"La bellezza salverà il mondo" questa è la famosa frase non pronunciata (?) dal principe Myškin ne "L'idiota" di Dostoevskij ma così recitata ...
«Di che cosa avete parlato? È vero principe che una volta avete detto che la “bellezza salverà il mondo”? Signori» prese a gridare a tutti, «il principe afferma che la bellezza salverà il mondo! ed io affermo che idee così frivole sono dovute al fatto che in questo momento egli è innamorato. Signori, il principe è innamorato, non appena è arrivato, me ne sono subito convinto. Non arrossite principe, mi impietosite. Quale bellezza salverà il mondo?»
A rivolgere queste parole al principe Miškin, protagonista del romanzo, è il giovane tormentato Ippolit.
Formulate peraltro nei termini di un interrogativo, esse chiamano in causa la questione di un riscatto del mondo, il suo possibile affrancamento dal male, rappresentato nel romanzo dalla cappa di violenza e di morte che aleggia su vicende amorose insieme ingenue e torbide, destinate a precipitare nella tragedia da un momento all’altro. Che si possa redimere una condizione compromessa come il ‘mondo’ che Dostoevskij tratteggia nelle trame cupe dei suoi romanzi, resta il tema di un vero enigma, sospeso peraltro alla natura della ‘bellezza’ che viene chiamata in suo soccorso. Cosa significa qui ‘bellezza’?
F. M. Dostoevski, "L'Idiota"
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Lo stesso autore, nel suo ultimo romanzo, sullo stesso tema così si esprime, attraverso una frase di Dimitri Karamazov
"...La bellezza è una cosa terribile e paurosa. Paurosa, perché è indefinibile, e definirla non si può, perché Dio non ci ha dato che enigmi. Qui le due rive si uniscono, qui tutte le contraddizioni coesistono. Io, fratello, sono molto ignorante, ma ho pensato molto a queste cose. Quanti misteri! Troppi enigmi sulla terra opprimono l’uomo. Scioglili, se puoi, e torna salvo alla riva. La bellezza! Io non posso sopportare che un uomo, magari di cuore nobilissimo e di mente elevata, cominci con l’ideale della Madonna e finisca con l’ideale di Sodoma. Ancora più terribile è quando uno ha già nel suo cuore l’ideale di Sodoma e tuttavia non rinnega nemmeno l’ideale della Madonna, anzi, il suo cuore brucia per questo ideale, e brucia davvero, sinceramente, come negli anni innocenti della giovinezza. No, l’animo umano è immenso, fin troppo, io lo rimpicciolirei. Chi lo sa con precisione cos’è? Lo sa il diavolo, ecco! Quello che alla mente sembra un’infamia, per il cuore, invece, è tutta bellezza. Ma c’è forse bellezza nell’ideale di Sodoma? Credimi, proprio nell’ideale di Sodoma la trova l’enorme maggioranza degli uomini! Lo conoscevi questo segreto, o no? La cosa paurosa è che la bellezza non solo è terribile, ma è anche un mistero. E’ qui che Satana lotta con Dio, e il loro campo di battaglia è il cuore degli uomini. Già, la lingua batte dove il dente duole…E ora veniamo al fatto. Ascolta...”
- Fedor Dostoevskij da "I Fratelli Karamazov"
Commento:
Quale Bellezza salverà il mondo? "L'Idiota" di Dostoevskij e un difficile enigma, una interessante riflessione di Andrea Oppo del 26-5-2018 ed altri articoli da me raccolti...
http://www.gliscritti.it/blog/entry/4500
http://www.educational.rai.it/.../80608...
https://www.vitaepensiero.it/news-consigli-di-lettura...
Interessante, ancora, questa riflessione di Don Francesco Toffoli, tratta, in sintesi, da un suo articolo:
Curiosamente, negli infiniti salotti del romanzo, il principe non pronuncia mai quella frase direttamente, ma ogni volta gli interlocutori la riferiscono per sentito dire: “È vero che lei, principe, una volta ha detto…?” ecc.
Sembra sempre che non c’entri nulla con le situazioni reali, una frase lontana buttata lì, che pure alla fine di tutto assume un peso specifico enorme.
Il romanzo ci aiuta poco a capirne il senso in maniera diretta. La narrazione invece, spietatamente, conduce in una sola direzione: il fallimento.
La bontà del principe si rivolge a tutto e a tutti in uguale misura, i rapporti umani sono l’unico interesse da cui sia preso pienamente e, per quanto “idiota” in teoria, capisce ogni cosa al primo colpo, le sue parole sono lucide intuizioni e profezie. Parimenti gli altri capiscono tutto: capiscono la sua “idiozia”, capiscono l’assoluta superiorità d’intelletto. Hanno davanti il più idiota e il più intelligente fra gli uomini. Ma è qui che la potente ombra che soggiace a tutta la spiritualità russa e slava in genere viene fuori con prepotenza devastante, nell’autore che più d’ogni altro ha saputo darle voce. Il “sottosuolo” dostoevskiano – così bene descritto da Ròzanov e Šestòv – è fatto di urla, lamenti, un caos primordiale che non accetterà mai d’esser sottomesso a un ideale, seppure di bellezza assoluta.
Il principe puro s’immerge nel fango per sua scelta ma è il fango a trascinarlo con sé, contro la sua volontà. Non basta scorgere la bellezza profonda di Nastasja Filippovna per salvarla, così per Aglaja o Rogožin. E la Spiegazione di Ippòlit è la denuncia più lucida che ci sia, in pieno stile Ivan Karamazov, dell’ingiustizia essenziale del mondo di quaggiù e della non disponibilità della “parte lesa” ad alcun compenso parziale. La sofferenza è sofferenza, non sarà un’idea qualunque a redimerla. Fosse anche la più perfetta tra le idee: come la bontà e la bellezza assolute.
Su questo passo il romanzo diventa un gran guazzabuglio in cui tutto risulta ambiguo: l’amore del principe per Nastasja e Aglaja, la sua virilità, la loro stessa “bellezza”, le vere intenzioni del principe e il dubbio se alla fine egli porti più conforto o disperazione. Il dubbio se la bellezza cosiddetta “pneumofora” nella tradizione russa, la bellezza che ha il potere di instaurare l’armonia nel mondo, rappresenti anche il mezzo della sua trasformazione e l’oggetto stesso della salvezza. Il finale tragico della storia consacra il fallimento della missione del principe e consegna il suo stesso destino a una tragedia perfino peggiore di quella da cui proveniva.
Un finale che per drammaticità è inferiore soltanto di poco all’episodio tremendo in cui Kirillov, nei Demòni, si suicida volendo diventare egli stesso Dio.
Da cui la tragica scoperta, la luce nera del colpo di pistola, e il baratro che mostra in un istante la sciagurata pretesa di salvezza attraverso un autoinganno: ovvero la fede che il binomio Bellezza-Bene rappresenti la più elevata giustificazione morale, la più grande idea dell’umanità. Su questo Dostoevskij dopo le "Memorie dal sottosuolo", punto di svolta del suo pensiero non ha più dubbi: il nesso Bellezza-Bene è un legame mortale. È forse l’imbroglio più grande, quello che sta alla base della tragedia dell’uomo.
Ma siamo sicuri che le cose stiano esattamente in questa maniera? O forse proprio la frase del principe Miškin, “La Bellezza salverà il mondo”, l’insegnamento tradito dai fatti della sua missione fra gli uomini, cela in sé l’ultimo misterioso enigma?
È nota a molti la frase più volte ripetuta da Dostoevskij in privato e nei suoi diari: “L’umanità è stata capace di una sola grande idea e questa è la Resurrezione dai morti”.
Parole da sempre ritenute ambigue e di difficile interpretazione rapportate ai suoi romanzi.
Alla fine di tutta questa storia ci ritroviamo con un pugno di mosche e una frase ormai vuota, “La Bellezza salverà il mondo”, che la vicenda del principe Miškin ha sancito fallimentare.
E se invece proprio ora che ci restano soltanto quelle parole, come puro nome slegato dal suo dover esser cosa, se proprio adesso queste emergessero sotto un altro aspetto? Se la chiave di questo enigma Dostoevskij ce la fornisse nell’espressione stessa: “La Bellezza salverà il mondo”?
Così come appare nel testo – si è detto – è una frase lontana, che il principe non pronuncia mai, una suggestione riferita di seconda mano; allusione a fatti accaduti in passato ai quali non si accenna che di sfuggita. Come la Rivelazione cristiana, una vicenda tramandata da testimoni lontani, eppure forte speranza rivolta al futuro.
La Bellezza è la speranza evocata.
La Salvezza più che un attributo è il contenuto stesso di quell’evocazione, di quell’annuncio. Una “buona notizia”, appunto. Non è la bellezza in quel caso a salvare un bel niente.
È l’idea di una salvezza ad evocare il senso smarrito e latente della “Bellezza”, che vive stavolta nel richiamo e nella distanza. È quella la sola bellezza che possa pretendere legittimamente di “salvare”: non fosse altro perché in quella lontananza sopravvive in tutto il suo vigore. E che cosa sono la lontananza e l’assenza, in assoluto, se non il segno evidente della propria libertà nel presente? Era questa la vera concezione di Dostoevskij secondo una famosa lettura che Berdjaev ne avrebbe fatto in pieno ‘900...
Qualunque altra idea è destinata a restare tale, o al massimo può trasformarsi in un ideale. Non per niente l’umanità è stata capace di “una sola grande idea”.
La Bellezza che per sé sola salverà il mondo può al massimo funzionare da analgesico potente; può per un attimo distogliere la mente dal dubbio che il caos assoluto sia la legge di sempre. E non è poco, c’è da giurarci. È tutto quello che l’arte ha cercato di fare nei secoli: riempire il buio vuoto, il disordine senza ragione; offuscare forse il sospetto che l’insensata tragicità – per dirla alla russa – fosse inizio e fine d’ogni cosa. La perfezione artistica, la sinfonia n. 40 di Mozart o la sequenza di colonne di Brunelleschi nella navata centrale in S. Spirito a Firenze, altro non sono che la prova dell’uomo a se stesso che misura e armonia possono unirsi in una struttura in qualche maniera dominante. Un’eccellente colla tra le parti divise: l’arte classica, l’arte superiore che si erge sopra il caos. “Potenza dello spirito e della parola, che regnano sorridendo sulla vita inconsapevole e muta”, diceva Thomas Mann.
Eppure proprio quell’arte superiore, l’arte che riempie e occupa gli spazi, davanti all’idea di una “bellezza che salva”, vacilla e non convince. E anche tutto questo ben di Dio si riduce ad essere una notizia di secondo piano, quando non un goffo tentativo di sopravvivenza, di fronte al pensiero, al sussurro, evocato da qualcosa d’altro, più lontano. Qualcosa che non interviene e salva per suo proposito, ma semplicemente “nomina” e “richiama”.
Parrà assurdo che un semplice sussurro metta a tacere le sinfonie di Mozart, eppure… Cosa avverrebbe se l’annuncio, soltanto quello, di un’altra bellezza balenasse in mente per un secondo:
“Mir spasët krasotà”, “Il Mondo sarà salvato dalla bellezza”?
La storia del principe Miškin evoca inevitabilmente l’altra storia, quella evangelica. In questo preciso senso il finale delle due può addirittura considerarsi analogo: entrambe conducono ad un fallimento terreno; entrambe richiamano un annuncio di salvezza (e il suo sviluppo per Dostoevskij si vedrà nei due, immensi, romanzi successivi). È tutto lontano in quell’annuncio: ciò di cui si parla, i fatti e le cose avvenute. Che si tratti di lontananza nel passato o nel futuro, tra il mondo presente e quella Bellezza c’è di mezzo soltanto una “chiamata”. Quel chiamare che, heideggerianamente, è invito alle cose ad essere veramente tali per gli uomini. La linea mediana è l’intimità, quella che Heidegger chiama das Zwischen (il fra, il frammezzo), che non vuol dire fusione, ma esattamente il contrario: stacco (Schied), dif-ferenza (Unter-Schied).
Quella differenza, quella chiamata lontana, porta il mondo al suo esser mondo, e la bellezza al suo esser bellezza.
Nell’evocazione che è-da-sempre, nella lontananza, è anche il senso dell’unico annuncio, dell’unica frase e della sola bellezza che interessino per davvero: il richiamo della propria libertà (e, implicitamente, del suo contrario, a questo punto inteso come male assoluto). La speranza, il cui destino è la continua rimozione tanto è dura da sopportarne la visione, ritorna come un’eco e si vede per contrasto: sole attraverso un vetro scuro. Vera o no, l’origine è lì. Ma non è della sua verità che qui si discute, o della sua concreta esistenza. Non è un problema di fede, almeno per il momento; e neppure di verifica di ciò che si è sentito.
Quella “notizia” ha distolto l’attenzione da tutte le altre, facendole apparire ben poca cosa. La Resurrezione dai morti, il modo in cui avveniva, e il protagonista, erano troppo di più. Se scoppia la bomba atomica nel mondo, poco prima di cena, cosa pensate ne sarà degli altri servizi previsti nella scaletta del telegiornale di quella sera?
Provate a dare a dei naufraghi su un’isola queste due notizie: la prima è che è stata scoperta della legna per fare il fuoco, e per quella notte non patiranno il freddo; la seconda è che, all’orizzonte, sta passando una nave.
Secondo voi, quale interesserà?
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Nel 2019 è uscito questo testo di Sante AMBROSI
"Quale bellezza salverà il mondo. «L'idiota» di Fëdor Dostoevskij e la grammatica dell'amore"
L'umanità può vivere senza la scienza, può vivere senza pane, ma non senza la bellezza. Non potrebbe più vivere perché non ci sarebbe più nulla da fare al mondo. Tutto il segreto è qui. Tutta la storia è qui. Ma qual è la bellezza che salverà il mondo? Il tema della bellezza non è tra i più facili da approfondire ed esaminare. Quella vera non sarebbe nemmeno da ricercare in ciò che appare più evidente. Dostoevskij nelle sue opere la individua in tutte le sue manifestazioni, dalla natura alla bellezza dell'arte, ma la sola bellezza che può salvare il mondo, quella autentica, per lui è da ricercare altrove. In questa ricerca di un senso profondo da assegnare alla vita, Dostoevskij si pone su un altro piano, del tutto originale e spiazzante.
Così, attraverso le pagine di un capolavoro letterario come "L'idiota", si scopre e si comprende la vera essenza del bello, in grado di sradicare e trascendere il quieto vivere dell'uomo di ogni tempo.
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La mia opinione
Ho presentato una "carrellata" di opinioni su questo argomento.
Vorrei dare un mio contributo, in relazione e per completare l'argomento, attraverso una mia visione per quanto acquisito e conosciuto in materia di psicologia del profondo junghiana.
La bellezza e la psicologia del profondo.
“È vero, principe, che voi diceste un giorno che il mondo lo salverà la «bellezza»? Signori, – gridò forte a tutti, – il principe afferma che il mondo sarà salvato dalla bellezza. E io affermo che questi giocosi pensieri gli vengono in mente perché è innamorato. Signori, il principe è innamorato; poco fa, appena è entrato, me ne sono convinto. Non arrossite, principe, se no mi farete pena. Quale bellezza salverà il mondo? Me l’ha riferito Kolja… Voi siete un cristiano zelante? Kolja dice che vi qualificate cristiano.
Il principe lo considerava attentamente e non gli rispose”
Ma, cosa intendeva far dire al suo principe idiota? Di quale bellezza si sta parlando? E in che senso “salverà” il mondo?
Ma il principe, l’idiota, non risponde.
Ognuno ha detto la sua sia di questa frase che dell’opera intera (la critica letteraria ne è piena). Ci basti ricordare cosa scrive Dostoevskij a sua nipote per il tramite di una lettera. In questa lettera l’autore confessa di voler descrivere un uomo assolutamente buono.
Quindi lui voleva descrivere un essere assolutamente che si tuffa nel mondo cercando di redimerlo con la sua sola bontà.
“Al mondo esiste un solo essere assolutamente bello, il Cristo, ma l’apparizione di questo essere immensamente, infinitamente bello, è di certo un infinito miracolo“.
Il principe Miškin è il tentativo di rappresentare quest’ideale di assoluta bontà e bellezza morale.
Miškin, l’idiota, è la purezza senza alcuna macchia.
Cosa accadrebbe se Cristo vivesse sulla terra ai giorni nostri? Come potrebbe mai redimerla? Ovvero: in quale modo, tecnicamente, la Bellezza salva il mondo?
Ecco, l’Idiota è la risposta di Dostoevskij a queste domande.
Ovviamente chi è interessato, può approfondire il concetto, molto più complesso e variegato di quanto ho citato sopra.
Proviamo invece ad approfondire la cosa da un altro punto di vista. Poniamoci una domanda:
Il mondo ha bisogno della bellezza?
Proviamo a rispondere dicendo che si, il mondo ha bisogno di essere salvato ma ha bisogno anche di bellezza che poi altro non è che un bisogno spesso nascosto e tutt’altro che evidente, che il mondo non potrebbe farne a meno.
Certo è giusto domandarsi: a cosa serve la bellezza, cosa produce? A cosa serve un bel quadro, un bel libro, un bel concerto, una bella passeggiata a cavallo, magari al tramonto oppure in una notte di luna piena, oppure tutte le cose (oggetti, macchine, barche, etc) create dall’uomo?
Ma è questa la bellezza che salva il mondo?
Inoltre non è vero, forse, che tutto ciò che è bello, rischia di venire dimenticato o ignorato anche perché i nostri sensi, di fatto, sono continuamente bombardati da mille stimolazioni, incessanti, talvolta assordanti. Immaginiamo di avere il quadro della Gioconda in casa nostra.
Cosa ci sarebbe di più bello ed esaltante? Però dopo un pò, non accadrebbe forse, di passargli accanto e ignorarlo?
Infine Hillman , in “Politica della bellezza", sembra porvi rimedio sostenendo che ragioni estetiche profonde, suggeriscono che l’anima ha la necessità di bellezza.
“ … Il bisogno che ha la psiche di bellezza è fondamentale. (…) Quando il soddisfacimento di quel pressante bisogno di bellezza viene situato nella natura, e la natura è minacciata di distruzione, l’essere umano avverte una perdita d’anima” . La bellezza, infatti, è essenziale per il cammino di ogni essere umano, nella sua costante (anche se a volte inconsapevole) ricerca di senso e di significato.
Per non degradare la bellezza ad un effimero oggetto di consumo, sarebbe molto utile l’incontro autentico che la bellezza mette sempre sul nostro cammino verso il nostro Sé.
Tale incontro provoca una ricerca di senso, sollecita delle domande, parla di ciò che cerchiamo e desideriamo.
Forse proprio ponendoci queste domande e ponendoci da questo punto di vista possiamo riconoscere che senza la bellezza l’anima si perde.
Dice ancora Hillmann: ‘….“Niente colpisce l’anima, niente le dà tanto entusiasmo, quanto i momenti di bellezza: nella natura, in un volto, un canto, una rappresentazione, o un sogno. E sentiamo che questi momenti sono terapeutici nel senso più vero: ci rendono consapevoli dell’anima e ci portano a prenderci cura del suo valore. Siamo stati toccati dalla bellezza. Eppure la terapia non parla mai di questo fatto nelle sue teorie, e l’aspetto estetico non ha alcun ruolo nella pratica terapeutica, nella teoria evolutiva, nella traslazione, nei concetti di trattamento riuscito o fallito e nella fine della terapia. Abbiamo forse paura del suo potere?”
Conclusioni in merito al concetto di bellezza in relazione alla psicologia del profondo.
Nella terapia va dato ampio spazio alla bellezza, perché altrimenti l’anima non può realizzarsi nella sua essenza. Quindi una compiuta psicologia del profondo, capace di esprimere la natura di Psiche, deve essere anche un’estetica del profondo e, infine, se vogliamo recuperare l’anima perduta, che poi è il fine principale di ogni psicologia del profondo, di ogni psicoanalista e di ogni terapia, dobbiamo ritrovare le nostre reazioni estetiche perdute, il nostro “senso della bellezza”.
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