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sabato 6 luglio 2019

Bud Spencer

Il 27 giugno di tre anni fa se ne è andato il grande Bud Spencer. Qui vogliamo ricordarlo con un pezzo pubblicato allora su Tempi (vai alla pagina degli abbonamenti)
Ma cosa c’era sotto tutta quella barba! E pensare che se l’era fatta crescere solo dopo quello strano colloquio con Giuseppe Colizzi: «Parli inglese?». «No». «Hai mai avuto la barba?». «No». «Sai cavalcare?». «No». «Quanto vuoi?». «Cosa dovrei fare?». Cineasta meticoloso, Colizzi era a caccia di un gigante per uno dei tanti western che si giravano a quei tempi fra Italia e Spagna; Carlo Pedersoli era invece un ex campione di nuoto che aveva bisogno di soldi e non voleva campare di ricordi. Bud Spencer era nato così, nel momento in cui Carlo aveva realizzato di non avere in mano «uno straccio di niente che potesse dirmi cosa sapevo fare nella vita a parte divertirmi e nuotare». Quindi, barba. E una parte in Dio perdona… io no!
Quando se ne è andato, il 27 giugno scorso, subito è scattata la gara ad intestarsi il mito, gli incensi, i coccodrilli – lui, che di coccodrilli se ne intendeva mica per ridere. Grasso, anticomunista, eterosessuale, monogamo, fumatore, manesco, forzaitaliota, irriverente, marziano, curioso, due volte miracolato: ecco chi era Carlo prima e dopo Bud, un libero battitore tra le icone intruppate del mainstream, uno che, dalle policy sulla salute a quelle sull’incitamento alla violenza, avrebbe violato tutti gli standard di comunità. Lo diceva lui stesso spiegando perché la critica lo snobbasse, «forse perché non sono gay, né trans e ho la stessa moglie da cinquant’anni». Prova ne è che la sua autobiografia, Altrimenti m’arrabbio scritta con Lorenzo De Luca per Aliberti nel 2010, un best seller in Germania, in Italia è stata un flop: «Qui parlano di te solo se sei frocio o comunista», rincarò la dose, e un po’ doveva avere ragione se oggi ne abbiamo trovata una copia solo alla biblioteca di Lecco.

Nel libro Bud Spencer immagina di incontrare, la sera del suo 80esimo compleanno, il giovane Carlo Pedersoli, fresco di record italiano nei cento stile libero, e di raccontargli cosa gli sarebbe accaduto. «Sei rimasto lo stesso stronzo che fuma prima di tuffarsi, come se per te le regole del buonsenso non valessero», e in questa frase di Bud che incontra Carlo c’è già tutto. Un fico da spiaggia, nato in un momento e in una famiglia che non gli consente di fregiarsi degli inenarrabili patimenti d’inizio carriera che tanto danno lustro alle biografie della gente che piace. Sei chili abbondanti di bambino, Carlo regala il sui primo “ué” alla Napoli bene del quartiere Santa Lucia il 31 ottobre 1929, e inizia a passarsela “bene assai”, col padre industriale, l’autista in livrea, l’istitutrice tedesca che cresce lui e la sorellina Vera come crucchi, tanto che il padre non capisce una parola della lingua parlata in casa. Un’infanzia ricca e borghese, «e dovrei vergognarmene? Non credo, poiché io non mi ritengo attore, bensì un personaggio, mi posso permettere di rompere gli argini di talune convenzioni. Anche perché noi, senza una lira, ci siamo rimasti pochi anni dopo, durante la Seconda guerra mondiale, quando un bombardamento distrusse la fabbrica di mio padre».
Eccola, direte voi, l’attesa nemesi di una vita agiata: Mamma Rosa che si mette a ricamare fazzolettini per fare due spicci, papà Alessandro che si dà da fare per non perdere la dignità. E Carlo che fa? Si mette a rubacchiare, com’è nello spirito di quel “Futteténne” che oltre al titolo di una sua canzone diventerà la sua filosofia di vita: portato ai guai fin da bambino (quando in pieno panico da sequestro Lindbergh scappa di casa col cuginetto), una notte si ingegna a fregare la farina a un treno merci fermo a Settebagni. Solo che il sacco pesa 60 chili e Carlo è ben contento di farsi derubare a sua volta poco dopo da due tizi armati; tornato al treno e afferrato un cilindro senza verificarne il contenuto, si infila dritto a un posto di blocco delle SS. Che lo rilasciano tra le risate accortisi che il bottino consiste in centinaia di bottoni. E lo slancio ideale che porta i suoi a donare le fedi nuziali alla causa del paese distrutto? Alla strada dei coetanei che partono repubblichini o partigiani Carlo ne preferisce una meno patriottica «ma più salutare: nuotare». In acqua ce lo butta la prima volta Ninuccio, un marinaio di Seiano che traghetta su barconi i viaggiatori che arrivavano a Napoli col vaporetto («Grazie Ninù, questa è pure un po’ tua», ripeterà Carlo infilando ogni medaglia al collo). Il 19 luglio 1943, tornando da Trieste dove ha appena conquistato a soli 13 anni il titolo italiano dei cento metri rana, Carlo scende a San Lorenzo e prende un taxi. Pochi minuti dopo, il quartiere viene raso al suolo dal bombardamento americano che causa tremila vittime.

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