“E’ veramente un enigma per me capire perché, dopo avere appena seppellito un mostro, l’Unione Sovietica, ne stiamo costruendo un altro notevolmente simile: l’Unione Europea”.
Per pronunciare parole così dure e chiare – in tempi di conformismo europeista – ci vuole qualcuno abituato ad andare controcorrente, qualcuno che conosce bene l’Urss e l’uso che i regimi fanno della propaganda, qualcuno che sa quanto è vulnerabile la libertà, qualcuno che ha un coraggio da leone per aver combattuto il totalitarismo sovietico: è l’identikit di Vladimir Bukovskij.
EROICO
Infatti quelle citate sono parole sue (insieme ad altre che vedremo – durissime – contro l’Unione europea). Bukovskij, che è morto proprio un mese fa a Cambridge, a 76 anni, è stato definito dal New York Times “un eroe di grandezza quasi leggendaria”.
Nato a Mosca nel 1942, a 17 anni fu espulso dalla scuola per aver fondato una rivista proibita. Appena diciottenne, nel 1960, organizza in piazza, davanti al mitico monumento a Majakovskij, a Mosca, delle letture pubbliche (vietissime dal regime) dei poeti: da Pasternak a Osip Mandelstam.
Arrestato, subisce le prime detenzioni e condanne. Tornato libero organizza manifestazioni in difesa di altri dissidenti perseguitati dal regime (Aleksandr Ginzburg e Jurij Galanskov) e viene di nuovo arrestato e condannato.
Nel 1971 riesce a far arrivare in occidente le prove dell’esistenza di ospedali psichiatrici per dissidenti in Urss. La scoperta di manicomi usati per piegare i dissidenti suscitò enorme clamore in Occidente e provocò l’ennesimo suo arresto con la condanna a sette anni più cinque di esilio.
Poi, anche per le pressioni internazionali, fu liberato ed espulso dall’Urss nel 1976. Si stabilì in Inghilterra rimanendo sempre l’indomito combattente per i diritti umani, per la verità e contro il comunismo.
Così, vivendo in Europa, si è trovato a parlare in modo egualmente chiaro su quello che è accaduto dopo il crollo del comunismo.
Ancora una volta Bukovskij è risultato scomodo ed è parso urticante il suo paragone fra la Ue e l’Urss, tanto è vero che è rimasto inascoltato dai media mainstream. Ma quali erano le ragioni di questa sua presa di posizione? Bukovskij elencava una serie di analogie.
LA NOMENKLATURA
Eccole: “L’Unione Sovietica era governata da quindici persone non elette che si attribuivano incarichi l’un l’altro e che non erano tenuti a rispondere a nessuno. L’Unione Europea è governata da due dozzine di persone non elette, che si attribuiscono incarichi l’un l’altro (…) non devono rispondere a nessuno e che non possiamo rimuovere. Uno potrebbe dire che l’Unione Europea ha un Parlamento eletto. Beh, anche l’Unione Sovietica aveva una specie di Parlamento, il Soviet Supremo, che si limitava a timbrare le decisioni del Politburo più o meno come fa oggi il Parlamento dell’Unione Europea”.
Si può pensare che Bukovskij qui esageri, ma se si va a vedere cosa sta accadendo, proprio in questi giorni, con il cosiddetto Mes, si può constatare che le sue parole sono davvero calzanti.
Egli poi – fra le varie analogie – parlava degli “euroburocrati con altissimi stipendi, con i loro staff, che semplicemente ruotano da una posizione all’altra, non importa quali siano i loro risultati o i loro insuccessi. Non è esattamente come nel regime sovietico?”
Qui si potrebbe obiettare che l’Unione Sovietica imponeva il suo volere con la repressione e, anche ai membri del Patto di Varsavia, grazie alla forza bruta, mentre la Ue non usa la forza militare, ma è difficile dar torto a Bukovskij quando affermava che però usa “la prepotenza economica”.
ANNIENTARE LO STATO NAZIONALE
Un’altra analogia segnalata dal dissidente russo fa molto riflettere: “A noi venne detto che l’obiettivo dell’Unione Sovietica era quello di creare una nuova entità storica, il popolo sovietico, e che dovevamo dimenticare le nostre nazionalità, le nostre tradizioni etniche e le nostre usanze. La stessa cosa sembra accadere con l’Unione Europea, dal momento che non vogliono che voi siate inglesi o francesi: vogliono che voi siate tutti appartenenti a una nuova fattispecie storica, gli europei, per sopprimere tutti i vostri sentimenti nazionali e vivere come una comunitàmultinazionale. Dopo 73 anni, questo sistema nell’Unione Sovietica ha condotto a più conflitti etnici che in qualunque altra parte del mondo. Nell’Unione Sovietica uno dei grandi obiettivi era la distruzione dello stato nazione e questo è esattamente ciò che osservo in Europa oggi. Bruxelles vuole assorbire gli stati nazione in modo che cessino di esistere”.
In effetti appare evidente che l’Unione europea non è più – come la prima Comunità europea – una libera unione di Stati che collaborano su alcune materie, ma senza abdicare alla propria indipendenza e identità.
Le enormi difficoltà che oggi incontra la Gran Bretagna (addirittura la Gran Bretagna!) per uscire dall’Unione europea, fa somigliare l’Ue davvero al Patto di Varsavia.
Non è più una libera unione di Stati, ma qualcosa che limita la libertà, perché i luoghi da cui è difficile e quasi temerario uscire non si chiamano case, ma prigioni.
LIBERTA’
L’ultima obiezione che si può muovere al confronto di Bukovskij fra Urss e Ue, riguarda le libertà fondamentali, perché è evidente che in Unione sovietica era negata la libertà di pensiero e di espressione.
Ma questo nessuno lo sa come lo sapeva Bukovskij che lo aveva sperimentato e pagato sulla propria pelle. Dunque non si può far finta di nulla se un uomo così, con una storia come la sua, continua a metterci in guardia sostenendo che nell’Unione Europea c’è “un Gulag intellettuale chiamato politically correct”, tanto che se uno si esprime su certe cose “o se le sue opinioni differiscono da quelle approvate, viene ostracizzato. Questo è l’inizio del Gulag, l’inizio della perdita della libertà”.
ANALOGIE E PROFEZIE
Nell’Urss – spiega Bukovskij – “ci hanno detto che avevamo bisogno di uno stato federale per evitare le guerre. Nell’Unione Europea vi stanno dicendoesattamente la stessa cosa. In breve, la stessa ideologia sorregge entrambi i sistemi”.
Secondo Bukovskij l’Unione europea “collasserà” come il comunismo sovietico perché “incapace di riformarsi” come l’Urss e quando ciò accadrà “lascerà dietro di sé una distruzione di massa e noi ci troveremo con enormi problemi economici ed etnici”.
Il grande dissidente, in quel suo appello inascoltato, esortava i popoli europei a riprendersi l’indipendenza: “Non siete costretti ad accettare quello che hanno pianificato per voi. Dopo tutto, nessuno vi ha mai chiesto se volevate esserne parte. Io ho vissuto nel vostro futuro. E non ha funzionato”.
Bisogna riconoscere che anche su questo Bukovskij ha ragione, perché tutti i passaggi fondamentali che hanno portato a stringere questo nodo scorsoio attorno al collo dei popoli europei (specialmente al nostro) sono sempre stati decisi in modo tecnocratico, camuffando le decisioni dietro sigle e trattati per addetti ai lavori e talora con il pretesto di emergenze che impongono quelle scelte.
Infatti oggi si arriva fino al punto di “scomunicare” chi vuol portare certe scelte alla luce del sole accusandolo di populismo, sovranismo, come fosse un pericoloso demagogo che rischia di suscitare turbolenze sui mercati.
Quale sia la loro filosofia lo si capisce dalle parole di Jean Monnet, il più importante esponente della tecnocrazia franco-tedesca oggi dominante nella Ue.
Nel 1952 ebbe a dire: “Le nazioni europee dovrebbero essere guidate verso un superstato senza che le loro popolazioni si accorgano di quanto sta accadendo. Tale obiettivo potrà essere raggiunto attraverso passi successivi ognuno dei quali nascosto sotto una veste e una finalità meramente economica”.
Pare che – dopo aver sentito queste parole – Charles de Gaulle abbia osservato che Monnet voleva creare delle “mostruosità sovranazionali”.Poi De Gaulle è passato e il partito tecnocratico di Monnet ha vinto. Ed è il disastro di oggi.
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Antonio Socci
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Da “Libero”, 29 novembre 2019