29 settembre 2023
Come ho spiegato nel mio articolo Infiammazione cronica di basso grado, l’infiammazione sistemica cronica di basso grado è una condizione silente e molto subdola perché crea le basi per la maggior parte delle patologie.
Molti pazienti chiedono se sia possibile rilevarla e misurarla.
La risposta è "sì è possibile", e ci sono diversi modi per farlo, ma è importante ricordare che i biomarcatori utilizzati non sono tutti sensibili e affidabili allo stesso modo.
È importante ricordare anche che i classici esami utilizzati per rilevare l’infiammazione acuta non servono per captare l’infiammazione cronica.
Il messaggio fondamentale è questo: misurare l’infiammazione cronica di basso grado ci deve poter permettere di agire in modo da prevenire i danni prima che si verifichino e, come sappiamo, la prevenzione è in assoluto il primo obiettivo della medicina funzionale.
Velocità di eritrosedimentazione (VES): è un indicatore non specifico di infiammazione e indica la velocità con cui la parte corpuscolata del campione di sangue prelevato si sedimenta alla base della provetta.
Questo indice aumenta in presenza di patologie infettive e infiammatorie (come l’artrite reumatoide), ma anche in presenza di altre patologie come infarto del miocardio, anemia, tumori, eccetera.
Quando la VES aumenta significa che il danno d’organo è già presente e, di solito, di una certa entità.
La VES è una misura indiretta delle concentrazioni di proteine plasmatiche ad azione pro-infiammatoria ed è influenzata da una serie di stati patologici.
Poiché la VES dipende da diverse proteine con emivite variabili, la velocità aumenta e diminuisce più lentamente rispetto alla PCR.
Proteina C Reattiva (PCR): è un buon indicatore di infiammazione cronica ed è molto utilizzata in medicina
funzionale.
Essa è una proteina prodotta dal fegato in elevate quantità durante un processo infiammatorio.
È possibile rilevarla con un semplice esame del sangue periferico (di solito, i valori di riferimento della PCR sono inferiori a 5-10 mg/L).
Come la VES però, anche la PCR indica un danno già avvenuto e rileva l’infiammazione acuta, mentre è poco sensibile per quella cronica di basso grado.
Più indicativo è il test per la proteina C-reattiva ad alta sensibilità, utilizzata ad esempio in cardiologia per valutare il rischio di eventi cardiovascolari.
Altri markers di infiammazione includono l’amiloide sierica A, le citochine (come l’IL-6 e il TNF-α), la ferritina, la glicoproteina alfa-1-acida, la viscosità plasmatica, la ceruloplasmina, l’epcidina e l’aptoglobina.
Tuttavia, l’alto costo, la disponibilità limitata e la mancanza di standardizzazione possono limitare l’uso clinico pratico di questi marcatori nella valutazione dell’infiammazione.
La ferritina elevata, ad esempio, può indicare la presenza di un'infiammazione, tuttavia è un marcatore non specifico e un suo incremento può essere presente anche durante infezioni e patologie oncologiche.
Anche il "semplice" emocromo può dare informazioni circa la presenza o meno di un quadro infiammatorio cronico.
È importante dire che oggigiorno la lettura attenta dell’emocromo è sempre meno diffusa, e questo per due motivi:
1. sempre meno medici dedicano del tempo alla lettura dell’emocromo;
2. sempre meno medici sanno leggere l’emocromo in maniera approfondita.
Per avere misurazioni più precise e affidabili circa lo stato infiammatorio bisogna considerare una diagnostica più sofisticata, come il rilevamento ematico di alcune specifiche citochine.
Le citochine sono mediatori che fungono da segnali di comunicazione fra le cellule del sistema immunitario e tra queste e i diversi organi e tessuti.
Alcune citochine hanno un effetto pro-infiammatorio, come l’IL-6 (interleuchina 6), la più citata in letteratura.
L’IL-6 viene prodotta da cellule del sistema immunitario ed è un marcatore della sua attivazione perché aumenta in presenza di infiammazione.
Anche in questo caso i suoi livelli spesso sono associati a varie malattie (autoimmuni, cardiovascolari, tumori) e spesso viene misurata in pazienti con diabete e altri fattori di rischio cardiovascolare.
Oltre all’IL-6 si possono misurare i livelli plasmatici di altre citochine infiammatorie, come il TNF e la IL-1β.
Trattandosi però di misurazioni molto costose, esse non trovano un utilizzo frequente nella pratica clinica.
Da considerare anche la recente introduzione di test che misurano i livelli salivari di queste citochine, ma ad oggi, mancano ancora dati da studi clinici su casistiche importanti.
Oggi è possibile considerare l’indagine genetica attraverso la ricerca di specifici polimorfismi genetici.
È possibile ricercare quelli che codificano, per esempio, per la già citata IL-6, per l’IL-10, il TNF e la IL-1β.
Io ad esempio utilizzo spesso questa metodica di ricerca per i miei pazienti e penso che nel prossimo futuro potrebbero diventare esami di routine.
Inoltre, la ricerca dei polimorfismi genetici rappresenta l’esame più indicato in un contesto di prevenzione primaria.
Come si può vedere, non esistono dei veri e propri esami biochimici specifici che ci permettono di
diagnosticare con certezza un quadro di infiammazione sistemica cronica di basso grado.
In questo caso, sarà importante incrociare i dati anamnestici con la ricerca di opportuni markers.
Ovviamente un medico esperto, disponendo di tutti questi dati, potrà porre una diagnosi con un elevato grado di accuratezza e indicare la terapia più opportuna per quello specifico caso clinico.
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