- LA STORIA
La peste e Rosalia, come la Santuzza divenne patrona di Palermo
- ECCLESIA
- 18-03-2020
Maggio 1624, a Palermo arriva la peste. Due mesi dopo vengono trovate miracolosamente le reliquie di santa Rosalia, il cui culto si era raffreddato nei secoli. La Santuzza appare quindi a un saponaro e gli rivela una promessa celeste: il contagio cesserà con la processione delle sue ossa per le vie di Palermo, precisamente durante il canto del Te Deum. Così avvenne.
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Non pochi fedeli palermitani stanno chiedendo in questi giorni l’intercessione della loro patrona, santa Rosalia († 4 settembre 1170), per essere liberati dal coronavirus. La notizia ha ricevuto in Italia l’attenzione del quotidiano La Stampa ed è stata ripresa oltremanica dal Guardian. Al di là dell’aspetto e dei commenti giornalistici odierni, quello che fu il più noto miracolo per intercessione della Santuzza - la fine della peste che colpì Palermo tra il 1624 e il 1625 - ci ricorda che la storia della Chiesa è una miniera enorme di esempi di fede e carità che possono tornare utili anche per affrontare l’emergenza in corso.
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La peste era giunta in città il 7 maggio 1624 attraverso un vascello proveniente da Tunisi. In quello stesso mese una donna ammalatasi di febbre malarica, Girolama La Gattuta, salì sul Monte Pellegrino (il promontorio simbolo di Palermo) per adempiere un voto a santa Rosalia. Una volta bevuta l’acqua che sgorgava dalla grotta dove la Santuzza aveva vissuto da eremita gli ultimi anni terreni, Girolama si sentì sanata, venendo invasa da un senso di benessere e addormentandosi. Ebbe allora, in sogno, prima una visione della Vergine Maria, che le confermava la guarigione, e poi di una giovane in preghiera, Rosalia, che le indicava un punto preciso della grotta dove sarebbe stato trovato «un tesoro». Si trattava delle spoglie mortali della santa che furono finalmente ritrovate, a seguito degli scavi eseguiti su insistenza di Girolama, il 15 luglio. Da tale ritrovamento storico discende l’usanza del Festino in questo giorno.
Le ossa di Rosalia, emananti un intenso profumo di fiori, vennero quindi portate al cardinale e arcivescovo Giannettino Doria, che ordinò l’esame delle reliquie. Una prima commissione di medici e teologi espresse scetticismo. Nel frattempo la situazione a Palermo era già grave. L’8 luglio del 1624 le autorità avevano infatti disposto di sbarrare le case degli appestati per limitare i contagi.
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Allo stesso tempo la santa assicurò a Bonelli la salvezza dell’anima. L’uomo rivelò tutto al suo confessore, che lo indirizzò subito dall’arcivescovo Doria. Il quale gli credette, constatando che quanto era stato predetto a Bonelli - la sua malattia improvvisa e quindi la morte - si era verificato. Il cardinale convocò una nuova commissione di esperti, che stavolta avallò l’autenticità delle reliquie; da parte sua, il Senato cittadino autorizzò la spesa per la costruzione dell’urna d’argento che avrebbe dovuto custodire i resti di santa Rosalia. Così, il 9 giugno 1625 si svolse la processione solenne con una grande partecipazione di popolo: al momento del Te Deum, diversi ammalati guarirono visibilmente e il contagio, come aveva promesso la Madre celeste, ebbe fine. «Gli scrivani del re - si legge sul sito del Santuario di Santa Rosalia - annotano nei registri comunali i nomi, l’età, il luogo della guarigione ed ogni dato di tutte le persone guarite».
L’ultimo atto si compì il 3 settembre quando, constatata la completa liberazione dalla peste, si consentì la libera circolazione di «uomini, animali e merci», ritornando alla vita normale
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