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sabato 25 luglio 2020

C'era una volta la presenza cristiana sul posto di lavoro.

«La società in cui viviamo ha paura di ogni fatto che non nasca da se stessa, di ogni fatto che provenga da una vita nuova, da una vera esperienza di unità e liberazione fra gli uomini. Per questo la società combatte con ogni mezzo i tentativi di una vita nuova: lo strumento più potente che ha a sua disposizione si chiama ideologia. L’ideologia è la spiegazione delle cose fatta ad uso e consumo degli interessi che si vogliono difendere, ad uso e consumo di ogni forma di potere, di comodo e di carrierismo. (…)
L’ideologia della società rifiuta e combatte il fatto nuovo del cristianesimo, la novità dell’incontro di Cristo con gli apostoli, la loro esperienza di comunità. Rifiuta cioè la morte e resurrezione di Cristo per liberare gli uomini, tutti gli uomini: quelli con cui aveva vissuto e quelli che oggi nella comunità proseguono l’esperienza di unità dei primi cristiani. Di più, questa società ha paura del fatto cristiano, teme la presenza di una reale comunità cristiana, di una reale esperienza di unità e liberazione fra gli uomini. Liberazione è il riconoscimento che il fondamento e il significato delle cose non è il frutto di un progetto fatto a tavolino. L’ideologia tende a dare un’interpretazione del cristianesimo così ridotta e mutilata che anche quelli che lo vivono vengono ridotti all’impotenza perché non sanno più riconoscere la loro esperienza. Difatti il cristianesimo, nell’immagine che ne dà la società, viene ridotto da un lato ad impegno morale e dall’altro ad una fede della quale si dice che non possa avere altra motivazioni che le proprie personali convinzioni. Dall’impegno morale che un cristiano deve avere ci si aspetta serietà, spirito di collaborazione e quel tanto di arrivismo che ormai è regola della nostra società. (…)
Il mondo del lavoro, i rapporti reali di potere tra le persone sono un conto, il cristianesimo è un altro. Fra i due non ci può e soprattutto non ci deve essere rapporto. È in questo modo che la società riesce ad averla vinta: le fabbriche possono essere piene di cristiani, ma non si riesce a trovare segno di una presenza cristiana. (…)
I cristiani che rinunciano ad avere la loro faccia anche sul posto di lavoro, cioè a tentare di porre in atto la comunità cristiana lì dentro, rinunciano a porvi un atto di liberazione: l’esperienza della comunità cristiana, proprio nel luogo in cui gli uomini più avrebbero bisogno di liberazione, nel luogo in cui sono maggiormente oppressi. Non ci si può accorgere della situazione in cui noi e gli altri viviamo senza riprendere coscienza che ai cristiani è stato affidato un compito: annunciare il fatto nuovo che è Cristo, vivere la sua comunione con gli uomini, a cominciare da quelli che ci stanno gomito a gomito, iniziando la costruzione di un’esperienza di comunità cristiana con i colleghi e i compagni di lavoro. Il luogo di lavoro diventa l’occasione concreta per iniziare a vivere nuovi rapporti con colleghi e compagni, per annunciare che la liberazione di Cristo non sta sopra la testa della gente, ma entra nella loro vita, nei suoi particolari quotidiani, riguarda il modo che uno ha di concepire se stesso, il modo con cui è organizzata la produzione e il lavoro. (…)
La possibilità che qualcosa cominci a cambiare nella vita della fabbrica o dell’azienda, dipende anzitutto dal modo diverso di concepire la nostra presenza in quel luogo. Si tratta di una nuova coscienza di se stessi. Coscienza, conoscenza nuova di sé è accorgersi che l’incontro con quel Cristo che libera il mondo mi ha cambiato: sono unito a quel Cristo e a tutti quelli che sono con lui, sono perciò “in comunione” con gli altri cristiani. (…) Una coscienza nuova di sé che crede veramente che Cristo è la salvezza del mondo significa credere che questa salvezza, questa liberazione, è trasmessa agli uomini attraverso la presenza dei cristiani. Vuol dire che noi siamo, per compagni e colleghi di lavoro, lo strumento con cui possono incontrare Cristo, nell’esperienza di liberazione che già ci è data. Anzi, questa liberazione per noi è vera solo se desideriamo che anche gli altri la incontrino; se non la desideriamo per tutti, al fondo, non è nemmeno vero che la desideriamo per noi stessi».

(Comunione e Liberazione Lavoratori, Lettera ai cristiani nelle aziende e nelle fabbriche, dicembre 1972, pp. 8-10)

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