanno risposto favorevolmente alla richiesta di don Michel-Marie Zanotti-Sorkine di essere associato alla missione pastorale dei cappellani del santuario di Nostra Signora di Laus.

Il 1º novembre 2014 è stato accolto da più di mille fedeli. In questo santuario mariano, Michel-Marie Zanotti-Sorkine opera come cappellano, confessore e predicatore, anima diversi ritiri e sessioni che coinvolgono centinaia di persone. Dedica il resto del suo tempo alla realizzazione di progetti letterari e artistici.

Da settembre del 2017, secondo monsignor Georges Paul Pontier, egli è al servizio di una comunità laica dedicata che si trova sulla collina di Montmartre, gli “ausiliari del Cuore di Gesù”, dove riceve centinaia di persone ogni settimana. Persegue anche il suo lavoro sacerdotale, artistico e letterario.

La sua missione è quella di raccontare Gesù Cristo e la sua fede a tutti quelli che hanno voglia di ascoltarlo.

Padre Zanotti è un antico e modernissimo prete al tempo stesso, che indossa l’abito talare ma sa parlare ai giovani e a tutti quelli che la fede magari la vorrebbero trovare, ma non sanno dove cercarla.


Predica con la pancia – raccomanda ai confratelli, ossia esprimiti come quando assapori un cibo -. «Vi ho promessi infatti a un unico Sposo» è il grido di san Paolo! Non dare idee su Dio, ma Dio stesso, all’uomo non serve la tua opinione ma la Verità.

Un prete che non parla più del Cielo lo ha lasciato da molto tempo.

Un prete che non evoca mai il purgatorio si priva di speranza.

Un prete che non dice una parola sull’inferno con la voce rotta dal pianto rende vano il suo ministero e forse anche lo stesso mistero della Croce.

Dietro le loro storie, più che nelle loro idee, cercare la fiamma dei santi per accendere le nostre vite; contemplarli prima della gloria ricevuta, maltrattati da tutti, costretti all’isolamento, incompresi nelle file degli eletti, mai abbandonati da Dio. A chi vuoi piacere?

L’ecumenismo da due soldi, che consiste nel volere che i protestanti restino tali, farebbe sussultare i più grandi santi pacifisti della Storia, san Francesco di Sales, il dolce vescovo di Ginevra, per primo! Per amore loro, che sono tuoi fratelli, distruggi la novità della loro dottrina e raccogli di passaggio ciò che vi è nella loro vita di più autenticamente cristiano.

Un pensiero sul SILENZIO


– “Ciò che manca oggi all’anima della vita è una profondità silenziosa, un dirupo di solitudine, un angolo in cui ritirarsi. Non andiamo a cercare troppo lontano, l’ammasso di esseri umani è la prima ragione di questa empietà. Contro di essa, non potremo fare niente; la tela si restringe, il tessuto si tende, le case si sfiorano, e l’altro, con la sua musica e le sue grida, abita con me, peggio, dentro di me attraverso il rigetto che mi suscita.

Passi per le grida, sono umane, opera della mancanza di autocontrollo, meritano indulgenza, ma la musica, quella che si pretende tale, la musica satanica, squartamento di suoni, disordine d’armonia, profanatrice dell’udito, diventata padrona in ogni palazzo, e torrente di nullità che si riversa dalla banchina della metro fino alla superficie: che cosa facciamo contro di essa quando arriva con la sua potenza frustando il gusto e distruggendolo?

La nuova generazione che emerge scendendo sempre più nell’informe e nel limitato si allinea come un sol uomo, o più precisamente come una sola bestia, sull’attenti verso ciò che è dissonante e, senza renderlo esplicito, cosa ancor più grave, lo ama e se ne riempie.

Qui, il silenzio non è solo rotto, ma umiliato. Unica via d’uscita, agire sui nuovi arrivati; è in loro che bisogna recuperare la sensibilità cullandoli con grandi o piccole melodie, che importa, purché l’aria si riconosca e si canticchi.

Il principio è questo: la decomposizione dell’anima passa attraverso l’atmosfera molto più che attraverso le leggi, fossero anche cattive. Se si rovina un’atmosfera, si rovinerà l’uomo. Per me la guerra è quindi aperta e sarà senza tregua in questo campo. E poiché lo Stato lascia correre, correndo sempre dietro alla massa e al voto, le famiglie, rimaste isolate, proteggano i loro figli da questa musica che tale non è, e il silenzio riprenda i suoi diritti nel cuore della casa, al posto del paese.

Ognuno è padrone in casa propria, se lo ricordi.

All’alba, lo consiglio, nessuna voce al di fuori di quella dello sposo, della sposa, aprendo il giorno che inizia, prevedendo il meglio, prima che i bambini, ancora assonnati, buttino giù una cioccolata, chiudano le loro cartelle, un po’ in ansia per le lezioni che non sanno mai a sufficienza.

Un bacio a ognuno nel silenzio ed eccoli pronti. Questa è la vita, la vita normale, senza altre informazioni sgorgate da fuori; questa è la libertà conquistata, senza essere ingannati. Silenzio!

Il seguito della giornata è comprensibile, in quanto imposto. Aggrediti da ogni lato, ci ritorno ancora, non possiamo che subire la pressione dei rumori e dei suoni, dopando il movimento, anestetizzando l’animo, logorando il sistema nervoso. E occhio alla trappola, vi sento prepararla: in nome di mille ragioni giustificabili, la folla di abbindolati prende tutto ciò che viene trasmesso, e mentre riceve ciò che le si vuole dire, uscendo dal suo corso, dimentica di vivere.

Per fortuna cala la notte, e con essa il ritorno all’umano.

Baci, docce, e cena, vi prego, quest’ultima senza immagini, spegnete tutto: siano l’amore e il dono che si ascoltano e si parlano.

Dopo aver lavato i piatti e spazzato il pavimento, tocca a Dio scrivere le ultime parole sul cuore silenzioso, poiché bisogna saperlo, Lui non parla mai al di sopra di altre voci – da qui il suo silenzio in milioni di vite.

Musica stonata, voci troncate, andate in discarica, lasciatemi il mio silenzio pieno. Lasciate che io viva al centro di me stesso e che gusti infine l’arte di essere e di amare. Vattene! Sì, vattene brutto rumore organizzato! Non avrai la mia pelle, i miei nervi, la mia anima, il mio pensiero.”


UN ULTIMO CONSIGLIO-SUGGERIMENTO

– Un brivido ha appena percorso la mia vita, misurata in rapporto a queste parole che con il loro diluvio di esigenze si sono appena abbattute come un uragano sul mio essere, intirizzito fino alle ossa. E non posso che ripetermi a mezza voce, per non morire di paura, che il sacerdozio è temibile, tanto più che la parte che gli spetta nell’opera di Dio sul mondo è irriducibile. Inutile nascondersi dietro l’azione divina, che, pare, da sola e senza alcuna cooperazione umana potrebbe tirare fuori dal liquame dell’indifferenza e della non fede le anime eternamente amate. Purtroppo no!

Queste devono passare, mi spiace, attraverso il velo spesso opaco della materia sacerdotale per aspirare ai cieli cui sono promesse. Ciò significa: a preti tiepidi, risultati tiepidi o compromessi. Sarebbe meglio d’altronde per il bene della maggioranza accettare questa evidenza piuttosto che prendere a pretesto la libertà di Dio che domina le meditazioni umane, sempre pronto a riparare le nostre barche arenate, con gli alberi arrugginiti a forza di rimanere nel porto.

Dai, una piccola scossa allo scafo della barca, a quello del prete e a quello dei battezzati che lo seguono, ed eccoci ripartiti sui flutti, felici di remare come san Paolo alla volta di terre sconosciute agli ordini di capitan Cristo! Certo, il cielo è cupo ma a portata di mano – diciamocelo –, poiché sotto il suo grigio lattiginoso che potrebbe preoccupare il più navigato dei marinai, l’azzurro soleggiato illumina il firmamento di Dio, segno inequivocabile che riaccende la vittoria finale.

Prima di allora, ai contrattempi prevedibili del viaggio, potrebbe non essere vano – e non si tratta di una scappatoia per mitigare il terrore della responsabilità – ricordare la condizione di strumenti quali noi siamo, irrimediabilmente fragili a detta dello stesso Paolo di Tarso, che doveva certo sentire sopra la sua carcassa di combattente di Dio le crepe possibili e anche costitutive del vaso di argilla che era. «Io sono di carne, venduto come schiavo del peccato» scriveva ai Romani. «Io non riesco a capire neppure ciò che faccio … io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio.» E malgrado tutto, c’è il male che compie e il bene che si è realizzato e si realizza ancora attraverso di lui in proporzioni inaudite attraverso i secoli e nei cuori.

Ciò significa che Dio non se ne fa nulla della nostra santità? Io lo credo. Soprattutto, non infuriatevi, voglio parlare sicuramente dell’immagine dipinta a tinte sgargianti, scolpita di virtù nel marmo o nella pietra ormai infrangibile, di uomini e donne seduti nella loro gloria, appollaiati sopra gli altari delle nostre chiese, inseriti nel pantheon del calendario, paralizzati nella loro statura definitiva di esseri umani perfetti. Questa santità esiste solo in virtù del tempo che la ratifica imprimendola nell’arte, ma… una volta terminata la lotta. Perché lotta nella loro vita c’è stata, e contro loro stessi, soprattutto.

Ed è qui che voglio arrivare, con l’aiuto e l’approvazione di tutti i santi.

Dio non aspetta la perfezione dello strumento per servirsene.

Questo vale per il prete ma anche per tutti i cristiani che si sporcano le mani. Dio si impossessa del più sfondato dei vasi, e versa nelle gole assetate l’acqua viva della sua grazia, sempre contento e quasi fiero di utilizzare, mille volte incrinato e incollato, il povero contenitore, tanto che quest’ultimo, all’altezza del suo nome, lascia fare e tiene botta.

Questa non è evidentemente una ragione per rompere il suo vaso da tutte le parti, ma comunque la verità è lì: «Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole».

Forte di questa debolezza, e condannata con fermezza la via dello scoraggiamento, la Chiesa può allora concedersi la gioia di un lavoro incessante al servizio di un Maestro che lui solo, di fatto, è santo. Che tutti i battezzati se ne ricordino!”


Una cosa è certa, egli incarna il tipo di pastore indicato con forza da papa Francesco e, contemporaneamente, il rigore dogmatico e dottrinale di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI al quale, per altro, Padre Zanotti fa riferimento specialmente per l’Anno Sacerdotale 2009-2010 e per il dono del Summorum Pontificum nel 2007. Le liturgie curatissime di questo sacerdote francese vanno di pari passo con la sua accoglienza a 360 gradi. In questi tempi difficili, i luoghi da lui frequentati e governati, sono sempre pieni di fedeli e le conversioni dilagano.



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