La noia
Alberto Moravia
Penso
che, a questo punto, sarà forse opportuno che io spenda qualche parola
sulla noia, un sentimento di cui mi accadrà di parlare spesso in queste
pagine. Dunque, per quanto io mi spinga indietro negli anni con la
memoria, ricordo di aver sempre sofferto della noia. Ma bisogna
intendersi su questa parola. Per molti la noia è il contrario del
divertimento; e divertimento è distrazione, dimenticanza. Per me,
invece, la noia non è il contrario del divertimento; potrei dire, anzi,
addirittura, che per certi aspetti essa rassomiglia al divertimento in
quanto, appunto, provoca distrazione e dimenticanza, sia pure di un
genere molto particolare. La noia, per me, è propriamente una specie di
insufficienza o inadeguatezza o scarsità della realtà. Per adoperare una
metafora, la realtà, quando mi annoio, mi ha sempre fatto l’effetto
sconcertante che fa una coperta troppo corta, ad un dormiente, in una
notte d’inverno: la tira sui piedi e ha freddo al petto, la tira sul
petto e ha freddo ai piedi; e così non riesce mai a prender sonno
veramente. Oppure, altro paragone, la mia noia rassomiglia
all’interruzione frequente e misteriosa della corrente elettrica in una
casa: un momento tutto è chiaro ed evidente, qui sono le poltrone, li i
divani, più in là gli armadi, le consolle, i quadri, i tendaggi, i
tappeti, le finestre, le porte; un momento dopo non c’è più che buio e
vuoto. Oppure, terzo paragone, la mia noia potrebbe essere definita una
malattia degli oggetti, consistente in un avvizzimento o perdita di
vitalità quasi repentina; come a vedere in pochi secondi, per
trasformazioni successive e rapidissime, un fiore passare dal boccio
all’appassimento e alla polvere.
Il sentimento della noia nasce in me da quello dell’assurdità di una realtà, come ho detto, insufficiente ossia incapace di persuadermi della propria effettiva esistenza. Per esempio, può accadermi di guardare con una certa attenzione un bicchiere. Finché mi dico che questo bicchiere è un recipiente di cristallo o di metallo fabbricato per metterci un liquido e portarlo alle labbra senza che si spanda, finché, cioè, sono in grado di rappresentarmi con convinzione il bicchiere, mi sembrerà di avere con esso un rapporto qualsiasi, sufficiente a farmi credere alla sua esistenza e, in linea subordinata, anche alla mia. Ma fate che il bicchiere avvizzisca e perda la sua vitalità al modo che ho detto, ossia che mi si palesi come qualche cosa di estraneo, col quale non ho alcun rapporto, cioè, in una parola, mi appaia come un oggetto assurdo, e allora da questa assurdità scaturirà la noia la quale, in fin dei conti, è giunto il momento di dirlo, non è che incomunicabilità e incapacità di uscirne. Ma questa noia, a sua volta, non mi farebbe soffrire tanto se non sapessi che, pur non avendo rapporti con il bicchiere, potrei forse averne, cioè che il bicchiere esiste in qualche paradiso sconosciuto nel quale gli oggetti non cessano un solo istante di essere oggetti. Dunque la noia, oltre alla incapacità di uscire da me stesso, è la consapevolezza teorica che potrei forse uscirne, grazie a non so quale miracolo.
Il sentimento della noia nasce in me da quello dell’assurdità di una realtà, come ho detto, insufficiente ossia incapace di persuadermi della propria effettiva esistenza. Per esempio, può accadermi di guardare con una certa attenzione un bicchiere. Finché mi dico che questo bicchiere è un recipiente di cristallo o di metallo fabbricato per metterci un liquido e portarlo alle labbra senza che si spanda, finché, cioè, sono in grado di rappresentarmi con convinzione il bicchiere, mi sembrerà di avere con esso un rapporto qualsiasi, sufficiente a farmi credere alla sua esistenza e, in linea subordinata, anche alla mia. Ma fate che il bicchiere avvizzisca e perda la sua vitalità al modo che ho detto, ossia che mi si palesi come qualche cosa di estraneo, col quale non ho alcun rapporto, cioè, in una parola, mi appaia come un oggetto assurdo, e allora da questa assurdità scaturirà la noia la quale, in fin dei conti, è giunto il momento di dirlo, non è che incomunicabilità e incapacità di uscirne. Ma questa noia, a sua volta, non mi farebbe soffrire tanto se non sapessi che, pur non avendo rapporti con il bicchiere, potrei forse averne, cioè che il bicchiere esiste in qualche paradiso sconosciuto nel quale gli oggetti non cessano un solo istante di essere oggetti. Dunque la noia, oltre alla incapacità di uscire da me stesso, è la consapevolezza teorica che potrei forse uscirne, grazie a non so quale miracolo.
Nessun commento:
Posta un commento