In un nuovo volumetto a firma di Francesco Agnoli ed Enzo Pennetta le radici della moderna biologia.


Una storia che alcuni vorrebbero fosse dimenticata.



E’ solo dell’estate scorsa la notizia che sull’autorevole Scientific American è stato proposto di non insegnare più nelle scuole Gregorio Mendel e i suoi esperimenti (CS– Giù le mani da Mendel!). Ma, per una curiosa coincidenza, in quegli stessi giorni Francesco Agnoli, partendo dal presupposto diametralmente opposto,  stava lavorando proprio ad una biografia del monaco boemo ritenendo che, contrariamente a quanto sostenuto su Scientific American, la sua figura meritasse maggiore attenzione rispetto a quella che gli viene comunemente dedicata.
E ovviamente, quando su una stessa realtà vengono espressi due giudizi così diametralmente opposti, è segno che uno dei due  si sta sbagliando.
 Ma come ogni docente di scienze sa, per insegnare la genetica niente è più adatto dell’esposizione degli esperimenti di Mendel, e così alla luce dell’esperienza la proposta della rivista statunitense appare in tutta la sua pretestuosa assurdità. Ma non basta, non solo per mezzo di quegli esperimenti di oltre un secolo fa si insegna la genetica, ma si insegna anche il corretto metodo scientifico, come non manca di ricordare Agnoli:
Per sette anni, a partire dal maggio 1856, compie i suoi esperimenti di incrocio sulle piante di pisello accuratamente selezionate nei due anni precedenti, dimostrando di aver «fatto proprie le più moderne concezioni della matematica combinatoria e della fisica sperimentale», fino alla formulazione delle famose tre leggi di Mendel sulla modalità di trasmissione dei caratteri ereditari con cui nasce la nuova scienza della genetica.
 In quegli stessi anni in cui il lavoro di Mendel si andava sviluppando, anche se sarebbe rimasto largamente ignorato a lungo, per un curioso destino parallelo, Charles Darwin pubblicava On the origin of species, il libro che invece sarebbe divenuto il più famoso nella storia della scienza.
E quelli erano anche gli stessi anni in cui il saggista William Draper inventava il contrasto tra fede e scienza con la pubblicazione del libro Storia del conflitto tra religione e scienza, con tanto di invenzione della credenza medievale che la Terra fosse piatta.
E sempre per uno strano scherzo del destino, nei primi anni del ‘900 sarebbe stata proprio la riscoperta dell’ignorato libro di Mendel a decretare la fine della teoria di Darwin, e a segnare l’inizio di quel periodo che nella storia della scienza viene chiamato “eclissi del darwinismo“.
Ma mentre viene avanzata la proposta di “eclissare” la figura di Mendel, un’altra eclissi è invece da tempo andata a buon fine, il riferimento è alla figura di Lazzaro Spallanzani, un’altro esempio di scienziato e sacerdote che è oggi largamente ignorato. Eppure Spallanzani può a buon diritto essere considerato il padre della biologia moderna, uno scienziato così grande che lo stesso Voltaire, non certo un simpatizzante del cristianesimo e dal carattere non incline ai facili entusiasmi, ebbe a scrivergli parole come: “Non ho che pochi giorni da vivere, Signore, li passerei a leggerla, a stimarla e guardarla come il primo naturalista d’Europa“.
La figura di Spallanzani fu così grande che anche Victor Hugo lo citò in un suo racconto, il Le dernier jour d’un comndamné, omaggio forse più unico che raro ad uno scienziato nella storia della letteratura.