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mercoledì 29 maggio 2019

Alessandro D’Avenia: «Incanto, fragilità e speranza. Ecco quello che ho imparato da Leopardi»



Alessandro D’Avenia: «Incanto, fragilità e speranza. Ecco quello che ho imparato da Leopardi»



Alessandro D'Avenia: «Incanto, fragilità e speranza. Ecco quello che ho imparato da Leopardi»
L’Infinito di Leopardi il 28 maggio ha compiuto 200 anni. Migliaia di studenti a Recanati, dov’è nato il poeta, e in contemporanea in molte piazze, scuole, biblioteche e carceri di tutta Italia e all’estero hanno partecipato al flashmob #200infinito organizzato dal Miur. Con loro, in piazza Sabato del Villaggio, c’erano il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti e la contessa Olimpia Leopardi, ideatrice dell’iniziativa.
Alessandro D’Avenia, come ha onorato la giornata?
«Seguendo le istruzioni dell’Infinito: l’infinito si trova dove sono le cose più “care”. Per lui il colle e la siepe, per me la scuola: quindi ore con i miei studenti, tra correzione di compiti, lavoro con i colleghi e versi danteschi. E poi mi hanno invitato a premiare tre bambini di quinta elementare che avevano partecipato al concorso di narrativa per le quinte della scuola. In ognuna di queste cose ho trovato un po’ del mio infinito quotidiano».
Con il suo libro «L’arte di essere fragili: come Leopardi può salvarti la vita» (Mondadori) non solo ha venduto migliaia di copie, ma ha riempito i teatri di ragazzi. Qual è l’incantesimo di Leopardi, dopo due secoli?

«Non è un incantesimo, ma un incanto. L’incantesimo lancia una menzogna sulla realtà, l’incanto svela la bellezza imprigionata nella realtà. Il suo segreto è racchiuso nel titolo del libro: c’è un’arte di vivere che è proprio l’arte di essere fragili. Per il poeta il limite non è una condanna, ma una sfida, non è un alibi per ritirarsi, ma un destino da trasformare in destinazione. Un toccasana per un tempo illuso che non ci siano limiti o che vadano rimossi. Solo la piena accettazione della nostra condizione finita ci apre all’infinito, la scoperta dell’essere relativi ci apre a relazioni autentiche».
Perché Leopardi è stato così importante nella sua formazione e qual è l’insegnamento più grande che ne ha tratto e che cerca di trasmettere ai suoi studenti?

«Che la bellezza ha l’ultima parola e non il nulla. Leopardi ha posto la bellezza come baluardo contro la tentazione del nulla che conosceva bene. Non si crea nulla se non si spera, e la lezione di Leopardi è proprio questa: creare contro ogni speranza. La ginestra, il suo testamento, fiorisce nel deserto, lo “consola e profuma”, non rinuncia al suo compimento, trasforma la materia che la vita le offre in bellezza. Proprio in questa poesia Leopardi usa l’aggettivo “frale” (fragile) per indicare i cespugli di ginestra, un aggettivo presente nei Canti solo un’altra volta, nel Canto notturno del pastore errante che si definisce “esser frale”. In questo nostro tempo in cui sembra esser titolato a vivere solo chi è perfetto, Leopardi ci riporta alla realtà: è veramente vivo chi abbraccia tutta la sua verità e la vive come compito, chi è presente non chi è prestante, chi non smette, come Leopardi e il suo pastore errante, di chiedersi: “Ove tende questo vagar mio breve?”»

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