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giovedì 7 ottobre 2021

La vera salvezza sta nel cedimento dell’Io Luca M. Possati

Osservatore Romano, 2 ottobre 2021


 

 

L’inconscio, Dio, il lascito dei Padri della Chiesa. Temi di cruciale importanza in Jacques Lacan.

La lettura dello psicoanalista francese costringe ancora oggi a tornare a riflettere. Del rapporto tra Lacan e la teologia, in occasione del convegno alla Sapienza di Roma, abbiamo parlato con Massimo Recalcati, psicoanalista e studioso dell’opera lacaniana.

 

Nel suo intervento al convegno alla Sapienza lei parla di Lacan cristiano, perché? Si tratta forse di una provocazione?

L’educazione di Lacan è stata una educazione cattolica. Il fratello Marc-Francois è stato un monaco benedettino. La presenza nel suo discorso di riferimenti espliciti alla Torah e ai Vangeli è assai frequente. Per non parlare dell’incidenza di autori come san Paolo, Agostino, Tommaso d’Aquino, Lutero, Pascal. Ma soprattutto, alcuni dei suoi concetti chiave provengono chiaramente dal logos biblico. Pensiamo solo alla nozione di Nome del padre, alla sua concezione della parola come rivelazione o anche alla dimensione anti-narcisistica dell’amore come incontro con l’alterità del- l’altro. Nel mio intervento mi soffermo in particolare sul concetto di grazia che nel discorso di Lacan  viene invocato in più occasioni. La salvezza non è l’esito di un rafforzamento dell’Ego, di un potenziamento della sua volontà, ma di un suo sovvertimento, indebolimento, cedimento persino. La fede nella presenza di una trascendenza immanente al soggetto oltrepassa il principio di prestazione dell’Io. Non c’è salvezza senza questa fede. Solo che per il cristianesimo particolare di Lacan la fede che salva non si riferisce all’esistenza di Dio ma al desiderio, all’ascolto della sua chiamata, alla sua Legge.

 

 

Che cosa differenzia Lacan dalla critica freudiana della religione in testi come

«L’avvenire di una illusione» e «Il Disagio della civiltà»? C’è posto per la trascendenza in psicoanalisi?

 

Il giudizio di Freud sulla religione è radicalmente ateo e illuminista-positivista. Lacan lo definisce grossolanamente materialista. La religione è un delirio dell’umanità, una superstizione, sintomo di

una regressione dell’uomo alla condizione di credenza infantile nei confronti di un padre idealizzato. La religione è insomma una illusione nella quale l’uomo cerca rifugio per sottrarsi alla durezza e alla atrocità della vita e alla ineluttabilità tragica della morte. Lacan non trascura affatto questa critica, ma sembra riservarla all’uomo religioso in quanto tale più che al cristianesimo. Gesù è piuttosto assimilato all’esperienza di una parola che traumatizza l’ordine costituito. Una parola che non ha paura della vita. Una testimonianza radicale della forza del desiderio. La sua elaborazione complessa sul concetto di desiderio mostra che la vita umana non è solo una rincorsa affannosa verso oggetti del desiderio che possono generare solo insoddisfazione, che si rivelano vacui, inconsistenti, ma è anche una forza che sospinge verso un altrove. È desiderio dell’altrove. Ma questo altrove ed è questa la cifra della sua lettura originale del cristianesimo — non è da ricercare al di del mondo, ma è una piega di questo mondo, della sua immanenza. Accade quando la vita diviene generativa, capace di desiderio di vita, capace di gioia.

L’altra grande figura del convegno è Agostino, un pensatore a prima vista completa mente diverso da Lacan. Che cosa può dirci, oggi, in un mondo che esce dalla pandemia, il confronto tra Lacan e Agostino?

Lacan ha dichiarato una volta di aver iniziato a leggere Agostino sin dalla sua adolescenza. Anche Freud, non a caso, cita Agostino proprio laddove egli si riferisce alla necessità di tornare presso se stessi, a scavare nel nostro essere per cogliere una verità — per Freud quella dell’inconscio, per Agostino quella dell’anima — che ci oltrepassa. L’esperienza della trascendenza in Lacan e in Agostino non è tanto quella, come direbbe Nietzsche, della credenza in un mondo dentro il mondo, ma quella dell’incontro con una verità straniera interna che ha il potere di scuoterci e di risvegliarci. Nelle Confessioni l’incontro con Dio coincide con l’incontro con la propria anima. Ma nella propria anima Agostino non incontra semplicemente il suo Io, ma qualcosa che lo oltrepassa. Scopre che la sua vita non dipende solo dalla sua volontà, non è fatta da se stessa, ma proviene dall’Altro. È il tema della grazia. Per Lacan è il tema dell’incontro col reale, con qualcosa che può cambiare la nostra vita rendendola nuova. Se volete la conversione di Agostino e di Lacan ha questa radice comune. Scoprire che al centro della nostra esistenza, della nostra vita non c’è l’Io, ma c’è l’Altro. È una lezione che non dovremmo dimenticare in un tempo difficile come quello segnato dal dramma della pandemia. L’io non si salva da solo, non si salva senza l’Altro.


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