JOHN R. R. TOLKIEN: SUL MATRIMONIO E LA RELAZIONE FRA I SESSI
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Da una lettera di John R. R. Tolkien al figlio Michael (6-8 marzo 1941)
Il
rapporto tra uomo e donna può essere puramente fisico (in realtà,
naturalmente, non è possibile: ma intendo dire che ci si può rifiutare
di prendere in considerazione altre cose, a tutto svantaggio dell’anima
(e del corpo) di entrambi); oppure «amichevole»; oppure si può essere
«amanti» (impegnando e mescolando tutta la propria capacità affettiva e
le energie della mente e del corpo in una complessa emozione fortemente
caratterizzata e vivificata dal sesso). Questo nostro mondo è immorale.
Lo spostamento dell’istinto sessuale è uno dei sintomi principali della
Caduta. Il mondo è andato sempre peggio di epoca in epoca. Le varie
forme sociali cambiano e ogni nuova moda comporta particolari pericoli:
ma il «duro spirito della concupiscenza» ha percorso ogni strada e siede
sogghignando in ogni casa, da quando Adamo è caduto. Lasceremo da parte
le conseguenze «immorali». In queste tu non desideri essere trascinato.
Alla rinuncia non sei portato. «Amicizia», allora? In questo mondo
corrotto l’«amicizia », che dovrebbe essere possibile fra tutti gli
esseri umani, è virtualmente impossibile tra uomo e donna. Il diavolo è
infinitamente ingegnoso e il sesso è la sua arma preferita. È abilissimo
nel catturarti usando mezzi generosi, romantici o teneri, tanto quanto
mezzi più bassi e animali. Spesso si è tentato di instaurare questa
«amicizia»: da una parte o dall’ altra quasi sempre fallisce. Più avanti
nella vita, quando gli impulsi sessuali si calmano, forse è possibile.
Può instaurarsi fra i santi. Alle persone normali capita solo raramente:
due intelligenze che abbiano una vera affinità mentale e spirituale
possono avere un corpo femminile e uno maschile e desiderare di
realizzare un’«amicizia» indipendentemente dal sesso. Ma nessuno può
farci conto. Uno dei due partner deluderà l’altro (o l’altra)
innamorandosi. Ma di solito (di norma) un giovanotto non vuole davvero
«amicizia», anche se lo afferma. Di solito è cosi per molti giovani. Un
giovane vuole l’amore: innocentemente e tuttavia irresponsabilmente,
forse. Allas! Allas! that ever love was sinne! come dice Chaucer.
Quindi, nel caso di un giovane cristiano e consapevole che esiste il
peccato, è bene sapere come comportarsi.
Nella
nostra cultura occidentale la tradizione cavalleresca è ancora forte,
benché, come prodotto della cristianità (e tuttavia tutta un’altra cosa
dall’ etica cristiana) i tempi le siano ostili. Idealizza l’amore – e
può essere una cosa positiva, perché comprende molto più che il piacere
fisico e prescrive se non proprio la purezza, almeno la fedeltà, e
quindi la negazione di sé, il «servizio», la cortesia, l’onore e il
coraggio. Il suo punto debole è, naturalmente, la sua origine di
divertimento artificiale praticato nelle corti, un modo di godere
dell’amore in sé stesso, senza nessun riferimento (anzi negandone la
validità) al matrimonio. Il suo centro non era Dio, ma divinità
artificiose, l’Amore e la Dama. Tende tuttora a fare della Dama una
specie di faro-guida o di divinità: un assioma ormai passato di moda.
«La sua divinità» = la donna che ama = l’oggetto o la ragione di un
nobile comportamento»: questo, naturalmente, è falso o nella migliore
delle ipotesi è un autoinganno. Anche la donna è un essere umano caduto e
anche la sua anima è in pericolo. Ma combinata e armonizzata con la
religione (com’ era molto tempo fa, dando origine a quella devozione
alla Nostra Signora che fu il modo scelto dal Signore per raffinare la
natura e le emozioni maschili e anche di riscaldare e rendere più
gradita la nostra religione così dura e così amara) la cavalleria può
essere cosa molto nobile. Produce quello che io credo sia ancora
considerato, dalle persone che si possono appena dire cristiane, come
l’ideale più alto dell’amore tra uomo e donna. Tuttavia io penso che
presenti dei pericoli. Non è completamente vera e non è perfettamente
«teocentrica ». Distoglie, e ha distolto in passato, gli occhi del
giovane dalle donne così come sono veramente, compagne nelle avversità
della vita e non stelle-guida. (Uno dei risultati è, osservando la
realtà, che il giovane diventa cinico). Fa dimenticare i desideri, i
bisogni, le tentazioni delle donne. Inculca la tesi esagerata dell’
«amore vero» come di un fuoco che viene dal di fuori, un’esaltazione
permanente, che non prende in considerazione gli anni che passano, i
figli che arrivano, la vita di tutti i giorni ed è svincolata dalla
volontà e dagli obiettivi. (Uno dei risultati è quello di far cercare ai
giovani un «amore» che li tenga sempre al caldo, riparati da un mondo
freddo, senza che debbano sforzarsi in nessun modo; e gli
inguaribilmente romantici vanno avanti a cercare questo amore a costo di
affrontare lo squallore delle cause di divorzio).
Le
donne, in realtà, non sono consapevoli di tutto questo, anche se
possono usare il linguaggio dell’amore romantico, dato che è così
connaturato al nostro idioma. L’impulso sessuale rende le donne
(naturalmente più sono innocenti meno sono consapevoli) molto tolleranti
e comprensive, a specialmente desiderose di essere così (o di sembrare
così), e pronte a condividere ogni interesse, per quanto è loro
possibile, dalle cravatte alla religione, del giovane da cui sono
attratte. Il loro intento non è per forza quello di ingannare; si tratta
di puro istinto; l’istinto di servire, di collaborare, generosamente,
riscaldato dal desiderio e dal sangue giovane. Grazie a questo impulso,
in effetti, spesso possono raggiungere una notevole perspicacia e una
capacità di comprensione anche di cose che altrimenti sarebbero al di
fuori della loro naturale portata: perché la loro caratteristica è
quella di essere ricettive, stimolate, fertilizzate (non solo da un
punto di vista fisico) dall’uomo. Ogni insegnante lo sa. Quanto
rapidamente una donna intelligente può apprendere, afferrare le idee
dell’insegnante, capire il suo punto di vista – e come (tranne rare
eccezioni) – non possa andare oltre, quando si stacca dall’insegnante o
quando smette di nutrire per lui un interesse personale. Eppure questa
per le donne è la strada naturale che porta all’amore. Prima che la
giovane donna riesca a capire dove si trova (e mentre il giovane
romantico, se esiste, sta ancora sospirando), può innamorarsi. Che per
lei, una giovane innocente e non corrotta, significa che desidera
diventare la madre dei figli del giovane, anche se questo desiderio non
le è ancora ben chiaro. E a questo punto molto può succedere, di
doloroso e dannoso, se le cose vanno storte. In particolare, se il
giovane voleva solo una stella-guida e una divinità temporanea (finché
non ne scopre un’altra più brillante) e se stava solamente godendo la
lusinga di una simpatia insaporita da un briciolo di sesso – tutto molto
innocente, naturalmente, e lontano anni luce dalla « seduzione».
Nella
vita (come nella letteratura) puoi incontrare donne che sono incostanti
e anche donne dissolute: non mi riferisco al semplice flirtare, che è
unicamente un allenamento in vista del vero combattimento, ma a quelle
donne che sono troppo sciocche per prendere sul serio anche l’amore o
così depravate da gioire della «conquista» o persino dell’infliggere
dolore – ma queste sono eccezioni, anche se insegnamenti sbagliati,
cattiva educazione e mode corrotte possono incoraggiare questi
atteggiamenti. Ma sebbene la situazione attuale abbia cambiato
l’atteggiamento femminile, e modificato quella che è considerata
proprietà di comportamento, non ha tuttavia cambiato l’istinto naturale.
Un uomo ha il suo lavoro, la carriera (e amici maschi), tutte cose che
possano sopravvivere (e di solito è così se l’uomo ha qualche briciolo
di buon senso) al naufragio di un amore. Una giovane donna, anche se è
«economicamente indipendente», come si dice adesso (e che di solito
significa in realtà economicamente dipendente da un datore di lavoro
maschio invece che dal padre o da una famiglia) comincia quasi subito a
pensare al corredo e a sognare una casa. Se si innamora seriamente, il
naufragio può davvero essere disastroso. Comunque le donne in genere
sono molto meno romantiche e più pratiche. Non lasciarti ingannare dal
fatto che sono più «sentimentali» a parole – sempre a dire «caro» e così
via. Loro non sognano una stella-guida. Possono idealizzare un
normalissimo giovane vedendolo come un eroe; ma in realtà non hanno
bisogno di tanto per innamorarsi e per amare. Se hanno qualche delusione
è perché pensano di poter «cambiare» un uomo. Possono innamorarsi di un
astuto cialtrone e continuare ad amarlo anche quando si accorgono di
non riuscire a redimerlo. Sono, naturalmente, molto più realistiche
circa i rapporti sessuali. A meno che non siano guastate da qualche
pessima moda attuale, di solito non parlano «sporco» non perché siano
più pulite degli uomini (non lo sono), ma perché non lo trovano
divertente. Ne ho conosciute alcune che pretendevano di trovarlo
divertente, ma era una pura pretesa. Può essere curioso, interessante
(anche troppo interessante): ma è un interesse naturale, serio, ovvio;
dov’è il divertimento?
Naturalmente
devono stare ancora molto attente nei rapporti sessuali, per quanto
riguarda la possibilità di concepire. Sbagli di questo tipo sono
devastanti, fisicamente e socialmente (e matrimonialmente). Ma
istintivamente, quando non sono corrotte, sono monogame. Gli uomini no …
E’ inutile affermare il contrario. Gli uomini non lo sono, per natura.
La monogamia (benché sia da tempo un’idea fondamentale fra quelle che
abbiamo ereditato) per noi uomini non è che una parte di etica
«rivelata», in linea con la fede, ma non con la carne. Ognuno di noi
potrebbe tranquillamente generare, in trent’anni di piena virilità,
qualche centinaio di bambini, e godere di questo fatto. Brigham Young
(credo) era un uomo felice e pieno di salute. E’ un mondo corrotto, il
nostro, e non c’è armonia tra i nostri corpi, la nostra mente e l’anima.
Tuttavia,
la caratteristica di un mondo corrotto è che il meglio non si può
ottenere attraverso il puro godimento, o quella che è chiamata la
realizzazione di sé (che di solito è un modo elegante per definire
l’autoindulgenza, nemica della realizzazione degli altri); ma attraverso
la rinuncia, la sofferenza. La fede nel matrimonio cristiano implica
questo: grande mortificazione. Per un cristiano non c’è alternativa. Il
matrimonio può aiutarlo a santificare e a dirigere verso un giusto
obiettivo i suoi impulsi sessuali; la sua grazia può aiutarlo nella
battaglia; ma la battaglia resta. Il matrimonio non lo potrà soddisfare –
come un affamato può essere soddisfatto da pasti regolari. Presenterà
tante difficoltà per mantenere la purezza che si addice a quello stato e
altrettante soddisfazioni. Nessun uomo che si sia sposato giovane, per
quanto sinceramente innamorato di sua moglie, le è mai stato fedele per
tutta la vita con la mente e con il corpo senza un deliberato e
consapevole uso della sua volontà o senza negazione di sé. Queste cose
non vengono quasi mai dette – nemmeno a quelle persone cresciute nella
fede della Chiesa. Quelle che vivono al di fuori sembra che non ne
abbiano mai sentito parlare. Quando l’innamoramento è passato o quando
si è un po’ spento, pensano di aver fatto un errore e di dover ancora
trovare la vera anima gemella. Per vera anima gemella troppo spesso si
scambia la prima persona sessualmente attraente che si incontra.
Qualcuno che forse davvero avrebbero fatto meglio a sposare, se solo… Da
qui il divorzio, per risolvere quel «se solo». E naturalmente di solito
hanno ragione: avevano fatto un errore. Solo un uomo molto saggio,
arrivato al termine della sua vita, potrebbe esprimere un equo giudizio
su quale persona, fra tutte, avrebbe fatto meglio a sposare! Quasi tutti
i matrimoni, anche quelli felici, sono errori: nel senso che quasi
certamente (in un mondo migliore, o anche in questo, pur se imperfetto,
ma con un po’ più di attenzione) entrambi i partner avrebbero potuto
trovare compagni molto più adatti. Ma la vera anima gemella è quella che
hai sposato. Di solito tu scegli ben poco: lo fanno la vita e le
circostanze (benché, se c’è un Dio, queste non siano che i Suoi
strumenti o la Sua manifestazione). E’ risaputo che in realtà i
matrimoni felici sono più comuni dove la scelta del partner è più
limitata, dall’ autorità dei genitori o della famiglia, finché esiste
un’ etica sociale di responsabilità e fedeltà coniugale. Ma anche nei
paesi dove la tradizione romantica ha tanto influenzato le consuetudini
sociali da far credere alla gente che la scelta di un compagno riguardi
esclusivamente il giovane, solo un raro colpo di fortuna fa sì che si
incontrino un uomo e una donna «destinati» l’uno all’altra e in grado di
interessare un grande e splendido amore. Questa possibilità ci incanta,
ci prende alla gola: moltissime poesie e moltissimi racconti sono stati
scritti su questo argomento, probabilmente più numerosi che le storie
d’amore reali (e tuttavia le migliori di queste storie non parlano del
matrimonio felice di questi grandi amanti, ma della loro tragica
separazione; come se persino nella dimensione del racconto la grandezza e
lo splendore, in questo mondo corrotto, si raggiungano attraverso il
fallimento e la sofferenza). In questi grandi amori, spesso amori a
prima vista, cogliamo la visione, suppongo, di quello che sarebbe stato
il matrimonio in un mondo incorrotto. In questo mondo corrotto abbiamo
come unica guida la prudenza e la saggezza (rare nella gioventù e
inutili nella maturità), un cuore puro e forza di volontà. […]
La
mia stessa storia è così fuori dal comune, così sbagliata e imprudente
che mi riesce difficile consigliarti di essere cauto. Tuttavia, le
eccezioni possono giustificare la norma; e i casi fuori dal comune non
sono sempre buoni esempi per gli altri. Per quel che vale, ecco un po’
di autobiografia – sottolineando in questa occasione i punti dell’età e
della situazione economica.
Mi
sono innamorato di tua madre quando avevo circa diciotto anni.
Profondamente, come si è dimostrato – anche se naturalmente difetti di
carattere e di temperamento hanno fatto sì che spesso io sia sceso al di
sotto dell’ideale che mi ero proposto. Tua madre era più vecchia di me e
non era cattolica. Inoltre, purtroppo, avevo un tutore. E da un certo
punto di vista questa fu una sfortuna; in un certo senso fu male per me.
Queste cose assorbono molto e quasi ti esauriscono. Io ero un ragazzo
intelligente alle prese con lo studio per una (indispensabile) borsa di
studio per Oxford. La tensione combinata quasi mi portò sull’orlo di un
brutto crollo nervoso. Feci fiasco agli esami e anche se (come anni dopo
mi disse il mio preside) avrei potuto ottenere una buona borsa di
studio, strappai con i denti una borsa di studio di 60 sterline per
Exeter: quel tanto che bastava, insieme ad una borsa di studio della
stessa cifra dalla scuola che lasciavo, per farcela (assistito dal mio
caro vecchio tutore). Naturalmente, c’era un vantaggio, non considerato
dal mio tutore. Ero intelligente, ma non diligente, né avevo una
mentalità ristretta; il mio fallimento era dovuto in larga misura allo
scarso studio (dei classici), ma non perché ero innamorato, bensì perché
stavo studiando altre cose: il gotico e altro ancora. Avendo ricevuto
un’ educazione romantica, presi seriamente quella che era una cosa da
ragazzi e ne feci fonte di ispirazione e motivo del mio comportamento.
Pur essendo un codardo fisicamente, nel giro di due stagioni, da timido
coniglio disprezzato in una squadra di casa, passai a vestire i colori
della squadra della scuola. L’amore mi fece fare tutto questo tipo di
cose. Tuttavia, nacquero delle difficoltà: e io dovetti scegliere tra
disobbedire e addolorare (o ingannare) un tutore che per me era stato
come un padre, più di un padre vero, pur senza esserci stato obbligato, o
lasciare cadere quella relazione finché non avessi compiuto i ventun
anni. Non mi pento della mia decisione, anche se fu molto dura per la
mia innamorata. Ma non era colpa mia. Lei era perfettamente libera e non
aveva nessun obbligo nei miei confronti e io non avrei potuto
recriminare (tranne che in base ad un irreale codice cavalleresco) se
lei avesse sposato qualcun altro. Per quasi tre anni non vidi né scrissi
al mio amore. Fu molto duro, doloroso e amaro, specialmente all’inizio.
Le conseguenze non furono del tutto buone: caddi a capofitto nella
pazzia e nella negligenza e sciupai molto tempo nel mio primo anno al
College. Ma penso che niente avrebbe giustificato un matrimonio basato
su un amore giovanile; e probabilmente nient’altro avrebbe potuto
rafforzare abbastanza la volontà così da dare a questo amore (per quanto
sincero e autentico) continuità. Nella notte del mio ventunesimo
compleanno scrissi di nuovo a tua madre – il 3 gennaio 1913. L’8 gennaio
andai da lei e ci fidanzammo, informando la sua esterrefatta famiglia.
Mi rimboccai le maniche e lavorai molto (troppo tardi per salvare dal
disastro la lode nel primo esame di baccellierato in lettere classiche),
e poi l’anno successivo scoppiò la guerra, quando avevo ancora un anno
da fare al College. In quei giorni i ragazzi si arruolavano e quelli che
non lo facevano venivano biasimati pubblicamente. Era un brutto
momento, specialmente per un giovane con troppa immaginazione e poco
coraggio fisico. Niente laurea; niente soldi; fidanzato. Resistetti alla
vergogna e alle allusioni sempre più esplicite dei miei parenti, passai
le notti a studiare e superai con onore gli esami finali nel 1915. Mi
precipitai ad arruolarmi: luglio 1915. Trovai insopportabile la
situazione e mi sposai il 22 marzo del 1916. A maggio attraversavo la
Manica (ho ancora i versi che scrissi per l’occasione) diretto alla
carneficina della Somme.
Pensa
a tua madre! Eppure neanche per un attimo adesso penso che abbia fatto
più di quanto sarebbe stato lecito chiederle – non che questo le tolga
merito. Io ero un giovanotto, con una laurea abbastanza buona, e portato
a scrivere versi, con qualche sterlina, sempre meno, all’ anno (20-40),
e nessuna prospettiva, secondo tenente a 7/6 al giorno in fanteria,
dove le probabilità di sopravvivenza erano pochissime (come subalterno).
Lei mi sposò nel 1916 e John nacque nel 1917 (la gravidanza iniziò e
venne portata avanti durante l’anno della grande fame, il 1917, e della
grande campagna degli U-Boat) proprio nel periodo della battaglia di
Cambrai, quando la fine della guerra sembrava tanto lontana quanto
sembra adesso. Io vendetti, e spesi per il mio bambino appena nato, le
ultime scarse quote del Sudafrica, «il mio patrimonio ».
Al
di là di questa mia vita oscura, tanto frustrata, io ti propongo
l’unica grande cosa da amare sulla terra: i Santi Sacramenti. […] Qui tu
troverai avventura, gloria, onore, fedeltà e la vera strada per tutto
il tuo amore su questa terra, e più di questo: la morte. Per il divino
paradosso che solo il presagio della morte, che fa terminare la vita e
pretende da tutti la resa, può conservare e donare realtà ed eterna
durata alle relazioni su questa terra che tu cerchi (amore, fedeltà,
gioia), e che ogni uomo nel suo cuore desidera.
Tratto da: John R. R. Tolkien, La realtà in trasparenza, Bompiani 2001.
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