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martedì 13 giugno 2017

Martín Martínez Pascual


                Beato Martín Martínez Pascual 

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Martín Martínez Pascual nacque a Valdealgorfa, nella provincia spagnola di Teruel e in diocesi di Saragozza, l’11 novembre 1910. I suoi genitori erano Martín Martínez Callao, carpentiere, e Francisca Pascual Amposta. Venne battezzato il giorno successivo alla nascita.
Da bambino era vivacissimo ma, allo stesso tempo, molto religioso: incoraggiava gli altri ragazzi a essere buoni e pregava con loro, dimostrando quindi le caratteristiche di un vero trascinatore.
I suoi genitori desideravano che entrasse nella Guardia Civil, la polizia di stato spagnola, ma lui aveva in mente qualcos’altro: sull’esempio del suo parroco, don Mariano Portolés Piquer, voleva diventare sacerdote. Così, dietro suo invito, entrò nel Seminario Minore della diocesi di Saragozza, a Belchite.
Nei primi tempi, non smentì la sua fama, ma pose un freno alla sua vivacità durante gli studi filosofici, a Saragozza. A contribuire a tale svolta furono due sacerdoti della Fraternità degli Operai Diocesani, don José Pascual Carda Saporta e don Vicente Lores Palau. Sul loro esempio, nel 1934, una volta terminato il quarto anno degli studi teologici e ottenuta l’autorizzazione dell’Arcivescovo, domandò di essere ammesso in quella Fraternità.
Venne ordinato suddiacono il 4 novembre 1934, diacono il 10 febbraio 1935 e sacerdote il 15 giugno 1935, per mano del vescovo di Tortosa. La sua prima e unica destinazione fu il Collegio San José de Murcia, come educatore, e contemporaneamente venne incaricato d’insegnare latino al Seminario di San Fulgencio.
La disciplina nel Collegio aveva un andamento rilassato e, come dichiarò l’amministratore dello stesso, di età abbastanza avanzata, la sua destinazione ebbe del provvidenziale: grazie al suo zelo, rafforzò la disciplina. Mentre gli altri professori arrivavano tardi in classe e uscivano appena terminava la lezione, don Martín entrava in classe insieme ai suoi alunni, che tutti riconoscevano tra i migliori del Seminario.
Terminato l’anno scolastico, don Martín si diresse a Tortosa, per alcuni giorni di Esercizi Spirituali, dal 26 giugno al 5 luglio 1936. Successivamente, andò in vacanza nel suo paese. Proprio in quel periodo, tuttavia, stava per esplodere la violentissima persecuzione antireligiosa insieme alla guerra civile spagnola.
Fino al 26 luglio, don Martín poté vivere in piena luce, ma in quel giorno arrivarono a Valdealgorfa alcuni miliziani provenienti da Alcañiz. Sapendo di essere in pericolo di vita, si nascose a casa di una cognata, Manuela Antolín, e mise in salvo le sacre specie del tabernacolo del convento del paese. Alcuni giorni dopo, a causa di un bando che obbligava quanti nascondevano sacerdoti a consegnarli, pena l’arresto di tutti gli uomini della famiglia ospitante, dovette nuovamente fuggire. Un suo amico lo nascose nel pagliaio della sua abitazione: quando i persecutori arrivarono, non lo trovarono proprio perché si era rifugiato nel pagliaio. Per precauzione, l’amico lo condusse in un podere a tre chilometri dal paese e lo fece riparare in una caverna. Don Martín vi trascorse il tempo che gli rimaneva in continua orazione, preparandosi al martirio.
Il 18 agosto, di prima mattina, venne emanato il terzo bando per la consegna dei sacerdoti. I miliziani catturarono tutti i sacerdoti presenti a Valdeagorfa, però mancava proprio don Martín. Ne fece le spese suo padre, che venne arrestato, ma prima mandò a dire al figlio, tramite l’amico Venancio, di scappare. La reazione del sacerdote fu l’esatto contrario: si presentò di corsa alla sede del Comitato cittadino, portando con sé il Santissimo Sacramento.
Un miliziano, di intenzioni ben diverse da quelle dei suoi compagni, gli venne incontro, supplicandolo di fuggire. Don Martín gli rispose che non poteva sopportare che suo padre patisse al posto suo e che voleva condividere il destino degli altri sacerdoti prigionieri. Giunto al Comitato, il soldato tentò di salvarlo, fingendo che fosse uno studente, ma lui rivelò la sua vera identità. Abbracciandolo, gli chiese di riferire ai suoi familiari di perdonare i suoi assassini e dichiarò: «Voglio morire martire coi miei compagni». Ciò detto, distribuì loro la Comunione.
Verso le sei di sera i sette sacerdoti vennero visti uscire, tra due file di miliziani armati, verso la Plaza del Convento di Valdeagorfa. Lungo il tragitto, s’imbatterono in mucchi di oggetti religiosi dati alle fiamme. Giunti in piazza, di fronte alla cappella della Madonna del Buon Successo, che in quel momento fungeva da carcere, vennero fatti salire su di un camion, dove si trovavano già altri sei prigionieri.
Quando stava per salire sul camion, un bambino, a cui aveva promesso un giocattolo – un cavallo – scoppiò a piangere, chiamando con dolore don Martín. Lui gli rispose: «Non preoccuparti, ti manderò un cavallo dal cielo; là ci sono cavalli migliori di quelli della Murcia».
Il camion si fermò presso il cimitero cittadino, sulla strada per Alcañiz. I membri del plotone d’esecuzione posero i prigionieri di spalle, ma don Martín si voltò. Un fotografo tedesco, Hans Gutmann (che successivamente prese la nazionalità spagnola e cambiò nome in Juan Guzmán), impressionato dal suo atteggiamento, l’immortalò con la sua macchina fotografica.
Prima di sparare, i soldati gli chiesero se avesse un ultimo desiderio. Don Martín rispose: «Non voglio altro che darvi la mia benedizione affinché Dio non vi imputi la follia che state per commettere». Dopo averli benedetti, aggiunse: «E ora lasciatemi gridare con tutte le mie forze: viva Cristo Re!». Mentre gridava la sua professione di fede, venne fucilato, a fianco di un sacerdote ordinato il 2 luglio di quell’anno, Manuel Fuster Pellicer (anche per lui si è svolto il processo sul martirio).
La sua causa di beatificazione per martirio è stata unita a quella di altri otto confratelli dei Sacerdoti Operai Diocesani, capeggiati da padre Pedro Ruiz de Los Paños. Tutti e nove sono stati beatificati il 1°ottobre 1995.
La fotografia scattata da Gutmann venne pubblicata sul quotidiano spagnolo «El Pais» il 23 febbraio 2006, con la seguente didascalia: «Siétamo (Huesca), agosto 1936. Sacerdote catturato dalle forze repubblicane, alcuni attimi prima di essere fucilato» e riprodotta sui santini con la preghiera per chiedere l’intercessione di don Martín.
Una di queste immagini giunse tra le mani di un teologo spagnolo, don Pablo Domínguez Prieto, durante un congresso a Mosca. Ne rimase tanto interessato da tenerla in bella vista nel suo studio, così che, quando alcuni Legionari di Cristo andarono a trovarlo, gli domandarono: «Pablo, ma sei tu?». Con ammirazione, il sacerdote raccontò loro la vicenda di don Martín.
Tempo dopo, don Pablo rimase vittima di un incidente in montagna. Nel docufilm che parla di lui, «L’ultima cima», una sequenza è dedicata alla fotografia che tanto lo colpì; in tal modo, la storia di uno dei numerosissimi sacerdoti caduti durante la persecuzione della guerra civile ha avuto un insperato rilancio.

Autore: 
Emilia Flocchini

https://www.elmundo.es/cronica/2016/10/21/57f8ea4b468aebbc628b4649.html

1 commento:

Anonimo ha detto...

la foto non è di Martin Martinez ma di un miliziano comunista...informatevi...