Cosa avrebbe detto Paolo VI al Sinodo: le severissime parole di Cristo non possono essere annullate, nè addolcite
È
necessario, a questo riguardo, che noi ricordiamo le solenni parole del
Vangelo a difesa della fedeltà coniugale: «Io vi dico - è Cristo che
parla! - che chiunque lascia la propria moglie..., e ne sposa un'altra,
commette adulterio, e chi si unisce con donna ripudiata, diventa
adultero» (cfr Mt. 5, 32). La legge divina, interprete e fondatrice
delle più profonde esigenze umane, è, su questo punto, severissima.
«Nostro Signor Gesù Cristo - scrive Papa Pio XI - non volle solamente
proibire qualsiasi forma, sia successiva, sia simultanea, come dicono,
di poligamia e di poliandria, o qualsiasi altra azione esterna
disonesta; ma di più ancora, perché si custodisse il santuario sacro
della famiglia, proibì gli stessi pensieri volontari e desideri su tali
cose: "Ma lo vi dico che chiunque guarda una donna con desiderio impuro
ha già commesso in cuor suo adulterio con essa". E queste parole di
Cristo non possono essere annullate, neppure per consenso del coniuge,
poiché esse rappresentano la legge stessa di Dio e della natura, che
nessuna volontà umana può distruggere o modificare» (Casti Conn. n. 9). È
un linguaggio che diventa strano e insolito per l'orecchio moderno,
avvezzo alla casistica, sempre più varia e più ricca, della dissolutezza
coniugale, e alle espressioni che ne ammorbidiscono con cortesi
ipocrisie l'ignobile crudezza. Ma è il linguaggio, che noi cristiani non
possiamo sostituire: adultero dovremo chiamare chiunque infrange il
vincolo che il matrimonio ha reso intangibile e sacro. Avremo
delicatezza, compassione, comprensione per i deboli, che la passione e
l'interesse trascinano fuori della via solare d'uno dei pili sacrosanti
doveri; ma non ammetteremo che il rilassato costume cambi per noi il
giudizio su questo delitto, stemperi il linguaggio che lo definisce, e
pieghi a comoda rassegnazione le nostre abitudini sociali. (Si veda S.
Ambrogio, in Lucam, VIII, 2-9).
Viene poi il grande
argomento del divorzio. Se ne parla molto e vogliamo credere che tutti
abbiano l'idea chiara su questo palliativo giuridico, contrario alla
legge di Dio. Non per nulla la Chiesa vi si oppone con inflessibile
energia: essa è la custode più gelosa della vita, dell'amore,
dell'onestà; essa è la difesa più tenace del bene sociale che deriva
dall'indissolubilità della famiglia; essa la tutrice più fiera e più
tenera dei figli innocenti, che il divorzio priva di genitori fedeli e
responsabili. Non ne possiamo qui parlare distesamente; ma raccomandiamo
a tutti: sacerdoti, giuristi, scrittori, insegnanti, e specialmente ai
genitori di vigilare su la non mai sopita campagna in favore del
divorzio, ricordando la circostanza, che fa onore all'Italia e che ne
tutela uno dei beni migliori, e cioè la non esistenza del divorzio nella
legislazione civile, e non dimenticando che ogni infrazione, foss'anche
col così detto «piccolo divorzio», alla stabilità della famiglia non
sarebbe rimedio ai mali, che si vorrebbero togliere con tale
legalizzazione dell'infedeltà coniugale, essa li aumenterebbe
enormemente. La previsione del divorzio possibile ne favorisce le cause.
«La consapevolezza della indissolubilità del matrimonio aiuta (i
coniugi) a contenersi nei limiti dai quali deriva una relativa felicità,
mentre la visione della possibilità dello scioglimento del matrimonio
serve fatalmente ad aumentare, esasperandole, le circostanze che rendono
infelice la vita coniugale».
Paolo VI, lettera pastorale per la quaresima del 1960 «Per la famiglia cristiana»
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