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lunedì 3 maggio 2021

la storia clinica del Corynebacterium parvum (C. parvum, appartenente alla famiglia delle Propionibacteriaceae), ritorna moderatamente in auge. Il C. parvum

 

Immunità innata come protezione dalle infezioni virali


 

Immunità innata come protezione dalle infezioni virali

Beniamino Palmieri 1 2 3 –  Francesca Galotti 1 – Maria Vadalà 2 3
1  Medico cura te stesso Onlus
2 Dipartimento di chirurgia generale, Università degli studi di Modena e Reggio Emilia
3 Network del secondo parere

Abstract

La malattia da Coronavirus del 2019 (CoVid-19), e il suo sviluppo pandemico ha richiesto procedure terapeutiche efficaci e urgenti. Essendo ancora ad oggi orfana di un vaccino specifico, risulta importante ricercare ed implementare ottimali misure di prevenzione e di terapia. Negli ultimi mesi si è cercato di trattare l’infezione con chemioterapie mutuate da altri programmi antivirali o con farmaci off-label. L’obiettivo ottimale sarebbe quello di praticare un trattamento che sia sicuro, efficace, sostenibile, fruibile da quante più persone possibile, tenendo in considerazione non solo le nuove terapie a bersaglio molecolare, ma anche quelle già a nostra disposizione. Due importanti aspetti emergenti in quest’ottica sono, dunque, l’immunità innata e la trained immunity. L’immunità innata rappresenta filogeneticamente (essendo prerogativa anche degli invertebrati), la più antica forma di pronta e rapida difesa degli esseri viventi da agenti e meccanismi patogenetici, mentre la trained immunity, una più recente acquisizione ed evoluzione della immunità innata, è una forma particolare di memoria immunologica che amplifica la risposta al secondo contatto con la noxa infettante, estendendosi anche ad altri agenti patogeni non direttamente correlati al primo.

Introduzione

Per quanto concerne la relazione tra infezioni virali e immunità innata, la storia clinica del Corynebacterium parvum (C. parvum, appartenente alla famiglia delle Propionibacteriaceae), ritorna moderatamente in auge. Il C. parvum si è contraddistinto sin dalla sua scoperta, ad opera di Halpern, come un formidabile immunomodulante, infatti si sono susseguite moltissime pubblicazioni sul tema, tra il 1960 e il 1975 [1, 2].

Nel XX secolo, il Cutibacterium acnes (C. acnes), è stato identificato come Bacillus acnes (B. acnes), in quanto responsabile della patologia acneica dei giovani e commensale delle ghiandole sebacee del volto [3]; negli anni successivi, a causa del suo aspetto a forma di bastone, è stato classificato come Corynebacterium, ma, il suo metabolismo prevalentemente anaerobico e le sue caratteristiche biochimiche erano più simili ai batteri dell’acido propionico [4], per questo motivo, il nome Propionibacterium acnes (P. acnes), è stato mantenuto sino al 2016 quando è stato riclassificato come C. acnes a causa di particolari cambiamenti adattativi di tipo genomico [5].

C. acnes, anche noto come C.  parvum, è un bacillo anaerobico Gram-positivo che appartiene al normale microbiota cutaneo ed è fornito di attività immunomodulatoria [6]. Il C. parvum promuove l’attivazione dei macrofagi [1, 7], mostra proprietà oncolitiche [1, 8, 9] e ha dimostrato proprietà adiuvanti quando utilizzato insieme ai vaccini [10]. I meccanismi responsabili degli effetti immunomodulanti del batterio sono mediati essenzialmente da macrofagi, promielociti, monociti, cellule dendritiche, natural killer cells, con ampia attivazione delle famiglie di interferoni e citochine proinfiammatorie.

Il meccanismo di trapping degli agenti patogeni da parte del C. parvum ha come protagonisti i recettori Toll-like 2 (TLR2), Toll-like 9 (TLR9), e MyD88 [11-13]; il batterio ha anche mostrato avere la capacità di potenziare l’attività dei linfociti Th1 [14, 15]. Nel 1966, Halpern et al. hanno dimostrato che i topi pretrattati con C. parvum erano refrattari al priming del trapianto di cellule tumorali [16]. Nel 1977, Geniteau et al [17] hanno pubblicato un articolo intitolato “Effetto del Corynebacterium parvum su varie infezioni virali nel topo”. Nello stesso anno, Glasgow et al [18] hanno iniettato il C. parvum nei topi da 7 a 10 giorni prima dell’inoculazione dell’Herpes simplex virus hominis tipo 2 (HSV-2), del Virus dell’Encefalomiocardite Murina (EMCV), del Citomegalovirus murino (MCMV), e del Semliki Forest Virus. In tutti i casi, gli animali sono risultati essere protetti dall’infezione virale. Inoltre, Kirchner et al. [19] hanno dimostrato l’effetto protettivo del C. parvum sia in topi sani che immunodepressi.

Nello stesso anno, Szmigielski et al [20] constatarono che l’iniezione intraperitoneale di C. parvum in casi di encefalomielite da HSV-2 ha ridotto il tasso di mortalità dal 90% al 30%. È stata anche dimostrata in modelli sperimentali una riduzione di mortalità da varicella ed epatite B (HBV) [21]. Kobus e Szmigielski confermarono che l’iniezione sottocutanea di C. parvum simultaneamente con vaccini virali vivi attenuati si associa ad un più alto tasso di immunità e protezione [22]. Teixeira et al [23] hanno valutato il ruolo adiuvante di C. parvum nei topi BALB/c con HIVBr18 somministrato insieme ad un vaccino a DNA contenente 18 epitopi cellulari del virus dell’immunodeficienza umana (HIV): il rinforzo immunologico è stato più sorprendente utilizzando l’intero C. parvum ucciso come coadiuvante rispetto al suo estratto polisaccaridico e la produzione di IFN-γ, così come la proliferazione delle cellule T, sono state mantenute fino a dieci settimane dopo l’inoculazione [23].

Inoltre, Budzko et al [24] hanno mostrato come nei topi con infezione da virus Junin, venga allestita una risposta immunitaria dose-dipendente: 280mcg iniettati per via intraperitoneale incrementarono il tasso di sopravvivenza all’80% rispetto al 20% rilevato negli animali non trattati. Naficy et al [25] hanno messo in luce l’efficacia di cinque diversi ceppi di C. parvum come adiuvante vaccinale. Anche il ricercatore francese Cerutti [26] ha dimostrato come il C. parvum possa agire da antivirale/agente protettivo contro le infezioni letali causate dal virus della malattia di Newcastle (NDV), da EMCV e dal virus della stomatite vescicolare (VSV). Schindler et al [27] hanno osservato che il C. parvum, se somministrato due ore prima o due ore dopo l’infezione virale da virus dell’epatite dei topi (MHV), o dal ceppo 3 del Coronavirus (MHV-3), sembra essere protettivo.

Belyavsky et al [28] hanno dimostrato che il Coronavirus MHV-3 produce un’infezione fulminante letale nei topi, determinando un’apoptosi massiccia dei macrofagi che giocano un ruolo chiave nell’insufficienza epatica indotta dal virus stesso. Mak et al [29] hanno osservato come la somministrazione intranasale di 350µg di C. parvum tre giorni prima dell’infezione proteggeva diversi ceppi murini (c57BL/6j, BALB/CBalb/cnu+NU+), dalla letalità del virus influenzale. Mayr et al.[30] posero a confronto in vitro e in vivo l’attività immunomodulante di levamisolo, BCG e C. parvum in infezioni virali e batteriche, potendo constatare una superiore attività di entrambi i batteri rispetto al farmaco sintetico. Cox (1998) ha usato C. parvum per trattare l’anemia del gatto causata dal virus della leucemia felina (FeLV); egli ha ottenuto un netto miglioramento nel gruppo trattato rispetto a quello non trattato.

Weiss, Ricercatore dell’American researcher Cow, [31] ha studiato gli effetti della somministrazione di IFN e C. parvum (singola e contestuale), nel trattamento della peritonite virale felina: nonostante l’alta dose letale del virus, il tasso di sopravvivenza del gruppo trattato con IFN o IFN più C. parvum era molto più alto rispetto al gruppo di controllo. Le infezioni da Papillomavirus bovino (BPV), invece, trattate con infiltrazioni locali di C. parvum [32] sono regredite in quindici settimane. Flaminio et al [33] hanno valutato in cavalli giovani e sani l’impatto immunologico di tre iniezioni di C. parvum, dando prova di quelle che sono le proprietà immunostimolanti e modulatorie del batterio; quello che si è verificato, infatti, è stato un aumento dell’espressione dei linfociti T CD4+, dell’attività killer linfocitaria (LAK), nel sangue periferico e nel fluido BAL e della fagocitosi leucocitaria. Megid et al [34] ottennero una regressione completa di malattia dopo cinque somministrazioni locali di C. parvum in cani affetti da papillomatosi orale ad eziologia virale. Lo stesso autore, nel 2002, ha esaminato gli effetti della vaccinazione semplice e di quella con l’aggiunta di C. parvum in topi svizzeri affetti da rabbia [35]: il tasso di sopravvivenza è risultato essere più alto nel gruppo trattato con il vaccino coadiuvato dal C. parvum. Megid, un anno prima, aveva misurato l’attività NK nello stesso modello di topi esposti al virus della rabbia e trattati con C. parvum [36]. Nel 2006 lo stesso autore ha messo a confronto in un modello murino la risposta citochinica ottenuta con il solo vaccino antirabbico e con il vaccino adiuvato dall’aggiunta del C. parvum [37]: la sopravvivenza più alta è stata raggiunta nel gruppo trattato con una o due dosi del solo C. parvum, mentre la mortalità è risultata essere direttamente correlata alla più alta concentrazione di IL-6 osservata negli altri gruppi di studio. Davis et al [38] hanno somministrato con successo C. parvum in cavalli con infezioni virali tracheobronchiali, rilevando un aumento dei livelli ematici di IFN, monociti e linfociti NK. Paillot [39] ha esaminato le proprietà immunomodulanti del Parapoxvirus Ovis inattivato (iPPVO), e del C. parvum nell’ambito delle infezioni broncopolmonari equine. Vail et al [40] hanno aggiunto C. parvum alla terapia delle malattie dell’apparato respiratorio equino (ERDC), ottenendo un completo recupero e un miglioramento clinico rispetto alla sola terapia convenzionale. È stato anche dimostrato che le iniezioni di C. parvum ucciso nei topi sono in grado si indurre una forte e rapida stimolazione del sistema reticoloendoteliale, inibendo, ad esempio, la crescita tumorale.

Gil et al [41] hanno mostrato come, iniettando per via endovenosa il Propionibacterium kp45 radiomarcato con Cr 51, esso si sia accumulato nella milza, nel fegato e nel parenchima polmonare, per poi essere fagocitato dalle cellule del sistema reticoloendoteliale espletando, così, il suo effetto immunomodulante. Anche gli studi di Adlam e Reid, Baum e Breese et al hanno dimostrato come, dopo la rimozione dei batteri da parte del sistema reticoloendoteliale, ci sia un massivo rilascio di IFN e il reclutamento di cellule NK; la somministrazione sottocutanea di batteri sembra sia la via più efficace, mentre quella endovenosa e intraperitoneale, al contrario, potrebbe imprevedibilmente provocare una risposta immunosoppressiva [42, 45]. Tuttavia, Kirchner ha cimentato l’attività antivirale del C. parvum, iniettandolo per via endovenosa in topi immunodepressi, i quali sono risultati essere protetti dall’infezione da Herpesvirus [46, 47]. Per quanto riguarda i tempi di somministrazione, nel modello sperimentale dell’Herpesvirus, la protezione è stata ottenuta somministrando il batterio sette giorni prima dell’infezione virale [47]. Szmigilielski et al, contestualmente, hanno inoculato un altro ceppo per via intraperitoneale, riducendo fortemente (30-90%), la mortalità murina da encefalite erpetica; gli stessi autori hanno mostrato come i topi, in seguito all’inoculazione del batterio, fossero anche protetti da varicella ed epatite murina [48]. Kobus e Szimigielski hanno osservato come l’iniezione sottocutanea di alcuni vaccini antivirali insieme al C. parvum determinasse un potenziamento della risposta immunitaria, a sostegno dell’ipotesi che questo batterio possa essere un potente coadiuvante nella preparazione dei vaccini [22, 48].

In ambito non più sperimentale, ma clinico, Nasser [49] ha trattato venti pazienti con verruche comuni multiple e recidivanti (causate da diversi ceppi di Papillomavirus), con ripetute iniezioni locali sottocutanee di 0.2 mL di C. parvum (dieci pazienti), e con il placebo (soluzione salina) [33]. La procedura è stata ripetuta da uno a cinque mesi a seconda del tasso di regressione ed è stata efficace in 9 casi su 10. Quarant’anni fa, il professor Palmieri e la sua équipe [50], durante alcuni studi clinici sull’immunoterapia in ambito oncologico, hanno avuto la possibilità di utilizzare con successo il C. parvum inattivato nei casi di infezione grave da Herpes Zoster. L’iniezione di C. parvum intralesionale ha soppresso molto rapidamente l’infezione. L’uso del C. parvum è stato quindi dopo quella esperienza immunoncologica implementato in ambito ospedaliero, trattando aneddoticamente altri pazienti con gravi infezioni virali, quali Herpes Simplex (n=12), Herpes Zoster (n=12), influenza (n=4), parotite (n=2), varicella (n=2) e morbillo (n=3). In tutti i casi le infezioni si sono attenuate molto rapidamente. Il recupero è stato sicuro e rapido, con una remissione clinica ottenuta in 18-72 ore senza mortalità, cytokine storms o effetti collaterali che ponessero a rischio la vita dei pazienti infettati.

Nello storico utilizzo di C. parvum come immunomodulatore oncologico, l’attenzione fu concentrata soprattutto sull’iniezione sottocutanea di C. parvum ed è stata sperimentata nel contesto di diverse malattie, quali melanoma ed altri tumori della pelle, del cavo orale e della mammella; altre patologie tumorali, invece, sono trattate principalmente con la somministrazione del batterio per via endovenosa e intracavitaria sempre in modo alquanto safe e scevro da effetti collaterali gravi [51-62].

All’epoca degli studi sul C. parvum effettuati dal gruppo di Modena ancora non erano disponibili sul mercato terapie efficaci se non il lisozima e gli steroidi [50]. Gli autori hanno così costruito la loro casistica nel contesto del Network del secondo parere, un sito web di consultazione e Medical Office System, volto al reclutare specialisti disponibili in tempo reale ai quali ogni paziente affetto da qualsiasi malattia o sindrome possa richiedere un audit clinico individuale [63]. A causa del deficit di comunicazione medico-paziente, la maggior parte delle persone è solita aggirarsi per i siti web alla ricerca di risposte adeguate ai loro problemi di salute. Tuttavia, la loro ricerca diventa spesso compulsiva e ossessiva, oltre che ambigua e frustrante [64]. Palmieri et al. [65] descrivono questo comportamento come la “Sindrome di Web Babel”, uno squilibrio psicologico che colpisce soprattutto pazienti con pluripatologie che ricevono da chi li assiste informazioni o consigli eterogenei e fuorvianti, talvolta confusi e contraddittori [66]. Per affrontare questo problema, il Network del secondo parere si propone di essere un utile supporto sia in fase diagnostica che terapeutica [67]. Anche il Network “Medico cura te stesso” si è dimostrato essere un importante strumento nell’ambito di questa specifica ricerca antivirale. Quest’ultimo infatti, non ha solo lo scopo di monitorare attivamente la salute dei medici e di migliorare il rapporto medico-paziente includendo entrambi nelle stesse ricerche sperimentali [68, 69], ma anche di promuovere sperimentazioni pilota sia individuali che in piccoli gruppi di medici affetti dalle stesse patologie [7071].

Discussione

L’attività antivirale ad ampio spettro del C. parvum è essenzialmente un’azione aspecifica volta al potenziamento dell’attività di monociti, cellule dendritiche e cellule della serie leucocitaria e linfociti natural killer e alla forte attivazione genica della famiglia degli interferoni e delle citochine proinfiammatorie: questa rappresenta la prima barriera fondamentale che protegge l’uomo dalle infezioni virali. Il C. parvum ha mostrato avere sia la capacità di limitare le disfunzioni cellulari indotte dai virus, sia di contrastare la cascata di citochine infiammatorie che trasformano un’arma di difesa endogena in un meccanismo letale autodistruttivo.

Kalis et al [12] si sono concentrati principalmente sull’interazione batterio-cellula immune dell’ospite per comprendere meglio i meccanismi immunomodulanti che stanno alla base dell’azione del C. parvum ucciso: il tipo di recettore coinvolto in questa interazione è il recettore Toll-like 9 (TLR9). Si suppone che negli esseri umani, come nei modelli animali sperimentali, il batterio ucciso agisca inizialmente come un forte agonista del TLR9, attivando i macrofagi e promuovendo la proliferazione e l’attivazione dei linfociti NK, Th1, la produzione di TNF e IFN, permettendo l’eliminazione degli agenti patogeni infettanti.

Un altro intrigante aspetto nell’interazione tra virus e C. parvum è il ruolo della vimentina. Sappiamo, da studi in ambito dermatologico, che l’infiammazione delle ghiandole sebacee e dei cheratinociti causata da C. parvum comporta l’attivazione di una complessa cascata citochinica e che il batterio vivo entra nei monociti e nelle cellule tissutali e può sopravvivere e proliferare interagendo con la rete di vimentina citoscheletrica [72, 73].

C. parvum è anche in grado di invadere le cellule prostatiche che esprimono la vimentina, con la conseguente attivazione della via di segnalazione intracellulare del fattore nucleare-κB (NFkB) [74]. Diversi virus, come il SARS-CoV, l’Enterovirus 71,61-63 e C. parvum interagiscono con la vimentina esposta sulla superficie cellulare; la vimentina agisce come recettore virale promuovendo l’endocitosi degli agenti patogeni ed innescando la via NFkB. D’altra parte, la vimentina è un ligando dei recettori PRRs, tra cui NOD2, Dectin-1 e NLPR3 [75-77]. I PRR attivano la cascata di NF-kB per eliminare gli ospiti [78]. I virus patogeni, tuttavia, possono tentare di evadere questi meccanismi di difesa inattivando il complesso vimentina-PRR mediante modifiche post-traslazionali. In questa prospettiva, il C. parvum ucciso iniettato per via sottocutanea sembra possa giocare un ruolo determinante nel rafforzare i meccanismi di difesa immunitaria innata e neutralizzare i fattori di virulenza. Con una precocità e tempestività assoluta, tali caratteristiche di efficacia terapeutica nello studio di Palmieri et al sono state rilevate inizialmente su pazienti affetti da Herpes simplex con arresto della infezione entro 18h dallo inoculum e regressione delle vescicole erpetiche in 24-48h. Anche le infezioni complicate da Herpes Zoster cranio-facciale, oftalmico, genitale e toracico-addominale sono state energicamente stroncate nel giro di 48-72h così come è stata fortemente alleviata la neuropatia post-herpetica [50].

In via compassionevole sono state trattate altre infezioni virali comuni complicate da ipertermia, broncopolmoniti, polmoniti, linfadenopatie e interessamenti parenchimali: anche in questi casi il trattamento vaccinale surrogato con C. parvum ha permesso un miglioramento dei sintomi ed una più rapida remissione.

Questo approccio terapeutico definito dagli autori “immunoterapia antivirale-antimicotica-antibatterica non specifica”, si è rivelato efficace contro una pluralità di agenti patogeni non solo virali, andando nello specifico ad attivare l’immunità innata. La proposta di riesumare una strategia non recente in un’era in cui la decodificazione del DNA consente l’allestimento di vaccini ultramirati e specifici recettori, si presta ad obiezioni; l’efficacia del trattamento e il rapido controllo della malattia senza la necessità di somministrare vaccini o altre terapie specifiche, pare un’ottima argomentazione, peraltro il continuo susseguirsi di eventi mutazionali che, come nel caso dell’epidemia influenzale, riducono l’efficacia del vaccino e l’alta probabilità che negli anni futuri altri virus saltino la barriera di specie per attingere al genere umano, porta a ritenere l’ausilio del C. parvum utile ed imprescindibile.

Sorge, inoltre, spontaneo il quesito del perché usare un intero microrganismo morto e molto antico (ma molto stabile), come agente immunomodulante e non, piuttosto, la frazione polisaccaridico-glicoproteica attiva della parete cellulare, la P40, che è stata identificata ed estratta da Bizzini nel 1977. Henocq, Bizzini e Ickovic sono stati i pionieri nell’incoraggiare studi clinici sulle infezioni ricorrenti trattate con la frazione Parvum P40 C., ma, purtroppo, non sono state pubblicate altre sperimentazioni sul tema negli anni successivi [79-81]. La risposta più logica è che un intero soma batterico con i suoi organuli intracellulari è certamente molto più efficace nello stimolare l’immunità innata.

Riguardo, poi, alla possibilità di utilizzare il C. parvum contro il CoVid-19, un autorevole incoraggiamento all’uso viene dallo studio sperimentale di Schindler (1967), sulla morte da epatite virale Coronavirus relata indotta nel topo [27].

Quanto alla tossicità derivante dall’uso clinico del C. parvum, va ricordato che esso è stato commercializzato per quindici anni in Europa e nel mondo sotto il nome di Coryparv da parte della Ditta Wellcome Burroughs (che poi lasciò cadere la registrazione a seguito di rimaneggiamenti e fusioni aziendali), ed è attualmente ancora in commercio lo stesso principio attivo in Brasile, con il nome di Parvulan. Queste registrazioni basterebbero a fugare ogni dubbio sulla tollerabilità del batterio.

Palmieri et al hanno, comunque, rivisitato in una review recente tutti gli articoli pubblicati in materia di safety durante l’uso di C. parvum in ambito oncologico [82]. Da questo studio emerge come alle diverse vie di somministrazione e ai diversi dosaggi corrispondano diversi effetti collaterali, tutti assai ben tollerati; inoltre, non si sono verificati né decessi, né reazioni anafilattoidi. La somministrazione per via sottocutanea del batterio inattivato a dosaggi di 2-2,5 mg/ml ha dato sempre solo scarse reazioni locali e, con il ripetersi delle somministrazioni, si è verificato un miglioramento della tollerabilità al farmaco. La somministrazione per via endovenosa e intracavitaria è stata tollerata alquanto bene, associandosi solo ad una lieve morbilità (brividi e febbre nelle prime ore dopo lo inoculum). Le dosi relative alla vaccinazione con C. parvum inattivato necessarie per contrastare le infezioni virali e da altri agenti patogeni sono individuabili in un più basso range (< 2,5 mg / ml di patina), rispetto a quello dei protocolli oncologici. Così, il batterio ucciso può essere iniettato in maniera sicura per via sottocutanea in un programma di somministrazione singola o multipla a giudizio del medico [50, 83].

 

Conclusione

La prevenzione e la cura delle infezioni virali, ai primissimi stadi clinici, come quella da SARS-Cov-2 responsabile della pandemia che tutt’oggi ci affligge, rappresentano un aspetto fondamentale al giorno d’oggi. La formula del vaccino surrogato aspecifico suggerita dal professor Palmieri et al, appare un’importante chance, soprattutto per i pazienti anziani e fragili assai vulnerabili alla viremia di qualsivoglia origine.

Per quanto riguarda la questione dell’utilizzo della frazione P40 di C. parvum o del batterio in toto, è ragionevole supporre che l’intero microrganismo possa innescare una più forte e più ampia sensibilizzazione immunitaria rispetto ad una singola frazione, nonostante la P40 sia la componente di parete più importante per quanto concerne la risposta immunologica. Per rimanere sul tema, in Oncologia clinica abbiamo l’esempio del Mycobacterium Tuberculosis modificato (BCG = bacillo Calmette e Guérin), registrato per il trattamento del cancro della vescica superficiale e in situ; si tratta di un micobatterio vivo attenuato, agente eziologico della tubercolosi bovina (Mycobacterium bovis), ai quali sono stati aggiunti i geni responsabili della virulenza per l’uomo. Il meccanismo immunostimolante antitumorale di questo vaccino aspecifico è sostanzialmente simile a quello di C. parvum [84]. Rispetto al BCG vivo attenuato e alla possibilità di effetti indesiderati rilevanti, conseguente alla sua inoculazione. La somministrazione di C. parvum ucciso appare più sicura e gestibile. Il germe molto più stabile nel ciclo riproduttivo sinchè a distanza di molti anni con un costante rendimento sul piano della attivazione della immunità innata, di cui esso è un vero trigger.

Peraltro molti studi clinici sono stati attivati nel mondo, alla ricerca di confermare se le classiche vaccinazioni antitubercolari rappresentino, in via surrogata, un meccanismo di protezione dalla infezione CoVid-19. Sorprendentemente nessun ricercatore ad oggi si è prestato di intraprendere una ricerca con questo “principio attivo inattivato” che pure sotto il profilo delle ricerche sua efficacia antivirale non è secondo a nessun altro batterio citato in letteratura.

Tenendo conto che la immunità innata accompagna la biologia dei vertebrati ed invertebrati e persino il moscerino Drosophila nel percorso riproduttivo di milioni di anni, preservando tutte le specie nei millenni seppure al prezzo della eradicazione degli esseri più fragili e soccombenti.

Ci pare che la scoperta di un trigger, che amplifichi enormemente la efficacia antinfettiva della immunità innata sia un ausilio non trascurabile per minimizzare la mortalità e prevenire l’ingresso dei patogeni nel torrente circolatorio.

IC. parvum è stato originariamente studiato e utilizzato per le sue proprietà oncolitiche legate alla sua attività immunomodulante, ma l’interesse a prevenire e trattare con successo le infezioni batteriche, fungine e virali, ha prodotto molti modelli sperimentali e pochissimi studi clinici. La drammatica situazione in cui ci troviamo a causa della pandemia COVID-19 impone l’attuazione di strategie preventive e terapeutiche che vadano proprio ad agire su questo fronte, considerando che nessun virus, nuovo o mutato che sia, può potenzialmente sfuggire alla nostra sorveglianza immunitaria innata, soprattutto se rafforzata da adeguati protocolli.

Concludendo, la lunga storia sperimentale che documenta l’attività antivirale ad ampio spettro di C. parvum, supporta fortemente l’ipotesi che anche il virus SARS-CoV-2 possa essere efficacemente neutralizzato da questo trattamento, suggerendo quanto sia importante proseguire le indagini soprattutto con studi clinici. Questa potenziale attività aspecifica anti SARS-CoV-2 potrebbe prevenire e trattare in modo efficace l’infezione che si sta diffondendo in maniera drammatica.

Le prospettive future riguardano il migliorare in vitro il potenziale immunitario antivirale di C. parvum e di inoculare nella cellula batterica molecole virus-tossiche. L’auspicio è che la vaccinazione con C. parvum, secondo quelli che sono i protocolli storici, diventi un routinario tool terapeutico, con l’obiettivo di combattere le infezioni virali potenziando e massimizzando la risposta immunitaria innata propria di ogni individuo.

 

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