«Il cortisone contro il Covid-19? Datelo subito, come faccio io»
9/10/2020 «Il cortisone contro il Covid-19? Datelo subito, come faccio io»
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io-lo-usavo-gia-a-febbraio 2/9 Parla Roberta Ricciardi, la dottoressa italiana che molto prima dello studio di Oxford aveva intuito le potenzialità di questo vecchio farmaco. Con cui ha curato i suoi pazienti Era lì, a portata di mano, a costi più che accessibili, in grado di salvare vite ai malati di Covid-19. Lo usavano? Sì e no. Così così. Poi, uno studio dell'Università di Oxford su oltre 11 mila pazienti, uscito su tutti i quotidiani del mondo una settimana fa, ne ha decretato l'efficacia incontrovertibile: il vecchio cortisone, nella sua formulazione desametasone, è in grado di ridurre la mortalità da coronavirus di circa il 35 per cento. Dimostrandosi così l'unica terapia, a oggi, a fare davvero la differenza in questa pandemia. Benissimo, perfetto, finalmente. Peccato che, in Italia, sin da febbraio (ben prima quindi dello studio inglese) una neurologa dell'azienda ospedaliera di Pisa, Roberta Ricciardi, usasse sui suoi pazienti, sin nelle fasi iniziali dell'infezione, questo farmaco steroideo. Risultato: zero morti per Covid-19, e zero in terapia intensiva. Chi era in cura con lei e si è ammalato di coronavirus ha avuto un decorso senza complicazioni. La Dott.ssa Roberta Ricciardi -io-lo-usavo-gia-a-febbraio 3/9 Convinta, di fronte all'evidenza quotidiana, dell'ecacia del desametasone, la dottoressa ne ha parlato con altri medici e colleghi; un passaparola che li ha portati a rmare, lo scorso 24 aprile, un appello al ministro della Salute per promuoverne «l'adozione tempestiva e precoce», sia in ospedale sia a domicilio.Per ora, nessuno del governo e delle autorità sanitarie ha risposto, nessuno ha deciso, nessuno ha preso in considerazione l'ipotesi di inserire il cortisone nei protocolli uciali di terapia per Covid.19. E lei, il primo medico a capire sul campo che questo vecchio e conosciutissimo farmaco era un'arma potente, ancora oggi si chiede che cosa aspettino. Oggi il cortisone è il farmaco anti Covid di cui tutti gli scienziati parlano, lei però lo usava sin dall'inizio sui suoi pazienti, cosa l'ha spinta a questa decisione? Vede, io da ragazzina ho sofferto di una forma importante di miastenia e, una volta diventata medico, ho dedicato la mia vita professionale ai malati di questa patologia autoimmune, in cui una delle terapie principali è proprio a base di cortisone. Avendolo preso anch'io per 25 anni, sono diventata un'esperta sul campo. Con il cortisone, che controlla il sistema immunitario in malattie autoimmuni, si gestiscono tutte molto meglio, compresa la miastenia. E nel caso del coronavirus? Quando è scoppiata la pandemia ero molto angosciata per i miei malati, temevo il peggio. Avendo circa sette mila pazienti, ho avuto modo di vedere il virus circolare anche tra loro. Mi sono detta «sarà una tragedia». Lo è stata? No. Certo, un centinaio si sono ammalati di Covid, ma nessuno è morto, un mio solo paziente di Brescia è stato ricoverato per pochi giorni in ospedale. Hanno avuto tutti una forma di infezione moderata. Molti addirittura hanno avuto la diagnosi a posteriori, con i test sierologici, proprio perché non sono mai stati in emergenza. Il motivo di questo destino benevolo? Oggi si sa che gran parte della devastazione che compie il coronavirus è data da una sorta di iperinfiammazione, una risposta abnorme del sistema immunitario. Nei miei pazienti con miastenia le difese immunitarie erano invece già tenute sotto controllo dal cortisone, quindi quella terribile infiammazione, che nei casi più gravi arriva a scatenare la cosiddetta «tempesta di citochine», non è avvenuta. Nei malati con un'infezione da Covid più severa, ho poi sostituito il cortisone abituale in compresse con una formulazione più potente, e raccomandavo di farlo anche ai miei colleghi medici. Un altro cortisone? Sì, ne esistono vari tipi. Io in genere uso il deltacortene ma nei casi di Covid sono passata subito, per alcuni giorni, al desametasone, che in fase acuta ha un effetto antinammatorio straordinario, superiore a quello degli altri cortisonici. Lo usiamo anche in neurochirurgia nei casi di edema cerebrale. Nel coronavirus è lì che dobbiamo agire, fermando subito l'iperinfiammazione prima che causi complicanze gravi. L'Oms, a inizio dell'epidemia, sconsigliava l'impiego del cortisone, ha sbagliato? Direi proprio di sì. Sono teorie «storiche» che combatto da anni. Molti pazienti con malattie autoimmuni assumono per tutta la vita il cortisone e hanno qualità di vita praticamente normale. Lo studio di Oxford, che certica i benefici del desametasone, ne suggerisce però il ricorso solo nei pazienti gravi, lei invece lo ha usato anche nei casi lievi, non è d'accordo con le conclusioni degli inglesi? No, per niente. Sono convinta che l'intervento debba essere tempestivo. Nello studio inglese hanno preso in considerazione pazienti ospedalizzati, già compromessi e in ventilazione. Ma il farmaco invece va dato subito. L'unico mio paziente miastenico, ricoverato a Brescia in gravi condizioni respiratorie, è stato rapidamente recuperato, anche grazie ai colleghi locali, in seguito al mio suggerimento di somministrargli subito 8 mg di desametasone due volte al giorno. La funzionalità respiratoria è migliorata nel giro di pochi giorni, ha ripreso a respirare bene e dopo una settimana è stato dimesso. È venuto proprio tre giorni fa a Pisa al controllo per la miastenia e sta benissimo. Non crede però che il cortisone, che abbassa il sistema immunitario, nelle fasi iniziali possa essere rischioso? In fondo c'è un virus da combattere. Il cortisone è in realtà un modesto immunosoppressore, se ben somministrato non abbatte il sistema immunitario come fanno altri farmaci, piuttosto lo modula. Del resto nessuno dei miei pazienti miastenici, che lo prendono regolarmente, si è dimostrato più suscettibile all'inuenza o ad altre malattie. Quando ha deciso di condividere la sua esperienza? Con un gruppo di colleghi convinti della sua efficacia il 24 aprile abbiamo scritto una lettera al Ministero della Salute e al viceministro per farlo inserire nei protocolli ufficiali. Ma in patria è molto dicile farsi ascoltare tempestivamente.A un certo punto poi c'è stato il boom del plasma dei guariti, sembrava fosse la cura risolutiva. Certo, però se uno si ammala a Catania o ad Alghero, poniamo, dicile possa fare ricorso al siero degli immuni. Non è certo semplice ottenerlo subito, soprattutto in situazioni di emergenza. Inoltre non abbiamo ancora garanzie assolute sulla sua ecacia. Però non mi dica che va dato solo il cortisone... Assolutamente no, l'enoxaparina per esempio va sempre associata per scongiurare eventi tromboembolitici, frequenti in questo tipo di infezione. Utile è anche una terapia antibiotica per evitare eventuali complicanze batteriche. Dopo la risonanza data al cortisone dallo studio internazionale, e la conoscenza del vostro lavoro in Italia, qualcosa sta cambiando? A tutt'oggi molto poco. Chi utilizza il cortisone lo fa nei propri ospedali, con propri protocolli. Siamo ancora aspettando la risposta del ministro.In previsione della seconda ondata, che speriamo non ci sia ma è tutt'altro che esclusa, il cortisone verrà usato nei modi e nei tempi giusti? Una persona che si ammala di Covid, per esempio, come fa a essere sicuro che il medico di base prenda in considerazione il cortisone? Non può, finché la somministrazione non diventa una terapia nei protocolli nazionali. Per me è un pensiero angosciante ancora adesso. Quando vedevo tutti quei morti e quelle bare, mi dicevo che se gli avessero dato una ala di cortisone, forse alcuni sarebbero ancora vivi. Come sto facendo da febbraio, continuerò a non mollare e a cercare di far comprendere l'utilità straordinaria del nostro «vecchio« ed economico cortisone anche nei pazienti con coronavirus.
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