La dinamica della fede
In Si può vivere così?, e poi in Si può (veramente?!) vivere così?, parlando a giovani che hanno iniziato un cammino di dedizione totale a Cristo nella verginità, Giussani propone una descrizione della dinamica della fede cristiana, «di come la fede scatta», «nasce e si attesta umanamente, ragionevolmente». Per introdurci a essa, formula una lunga premessa sulla fede come metodo di conoscenza della ragione. La ragione ha, infatti, un metodo per conoscere «cose che non vede direttamente e che non può vedere direttamente»: essa «le può conoscere attraverso la testimonianza di altri». Si chiama «conoscenza indiretta per mediazione» o conoscenza per fede e non è meno certa di quella acquisita direttamente, a patto che si sia raggiunto, attraverso il metodo della certezza morale, un giudizio di affidabilità sul testimone: «Se [uno] raggiunge la certezza che una persona sa quel che dice e non lo vuole ingannare, allora logicamente deve fidarsi, perché se non si fida va contro se stesso». Così, posso non essere mai stato in America e affermare razionalmente, con certezza, tramite la testimonianza di altri, che essa esiste. Cultura, storia e convivenza umana si fondano su questo tipo di conoscenza. Premesso questo, rivolgendosi ai suoi interlocutori, Giussani osserva: «Cristo è l’oggetto totale della nostra fede. Come facciamo a conoscere Cristo in modo tale da potervi appoggiare tutto il sacrificio della vita?». Evidentemente, dei metodi «usati dalla ragione quello che qui si applicherà sarà la fede. Cristo non lo conosciamo direttamente, né per evidenza, né per analisi dell’esperienza».Lo conosciamo, appunto, per fede. Entriamo allora nella dinamica della fede cristiana.
a) Per descriverla, Giussani torna all’origine, a come è sorto il problema nella storia, perciò a quella pagina del Vangelo di Giovanni in cui si narra l’incontro di Andrea e Giovanni con Gesù di Nazareth. È questo il primo fattore del percorso della fede cristiana. «La prima caratteristica della fede cristiana è che parte da un fatto, un fatto che ha la forma di un incontro». E questo, come ogni altro passo del cammino che richiameremo, vale identicamente per noi, oggi.
b) Il secondo fattore è l’eccezionalità del fatto. L’uomo che avevano davanti era «una Presenza eccezionale». Come avrebbero potuto, altrimenti, dopo poche ore, fare proprie le parole che lui aveva detto di sé e ripeterle ad altri? «Abbiamo trovato il Messia». Ora, «eccezionale» significa per Giussani corrispondente alle esigenze originali del cuore umano. «Trovare un uomo eccezionale vuol dire trovare un uomo che realizza una corrispondenza con quel che desideri, con l’esigenza di giustizia, di verità, di felicità, di amore... che dovrebbe essere una cosa naturale, ma non capita mai, è impossibile, è inimmaginabile». In questo senso, sottolinea Giussani, «eccezionale equivale a divino: divino, perché la risposta al cuore è Dio. Qualcosa di veramente eccezionale è qualcosa di divino: c’è dentro qualcosa di divino».
19 c) Il terzo fattore è lo stupore: «Il fatto da cui parte la fede in Cristo, l’incontro da cui parte la fede di Giovanni e di Andrea […] ha destato in loro un grande stupore». In quei due e negli altri che formavano il primo gruppetto che accompagnava Gesù nei luoghi in cui andava, e poi in tutta la gente che lo incontrava, nasceva un irrefrenabile stupore: avevano davanti un uomo senza paragone, per quello che diceva («Nessuno ha mai parlato come quest’uomo»), per quello che faceva (i miracoli, il suo potere sulla realtà, la bontà, lo sguardo rivelatore dell’umano…). «Ma lo stupore è sempre una domanda, almeno segreta». Che a un certo punto esplode.
d) Quarto: l’insorgere di una domanda paradossale: «Chi è costui?». È paradossale perché di Gesù «sapevano tutto, sapevano bene chi era, ma era così eccezionale il suo modo di fare, di comportarsi» che, anzitutto quelli «che erano i suoi amici, non hanno potuto non dire: “Ma da che parte viene Costui?”». Giussani osserva: «La fede incomincia esattamente con questa domanda: “Chi è costui?”».
e) Quinto: la risposta sua.Quella appena richiamata è una domanda inesorabile, a cui però non si sa rispondere: chi Egli veramente sia non lo si può dire da soli, la sua identità (la sua divinità) sfugge alla presa della ragione. I Vangeli riportano un episodio occorso nei pressi di Cesarea di Filippo. Gesù si trovava lì insieme al gruppetto dei suoi. Colto da un pensiero improvviso, chiede: «La gente, chi dice che io sia?».Dopo le risposte, che conosciamo, rivolge a loro la domanda: «Ma voi, chi dite che io sia?». E Pietro, d’impulso: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».In più occasioni Giussani commenta: egli ripete «probabilmente, anche se non ne possedeva appieno il significato, qualcosa che aveva sentito dire da Gesù stesso».E viene lodato: «Beato sei tu, Simone figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli». È infatti una risposta che supera la capacità dell’umana ragione: «La ragione non può dimostrare la divinità di Cristo, perché la divinità in quanto personalmente presente in una realtà umana non è oggetto proprio della ragione. La ragione può arrivare al fatto che si trova di fronte a qualcosa di eccezionale, non può arrivare a definire chi è Gesù Cristo, in quanto divino che si comunica all’umano». Perciò Pietro può solo dire: «Sappiamo che sei Dio perché l’hai detto». La risposta alla domanda su chi Egli sia è sua, di Gesù. Pietro «crede» a quello che Gesù dice di sé. Come faceva a crederGli? Per Pietro e gli altri, giorno dopo giorno, a partire dal primo incontro, seguendoLo, stando con Lui, una cosa era diventata più di ogni altra evidente: «Che di Lui dovevano fidarsi: “Se non mi fido di questo uomo, non posso credere neanche ai miei occhi”».
f) Sesto punto: la nostra responsabilità di fronte al fatto («il coraggio di dir di sì»29). «Di fronte alla domanda “Chi è Costui?” e di fronte alla risposta che Pietro dà, uno può dire sì o no: aderire a quello che dice Pietro oppure andar via come sono andati via tutti gli altri».Quella di Pietro è la risposta di fede: «La fede afferma una cosa perché l’ha detta Lui. Punto fermo». Ed è «ragionevole che uno accetti una cosa perché l’ha detta Lui, in quanto è storicamente afferrabile e affermabile una eccezionalità di comportamento, una eccezionalità di performance, che non è reperibile da nessun’altra parte». Anzi, sottolinea Giussani, «l’unica cosa razionale è il sì. Perché?». Perché Cristo «corrisponde alla natura del nostro cuore più di qualsiasi nostra immagine, corrisponde alla sete di felicità che noi abbiamo e che costituisceragione del vivere». Mentre «il no nasce sempre dal preconcetto, dal fatto che Gesù diventa scandalo, impedimento a quello che vorresti».Duemila anni dopo, ci troviamo esattamente nella stessa situazione. Come Pietro e gli altri avevano a che fare con l’uomo Gesù di Nazareth, con la sua eccezionalità, così noi abbiamo a che fare con la realtà umana dei suoi testimoni, con la Chiesa, attraverso cui Cristo diventa avvenimento nel presente. Imbattendoci in una certa persona, una certa comunità, un certo modo di vivere, anche in noi, per la sperimentata corrispondenza alle esigenze originali del cuore, nasce uno stupore che diventa domanda: «Come fanno a essere così?». E in virtù della fiducia nei testimoni, cresciuta in un cammino di convivenza che implica tutta la nostra ragione e libertà, matura l’apertura a riconoscere, ad aderire alla risposta che fu di Pietro, veicolata dalla realtà stessa della Chiesa, della compagnia cristiana incontrata. Come, dunque, il riconoscimento di Pietro diventa mio? Ora come allora, il contenuto divino del fenomeno umano in cui ci si imbatte non può essere conosciuto dalla ragione, poiché l’oggetto della fede (il divino presente nell’umano) è costitutivamente oltre l’oggetto normale e proprio della ragione: «Il riconoscimento della presenza di Cristo avviene perché Cristo “vince” l’individuo. Perché avvenga la fede nell’uomo e nel mondo deve cioè accadere prima qualcosa che è grazia, pura grazia: l’avvenimento di Cristo, dell’incontro con Cristo, in cui si fa esperienza di una eccezionalità che non può accadere da sola».La fede, sottolinea Giussani in Generare tracce nella storia del mondo, «è parte dell’avvenimento cristiano perché è parte della grazia che l’avvenimento rappresenta, di ciò che esso è. […] Come Cristo si dà a me in un avvenimento presente, così vivifica in me la capacità di afferrarlo e di riconoscerlo». Correlativamente, però, la nostra libertà è chiamata a domandare e ad accettare di riconoscerlo. Anche noi siamo in gioco. «La libertà dell’uomo si riassume nella domanda: “Accettando che tutto è grazia, Ti chiedo la grazia”: così si salva totalmente sia il fatto che tutto è grazia, sia il fatto che la grazia di Cristo dipende nella sua efficacia anche dalla mia libertà». Nessuno di noi può perciò arrivare alla certezza su Cristo, sulla divinità di Cristo, sulla sua identità di Figlio di Dio, soltanto – e sottolineo soltanto – in forza di qualcosa che gli accade adesso, della esperienza diretta che ne ha, fosse anche il miracolo più straordinario. Pensiamo, per ricapitolare quanto detto, all’episodio del cieco nato (come appare nell’immagine che abbiamo scelto per questa Giornata d’inizio) narrato nel Vangelo di Giovanni. L’esperienza che il cieco nato fa, quando Gesù gli spalma gli occhi col fango, è la guarigione dei suoi occhi. Ma che Gesù sia il Figlio di Dio, questo è un giudizio che neppure il cieco nato ha potuto formulare in forza della sua esperienza diretta. «Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: “Dà gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore”. Quello rispose: “Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: [prima] ero cieco e ora ci vedo”». Ecco, l’esperienza diretta gli fa dire questo. E poi, rispondendo alle obiezioni dei farisei, gli permette di aggiungere: «“Proprio questo stupisce, che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla”». Anche questo giudizio, conseguenza della constatazione precedente, è interno all’esperienza stessa. Ma il percorso non finisce qui. «Gli replicarono: “Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?”. E lo cacciarono fuori. Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò gli disse: “Tu, credi nel Figlio dell’uomo?”». Questo – attenzione – è il passaggio chiave: fin qui il giovane coglie l’eccezionalità del fatto che gli è capitato e della persona che ha davanti, ma non può ancora dare il nome appropriato all’autore del fatto, a Colui che gli sta di fronte («Il Figlio dell’uomo»). «Egli rispose: “E chi è, Signore, perché io creda in lui?”. Gli disse Gesù: “Lo hai visto: è colui che parla con te”. Ed egli disse: “Credo, Signore!”. E si prostrò dinanzi a lui». Ecco la fede, resa possibile dall’iniziativa di Cristo stesso lì davanti a lui, a cui il cieco nato aderisce. Senza quest’ultimo passaggio del riconoscimento non è ancora la fede, almeno secondo il proprium del nostro carisma. Giussani ce lo ha ripetuto fino allo sfinimento: la fede è riconoscere una Presenza, la presenza di Cristo.
Davide Prosperi Giornata d’inizio d'anno 2023
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