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domenica 16 maggio 2021

L' ESPERIENZA CHE SEGNÒ 

PROFONDAMENTE LA VITA DI DOSTOEVSKIJ 

la commutata condanna a morte a pochi passi dal patibolo. Lo scrittore russo fu arrestato il 23 aprile 1849, a causa della sua partecipazione al circolo socialista di Petraševskij. Dostoevskij iniziò a frequentarne le riunioni durante la quaresima del 1847 e decise di tornarvi anche in seguito, innanzitutto vi trovava un’interessante compagnia, inoltre era attratto dalla 

questione sociale, che aveva incontrato fin dalla giovinezza leggendo George Sand, 

Eugène SUE. Tra i petraševcy non c’era un chiaro programma politico, con azioni ed iniziative precise. A queste riunioni, che non erano propriamente segrete, dal momento che tutta Pietroburgo ne conosceva l’esistenza, si discutevano questioni politiche, storiche, temi di attualità e si leggevano alcuni testi. È vero che si parlava della “necessità di eliminare la servitù della gleba”, di “ottenere maggiori garanzie costituzionali”, di “abolire la censura preventiva”, ma si trattava di discorsi che venivano fatti non solo nei circoli politici ristretti, ma anche nei salotti mondani. 

Ne consegue che l’“affare” Petraševskij è in verità “costruito” in modo artificioso: a seguito dei moti del 1848, che dilagarono in tutta Europa, la Russia necessitava di un capro espiatorio, in modo da poter provare pubblicamente la “forza del regime zarista”, l’“efficienza della polizia” e la “solidità dell’apparato governativo”.

Ecco che trentaquattro petraševcy, tra cui Dostoevskij, furono allontanati dalle loro case e rinchiusi nella fortezza dei Santi Pietro e Paolo. Lo scrittore russo era accusato di aver ricevuto copia della lettera criminale del letterato Belinskij a Gogol’, di averla letta pubblicamente, prima da Durov e poi da Petraševskij; inoltre aveva ascoltato la lettura, da parte di Grigor’ev , di uno scritto che incitava alla rivolta, intitolato Conversazione tra soldati. Per questi motivi e per non aver 

denunciato i tentativi di diffusione di questi due scritti, Dostoevskij doveva essere 

privato di ogni grado e fucilato: il 19 dicembre 1849 la Giustizia militare pronunciò ventun condanne a morte. Tuttavia, visto il pentimento di molti, la loro benevola 

confessione, la loro giovinezza e il mancato inizio dell’esecuzione, i condannati 

vennero rimessi alla clemenza di Sua Maestà, e furono proposte una serie di 

commutazioni di pene, che andavano dai lavori forzati a vita fino alla semplice 

deportazione. Lo zar Nicola I scrisse sul dossier di Dostoevskij “Per quattro anni. 

Poi soldato semplice senza diritto di promozione”. 

La grazia imperiale e le vere condanne vennero annunciate ai prigionieri solo 

al palo d’esecuzione, il 22 dicembre 1849. La descrizione di ciò che accadde quel mattino, viene da una lettera scritta dallo stesso Dostoevskij al fratello Michail quel medesimo giorno:


Fratello, amico carissimo, tutto è deciso! Sono stato condannato a quattro anni di lavori forzati in fortezza […] e quindi ad essere arruolato come soldato semplice. Oggi, 22 dicembre, siamo stati condotti sulla piazza Semënov. Lì è stata letta a tutti noi la sentenza di condanna a morte, poi ci hanno fatto accostare alla croce, hanno spezzato le spade al di sopra delle nostre teste e ci hanno fatto indossare l’abbigliamento dei condannati a morte (delle camice bianche). Dopodiché tre di noi sono stati legati al palo per l’esecuzione della sentenza. Io ero il sesto della fila e siccome chiamavano a tre per volta io facevo parte del secondo terzetto e non mi restava da vivere più di un minuto. Mi sono ricordato di te, fratello, e di tutti i tuoi; nell’ultimo istante tu, soltanto tu, occupavi la mia mente, e soltanto allora ho capito quanto io ti amo, fratello mio carissimo! Ho fatto anche a tempo ad abbracciare Pleščeev e Durov, che mi stavano accanto, e a dir loro addio. Finalmente è stato dato il segnale della ritirata, quelli che erano legati al palo sono stati ricondotti indietro e ci è stato letto il proclama con cui Sua Maestà Imperiale ci donava la vita. quindi è stata data lettura delle condanne autentiche. […]. Proprio ora mi è stato detto, fratello carissimo, che 

oggi stesso o domani dovremo metterci in marcia. […]. Fratello, io non mi sono abbattuto, non mi sono perso d’animo. La vita è vita dappertutto; la vita è dentro noi stessi, e non in ciò che ci circonda 

all’esterno. Intorno a me ci saranno sempre degli uomini, ed essere un uomo tra gli uomini e rimanerlo per sempre, in qualsiasi sventura, non abbattersi e non perdersi d’animo, ecco in che cosa sta la vita, e in che 

cosa consiste il suo compito. Io mi sono reso conto di questo, e questa idea mi è entrata nella carne e nel sangue. […]. Non ho mai sentito ribollire dentro di me delle riserve così sane e abbondanti di vita spirituale come adesso. Ma il corpo riuscirà a resistere? Non lo so. Mi metto in viaggio ammalato: ho la scrofola. […]. Possibile che io non prenda mai più la penna in mano? Io penso che tra quattro anni questo sarà possibile. Ti manderò tutto ciò che scriverò, se pure scriverò qualcosa. Dio mio, quante immagini vissute e da me ricreate sono destinate a perire e a spegnersi nella mia testa, oppure mi si scioglieranno nel sangue come un veleno! Si, se non mi sarà possibile scrivere io perirò. Sarebbe meglio venir condannato a quindici anni di carcere, ma con la possibilità di tenere la penna in mano. […]. La vita 

è un dono, la vita è felicità, ogni istante potrebbe essere un secolo di felicità. Si jeunesse savait! E adesso, cambiando vita, io rinasco in una nuova forma. 


 

Questa lettera è la testimonianza più diretta e al contempo “più sobria” di quei terribili momenti, che segnarono profondamente Dostoevskij, a tal punto che nei suoi romanzi rivivrà più volte, attraverso i suoi personaggi, gli ultimi istanti del condannato a morte.


Fëdor Dostoevskij, Lettere sulla creatività, traduzione e cura di G. Pacini, Feltrinelli, Milano, 1991, cit., pp. 27-32. 

P. PASCAL, Dostoevskij: l’uomo e l’opera. 

F. MALCOVATI, Introduzione a Dostoevskij, Laterza, Bari, 1992, cit., pp. 28-29.

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