Alcuni anni addietro Giampaolo Pansa ha parlato del Natale in modo sublime e, nell’avvicinarsi del Natale, mi piace rileggere le sue parole, quando alla domanda di un giornalista “che cosa dice a te il Natale?”, ha risposto: “Sono stato battezzato, cresimato, andavo a messa, sono stato anche chierichetto nel Duomo di Casale. Però non mi ricordo come pensassi a Dio in quei momenti. Ricordo che mi spaventavano le illustrazioni del libro di religione, quell’inferno in cui bruciavano i corpi nudi. Poi sono sparito nel limbo degli agnostici. Oggi, la sera, quando vado a dormire, con mia moglie preghiamo i nostri genitori. E Gesù Bambino: parliamo di Dio, ma non di un Dio anziano, con il barbone. No, di un Dio bambino, buono, tenero. Penso a Dio con quelle fattezze, perché mi sembra più disposto a perdonare le mie sciocchezze, i miei peccati. Ho sempre pensato che ci fosse il nulla dopo la morte. Ora ne sono sempre meno convinto. Preferirei che ci fosse il famoso giudizio: Pansa? Dove lo mandiamo? Inferno, purgatorio, paradiso? Natale è Dio che viene sulla terra, ma che resta perennemente bambino, che è buono. E poi nascere in quelle condizioni! Un profugo, sotto la tenda… Ricordo la cura impressionante con cui io e mia sorella facevamo il presepe. Papà portava in casa due assi che diven
tavano un tavolone. La capanna ancora vuota mi colpiva sempre: un bambino, nascere lì, in quel modo, avrà freddo… E mia sorella: «Ma che dici! Ci sono il bue e l’asino. Poi san Giuseppe, vuoi che non ci pensi?». Ecco, io sono rimasto a quel bambino lì, in quella capanna. Il Papa parla di ragione e ragionevolezza. Be’, io forse non sono un uomo “ragionevole”. Lavoro molto con il cuore, con il mio bisogno. Non so se questa parabola mi porterà a essere credente. Ma se dovessi riscoprire Dio credo che sarei guidato da quel bambino, dal Dio di Natale, dal Dio della nascita. E sarei spinto dal bisogno che ho di Lui. Lo avverto in un modo prepotente, soprattutto la sera, dopo aver lavorato tutta la giornata. Ho bisogno di Lui. Anche soltanto dieci anni fa non ci pensavo. Ma oggi mi chiedo se con la morte finisce tutto. Cosa c’è dopo? C’è qualche posto in cui posso andare? A fare cosa, non lo so. Ma non vorrei che fosse un posto cattivo. Anche se non so se potrei meritarmi il paradiso
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