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lunedì 1 luglio 2024

Perché non possiamo dirci cristiani

 Il cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuta: così grande, così comprensiva e profonda, così feconda di conseguenze, così inaspettata e irresistibile nel suo attuarsi, che non maraviglia che sia apparso o possa apparire un miracolo, una rivelazione dall’alto, un diretto intervento di Dio nelle cose umane, che da lui hanno ricevuto legge e indirizzo affatto nuovo. Tutte le altre rivoluzioni, tutte le maggiori scoperte che segnano epoche nella storia umana, non sostengono il suo confronto, parendo rispetto a lei particolari e limitate. Tutte, non escluse quelle che la Grecia fece della poesia, dell’arte, della filosofia, della libertà politica, e Roma del diritto: per non parlare delle più remote della scrittura, della matematica, della scienza astronomica, della medicina, e di quanto altro si deve all’Oriente e all’Egitto. E le rivoluzioni e le scoperte che seguirono nei tempi moderni, in quanto non furono particolari e limitate al modo delle loro precedenti antiche, ma investirono tutto l’uomo, l’anima stessa dell’uomo, non si possono pensare senza la rivoluzione cristiana, in relazione di dipendenza da lei, a cui spetta il primato perché l’impulso originario fu e perdura il suo. La ragione di ciò è che la rivoluzione cristiana operò nel centro dell’anima, nella coscienza morale, e, conferendo risalto all’intimo e al proprio di tale coscienza, quasi parve che le acquistasse una nuova virtù, una nuova qualità spirituale, che fin allora era mancata all’umanità. Gli uomini, i genii, gli eroi, che furono innanzi al cristianesimo, compirono azioni stupende, opere bellissime, e ci trasmisero un ricchissimo tesoro di forme, di pensieri e di esperienze; ma in tutti essi si desidera quel proprio accento che noi accomuna e affratella, e che il cristianesimo ha dato esso solo alla vita umana.

Benedetto  Croce 

Amicizia umana

 [ Non aspettarti mai dall'amicizia i miracoli che l'amore riproduce: gli amici non possono restituire l'amore. ]


Non possono strappare la solitudine, riempire il vuoto, offrire quel tipo di compagnia. Hanno la propria vita, gli amici, i propri amori. Sono un'entità indipendente, estranea, una presenza transitoria e sopratutto priva di obblighi. Riescono ad essere amici dei tuoi nemici, gli amici. Vanno e vengono quando gli pare o gli serve, e si dimenticano facilmente di te: non te ne sei accorto? Oh, andando promettono montagne. Magari in buona fede. Conta-su-di-me, rivolgiti-a-me, chiama-me. Però se li chiami , nella maggior parte dei casi non li trovi. Se li trovi, hanno qualche impegno inderogabile e non vengono. Se vengono, al posto delle montagne ti portano una manciata di ghiaia: gli avanzi, le briciole di se stessi. E tu fai la medesima cosa con loro. No, a me non basta l'amicizia. Io ho bisogno dell'amore. Io ho bisogno di amare ed essere amata con gli obblighi dell'amore, le scomodità dell'amore, le assolutezze e le tirannie dell'amore: l'amore del corpo e dell'anima. Ne ho bisogno di come si ha bisogno di mangiare e di bere, dicevo, ne ho bisogno per sopravvivere.


Oriana Fallaci, da Insciallah  


Tenerli sotto controllo

 Il lavoro pesante, la cura della casa e dei bambini, le futili beghe coi vicini, il cinema, il calcio, la birra e soprattutto le scommesse, limitavano il loro orizzonte. Tenerli sotto controllo non era difficile. Agenti della Psicopolizia s’infiltravano fra loro, diffondendo false notizie e individuando, per poi eliminarli, quei pochi che davano l’impressione di poter diventare pericolosi. Non si faceva nulla, però, per inculcare loro l’ideologia del Partito. Non era auspicabile che i prolet avessero forti sentimenti politici. Da loro non si richiedeva altro che un po’ di patriottismo primitivo al quale poter fare appello tutte le volte in cui era necessario fargli accettare un prolungamento dell’orario di lavoro o diminuire le razioni di qualcosa. Perfino quando in mezzo a loro serpeggiava il malcontento (il che, talvolta, pure accadeva), questo scontento non aveva sbocchi perché, privi com’erano di una visione generale dei fatti, finivano per convogliarlo su rivendicazioni assolutamente secondarie. Non riuscivano mai ad avere consapevolezza dei problemi più grandi.

inquesta vita del lasciarsi morire così alla babbalà,

 "Ahi, rispose Sancio in mezzo ai singulti, vossignoria non muoia, signor mio, pigli il mio consiglio, badi a vivere, chè non può fare l’uomo peggiore bestialità inquesta  vita del lasciarsi morire così alla babbalà, senzachè nessuno lo ammazzi, nè altre mani lo finiscano fuorchè quelle della malinconia: non si lasci per carità cogliere dalla poltroneria, e si levi di questo letto, chè anderemo in campagna vestiti da pastori, come siamo rimasti d’accordo; e chi sa che dietro a qualche bosco non troviamo la signora donna Dulcinea non più incantata, come è comune nostro desiderio: e se per caso vossignoria muore del dolore di essere stato vinto, ne dia a me tutta la colpa, e dica che se avessi strette un poco più le cinghie a Ronzinante, non sarebbe stramazzato; e già vossignoria avrà letto molte volte nei suoi libri di cavalleria che i cavalieri erano soliti scavalcarsi l’un l’altro, e che quello che oggi è vinto, dimani è vincitore."


Miguel de Cervantes,  Don Chisciotte, Volume II   // Honoré Daumier