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giovedì 16 maggio 2024

per arrivare a Dio bisogna scendere

 Io pensavo

che per arrivare a dio

fosse necessario salire, salire

e invece,

leggendo il vangelo,

ho capito

che per arrivare a Dio

bisogna scendere,

scendere, scendere.

Perché tutto il mistero

di Gesù Cristo

non è altro che una discesa:

è disceso per farsi uomo,

è disceso

nascendo a Betlemme

nella povertà

è disceso

vivendo a Nazareth

nelľ'umiltà,

è disceso

soprattutto

nel mistero della croce.

Charles de Foucauld

I vecchi

 Ma i vecchi, che odorano di urina, che sono malfermi sulle gambe, temono di essere scherniti e non più necessari a questa tremenda delazione

della cattiveria.

I vecchi, che si mettono sul cuscino ad ascoltare le parole della loro giovinezza, vedono miriadi di angeli che salgono dalla terra al cielo, e senza leggere più, perché sono ciechi, odono parole superbe.


@(Alda Merini--dal La Carne degli Angeli) pag 90

mercoledì 15 maggio 2024

mostrati Signore

 A tutti i cercatori del tuo volto

mostrati, Signore;

a tutti i pellegrini dell’assoluto,

mostrati, Signore;

con quanti si mettono in cammino

e non sanno dove andare

cammina, Signore;

affiancati e cammina con tutti i disperati

sulle strade di Emmaus;

e non offenderti se essi non sanno

che sei tu ad andare con loro,

tu che li rendi inquieti

e incendi i loro cuori;

non sanno che ti portano dentro;

con loro fermati poichè si fa sera

e la notte è buia e lunga, Signore.


David Maria Turoldo


domenica 12 maggio 2024

L’amore

 L’amore

"L’amore non è soltanto una relazione con una particolare persona: è un’attitudine, un orientamento di carattere che determina i rapporti di una persona col mondo, non verso un «oggetto» d’amore.

Se una persona ama solo un’altra persona ed è indifferente nei confronti dei suoi simili, il suo non è amore, ma un attaccamento simbiotico, o un egotismo portato all’eccesso.


Eppure la maggior parte della gente crede che l’amore sia costituito dall’oggetto, non dalla facoltà d’amare.

Infatti, essi credono perfino che sia prova della intensità del loro amore il fatto di non amare nessuno tranne la persona "amata".

Questo è un errore. Poiché non si vede che l’amore è un’attività, un potere dell’anima, si ritiene che basti trovare l’oggetto necessario e che, dopo ciò, tutto vada da sé.

Questa teoria può essere paragonata a quella dell’uomo che vuole dipingere ma che, anziché imparare l’arte, sostiene che deve solo aspettare l’oggetto adatto, e che dipingerà meravigliosamente non appena lo avrà trovato.


Se amassi veramente una persona, amerei il mondo intero, amerei la vita.

Se posso dire a un altro "ti amo", devo essere in grado di dire "amo tutti in te, amo il mondo attraverso te, amo in te anche me stesso".


 ~ Erich Fromm  "L’arte di amare"❤️

Nostra Mamma Maria

 Nostra Mamma Maria 


“ La mia più bella invenzione, dice Dio, è Mia Madre.

Mi mancava una Mamma e l'ho fatta.

Ho fatto Mia Madre prima che Ella facesse Me. Era più sicuro.

Ora sono veramente un Uomo come tutti gli altri uomini.

Non ho più nulla da invidiar loro, poiché ho una Mamma.

Una vera.. Mi mancava


Mia Madre si chiama Maria, dice Dio.

La sua anima è assolutamente pura e piena di Grazia.

Il suo corpo è vergine e pervaso da una luce tale che sulla terra

mai Mi sono stancato di guardala, di ascoltarla, di ammirarla.

E' bella Mia Madre, tanto che lasciando gli splendori del Cielo,

Non Mi sono trovato sperduto vicino a Lei.


Eppure so bene, dice Dio, che sia l'essere portato dagli Angeli;

beh, non vale le braccia d'una Mamma, credetemi...


Maria Mia Madre è morta, dice Dio.

Dopo che io ero risalito verso il Cielo,

Ella Mi mancava, Io le mancavo.

Ella Mi ha raggiunto, con la sua anima,

con il suo corpo, direttamente.


Le dita che hanno toccato Dio non potevano immobilizzarsi.

Gli occhi che hanno contemplato Dio non potevano irrigidirsi.

Quel corpo purissimo che aveva dato un corpo a Dio

non poteva marcire mescolato alla terra.


Gli uomini ora in cielo hanno una Mamma

che li segue con gli occhi, con i suoi occhi di carne.

In Cielo hanno una Mamma che li ama con tutto il cuore,

con il suo cuore di carne.

La Mia più bella invenzione è Mia Madre.”


(Michel Quoist)

giovedì 9 maggio 2024

L'amore

 Credo che il senso della vita sia nell'amore, nell'amore per gli altri, nell'amore per la natura, nell'amore per la bellezza, nell'amore per la verità. Credo che l'amore sia la forza più grande che ci sia, la forza che ci fa andare avanti, che ci fa sperare, che ci fa credere che la vita ha un senso.


Etty Hillesum (1914-1943), Lettere e scritti dal campo di concentramento, 1942-1943

martedì 7 maggio 2024

Per vivere

 UNA CERTEZZA E UNA SPERANZA: Per scampare da una vita impossibile l’uomo, an­che quando non se ne avvede o addirittura lo nega, ha sem­pre bisogno di tre sussidi primari: un patrimonio di certez­ze, una qualche speranza affidabile, un’appartenenza. Quando vengono meno, si profila nell’animo la tentazione orrenda del suicidio.

Senza certezze non solo non si può agire, ma neppure si può pensare o parlare. Nel momento che pongo un at­to qualsivoglia o proferisco una parola, per ciò stesso mi appoggio a una persuasione. Anzi, senza che si abbiano le idee chiare su come stanno le cose, non ci sarebbe le­gittimamente concesso di fare un solo passo avanti nell’e­sistenza,

Tanto è vero che, in mancanza di certezze autentiche, gli uomini sono costretti ad avvalersi di sicurezze puramen­te funzionali; che sono inconsistenti in sé, ma che vengono deputate a surrogare il compito proprio della verità. Così fioriscono le varie ideologie: tutte si fondano su assiomi che, senza giustificarsi razionalmente e senza darsi nemme­no la briga di millantare un’origine da una divina rivelazio­ne, cercano di imporsi come indiscutibili finché da sole dis­seccano al vento della storia.

C’è perfino – la più patetica forse di tutte – l’ideologia dello scetticismo, del dubbio sublimato a valore, della com­piaciuta impossibilità di asseverare qualcosa; ed è quella di solito difesa e propagandata con più indubitabile convinzio­ne e più dogmatica intransigenza,

È fatale che tutti si diano, più o meno arbitrariamente, dei punti fermi. Chi colpevolizza le certezze, si riferisce sempre, anche se non se ne accorge, alle certezze altrui.

Ma per vivere ci vuole anche un traguardo, un futuro auspicato migliore verso cui tendere, una finalizzazione del proprio agire.

Sia un ideale «imperiale» di dominio politico, sia il «so­le» di una società di perfetta giustizia, sia un assetto econo­mico di inesauribile prosperità, gli uomini si sono sempre inventati qualcosa verso cui guardare. Non si può vivere senza una speranza, che però miseramente non cada «al­l’apparir del vero».

Infine è indispensabile che ci sia dato il conforto di qualche appartenenza, perché siamo stati creati per essere membra di un organismo vivo e ci sentiamo persi se restia­mo soli. In mancanza di questo organismo vivo, che è stato pensato per noi nel disegno del Padre, si impongono i suc­cedanei più diversi: una loggia che assicuri solidarietà, un partito-chiesa, un club tra persone socialmente affini, una squadra di calcio che diventa una ragione di vita, ecc.

L’avvenimento cristiano offre tutti e tre questi necessari aiuti all’esistere nella loro forma più alta, che è anche l’uni­ca vera perché corrisponde all’eterno progetto divino: una Rivelazione che illumina tutto dall’alto, una speranza che non appassisce, una vita di comunione nella famiglia di Dio.

Se ne ricava che una proposta del Vangelo che evita di porre in risalto le verità della fede e, come vergognandose­ne, le annebbia privilegiando la presentazione dei valori umanitari e sociali; che quasi non parla più della «vita eter­na» e del «mondo che verrà»; che non canta la gioia e la fie­rezza dell’appartenenza ecclesiale, e anzi pare che se ne senta imbarazzata, non corrisponde alle richieste più intime e sostanziali dell’uomo di tutti i tempi. (Guai a me)

Il soffio

Il soffio

 «Il mio supplizio/ è quando/ non mi credo/ in armonia». Parole di Giuseppe Ungaretti nei Fiumi, poesia in cui tratteggia, nello scenario bellico della Prima guerra mondiale a cui partecipò, un rarissimo momento di felicità trovato immergendosi nelle acque di un fiume per lavarsi dalla sporcizia e dalle tenebre in cui era precipitato. Le vorrei usare per ringraziare della fortuna di aver festeggiato un nuovo compleanno e le 200 puntate di questa rubrica. 

Il supplizio di cui parla il poeta ci tocca tutti: siamo infelici in misura di quanto siamo dis-armonici e dis-integrati, cioè mancanti di sintonia e unione nelle tre direzioni fondamentali dell'eros: con noi stessi (il supplizio è la distanza tra chi siamo e chi siamo chiamati a essere: in-autenticità), con il mondo (il supplizio è l'isolamento dalle cose, in-differenza, e dagli altri, in-appartenenza), con dio, con la minuscola a indicare la ricerca di senso (il supplizio è la paura che l'esistenza non ne abbia, in-sensatezza). Per un essere fatto di, nelle e per le relazioni le ferite di queste dimensioni sono il supplizio: l'eros, energia attraverso cui cresciamo e gioiamo, si spegne e noi con lui. Come fare a (ri-)trovare l'armonia e vivere la felicità del poeta purificato dalle acque del fiume? Perché e con chi siamo in guerra?

Il poeta soldato dice di soffrire non perché «non è» ma perché «non si crede» in armonia, differenza abissale: l'armonia non è un traguardo da raggiungere ma uno stato che perdiamo o dimentichiamo. Se dico ai miei studenti: «Adesso prestate molta attenzione», si mettono in tensione, quando invece dovrebbero chiudere gli occhi e rilassarsi, come nell'abbandono alle acque che fanno sentire il poeta «una docile fibra dell'universo», unito nelle tre direzioni, personale, relazionale e trascendente. Se il nostro corpo è arrivato a credere che l'armonia sia allerta e non abbandono, è perché siamo permeati dalla spossante convinzione che la felicità sia una performance, qualcosa da ottenere, raggiungere, afferrare, e non semplicemente da ricevere, coltivare, liberare. Mi ha spesso guarito da questa idea tossica la doppia (è rivolta alle due categorie sociali degli ascoltatori) parabola che Cristo usa nel vangelo per descrivere non una religione ma la vita: «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra» (Mt 13). 
Il regno dei cieli o regno di Dio nel vangelo non è un posto sulle nuvole o da raggiungere dopo la morte, ma una metafora per indicare dove Dio regna cioè dove la vita trabocca, una vita viva da subito: la gioia qui, ora e sempre, anche nelle burrasche. E come si legge non è qualcosa da raggiungere ma che ci raggiunge dove siamo, una grazia, un dono. Di fronte a questa «fortuna», si vende tutto, come quando ti innamori e tutto il resto passa in secondo piano. Credenti o no, qui ci si libera dalla felicità-traguardo e ci si apre a una possibilità diversa: la vita ti trova lei, tu lo senti dove e quando sei vivo, fai esperienza di ciò che ti fa crescere, e a quel punto non puoi perder tempo con il resto, perché hai l'essenziale e in abbondanza. Nel compleanno mi sono chiesto a che punto sono con questo essenziale nelle tre dimensioni dell'eros: me stesso, il mondo (cose e persone), dio. A che punto sono con l'esser vivo in ogni circostanza, anche nella tempesta? Lo psichiatra Viktor Frankl, pochi mesi dopo la liberazione dal campo di concentramento, tenne tre affollate conferenze all'Università popolare di Vienna, nella prima delle quali descrisse l'esperienza della prigionia da una prospettiva insolita: «Ciò che rimane è l’essere umano, il mero essere umano. Tutto lo aveva abbandonato: denaro, fama, potere; non c’era più niente di sicuro: non la vita, non la salute, non la felicità; tutto era stato messo in discussione: vanità, ambizione, relazioni. Tutto si era ridotto alla nuda esistenza. Reso incandescente dal dolore, tutto l’inessenziale si era fuso riducendo l’essere umano a ciò che, in ultima analisi, era: o uno qualunque nella massa, cioè nessuno di reale, cioè l’anonimo, nient’altro che il numero di matricola di un prigioniero; oppure riducendolo al suo sé». Se ci tolgono ogni cosa che resta di noi? Nulla o il sé autentico? Il discrimine tra la prima o la seconda opzione per Frankl dipende da «qualcosa di simile a una decisione... perché l’esistenza, alla cui nudità e inermità l’uomo era stato ricondotto, non è altro che questo: decisione». Che cosa intende lo psichiatra viennese per “decisione”? «Compiere un rovesciamento di 180° attraverso cui la domanda non è più “Cosa devo aspettarmi dalla vita?”, bensì “Cosa si aspetta la vita da me?”. Quale compito mi aspetta nella vita? Adesso comprendiamo quanto sia mal posta la domanda sul significato della vita, se la poniamo come si fa di solito: non siamo noi a poter fare domande sul senso della vita, ma è la vita stessa che le rivolge a noi, è lei a interrogarci! E siamo noi quelli tenuti a rispondere. La vita è un essere-interrogati, tutto il nostro essere è un rispondere alla, o della, vita, un esserne responsabili. Assumendo una posizione del genere più nulla può spaventarci, nessun futuro, nessuna apparente mancanza di futuro. Ora, infatti, il presente è tutto, poiché racchiude l’interrogativo eternamente nuovo che la vita ci rivolge. Quello che ci riserva il futuro, invece, non abbiamo bisogno di saperlo» (Sul senso della vita). 
Parole a cui sono tornato spegnendo le candeline: quante altre ne avrò? In questa prospettiva la domanda è mal posta e senza risposta. Il punto è invece sgombrare il presente, il più grande serbatoio di sorprese, nel bene e nel male, dal rumore, la paura, le illusioni che gli impediscono di farmi la domanda su cosa si aspetta da me. Che cosa mi chiede la vita ora? Che cosa mi rende vivo nei tre spazi del fiorire: me stesso, il mondo, dio? Mi sono allora chiesto quali siano i tesori nascosti trovati sino ad ora in ognuno di questi ambiti, per vendere tutto ciò che è nulla al confronto. Mi è tornato allora in mente che trent'anni fa, il 1 maggio, nel Gran Premio di Imola moriva il più forte pilota della storia: Ayrton Senna. Allora seguivo con passione la Formula Uno con mio padre. Vidi in diretta l'incidente, ricordo tutto. Avrei compiuto 17 anni l'indomani, e sentii il morso di quella fine incombere sul mio inizio da rinnovare. Volevo sapere tutto dell'incidente: se anche Senna muore, figurati io... Lessi che nella tuta che indossava in gara era stato trovato un biglietto con scritto: «Nessuno mi può togliere l’amore che Dio ha per me». Quello era tutto il suo presente, il tesoro nascosto. Più cresco più mi sembra che la vita non abbia un traguardo da raggiungere ma che il traguardo siamo noi se ci lasciamo raggiungere, qui e ora, dalla grazia di essere nati per poi, forti di questo eros, far nascere il presente. Solo quando trovo in me ciò che non può essermi più strappato riesco a vedere nelle candeline non quanti anni di vita compio, ma quanta vita si compie negli anni. E soffio.


Alessandro D'Avenia

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lunedì 6 maggio 2024

AMAI

 AMAI

Amai trite parole che non uno

osava. M'incantó la rima fiore

amore,

la più antica, difficile del mondo.

Amai la verità che giace al fondo,

quasi un sogno obliato, che il dolore 

riscopre amica. Con paura il cuore 

le si accosta, che più non l'abbandona.

Amo te che mi ascolti e la mia buona 

carta lasciata al fine del mio gioco.

🖊️ Umberto Saba

domenica 5 maggio 2024

. Senza l’aiuto della preghiera

 “Credo che sarebbe una grande tragedia se gli uomini perdessero la loro fede nella preghiera. Senza l’aiuto della preghiera forse avrebbero fallito dove sono invece riusciti. Questo mi ha permesso di raggiungere quello che ho fatto, Dio ha fatto di me un semplice strumento della Sua volontà, per la rivelazione del suo potere divino”

Guglielmo Marconi 

sabato 4 maggio 2024

abbiamo bisogno l’uno dell’altro

 “Caro Theo,

ti scrivo per dirti quanto ti sono grato della tua visita.

Quando ti ho rivisto e ho preso a camminare con te, ho avuto una sensazione che da tempo non provavo più, come se la vita fosse qualcosa di buono e prezioso da tener caro. Mi sono sentito più vivo e più allegro di quanto non mi sia sentito da molto tempo, poiché man mano la vita è diventata per me meno importante, meno preziosa e quasi indifferente. Almeno, così credevo. Quando si vive con gli altri e si è uniti a loro da un affetto sincero, si è consapevoli di avere una ragione di vita e non ci si sente più del tutto inutili e superflui: abbiamo bisogno l’uno dell’altro per compiere lo stesso cammino come compagni di viaggio, ma la stima che abbiamo di noi stessi dipende molto anche dai nostri rapporti col prossimo”


Vincent Van Gogh

venerdì 3 maggio 2024

Rischiare

 Rischiare

Ridere è rischiare di apparire matti,

piangere è rischiare di apparire sentimentali.

Tendere la mano significa rischiare di impegnarsi, mostrare i sentimenti è rischiare di esporsi.

Far conoscere le proprie idee ed i propri sogni è rischiare di essere respinti.

Amare è rischiare di non essere contraccambiati,

vivere è rischiare di morire,

sperare è rischiare di disperare,

tentare è rischiare di fallire.

Ma noi dobbiamo correre il rischio!

Il più grande pericolo nella vita

è quello di non rischiare.

Colui che non rischia niente

non fa niente, non ha niente, non è niente.

Evita la sofferenza, il dolore,

ma non impara, non prova sentimenti,

non cambia, non cresce, non vive.

È uno schiavo che ha venduto la sua libertà.

Soltanto chi rischia è libero.

Il pessimista si lamenta del vento,

e l’ottimista è certo che cambierà direzione.

Il realista indirizza la sua rotta in conseguenza di esso.

(Rischiare, Rudyard Kipling)

IL DRAMMA DI DIO

 IL DRAMMA DI DIO


"Io non prego perché Dio intervenga.

Chiedo la forza di capire, di accettare, di sperare.

Io prego perché Dio mi dia la forza di sopportare il dolore e di far fronte anche alla morte con la stessa forza di Cristo.

Io non prego perché cambi Dio, io prego per caricarmi di Dio e possibilmente cambiare io stesso, cioè noi, tutti insieme, le cose.

Infatti se, diversamente, Dio dovesse intervenire, perché dovrebbe intervenire solo per me, guarire solo me, e non guarire il bambino handicappato, il fratello che magari è in uno stato di sofferenza e di disperazione peggiore del mio? 

Perché Dio dovrebbe fare queste preferenze?Perché dire: Dio mi ha voluto bene, il cancro non ha colpito me ma il mio vicino! E allora: era un Dio che non voleva bene al mio vicino? E se Dio intervenisse per tutti e sempre, non sarebbe un por fine al libero gioco delle forze e dell’ordine della creazione? 

Per questo per me Dio non è mai colpevole. 

Egli non può e non deve intervenire.Diversamente, se potendo non intervenisse, sarebbe un Dio che si diverte davanti a troppe sofferenze incredibili e inammissibili.

Ecco perché, come dicevo prima, il dramma della malattia, della sofferenza e della morte è anche il dramma di Dio."


Padre David Maria Turoldo

Amore non è amore

 Amore non è amore

Amore non è amore

se muta quando scopre un mutamento

o tende a svanire quando l’altro s’allontana.

Oh no! Amore è un faro sempre fisso

che sovrasta la tempesta e non vacilla mai;

è la stella-guida di ogni sperduta barca,

il cui valore è sconosciuto, benché nota la distanza.

Amore non è soggetto al Tempo, pur se rosee labbra e gote dovran cadere sotto la sua curva lama;

Amore non muta in poche ore o settimane, ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio:

se questo è errore e mi sarà provato,

io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato.

Il Sonetto 116 

William Shakespeare.

giovedì 2 maggio 2024

Impara a fare ogni cosa con leggerezza

 E’ buio perché ti stai sforzando troppo. Con leggerezza, bimba, con leggerezza. Impara a fare ogni cosa con leggerezza. Sì, usa la leggerezza nel sentire, anche quando il sentire è profondo. Con leggerezza lascia che le cose accadano, e con leggerezza affrontale. Dunque getta via il tuo bagaglio e procedi. Sei circondata ovunque da sabbie mobili, che ti risucchiano i piedi, che cercano di risucchiarti nella paura, nell’autocommiserazione e nella disperazione. Ecco perché devi camminare con tale leggerezza. 

Con leggerezza, tesoro mio.


Aldous Huxley


 

La rivoluzione d'ottobre

 Riprendiamo sul nostro sito un testo di Giovannino Guareschi, pubblicato in G. Guareschi, Il corrierino delle famiglie, pp. [a breve l'indicazione]. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Su Giovannino Guareschi, vedi su questo stesso sito anche:

Il Centro culturale Gli scritti (24/6/2015)

N.B. de Gli scritti. La Pasionaria è il soprannome di Carlotta Guareschi, figlia di Giovannino, che all’età del suo ingresso nella scuola – di cui qui si parla – parlava di lei utilizzando il pronome “me”.

La Pasionaria era già pronta per uscire: si sedette con molta serietà sull’angolo del divano.

- Me aspetto, - disse.

Mi alzai e, agguantata la giacchetta, me la infilai.

- Sono pronto anche io, - risposi avviandomi verso la porta. Ma la Pasionaria non si alzò e, quando fui sul pianerottolo e non la vidi arrivare, tornai sui miei passi e trovai la Pasionaria ancora seduta dignitosamente sull’angolo del divano.

- E allora? - domandai.

- La barba, - rispose la Pasionaria senza scomporsi.

Ora bisogna considerare che io, nato nel cuore dell’Emilia, terra di grandi passioni, sono un impulsivo e così, spesso mi accorgo di aver detto cose che non ho avuto il tempo di pensare. Davanti a quella assurda pretesa, mi ribellai con irruenza. 

- Tua madre mi ha conosciuto che avevo la barba lunga, mi ha sposato che avevo la barba lunga e non si è mai sognata neppure che io, per uscire con lei, dovessi farmi la barba. Chi sei tu che avanzi simili pretese?

- Io sono me, - rispose calma, quasi gelida, la Pasionaria.

Andai a farmi la barba. Poi dovetti cambiarmi anche la giacca e i calzoni e spolverarmi le scarpe: ma feci tutto ciò con tale aria di superiorità e di disgusto che, se non ha la pelle di rinoceronte, la Pasionaria deve averlo capito perfettamente.

Camminammo in silenzio per le strade del dolce autunno milanese e ben presto arrivammo dove dovevamo arrivare. 
Nel piazzale davanti alla scuola c'era gente: mamme, babbi, bambini, bambine e bidelli come nelle prime pagine di Cuore: e io ripensai all'altra volta, quando avevo portato nello stesso piazzale Albertino e poi lo avevo abbandonato ed egli era scomparso nella mandria, come un mattone nel muro
Io sentivo nella mia mano la piccola mano tiepida della Pasionaria e vedevo le mamme ed i bimbi ed i babbi, ma non respiravo l'aria di Cuore e non pensavo alle paroline zuccherate di Edmondo De Amicis. 
Avevo la bocca piena di parole amare e le masticavo a bocca chiusa e le mandavo giù, una per una, e molte mi si fermavano in gola. Ancora una volta dunque sta per avvenire il sopruso e io dovrò lasciare la tua mano, Pasionaria, e tu andrai ad incunearti nel buchino rimasto aperto nel muro. 
Dunque addio anche a te, Pasionaria: tu esci dalla mia vita ed entri nella vita dello Stato. 
Ti insegneranno l'ipocrisia statale e anche i tuoi pensieri non saranno più tuoi e vedrai le cose con gli occhi del Ministero. 
Adios, Pasionaria
.

Anche questa volta, come per Albertino, io dovrò accettare il sopruso,dovrò aggiogare anche te, con le mie mani, al barbaro, orrendo, smisurato carro dello Stato.

Adios, Pasionaria!

Io, un tempo, quando sfogliavo le vecchissime Domeniche del Corriere leggevo sorridendo la spiegazione de Le nostre pagine a colori e mi facevano pena le donnette dei lontani paesi del mezzogiorno che si mettevano in rivoluzione per impedire che vaccinassero i loro bambini. Ma allora non capivo un accidente e pensavo alla greve ignoranza, e alle nebbie grasse della superstizione che inducevano le povere donnette a reputare i medici governativi emissari di chi sa mai quale paurosa centrale di maleficio. E invece le donnette agivano per istinto e credevano di difendere le loro creature dal maleficio, mentre le difendevano dal sopruso dello Stato.

È un sopruso necessario ma la lancetta del medico che, per legge, inocula il benefico vaccino nel braccino di vostro figlio, è una zanna del gran mostro, lo Stato, che uncina una nuova tenera vittima.

Adios, Pasionaria: io adesso abbandonerò la tua mano tiepida e ti sacrificherò al dio crudele creato dalla gente che non crede in Dio perché, se vi credesse, potrebbe vivere felice all’ombra delle sue Eterne Leggi.

Adios, Pasionaria: lo Stato fa le strade e fa camminare le ferrovie e illumina le città, di notte, ma ci toglie la libertà, e regola i nostri atti e anche i nostri pensieri, e sempre più ci avvince nella matassa ormai inestricabile  delle sue leggi e dei suoi regolamenti, e sempre più ci trasforma in trascurabili ingranaggi di un'orrenda macchina che consuma sangue e serve solo a macinare aria. 
E io che mi indigno se il treno ritarda di cinque minuti, il treno dello Stato, io ora sono pieno di amarezza perchè debbo permettere che lo Stato mi porti via la mia bambina per insegnarle l'abicì governativo
Quale tempesta nel tenero cranio di un povero borghese che cerca di difendere la propria personalità e quella dei suoi figlioli da quel mostro che egli stesso ha contribuito a creare e che egli stesso alimenta, togliendosi il pane di bocca.

Adios, Pasionaria.

* * *

Ormai le squadre si erano composte e le mamme e i padri si erano ritirati in mezzo al piazzale e i bambini erano rimasti tutti soli, addossati al muro della scuola.                                                

Mancava soltanto la Pasionaria ed io allentai le dita. 

In quel momento le porte si aprirono ed i bambini cominciarono ad entrare.

Un tassì era fermo all'angolo: lo raggiunsi di corsa e, spalancato lo sportello, mi buttai dentro come un sacco di patate. 

La macchina partì di gran carriera e navigò per le strade di Milano e puntò verso la periferia. E, quando fu davanti all'acqua azzurra dell'Idroscalo, la macchina si fermò e noi scendemmo.

Dico "scendemmo" perchè la Pasionaria era con me.
La Pasionaria era col ribelle. I viali attorno al laghetto erano pieni di sole e deserti e ci divertimmo parecchio. 

Ma io pensavo che a casa ci aspettava lo Stato: Margherita

E questo mi amareggiò il divertimento. E quando a mezzogiorno tornammo, Margherita domandò alla Pasionaria com'era andata e la Pasionaria rispose che era andato tutto bene, che la signora maestra era buona, eccetera eccetera.

Poi mi guardò strizzandomi l'occhio perchè si era stabilito che lei avrebbe dovuto dire questo e quest'altro, e così, con una strizzatina d'occhio,finì la mia rivoluzione d'ottobre