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sabato 26 aprile 2025

La fede adulta

 “Adulta” non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. É quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo. Ed è questa fede - solo la fede - che crea unità e si realizza nella carità. San Paolo ci offre a questo proposito – in contrasto con le continue peripezie di coloro che sono come fanciulli sballottati dalle onde – una bella parola: fare la verità nella carità, come formula fondamentale dell’esistenza cristiana. In Cristo, coincidono verità e carità. Nella misura in cui ci avviciniamo a Cristo, anche nella nostra vita, verità e carità si fondono. La carità senza verità sarebbe cieca; la verità senza carità sarebbe come “un cembalo che tintinna” (1 Cor 13, 1).


(Card. Joseph Ratzinger - dall'Omelia nella Santa Messa Pro Eligendo Romano Pontifice, 18 aprile 2005)

mercoledì 23 aprile 2025

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO LETTA DAL CARDINALE ANGELO COMASTRI

 DOMENICA DI PASQUA NELLA RISURREZIONE DEL SIGNORE

SANTA MESSA DEL GIORNO

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
LETTA DAL CARDINALE ANGELO COMASTRI

Piazza San Pietro
Domenica di Pasqua, 20 aprile 2025

[Multimedia]

______________________

Maria di Magdala, vedendo che la pietra del sepolcro era stata rotolata via, si mise a correre per andare a dirlo a Pietro e Giovanni. Anche i due discepoli, ricevuta la sconvolgente notizia, uscirono e – dice il Vangelo – «correvano insieme tutti e due» (Gv 20,4). I protagonisti dei racconti della Pasqua corrono tutti! E questo “correre” esprime, da un lato, la preoccupazione che avessero portato via il corpo del Signore; ma, dall’altro, la corsa della Maddalena, di Pietro e di Giovanni dice il desiderio, la spinta del cuore, l’atteggiamento interiore di chi si mette alla ricerca di Gesù. Egli, infatti, è risorto dalla morte e perciò non si trova più nel sepolcro. Bisogna cercarlo altrove.

Questo è l’annuncio della Pasqua: bisogna cercarlo altrove. Cristo è risorto, è vivo! Egli non è rimasto prigioniero della morte, non è più avvolto nel sudario, e dunque non si può rinchiuderlo in una bella storia da raccontare, non si può fare di Lui un eroe del passato o pensarlo come una statua sistemata nella sala di un museo! Al contrario, bisogna cercarlo e per questo non possiamo stare fermi. Dobbiamo metterci in movimento, uscire per cercarlo: cercarlo nella vita, cercarlo nel volto dei fratelli, cercarlo nel quotidiano, cercarlo ovunque tranne che in quel sepolcro.

Cercarlo sempre. Perché, se è risorto dalla morte, allora Egli è presente ovunque, dimora in mezzo a noi, si nasconde e si rivela anche oggi nelleDOMENICA DI PASQUA NELLA RISURREZIONE DEL SIGNORE


SANTA MESSA DEL GIORNO


OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

LETTA DAL CARDINALE ANGELO COMASTRI


Piazza San Pietro

Domenica di Pasqua, 20 aprile 2025


[Multimedia]


______________________


Maria di Magdala, vedendo che la pietra del sepolcro era stata rotolata via, si mise a correre per andare a dirlo a Pietro e Giovanni. Anche i due discepoli, ricevuta la sconvolgente notizia, uscirono e – dice il Vangelo – «correvano insieme tutti e due» (Gv 20,4). I protagonisti dei racconti della Pasqua corrono tutti! E questo “correre” esprime, da un lato, la preoccupazione che avessero portato via il corpo del Signore; ma, dall’altro, la corsa della Maddalena, di Pietro e di Giovanni dice il desiderio, la spinta del cuore, l’atteggiamento interiore di chi si mette alla ricerca di Gesù. Egli, infatti, è risorto dalla morte e perciò non si trova più nel sepolcro. Bisogna cercarlo altrove.


Questo è l’annuncio della Pasqua: bisogna cercarlo altrove. Cristo è risorto, è vivo! Egli non è rimasto prigioniero della morte, non è più avvolto nel sudario, e dunque non si può rinchiuderlo in una bella storia da raccontare, non si può fare di Lui un eroe del passato o pensarlo come una statua sistemata nella sala di un museo! Al contrario, bisogna cercarlo e per questo non possiamo stare fermi. Dobbiamo metterci in movimento, uscire per cercarlo: cercarlo nella vita, cercarlo nel volto dei fratelli, cercarlo nel quotidiano, cercarlo ovunque tranne che in quel sepolcro.


Cercarlo sempre. Perché, se è risorto dalla morte, allora Egli è presente ovunque, dimora in mezzo a noi, si nasconde e si rivela anche oggi nelle sorelle e nei fratelli che incontriamo lungo il cammino, nelle situazioni più anonime e imprevedibili della nostra vita. Egli è vivo e rimane sempre con noi, piangendo le lacrime di chi soffre e moltiplicando la bellezza della vita nei piccoli gesti d’amore di ciascuno di noi.


Per questo la fede pasquale, che ci apre all’incontro con il Signore Risorto e ci dispone ad accoglierlo nella nostra vita, è tutt’altro che una sistemazione statica o un pacifico accomodarsi in qualche rassicurazione religiosa. Al contrario, la Pasqua ci consegna al movimento, ci spinge a correre come Maria di Magdala e come i discepoli; ci invita ad avere occhi capaci di “vedere oltre”, per scorgere Gesù, il Vivente, come il Dio che si rivela e anche oggi si fa presente, ci parla, ci precede, ci sorprende. Come Maria di Magdala, ogni giorno possiamo fare l’esperienza di perdere il Signore, ma ogni giorno noi possiamo correre per cercarlo ancora, sapendo con certezza che Egli si fa trovare e ci illumina con la luce della sua risurrezione.


Fratelli e sorelle, ecco la speranza più grande della nostra vita: possiamo vivere questa esistenza povera, fragile e ferita aggrappati a Cristo, perché Lui ha vinto la morte, vince le nostre oscurità e vincerà le tenebre del mondo, per farci vivere con Lui nella gioia, per sempre. Verso questa meta, come dice l’Apostolo Paolo, anche noi corriamo, dimenticando ciò che ci sta alle spalle e vivendo protesi verso ciò che abbiamo di fronte (cfr Fil 3,12-14). Ci affrettiamo allora per andare incontro a Cristo, col passo svelto della Maddalena, di Pietro e di Giovanni.


Il Giubileo ci chiama a rinnovare in noi il dono di questa speranza, a immergere in essa le nostre sofferenze e le nostre inquietudini, a contagiarne coloro che incontriamo sul cammino, ad affidare a questa speranza il futuro della nostra vita e il destino dell’umanità. E perciò non possiamo parcheggiare il cuore nelle illusioni di questo mondo o rinchiuderlo nella tristezza; dobbiamo correre, pieni di gioia. Corriamo incontro a Gesù, riscopriamo la grazia inestimabile di essere suoi amici. Lasciamo che la sua Parola di vita e di verità illumini il nostro cammino. Come ebbe a dire il grande teologo Henri de Lubac, «dovrà esserci sufficiente di comprendere questo: il cristianesimo è Cristo. No, veramente, non c’è nient’altro che questo. In Cristo noi abbiamo tutto» (Les responsabilités doctrinales des catholiques dans le monde d’aujourd’hui, Paris 2010, 276).


E questo “tutto” che è il Cristo risorto apre la nostra vita alla speranza. Lui è vivo, Lui ancora oggi vuole rinnovare la nostra vita. A Lui, vincitore del peccato e della morte, vogliamo dire:


«Signore, in questa festa noi ti chiediamo questo dono: di essere noi pure nuovi per vivere questa perenne novità. Scrostaci, o Dio, la triste polvere dell’abitudine, della stanchezza e del disincanto; dacci la gioia di svegliarci, ogni mattino, con occhi stupiti per vedere gli inediti colori di quel mattino, unico e diverso da ogni altro. […] Tutto è nuovo, Signore, e niente ripetuto, niente vecchio» (A. Zarri, Quasi una preghiera).


Sorelle, fratelli, nello stupore della fede pasquale, portando nel cuore ogni attesa di pace e di liberazione, possiamo dire: con Te, o Signore, tutto è nuovo. Con Te, tutto ricomincia. sorelle e nei fratelli che incontriamo lungo il cammino, nelle situazioni più anonime e imprevedibili della nostra vita. Egli è vivo e rimane sempre con noi, piangendo le lacrime di chi soffre e moltiplicando la bellezza della vita nei piccoli gesti d’amore di ciascuno di noi.

Per questo la fede pasquale, che ci apre all’incontro con il Signore Risorto e ci dispone ad accoglierlo nella nostra vita, è tutt’altro che una sistemazione statica o un pacifico accomodarsi in qualche rassicurazione religiosa. Al contrario, la Pasqua ci consegna al movimento, ci spinge a correre come Maria di Magdala e come i discepoli; ci invita ad avere occhi capaci di “vedere oltre”, per scorgere Gesù, il Vivente, come il Dio che si rivela e anche oggi si fa presente, ci parla, ci precede, ci sorprende. Come Maria di Magdala, ogni giorno possiamo fare l’esperienza di perdere il Signore, ma ogni giorno noi possiamo correre per cercarlo ancora, sapendo con certezza che Egli si fa trovare e ci illumina con la luce della sua risurrezione.

Fratelli e sorelle, ecco la speranza più grande della nostra vita: possiamo vivere questa esistenza povera, fragile e ferita aggrappati a Cristo, perché Lui ha vinto la morte, vince le nostre oscurità e vincerà le tenebre del mondo, per farci vivere con Lui nella gioia, per sempre. Verso questa meta, come dice l’Apostolo Paolo, anche noi corriamo, dimenticando ciò che ci sta alle spalle e vivendo protesi verso ciò che abbiamo di fronte (cfr Fil 3,12-14). Ci affrettiamo allora per andare incontro a Cristo, col passo svelto della Maddalena, di Pietro e di Giovanni.

Il Giubileo ci chiama a rinnovare in noi il dono di questa speranza, a immergere in essa le nostre sofferenze e le nostre inquietudini, a contagiarne coloro che incontriamo sul cammino, ad affidare a questa speranza il futuro della nostra vita e il destino dell’umanità. E perciò non possiamo parcheggiare il cuore nelle illusioni di questo mondo o rinchiuderlo nella tristezza; dobbiamo correre, pieni di gioia. Corriamo incontro a Gesù, riscopriamo la grazia inestimabile di essere suoi amici. Lasciamo che la sua Parola di vita e di verità illumini il nostro cammino. Come ebbe a dire il grande teologo Henri de Lubac, «dovrà esserci sufficiente di comprendere questo: il cristianesimo è Cristo. No, veramente, non c’è nient’altro che questo. In Cristo noi abbiamo tutto» (Les responsabilités doctrinales des catholiques dans le monde d’aujourd’hui, Paris 2010, 276).

E questo “tutto” che è il Cristo risorto apre la nostra vita alla speranza. Lui è vivo, Lui ancora oggi vuole rinnovare la nostra vita. A Lui, vincitore del peccato e della morte, vogliamo dire:

«Signore, in questa festa noi ti chiediamo questo dono: di essere noi pure nuovi per vivere questa perenne novità. Scrostaci, o Dio, la triste polvere dell’abitudine, della stanchezza e del disincanto; dacci la gioia di svegliarci, ogni mattino, con occhi stupiti per vedere gli inediti colori di quel mattino, unico e diverso da ogni altro. […] Tutto è nuovo, Signore, e niente ripetuto, niente vecchio» (A. Zarri, Quasi una preghiera).

Sorelle, fratelli, nello stupore della fede pasquale, portando nel cuore ogni attesa di pace e di liberazione, possiamo dire: con Te, o Signore, tutto è nuovo. Con Te, tutto ricomincia.

Ottimismo fede speranza

 Cara Olga, la cosa più importante di tutte per te è non perdere la fede e la speranza. 
Quando parlo di fede e di speranza non ho in mente l’ottimismo nel senso convenzionale del termine, con il quale di solito si esprime la convinzione che “tutto andrà bene”. Non condivido un simile principio, lo considero – se espresso in modo così generico – un’illusione pericolosa. Non so come “tutto” andrà e perciò devo accettare anche la possibilità che tutto, o perlomeno la maggior parte delle cose, vada male.


L’ottimismo (per come lo intendo io qui) non è quindi qualcosa di univocamente positivo ma è, piuttosto, il contrario: nella vita ho incontrato molte persone che, quando avevano la sensazione che tutto sarebbe andato bene, erano piene di euforia e brio, ma quando, pensando al futuro passavano all’opinione opposta, di solito alla prima occasione, sprofondavano di colpo in un cupo scetticismo. Il loro scetticismo (che spesso si esprimeva in forma di visioni catastrofiche) era, ovviamente, altrettanto emotivo, superficiale e selettivo del loro precedente entusiasmo: si trattava soltanto di due facce della stessa medaglia. Quando qualcuno ha bisogno dell’illusione per vivere, ciò non è un’espressione di forza, ma di debolezza, e lo dimostrano le ripercussioni su una vita siffatta.


Una fede autentica è qualcosa di incomparabilmente più profondo e misterioso di qualche emozione ottimistica (o pessimistica), e non dipende da come in un dato momento la realtà appare effettivamente. Ed è anche per tale ragione che soltanto l’uomo di fede, nel senso più profondo del termine, è in grado di vedere le cose per come sono veramente, e di non distorcerle, non avendo egli ragioni né personali, né emotive per farlo.


L’uomo privo di fede si preoccupa semplicemente di sopravvivere, per quanto possibile, comodamente e senza dolore ed è indifferente a tutto il resto

Baci da Vaek. (Lettera di Vaclav Havel alla moglie Olga).



martedì 22 aprile 2025

La libertà

 "La libertà yè una cosa più complicata dei “diritti”, la libertà è una forma di disciplina. C’è un aneddoto che mi è sempre piaciuto: ti prendo, ti butto in mezzo al deserto e ti dico “vai, sei libero”. Tu non sei libero, anche se in apparenza lo sei. Per essere libero dovresti conoscere le oasi più vicine, sapere dove andare, saperti orientare. Oggi l’uomo è disorientato. Ma questo disorientamento lo chiama “libertà”. Bisogna al contrario essere consapevoli di com’è questo mondo, per tracciare un sentiero che è la tua vera, disciplinata libertà."


Giovanni Lindo Ferretti

lunedì 21 aprile 2025

L'uomo non ama il cambiamento

 "L'uomo non ama il cambiamento, perché cambiare significa guardare in fondo alla propria anima con sincerità mettendo in contesa se stessi e la propria vita. Bisogna essere coraggiosi per farlo, avere grandi ideali. La maggior parte degli uomini preferisce crogiolarsi nella mediocrità e fare del tempo lo stagno della propria esistenza."

- Erasmo da Rotterdam

domenica 20 aprile 2025

 UNA PASQUA MATEMATICA 🥚


Vi sarà sicuramente capitato di chiedervi perché la Pasqua, a differenza del Natale, non cade sempre lo stesso giorno. La ragione è che la data della Pasqua è stabilita in base al ciclo lunare e, in particolare, cade la prima domenica dopo la prima luna piena che segue l’equinozio di primavera. 


Tale regola risale al Concilio di Nicea convocato dall’imperatore Costantino il 20 maggio del 325 d.C., il primo concilio ecumenico cristiano. Dovendo la regola di calcolo essere valida per tutte le popolazioni cristiane della terra, il riferimento non può essere una “luna reale” ma una cosiddetta “luna ecclesiastica”, avente un periodo ben definito e corrispondente, almeno approssimativamente, con il periodo sinodico della Luna reale: questo fu il punto di partenza per l’elaborazione di tutti i metodi che avrebbero permesso di calcolare la data della domenica di Pasqua.


L’astronomo greco Metone, vissuto ad Atene nel V sec. a.C., compì osservazioni fondamentali per lo studio delle lune e, in particolare, scoprì un ciclo di 19 anni (detto “ciclo metonico”) durante il quale avvengono 235 lunazioni (intervallo di tempo tra due lune nuove consecutive), dopo il quale le fasi lunari ritornano nelle stesse date dell’anno.


A queste osservazioni è legato il concetto di numero aureo (o numero d’oro), ovvero un numero che identifica la posizione di un determinato anno all’interno del corrispondente ciclo diciannovennale di Metone. Per formalizzare il calcolo del numero aureo (e di altri numeri di cui parlerò in seguito) è necessario definire la funzione modulo. 


La funzione modulo, indicata con mod e applicata a due numeri, è una funzione che dà come risultato il resto della divisione del primo numero per il secondo. Ad esempio:


mod(7, 5) = 2


perché 7 : 5 = 1 resto 2. 


Per calcolare il numero aureo di un determinato anno è necessario inoltre specificare il primo anno di un ciclo. Questo fu selezionato dal monaco cristiano Dionigi il Piccolo, ricordato per aver collocato la nascita di Gesù nell’anno 753 “ab urbe condita”, cioè dalla fondazione di Roma e per aver introdotto il computo degli anni a partire da tale data.


Una peculiarità della numerazione di Dionigi è che non contempla l’anno zero: il monaco, infatti, non conosceva lo “zero”, introdotto in Europa nel 1202 da Leonardo Fibonacci con il suo Liber Abbaci. Egli stabilì quindi che al 31 dicembre dell’1 a.C. seguisse direttamente il 1° gennaio dell’1 d.C. e fissò nell’1 a.C. tanto la natività quanto il primo anno del ciclo.

 

Segue che il numero aureo A di un qualunque anno N d.C. è dato da 


A = 1 + mod(N, 19)


Ad esempio, il numero d’oro dell’anno 2025 è A = 1 + mod(2025, 19) = 1 + 11 = 12 perché 2025 : 19 = 106 con resto 11.


Il calcolo della data di Pasqua veniva effettuato utilizzando apposite tabelle denominate “almanacchi lunari”, all’interno delle quali venivano evidenziate le 235 lune nuove ecclesiastiche, ed utilizzando il numero aureo. Il calcolo, già piuttosto complesso, divenne ancora più ingarbugliato in seguito alla riforma del calendario del 1582, ovvero quando entrò in vigore il calendario gregoriano (ancora oggi utilizzato in quasi tutto il mondo) in sostituzione del calendario giuliano.


Fu il grande matematico Carl Friedrich Gauss ad elaborare un algoritmo che permette, conoscendo semplicemente l’anno (ad esempio 2025), di calcolare la data della Pasqua. Pubblicato sulla rivista “Monatliche Correspondenz” nel 1800 con il titolo “Berechnung des Osterfestes” (“Calcolo della Pasqua”) e corretto dallo stesso Gauss nel 1816, l’algoritmo può essere sintetizzato come segue. 


Nella tabella in figura sono evidenziati i valori di due parametri, indicati con m e n, che serviranno per il calcolo della Pasqua. Indicando con N l’anno di cui si vuole calcolare la Pasqua, occorre calcolare cinque parametri (indicati con a, b, c, d, e), per i quali è necessaria ancora una volta la funzione modulo introdotta in precedenza. I parametri possono essere calcolati come segue:


a = mod(N, 19)


b = mod(N, 4)


c = mod(N, 7)


d = mod(19a + m, 30)


e = mod(2b + 4c + 6d + n, 7)


Si noti che il parametro a può essere anche visto anche come il numero aureo diminuito di 1, ovvero a = A – 1. Ora, se d + e ≤ 9, allora la Pasqua cade il giorno (d + e + 22) del mese di marzo, se invece d + e > 9 la data sarà il giorno (22 + d + e – 31) del mese di aprile.

 

Esistono soltanto due eccezioni: se la data risultante dalla formula è il 26 aprile, allora la Pasqua cade il 19 aprile, mentre se si ottiene il 25 aprile e contemporaneamente d = 28 e a > 10 allora la data effettiva sarà il 18 aprile.


Adesso siamo pronti per calcolare la data della Pasqua del 2025!


N = 2025


Dalla tabella sappiamo che m = 24 e n = 5. Pertanto:


a = mod(2025, 19) = 11


perché 2025 : 19 = 106 con resto 11. 


b = mod(2025, 4) = 1 


perché 2025 : 4 = 506 resto 1.


c = mod(2025, 7) = 2


perché 2025 : 7 = 289 resto 2.


d = mod(19a + m, 30) = mod(19 · 11 + 24, 30) = mod(233, 30) = 23


perché 233 : 30 = 7 resto 23.


e = mod(2b + 4c + 6d + n, 7) = mod(2 · 1 + 4 · 2 + 6 · 23 + 5, 7) = (153, 7) = 6 


perché 153 : 7 = 21 resto 6.


Siccome d + e = 23 + 6 = 29 > 9, la Pasqua cade il giorno 22 + d + e – 31 di aprile, ovvero il 22 + 29 – 31 = 20 di aprile.


Buona Pasqua a tutti! 🐣


Bibliografia:

Guy Waldo Dunnington, Gauss: Titan of science, Exposition Press, 1955.

Heinz Klaus Strick, Carl Friedrich Gauss, Spektrum der Wissenschaft Verlagsgesellschaft Heidelberg, 2008;

Carl B. Boyer, Storia della matematica, Mondadori, 2014; 

Lorenzo Perogio, Il metodo di Gauss per il calcolo della Pasqua, matematicamente.it, 2009;

Antonio Rufián Lizana, Gauss: una rivoluzione nella teoria dei numeri, RBA, 2017.

BUONA PASQUA!

 BUONA PASQUA!

«Pasqua sia per tutti il rotolare del macigno, la fine degli incubi, l'inizio della luce, la primavera di rapporti nuovi. E se ognuno di noi, uscito dal suo sepolcro, si adopererà per rimuovere il macigno del sepolcro accanto, si ripeterà finalmente il miracolo che contrassegnò la risurrezione di Cristo».

Don Tonino Bello


venerdì 18 aprile 2025

Prete Titanic

 Non conoscevo questa storia meravigliosa, perché sull'argomento (il naufragio del Titanic), si è detto, filmato e cantato di tutto, tranne questo episodio. Guarda caso.

A bordo vi era un prete cattolico, Thomas Byles (cresciuto in una famiglia protestante, prese infatti il nome Thomas dopo la conversione), che si portò dietro il necessario per celebrare messa.

Andava in America, per officiare le nozze del fratello. 

La mattina del disastro, profeticamente, nell'omelia, parlò di un naufragio che riguardava chi, non avesse preparato la scialuppa di Cristo. 

Subito dopo l'allarme, tranquillizzo' chiunque incontrava, benedicendolo, non perse mai la calma e il sorriso e rifiuto', categoricamente, per ben due volte, di mettersi in salvo, dando la precedenza ad altri.

Quando la nave era già inclinata, affannosamente andava per i corridoi a riconciliare e confessare chiunque incontrasse.

Alla fine, quando era chiaro che l'affondamento sarebbe stato inevitabile, iniziò la recita del Rosario e le invocazioni a Maria, Speranza dei disperati.

I rimasti a bordo, di ogni religione e nazionalità, si strinsero attorno a lui, perché emanava qualcosa di meraviglioso. 

Chi era sulle scialuppe ormai lontane, sentiva le sue invocazioni e le risposte di chi era attorno a lui.

Quella notte, non solo diede la vita per gli altri, ma salvò tantissime persone, probabilmente tutte le vittime, con la sua santa condotta. 

Questa è la Fede, da piangere per l'emozione, pensando allo scandire del Santo Rosario, in quel buio terribile. 

Come pianse il Papa Pio X, quando conobbe la vicenda, direttamente dal fratello del sacerdote. 

La rivoluzione, ovviamente, nonostante l'argomento proposto e riproposto in tutte le salse, ha occultato tale racconto. 

In realtà, infatti, in quel buio gelido e atroce, non c'è mai stata tanta luce divina. 

Mentre, in un mondo di false luci, oggi il buio domina.

Domina nei cristiani di maniera, che si adattano al presente, al compromesso al tirare a campare; nei tanti consacrati, che hanno messo il mondo e le sue ragioni immonde, davanti a tutto, persino alla Verità. 

Che per puro amore di carriera e di convenienza, tacciono e si adeguano.

Spesso, sposando, ignobilmente, lo schifo presente. 

Il vero Titanic è adesso, in un mondo completamente arreso al male, e che spesso, addirittura, sposa dei sanguinari, ricchi e corrotti, affetti da megalomania infinita, come eroi e punti di riferimento.

Aiutaci, meraviglioso Padre Thomas, e corri per le nostre vite infami e per i nostri cuori assuefatti, come correvi per quei corridoi quella notte.

Perché è notte, qui. Notte fonda.

Peggio di allora.


Marco Palladino

giovedì 17 aprile 2025

La Sacra Sindone

 

La ricerca sulla Sindone negli studi dello scienziato Bruno Barberis

Bruno Barberis, laureato in Matematica e già professore associato di Fisica Matematica presso il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino, nel 1975 ha iniziato ad occuparsi della Sindone dal punto di vista della ricerca scientifica, e dal 1977 è membro della Confraternita del Santissimo Sudario e del Centro Internazionale di Sindonologia di Torino, organismi che si occupano di coordinare a livello internazionale gli studi e le ricerche sulla Sindone e di promuoverne la conoscenza (www.sindone.it/museo/it/home/).

L’antica teca contenente il Santo Sudario (Fotografia di Isabella Puma)

Di seguito, una breve descrizione fatta proprio dal professor Barberis sul famoso telo, dal punto di vista storico e scientifico:

«La Sindone è un oggetto conosciuto in tutto il mondo. Dopo aver trasferito la capitale del ducato da Chambéry a Torino nel 1562 il Duca Emanuele Filiberto decise di portarvi anche la Sindone che era stata donata alla loro casata nel 1453.

L’occasione si presentò quando l’arcivescovo di Milano, San Carlo Borromeo, fece sapere che intendeva sciogliere il voto, da lui fatto durante l’epidemia di peste degli anni precedenti, recandosi in pellegrinaggio a piedi a visitare la Sindone. Emanuele Filiberto ordinò allora di trasferire il telo a Torino, segno distintivo della benevolenza divina dei Savoia, per abbreviargli il cammino che San Carlo percorse in cinque giorni. La Sindone, da allora, rimase sempre a Torino, salvo brevi spostamenti.

Teca e particolare (Fotografia di Isabella Puma)

Nel 1694 viene collocata nella nuova Cappella della Sacra Sindone, cappella appositamente costruita, edificata tra il Duomo e il Palazzo reale dall’architetto Guarino Guarini. Quando nel 1706 Torino era sotto assedio dei francesi, la Sindone venne trasferita per breve tempo a Genova; dopo questo episodio non si muoverà più per oltre duecento anni, rimanendo a Torino anche durante il periodo dell’invasione napoleonica.

 

Fotografie di Isabella Puma

Nel 1939, nell’imminenza della Seconda guerra mondiale, venne nascosta nel santuario di Montevergine in Campania, dove rimase fino al 1946: questo è, a tutt’oggi, il suo ultimo viaggio. Umberto II di Savoia, morto nel 1983, lascia nel testamento il sacro telo alla Santa Sede e Papa Giovanni Paolo II decreta che rimanga nella città di Torino.

Fotografie di Isabella Puma

Il mio interesse per la Sindone è nato in modo casuale; dopo il conseguimento della laurea, nel 1975, conobbi il professore Tino Zeuli ‒ che all’epoca ricopriva la carica di Presidente della Confraternita del Santissimo Sudario ‒ che incominciò a parlarmi della Sindone e a prestarmi libri che trattavano delle ricerche fatte sulla Sindone. Fui subito interessato da questo oggetto dal fascino unico e incominciai a studiarlo in modo scientifico.

Fotografie di Isabella Puma

La particolarità della Sindone è data dal fatto che un semplice telo con numerose macchie tiene in scacco la scienza moderna perché nessuno è ancora riuscito a capire tramite quale fenomeno si sia formata questa eccezionale doppia impronta umana. L’unico modo per cercare di comprenderne l’origine è quello di eseguire esperimenti per riprodurne su un telo un’impronta con le stesse caratteristiche chimico-fisiche ma, finora, non si è ancora riusciti ad ottenere risultati soddisfacenti.

Impronta del risorto (Fotografia di Isabella Puma)

 

Oggi, dopo più di un secolo di studi e di ricerche scientifiche, sappiamo con certezza che:

– l’immagine ha caratteristiche simili a quelle di un negativo fotografico ed è estremamente superficiale interessando le fibre del tessuto per uno spessore di un ordine di grandezza inferiore al millesimo di millimetro;

– l’immagine è stata prodotta dal cadavere di un essere umano che ha subìto numerose torture tra le quali i supplizi della flagellazione e della crocifissione i cui segni sono visibili su di essa in modo anatomicamente preciso e coincidono perfettamente con la descrizione evangelica della passione, morte e sepoltura di Gesù;

– sulla Sindone sono presenti numerose macchie di sangue umano di gruppo AB prodotte da ferite di origine traumatica;

– non si tratta di un dipinto, né di un’opera realizzata mediante tecniche riproduttive conosciute;

– i pollini ritrovati sulla Sindone consentono di ritenere molto probabile un suo soggiorno in Palestina e in Anatolia prima del suo arrivo in Europa nel XIV secolo;

– l’immagine possiede peculiari caratteristiche tridimensionali;

– esiste una stretta correlazione (confermata con l’ausilio del computer) tra il volto dell’uomo della Sindone e l’iconografia del volto di Gesù del primo millennio;

– sul retro della Sindone è assente l’immagine corporea, mentre sono ben visibili le macchie di sangue.

Fotografie di Isabella Puma

C’è ancora incertezza sull’età del lino: gli studi teorici e sperimentali successivi alla datazione medievale (1260-1390 d.C.) stabilita dagli esami  effettuati  nel 1988 con  il metodo del  C14 consentono di ritenere molto probabili alterazioni di vario genere (tessili, ambientali, biologiche, chimiche, ecc.) che, nel loro insieme, possono aver modificato considerevolmente il risultato della datazione, “ringiovanendo” il telo; inoltre varie critiche sono state sollevate sulla correttezza dell’analisi statistica dei dati e sulla rappresentatività dei campioni prelevati.

La Sindone, ad oggi, è una immagine irriproducibile che parla un linguaggio universale privo di mediazioni linguistico-culturali. La sua modernità e il suo fascino nascono dal fatto che quest’immagine dall’origine ancora misteriosa può essere quella lasciata da quel personaggio di nome Gesù nato a Betlemme più di duemila anni fa, di cui parla la storia, come sostengono alcuni, oppure da un altro condannato a morte, o addirittura essere l’opera di un artista del passato, come sostengono altri.

Ma gli studi scientifici effettuati sulla Sindone in questi ultimi cento anni, soprattutto quelli degli ultimi decenni, hanno permesso di capire, come ho già ricordato precedentemente, che l’impronta non può essere stata realizzata con mezzi e strumenti conosciuti dagli uomini secoli fa e che il suo confronto analitico con la descrizione evangelica della passione di Gesù, effettuato con l’ausilio del calcolo delle probabilità, permette di ritenere molto alta la probabilità che si tratti del telo funebre che ha avvolto proprio quel crocifisso vissuto duemila anni fa

di Isabella Puma

martedì 15 aprile 2025

Ricchezza del linguaggio

 🔴Il Quoziente d’Intelligenza medio della popolazione mondiale è in continuo aumento (effetto Flynn).

   Questo almeno dal secondo dopoguerra fino alla fine degli anni ’90. 

 Da allora il QI è invece in diminuzione. 

 È l’inversione dell’Effetto Flynn.

    La tesi è ancora discussa e molti studi sono in corso da anni senza riuscire a placare il dibattito. 

   Sembra che il livello d’intelligenza misurato dai test diminuisca nei Paesi più sviluppati. 

 Molte possono essere le cause di questo fenomeno. 

 Una di queste potrebbe essere l'impoverimento del linguaggio.

    Diversi studi dimostrano infatti la diminuzione della conoscenza lessicale e l'impoverimento della lingua:

 non si tratta solo della riduzione del vocabolario utilizzato, ma anche delle sottigliezze linguistiche che permettono di elaborare e formulare un pensiero complesso

   La graduale scomparsa dei tempi (congiuntivo, imperfetto, forme composte del futuro, participio passato) dà luogo a un pensiero quasi sempre al presente, limitato al momento: 

incapace di proiezioni nel tempo. 

   La semplificazione dei tutorial, la scomparsa delle maiuscole e della punteggiatura sono esempi di “colpi mortali” alla precisione e alla varietà dell'espressione. 

 Solo un esempio: 

eliminare la parola "signorina" (ormai desueta) non vuol dire solo rinunciare all'estetica di una parola, ma anche promuovere involontariamente l'idea che tra una bambina e una donna non ci siano fasi intermedie. 

   Meno parole e meno verbi coniugati implicano meno capacità di esprimere le emozioni e meno possibilità di elaborare un pensiero

   Gli studi hanno dimostrato come parte della violenza nella sfera pubblica e privata derivi direttamente dall'incapacità di descrivere le proprie emozioni attraverso le parole. 

   Senza parole per costruire un ragionamento, il pensiero complesso è reso impossibile.

   Più povero è il linguaggio, più il pensiero scompare. 

 La storia è ricca di esempi e molti libri  

(Georges Orwell - 1984; Ray Bradbury - Fahrenheit 451) hanno raccontato come tutti i regimi totalitari hanno sempre ostacolato il pensiero, attraverso una riduzione del numero e del senso delle parole. 

 Se non esistono pensieri, non esistono pensieri critici. 

 E non c'è pensiero senza parole. 

   Come si può costruire un pensiero ipotetico-deduttivo senza il condizionale? 

   Come si può prendere in considerazione il futuro senza una coniugazione al futuro?

   Come è possibile catturare una temporalità, una successione di elementi nel tempo, siano essi passati o futuri, e la loro durata relativa, senza una lingua che distingue tra ciò che avrebbe potuto essere, 

ciò che è stato, 

ciò che è, 

ciò che potrebbe essere, e 

ciò che sarà dopo che ciò che sarebbe potuto accadere, è realmente accaduto? 

 Cari genitori e insegnanti: facciamo parlare, leggere e scrivere i nostri figli, i nostri studenti.

 Insegnare e praticare la lingua nelle sue forme più diverse. 

 Anche se sembra complicata. 

   Soprattutto se è complicata.

   Perché in questo sforzo c'è la libertà. 

  Coloro che affermano la necessità di :

 semplificare l'ortografia, 

 scontare la lingua dei suoi “difetti”, 

abolire i generi, i tempi, le sfumature, tutto ciò che crea complessità, 

sono i veri artefici dell’impoverimento della mente umana. 

   Non c'è libertà senza necessità.

   Non c’è bellezza senza il pensiero della bellezza.

Christophe Clavé

Quando e carente il linguaggio per potere esprimere chiaramente il proprio pensiero, la propria opinione, le proprie emozioni, il proprio malessere, tutto il linguaggio non appare chiaro ed e' soggetto a essere frainteso, con gravi conseguenze che minano i nostri rapporti con gli altri, i quali sono alla base del nostro vivere come comunita' e come societa'. 

  Quante, liti, incomprensioni, sfociano in tragedie proprio perche' il parlare viene frainteso o captato male? 

  Condivido che conoscere bene la nostra lingua, aiuta la nostra mente a capire bene i concetti, che poi sono quelli che arricchiscono la nostra mente e nutrono i nostri pensieri.

Da :Eresia

#cultura #filosofia #letteratura #istruzione #pensierocritico #pensiero #linguaitaliana #linguaggio

lunedì 14 aprile 2025

mistero c'è, è in noi.

 Il mistero c'è, è in noi. Basta non dimenticarcene. Il mistero c'è e, col mistero, di pari passo, la misura;

 ma non la misura del mistero,..., ma qualche cosa che in un certo senso al mistero s'opponga, pure essendone per noi la manifestazione più alta : questo mondo terreno considerato come continua invenzione dell'uomo. Il punto d'appoggio sarà il mistero, e il mistero è il soffio che circola in noi e ci anima" (17). 

"E ogni uomo moderno di buona volontà dovrebbe anche avere per affanno di riconciliare il vero con il mistero"

Ungaretti 

i lupi Tra il grigio delle pecore

 🔴 “Tra il grigio delle pecore si celano i lupi, vale a dire quegli esseri che non hanno dimenticato che cos'è la libertà. E non soltanto quei lupi sono forti in se stessi, c'è anche il rischio che, un brutto giorno, essi trasmettano le loro qualità alla massa e che il gregge si trasformi in branco. È questo l' incubo dei potenti.”


Ernst Jünger, “Trattato del ribelle”


Ed è subito sera

 Quasimodo

Ed è subito sera

 Ognuno sta solo sul cuor della terra¹

 trafitto da un raggio di sole²: 

ed è subito sera³.  


Saba, 

Sera di febbraio 

Spunta la luna. 

Nel viale è ancora giorno,

 una sera che rapida cala.

 Indifferente⁴ gioventù s'allaccia⁵;

 sbanda a povere mete.

 Ed è il pensiero della morte che,

 infine, aiuta a vivere.



 1 Credendo di essere al centro del mondo.

2 Dalla luce solare che è fonte di felicità, ma nello stesso tempo di dolore perché è un’illusione che si scopre al tramonto. 

3 Giunge la morte. 

4 Indifferente al passare del tempo.

 5 Cammina insieme abbracciata. 

sabato 12 aprile 2025

Sua maestà lo psoas

 Sua maestà lo psoas senza tediare troppo con l anatomia...


1. È un muscolo che pensa


Lo psoas è avvolto in una rete ricchissima di terminazioni nervose viscerali e somatiche. Questo lo rende un vero trasduttore neurovegetativo: sente, risponde, trattiene. È il primo a irrigidirsi nei traumi e l’ultimo a lasciar andare.


2. È un ponte tra il cuore e le gambe


Origina dalle vertebre toraco-lombari, passa accanto al diaframma, scivola tra i visceri, si inserisce sul piccolo trocantere femorale. Non è un semplice flessore: connette profondamente il torace al bacino, partecipando anche al ritmo del respiro (soprattutto nei respiri diaframmatici profondi).


3. È un “guardiano emozionale”


Lo psoas è spesso iperattivo in chi vive in modalità fight or flight. Un psoas contratto cronicamente può essere la manifestazione somatica di paure arcaiche, senso di insicurezza, esperienze di instabilità. Lavorarci significa toccare anche le memorie cellulari.


4. È muscolo... ma anche organo sensoriale


Secondo alcuni approcci osteopatici e somatici (Jeffrey Yuen incluso), va trattato come un organo del sentire profondo, non solo come una struttura meccanica. Ha una vera funzione di radicamento energetico, specie per chi ha perso il contatto con il proprio centro (dall’ombelico in giù).


5. È legato all’Acqua e al Mandato (Ming Men)


Secondo la MCC, è in relazione con il Rene, il Ming Men e lo Zhi. La sua tensione può essere un segnale di disconnessione dal proprio scopo, dal proprio “perché” viscerale. Liberarlo può riattivare l’ascolto del Mandato del proprio progetto ( certo suona strano ma non lo e') 

Come si fa sentire ?

Lombalgia cronica (soprattutto monolaterale)

Lo psoas tira le vertebre lombari in avanti e lateralmente.

Risultato? Dolore lombare asimmetrico, resistente a manipolazioni classiche.


2. Tensione inguinale e pubalgia


Può generare dolore profondo nella piega dell’inguine, a volte confuso con ernia, infiammazione dei tendini adduttori o problemi urologici/ginecologici.


3. Dolore sacrale o disallineamento del bacino


Quando è contratto unilateralmente, lo psoas può “ruotare” il bacino, alterando il rapporto con sacro e ileo.

Sensazione: come se una gamba fosse “più corta” o il corpo fosse sbilanciato.


4. Mal di pancia da stress


Lo psoas dialoga con il diaframma e i visceri. Se è in spasmo, può creare una vera e propria sensazione di nodo viscerale, nausea psicosomatica, tensione addominale inspiegabile.


5. Dolori al ginocchio (senza causa apparente)


La sua azione sulla catena anteriore e sulla rotazione interna del femore può portare a dolore anteriore o interno del ginocchio, anche senza infiammazioni evidenti.


6Sciatalgia “mascherata”


Un psoas infiammato può irritare il nervo femorale, ma a volte anche disturbare il decorso del nervo sciatico per effetto compensatorio.

Racconto tipico: “Mi fa male la gamba… ma la schiena è a posto!”


7 Dolori mestruali e tensioni pelviche


Lo psoas va a sfiorare l’utero, le ovaie, il colon.

Se è contratto, può contribuire a dismenorrea, gonfiore addominale e dolore pelvico. Specie nei soggetti che vivono tutto “nella pancia”.


Sensazione di “non avere una base”


Non è un dolore fisico, ma una percezione sottile: smarrimento, instabilità emotiva, mancanza di radicamento. È il corpo che ti dice: “non ti stai fidando di te stesso”.


Lo conosciamo come flessore dell’anca.

Lo trattiamo come un muscolo.

Ma lo psoas è molto di più.

È la “cerniera invisibile” tra il cervello, il cuore, il ventre e la storia che portiamo dentro.


Ecco 5 cose che (forse) non sapevi:


1. È collegato al sistema limbico

Ogni volta che ci sentiamo minacciati, lo psoas si prepara a fuggire.

È un messaggero diretto dell’amigdala.

Non solo tensione: è memoria emozionale.


2. Parla con l’intestino e con il respiro

Attraversa il diaframma e sfiora i visceri.

Se è contratto, può alterare la digestione, il tono vagale e il senso di sicurezza.

Il corpo si chiude per proteggersi.


3. Risponde alla PNEI

Cortisolo, citochine infiammatorie, stress cronico: lo psoas li sente tutti.

È una “spia” dell’asse psico-neuro-endocrino-immunitario.

Se non dormi bene, se sei sempre in allerta, lui lo sa.


4. Trattiene il trauma (freeze)

Nel trauma non sempre si combatte o si fugge. A volte si congela.

Lo psoas può restare teso per anni, come se il pericolo non fosse mai passato.

E non basta allungarlo per liberarlo.


5. Ha bisogno di nutrimento specifico


Magnesio bisglicinato per rilassarsi


B6 e B1 per rigenerare i circuiti del sistema nervoso


Ashwagandha per dirgli che può fidarsi


Zinco per riparare i danni silenziosi

Ma attenzione 

In kinesiologia non cerchiamo solo muscoli deboli.

Cerchiamo perché si sono indeboliti.


A volte manca magnesio.

A volte manca la zia la fidanzata la nonna la madre 

A volte manca solo il silenzio.


Uno psoas che non regge può segnalare si una carenza di zinco,

oppure un desiderio di protezione mai espresso.


Per questo non esiste la vitamina giusta per tutti.

Ogni persona è un test unico.

Una storia che si racconta attraverso il corpo,

e che può essere ascoltata con rispetto.


La vera forza non si impone.

Si restaura,

quando le condizioni interiori sono pronte ad accoglierla.


I 3 LIVELLI DELLA DEBOLEZZA IN KINESIOLOGIA


(Quando un muscolo “non tiene”, cosa sta dicendo davvero?)


1. LIVELLO BIOCHIMICO – Il corpo ha fame


Carenze di minerali, vitamine, acidi grassi, enzimi.


Intossicazioni silenziose, disbiosi, squilibri ormonali.


Segnali: stanchezza cronica, spasmi, dolori ricorrenti.


 (Cosa manca nel mio corpo per funzionare bene?)


2. LIVELLO PSICHICO – Il corpo ha memoria


Traumi emotivi, lutti, paure antiche non digerite.


Meccanismi di protezione (freeze, fuga, maschere).


Il muscolo si “spegne” per proteggerti.


(Cosa sto trattenendo o evitando?)


3. LIVELLO ENERGETICO – Il corpo ha un messaggio


Interferenze nei meridiani, squilibri degli organi secondo la MCC.


Campo energetico alterato, radicamento fragile.


Il muscolo parla attraverso il Qi che non scorre.


( Dove ho smarrito il mio flusso?)