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sabato 1 novembre 2025

Il «cuore religioso» di Pasolini

 


Il «cuore religioso» di Pasolini
Il 2 novembre di cinquant’anni fa veniva trovato il corpo senza vita del grande scrittore e regista. Un suo editoriale sul Corriere della Sera colpì in modo particolare don Giussani, che disse: «È l’unico intellettuale cattolico». E ancora: «Se fosse venuto a un nostro gesto avrebbe pianto». Un brano della biografia del fondatore del movimento ricorda il loro mancato incontro


31.10.2025


Pier Paolo Pasolini (©Ansa / Us Cineteca di Bologna / Angelo Novi)
Il 2 novembre 1975 sul litorale di Ostia viene ritrovato il corpo senza vita di Pier Paolo Pasolini. Scrittore, poeta, regista, drammaturgo, giornalista è stato uno dei più grandi intellettuali italiani del secondo dopoguerra. Attento osservatore dei cambiamenti in atto, nei suoi testi scrisse in modo critico e spesso controcorrente di “omologazione”, di “società dei consumi” di “uccisione di un popolo”; persino il Sessantotto fu svestito della sua aura trionfalistica. Tutte forme del «Potere senza volto», titolo di un suo editoriale pubblicato sul Corriere della Sera il 24 giugno 1974. Proprio quell’articolo fece sobbalzare sulla sedia don Giussani, al punto che a un amico disse: «Leggi qua, è l’unico intellettuale cattolico, l’unico». Mesi dopo, decise di scrivere allo scrittore friulano. Lettera che però non fu completata perché sopraggiunse la notizia dell’uccisione. 
Nel cinquantesimo della morte, pubblichiamo le pagine della biografia di Alberto Savorana Vita di don Giussani dedicate a quel “mancato” incontro.

Il mancato incontro con Pasolini
La mattina del 3 novembre 1975, nel suo studio di via Martinengo Giussani apprende dal Corriere della Sera dell’uccisione di Pier Paolo Pasolini. Con lui c’è Laura Cioni, che scorge sulla scrivania una lettera indirizzata allo scrittore, che non sarà mai completata: «Esprimeva una totale consonanza con le posizioni da lui sostenute in tanti articoli sul Corriere della Sera» ricorda la Cioni.
Lucio Brunelli rammenta un episodio del 1974. Durante una pausa a un corso di Esercizi spirituali, si imbatte in Giussani, seduto su una sedia, intento a leggere il Corriere della Sera. «Mi vede passare e ballando letteralmente sulla sedia mi chiama: “Vieni Lucio, leggi qua, è l’unico intellettuale cattolico, l’unico…”». Si riferisce a un editoriale di Pasolini (che ha iniziato da poco a scrivere sul quotidiano di Milano) del 24 giugno 1974. L’articolo che lo ha entusiasmato è intitolato «Il Potere senza volto». Pasolini scriveva: «Conosco anche – perché le vedo e le vivo – alcune caratteristiche di questo nuovo Potere ancora senza volto»; per esempio, puntualizzava, «la sua decisione di abbandonare la Chiesa, la sua determinazione (coronata da successo) di trasformare contadini e sottoproletari in piccoli borghesi, e soprattutto la sua smania, per così dire cosmica, di attuare fino in fondo lo “Sviluppo”: produrre e consumare». Soprattutto, Pasolini terminava l’articolo osservando che il fine del nuovo potere è «l’omologazione brutalmente totalitaria del mondo».
Da allora Giussani farà riferimento più di una volta a questo giudizio. È proprio questa idea centrale di Pasolini che glielo fa sentire interessante, vale a dire «l’orrore di quella che lui chiamava “omologazione”, il livellamento di tutte le teste, di tutti i cuori e di tutti i metodi di vita, vale a dire l’uccisione di un popolo, perché un popolo è fatto di persone e non c’è una persona uguale all’altra, come pensiero, come cuore e come azione. Un popolo costruisce; gente omologata – anche se cento, mille volte superiore di numero – non crea niente: ripete, anzi, ripete scadendo».
Nell’ultima intervista, registrata da Furio Colombo il 1° novembre e pubblicata postuma l’8 novembre 1975, Pasolini dice: «La tragedia è che non ci sono più esseri umani, ci sono strane macchine che sbattono l’una contro l’altra. […] Il potere è un sistema di educazione […] che ci forma tutti, dalle cosiddette classi dirigenti, giù fino ai poveri. Ecco perché tutti vogliono le stesse cose e si comportano nello stesso modo. […] Hai mai visto quelle marionette che fanno tanto ridere i bambini perché hanno il corpo voltato da una parte e la testa dall’altra? […] Ecco io vedo così le truppe di intellettuali, sociologi, esperti, giornalisti dalle intenzioni più nobili. Le cose succedono qui e la testa guarda di là. […] State attenti. L’inferno sta salendo da voi. È vero che viene con maschere e bandiere diverse. È vero che sogna la sua uniforme e la sua giustificazione. Ma è anche vero che la sua voglia, il suo bisogno di dare la sprangata, di aggredire, di uccidere, è forte ed è generale. Non resterà per tanto tempo l’esperienza privata e rischiosa di chi ha, come dire, toccato la “vita violenta”. Non vi illudete. E voi siete con la scuola, la televisione, la pacatezza dei vostri giornali, voi siete i grandi conservatori di quest’ordine orrendo basato sull’idea di possedere e sull’idea di distruggere». Il giorno dopo la registrazione dell’intervista, domenica 2 novembre 1975, il corpo senza vita di Pasolini viene ritrovato sul litorale di Ostia. Giussani racconterà con rammarico l’episodio del suo mancato incontro con Pasolini: «Quanto mai quella sera non l’ho accostato – aspettavo l’ultimo aereo che partiva da Milano verso Roma –, distratto da monsignor Pisoni! Se Pasolini fosse stato a due nostri raduni, ci avrebbe investito di invettive, ma sarebbe diventato uno dei nostri capi!». E proprio sul tema educativo, così decisivo per entrambi, citerà spesso una frase di Pasolini: «Se qualcuno invece ti avesse educato, non potrebbe averlo fatto che col suo essere, non col suo parlare». 
Giussani prenderà Pasolini come esempio per descrivere la parabola di tanti loro coetanei (erano nati entrambi nel 1922), figli della tradizione cattolica ricevuta dalle loro madri e da essa allontanatisi per una mancata educazione successiva: «In un paese del Triveneto, cattolicissimo come ambiente, c’era uno che, disubbidendo a sua madre, era andato a trovare, in una certa taverna, in un paese vicino, un gruppo di tre o quattro giovani scalmanati che a lui piacevano. […] e questo nel tempo lo aveva dissuaso dall’andare in chiesa alla domenica, dall’ascoltare sempre sua madre. […] Quel ragazzo è diventato Pasolini. Egli, la tradizione cristiana genuina, avendola succhiata dal seno di sua madre, l’ha avuta, la doveva vivere, era costretto a viverla, anche se interpretava tutto in modo diverso: secondo la mentalità del gruppo. Dunque, è diventato Pasolini, uno dei più grandi scrittori italiani. […] Pasolini ha incontrato un gruppo di persone che si ponevano contro la società di allora, contro la cultura di allora, come innovatori. […] ha cercato una strada sbagliata: ha detto che la verità non c’è – meglio, che la verità non si sa cosa sia – […]. Ma lentamente, nella sua vita, si è sentito riecheggiare quello che diceva sua madre sulla vita, sulla verità e sulla strada da battere. Se avesse incontrato uno con la nostra passione, se fosse venuto a un gesto della nostra comunità, soprattutto a certi momenti, Pasolini avrebbe pianto». 
A questa frattura, della quale è stato testimone Pasolini, Giussani fa riferimento il 12 ottobre 1975, due settimane prima che lo scrittore venga ucciso: «Il delitto del nostro tempo è d’aver provocata, poi teorizzata, quindi resa sistematica, la rottura fra la coscienza religiosa del popolo, migliaia d’anni l’avevano costruita, e la situazione umana che il popolo deve vivere. Perché la rottura fra queste due cose divide l’uomo, spacca l’uomo, perché l’uomo vive del problema del pane e del companatico, vive del problema dei figli e della difficoltà d’un matrimonio umano, vive di questi problemi, vive del problema di una società in cui ci sia libertà espressiva per i sentimenti naturali. Ebbene, la società di oggi pretende di affrontare questi problemi a prescindere, astraendoli, strappandoli via da quel sentimento del cuore che costituisce il luogo dell’unità di tutto». Giussani insiste: «Una coscienza religiosa che non si dimostri incidente, capace di dire una parola, capace di mobilitare più facilmente la soluzione dei problemi, è una fede o un sentimento religioso che è sentito sempre di più non c’entrare con la vita. Quanto più i problemi sono forti, tanto più fugge lontano come una nuvoletta che soltanto una certa sentimentalità può trattenere con rispetto, ma non vale per [motivare] qualsiasi sacrificio». Dall’altra parte, i problemi umani «vengono affrontati in modo impostore, vengono affrontati in modo mentitore. Perché il luogo della verità dell’umano, proprio nel senso più semplice della parola, è il cuore religioso».

A. Savorana, Vita di don Giussani, Rizzoli, Milano 2013, pp. 535-538.

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