«Padre, come capisce lei le parole del Signore: Che colui che vuol seguirmi, prenda tutti i giorni la sua croce? Dobbiamo per questo fare penitenze straordinarie?
-Non è il caso di fare penitenze straordinarie, rispose.
Basta che sopportiamo con pazienza le tribolazioni ordinarie della nostra misera vita: le incomprensioni, le ingratitudini, le umiliazioni, le sofferenze occasionate dai cambiamenti di stagione e dell'atmosfera in cui viviamo...
“Durante la giornata bisogna stare attenti, essere vigilanti; la parola più giusta è la parola ‘ricordare’. Ricordare qualunque cosa ti riferisca al fatto che hai incontrato, ricordare Gesù, dire: ‘Vieni, Signore’, ‘Veni Sancte Spiritus, veni per Mariam’; ricordare certi volti. Guardare. La compagnia ti dice ‘guarda’. Persone o momenti di persone, da guardare. Sei nella tempesta, irrompono le onde, ma vicino hai una voce che ti ricorda la ragione, che ti richiama a non lasciarti portar via dalle ondate, a non cedere. La compagnia ti dice: ‘Guarda che dopo splende il sole; sei dentro l’onda, ma poi sbuchi fuori e c’è il sole’. Perciò la compagnia è una grande sorgente di amicizia. L’amicizia è definita dal suo scopo: l’aiuto a camminare verso il Destino.”
Il termine Persiane deriva dal fatto che i mercanti veneziani le importavano dalla Persia, vengono chiamate anche Veneziane proprio a causa dei primi importatori! 🌍🕌
Molti affermano che i mariti persiani le usassero per controllare di nascosto le mogli ed è per questo che vengono chiamate anche gelosie... 😅❤️
A Genova nel 1798 nacque una curiosa tassa sulle finestre. Le case con meno di sei finestre non pagavano nulla, mentre quelle con più finestre sì. E i liguri? Per non pagare, iniziarono a murare e dipingere le finestre! 🏘️🎨
Ecco perché nei colorati edifici storici liguri si trovano tante finestre disegnate! E da allora, persiane e finestre vengono chiamate... imposte! 😲🔲. L'arte di dipingere le finestre sulle facciate sì è poi diffusa un po' ovunque. Post di Raffaella Martello-
Il precetto che esige «ama il prossimo tuo come te stesso», dice Freud (in Il malessere nella cultura) è uno dei fondamentali della vita civile. Ed è anche il più opposto al tipo di ragione che promuove la civiltà: la ragione dell'autointeresse e della
ricerca della propria felicità. Questo precetto fondante della civiltà può essere accettato, adottato e praticato solo se uno si arrende all'ammonizione teologica credere quia assurdum, crederci perché è assurdo.
In realtà, basta chiedere «perché dovrei farlo? , che beneficio mi porterebbe? », per percepire l'assurdo carattere dell'esigenza di amare il nostro prossimo, qualsiasi prossimo, solo per il fatto di essere nostro prossimo. Se amo qualcuno, è perché quella persona deve meritarselo in qualche modo... «E se lo merita se in certi versi importanti è tanto simile a me da poter amare me stesso amando lei; e se lo merita se è più perfetta di me stesso, perché io possa amare in lei l'ideale della mia persona... Ma se questa persona mi sembra strana e non riesce ad attrarmi grazie al suo stesso valore o all'importanza che potrebbe aver assunto nella mia vita emotiva, mi sarà molto difficile amarla». E l'esigenza è ancora più fastidiosa e insensata, poiché spesso non riesco a scoprire alcuna prova che questa persona estranea che dovrei amare mi ami o mostri per me anche «una minima considerazione». "Nel momento in cui gli conviene, non esiterà a ferirmi, a prendermi in giro, a calunniarmi e a dimostrarmi che ha più potere di me... ”.
E sì, Freud si chiede: “Che senso ha un precetto così solennemente enunciato se il suo adempimento non può essere raccomandato come qualcosa di ragionevole? » Cercando una risposta, uno è tentato di concludere, contrariamente al buon senso, che «ama il prossimo tuo» è «un comandamento che in realtà è giustificato dal fatto che non c'è nulla che contrastare così intensamente la natura umana originale». E quanto
meno si obbedisca a una norma, tanto più ostinatamente la enuncia. E il mandato di amare il prossimo è forse quello che probabilmente meno si obbedirà. (... ) Accettare questo comandamento implica un salto alla fede, un salto decisivo, attraverso il quale un essere umano si spoglia della corazza degli impulsi e delle predilezioni «naturali», assume una posizione distante e contraria alla sua natura e diventa un essere «nonnaturale» che, a differenza di le bestie (... ) è ciò che distingue l'essere umano.
L'accettazione del precetto di amare il prossimo è l'atto di nascita dell'umanità.
Bauman, Z. (2003). Amore liquido: sulla fragilità dei legami umani (M. Rosenberg, Trad. ), p. 67.
Dall'approfondimento "Guardate a Lui e sarete raggianti"
Desidero concludere questo incontro
proponendovi alcuni brani che ci aiutano a riprenderlo e a trattenerlo
nel silenzio e nella preghiera. Il primo è di sant'Ambrogio, tratto dal
suo Commento al salmo 118. Nell'ultimo versetto il Salmista così termina
la sua preghiera: “Come pecora smarrita vado errando; cerca il tuo servo, perché non ho dimenticato i tuoi comandamenti”.
Ambrogio usa le medesime parole del salmo per domandare al Signore di
venire a cercare quella pecorella smarrita che è ciascuno di noi.
Perché, afferma sant'Ambrogio, “se tu ritardi, io mi smarrisco”. E
questo non vale solo all'inizio del nostro cammino, ma dentro ogni
istante del nostro cammino. Ecco allora la sua preghiera: “Veni,
ergo, Domine Iesu… / vieni, dunque, Signore Gesù… / ad me veni, / vieni a
me, / quaere me, / cercami, / inveni me, / trovami, / suscipe me, /
prendimi in braccio, / porta me / portami”. Vieni Signore Gesù: è
proprio il grido del povero di spirito, il grido di colui che tende
tutto se stesso verso quello sguardo, che attende tutto da quello
sguardo, che dipende in tutto da quello sguardo, dallo sguardo di Gesù.
C'è qualcosa di più semplice e di più umano di questa domanda? C'è
qualcosa di più adeguato al nostro bisogno? In un altro momento del suo
Commento al salmo 118, sant'Ambrogio dice: “Tu sei il mio aiuto e il
mio sostegno. Tu mi aiuti con la legge, tu mi prendi in braccio con la
Grazia. Quelli che ha aiutato con la legge, li ha portati nella sua
carne, perché è stato scritto: questi (Gesù) prende su di sé i nostri peccati e per questo (perché mi porta la sua Grazia) spero nella sua parola”. E Ambrogio continua, affermando in maniera acutissima e sublime: “È
veramente bello che dica: «Ho sperato nella tua parola». Cioè: non ho
sperato nei profeti. Non ho sperato nella legge. In Verbum tuum speravi /
ho sperato nella tua Parola, / hoc est in adventum tuum / cioè nella
tua venuta”. Sono una cosa buona sia i Profeti che i Dieci
Comandamenti. Ma non ho sperato in loro, non poggio la mia speranza su
di loro, ma sulla Tua parola, cioè sulla Tua presenza che viene e mi
porta con sé in braccio. Come un bambino a cui non basta sapere che la
mamma c'è. Ma che attende sempre che la mamma arrivi al più presto e lo
prenda in braccio portandolo con sé. Conclude Ambrogio pregando: “Che tu venga e prenda in braccio noi peccatori”. Che tu venga, o Signore, a perdonare i nostri peccati e a mettere sulle tue spalle questa pecorella smarrita e affaticata.
Voglio
riprendere ora un brano di santa Teresina a noi molto caro. Sono le
ultime parole che Teresina scrive alla Madre Priora del Carmelo alcuni
mesi prima di morire. “Alle anime semplici non servono mezzi
complicati: poiché io sono tra queste, un mattino durante il
ringraziamento, Gesù mi ha dato un mezzo semplice per compiere la mia
missione. Mi ha fatto capire questa parola del Cantico dei Cantici:
«Attirami, noi correremo all'effluvio dei tuoi profumi» (Ct 1,4). Oh
Gesù, dunque non è nemmeno necessario dire: «Attirando me, attira le
anime che amo!». Questa semplice parola: «Attirami», basta”. Quanto è
vero che basta imbattersi con qualcuno che è tutto attratto da Gesù,
che vive nell'esperienza di questa attrattiva, per sentirsi colpiti da
una iniziale provocazione e in qualche modo, se si è leali, costretti
almeno ad una domanda. Lo abbiamo visto anche nella vita di Zaccheo.
Attenzione: è una cosa diversa l'esperienza di seguire Gesù come
conseguenza di una propria decisione dall'esperienza di seguirlo perché
attratti. Certo che non può mai mancare la nostra libertà. Ma è una cosa
diversa una libertà che è in gioco e si muove dentro un'esperienza di
attrattiva, rispetto ad una libertà che è solo mossa da una propria
decisione, in cui c’è sempre il notevole rischio di far ricadere il
“correre dietro” a Gesù solo su delle proprie intenzioni o sulla propria
forza. E se tutto parte e riparte solo da nostre fragili intenzioni e
da una nostra forza, primo o dopo in questo “correre dietro” accuseremo
solo pesantezza, fatica e stanchezza. Se sono nella forza di
un'attrattiva, il camminare, il correre dietro e il seguire, anche
dentro la condizione di un sacrificio, sono sempre nell'esperienza di un
indomabile e travolgente amore e di un acceso desiderio, che commuovono
il cuore e sospingono il passo e il cammino. E quanto è evidente e
impareggiabile l'esperienza di uno sguardo, di un umano e di un cammino
commossi dalla attrattiva a Gesù rispetto a quella di chi gli va dietro
solo nella forza di una propria volontà e di una sua propria decisione. E
non solo, perché come ha commentato acutamente il grande don Giacomo
Tantardini: “Se invece viene da te il correre, di per sé non testimoni
che Cristo sia risorto e che sia vivo. Deve essere evidente che sei
attirato da Lui. Altrimenti può essere un'iniziativa tua, se decidi da
te di correre dietro a Gesù. E non si vince la paura della morte con
quello che facciamo noi (cfr. Eb 2,15). La paura della morte è sconfitta
quando è evidente che è una presenza ad attirare, quando è evidente che
tu non fai nient'altro che correre dietro lasciandoti attirare come un
bambino piccolo che corre per afferrare una cosa bella”. Infatti, così
riprende santa Teresina: “Signore, lo capisco, quando un'anima si è
lasciata avvincere dall'odore inebriante dei tuoi profumi, non potrebbe
correre da sola, tutte le anime che ama vengono trascinate dietro di
lei: questo avviene senza costrizione, senza sforzo, è una conseguenza
naturale della sua attrazione verso di te. Come un torrente che si getta
impetuoso nell'oceano trascina dietro di sé tutto ciò che ha incontrato
al suo passaggio, così, o mio Gesù, l'anima che si immerge nell'oceano
senza sponde del tuo amore attira con sé tutti i tesori che possiede…”. È l'esperienza dell'attrattiva che trascina tutto e tutti. Così conclude questa sua lettera: “Madre
mia, credo che sia necessario darle ancora qualche spiegazione sul
brano del Cantico dei Cantici: «Attirami, noi correremo», perché quello
che ho voluto dirne mi sembra poco comprensibile. «Nessuno può venire a
me», ha detto Gesù, «se non lo attira il Padre mio che mi ha mandato».
Poi, con parole sublimi, e spesso senza nemmeno usare questo mezzo così
familiare al popolo, ci insegna che basta bussare perché ci venga
aperto, basta cercare per trovare e tendere umilmente la mano per
ricevere quello che chiediamo. Dice inoltre che tutto quello che
chiederemo al Padre suo nel suo nome egli lo concederà. Certo, è per
questo che lo Spirito Santo, prima della nascita di Gesù, dettò questa
preghiera profetica: Attirami, noi correremo. Cos'è dunque chiedere di
essere attirati, se non unirsi in modo intimo all'oggetto che avvince il
cuore? Se il fuoco e il ferro avessero intelligenza e quest'ultimo
dicesse all'altro: attirami, dimostrerebbe che desidera identificarsi
col fuoco in modo che questo lo penetri e lo impregni con la sua
sostanza bruciante e sembri formare una cosa sola con lui. Madre amata,
ecco la mia preghiera: chiedo a Gesù di attirarmi nelle fiamme del suo
amore, di unirmi così strettamente a lui, che egli viva e agisca in me.
Sento che quanto più il fuoco dell'amore infiammerà il mio cuore, quanto
più dirò: attirami, tanto più le anime che si avvicineranno a me
(povero piccolo rottame di ferro inutile, se mi allontanassi dal
braciere divino) correranno rapidamente all'effluvio dei profumi del
loro amato, perché un'anima infiammata di amore non può restare
inattiva: certo, come santa Maddalena resta ai piedi di Gesù, ascolta la
sua parola dolce e infuocata. Sembrando non dare niente, dà molto di
più di Marta che si agita per molte cose e vorrebbe che la sorella la
imitasse. Non sono i lavori di Marta che Gesù biasima: a questi lavori
la sua madre divina si è umilmente sottomessa per tutta la sua vita
poiché doveva preparare i pasti per la Santa Famiglia. È solo
l'inquietudine della sua ardente ospite che vorrebbe correggere”. Il
Signore Gesù, correggendo Marta, vuole richiamare ciascuno di noi e
riaffermare che tutto quello che è necessario è lì davanti ai suoi occhi
come qui ora davanti ai nostri. Che “l’unum necessarium” è la
Sua presenza. Che tutto quello che facciamo o è mosso dalla Sua presenza
o è votato alla dispersione, all'inconsistenza e al nulla.
Guardate
a me per lasciarvi investire dal mio sguardo e solo così sarete
raggianti. Per questo voglio chiudere con una preghiera di sant'Anselmo
che desidero pregare con voi: “Ti prego Signore attirami tutto al tuo amore, fa tu o Cristo quello che il mio cuore non può. E tu che mi fai chiedere - tu che mi chiedi di guardarti, tu per cui siamo qui, tu che ti sei fatto incontrare nel volto di questa nostra Compagnia - tu che mi fai chiedere, concedimi”. Concedimi e attirami tutto al Tuo sguardo. Attirami, e basta. Amen
«Forse tutto è così, crediamo che attorno a noi ci siano creature simili a noi e invece c'è il gelo, pietre che parlano una lingua straniera, stiamo per salutare l'amico, ma il braccio ricade inerte, il sorriso si spegne, perché ci accorgiamo di essere completamente soli.»
di Alessandro Belano in: “Messaggi di Don Orione”, 1998, n.98, pp.11-42. Versione integrale in messaggidonorione.it
A sostegno della conversione del Carducci, sopravvenuta, per quanto possiamo sapere, negli ultimi anni di vita, esiste una serie di indizi ed altre esplicite testimonianze. Si tratta in particolare delle rivelazioni rilasciate dal Beato Don Luigi Orione[26] e da altri personaggi vicini al Poeta. Non ci consta, sul piano storico, che Don Orione abbia personalmente conosciuto il Carducci o abbia avuto una qualche relazione epistolare con lui. Tutti i dati che possediamo, anzi, escludono questa possibilità. Tra i due, tuttavia, esistono particolari elementi di comunanza e perfino un parallelo letterario. Ricorda un anziano Sacerdote dell’Opera fondata dal Beato: «Il 10 aprile 1932, accompagnai il Signor Direttore Don Orione all’Eremo di Sant’Alberto per la vestizione dei primi eremiti ciechi “tarcisiani”, vale a dire vestiti con la tipica tunica bianca a clavi neri… Di ritorno, passando per Pontecurone, egli mi indicò una casa: “Qui, disse, quando ero chierico, fui al pranzo per la prima Messa di un certo Don Lodi e vi recitai una poesia: era una parafrasi dell’«Inno a Satana» del Carducci…”. Allora io presi la palla al balzo, perché ricordavo che una sera, ai primi del mese, nel gennaio precedente, trovandomi ammalato a Tortona, il Servo di Dio era venuto a trovarmi e mi aveva detto che aveva fatto il proposito, per tutto quell’anno, di essere compiacente con tutti. Perciò gli dissi: “Signor Direttore, ricorda che ha fatto il proposito per quest’anno di essere sempre compiacente con tutti? Lo sia anche con me, e mi detti adagio le strofe della sua palinodia del “Satana”…».[27] Della composizione in parola si è fortunatamente conservata una minuta autografa, sebbene non sappiamo se sia la definitiva. I versi recitati da Don Orione al Confratello vi appaiono o non tutti o leggermente modificati. Del resto è noto a quale lavorio di lima il Beato Don Orione sottoponeva, in genere, i propri scritti. Ne riproduciamo integralmente il testo:
«Adergi il trono, o Religione, Sovra la tomba della Ragione; Si sciolga un canto, s’innalzin voti: Ha vinto il Geova dei Sacerdoti. Trionfa, o Chiesa, asciuga il pianto! Il dì nefasto si volga in santo: Lottar pel Papa l’intera vita, Scorre i tuoi ferri, giurò il levita. Salute, o prode campion di Cristo! L’orgoglio fiacca del secol tristo; Il genio ispira ai grandi eroi; Pugna da forte: Dio è con noi! L’Angiolo Igino[28]t’addita il campo; Dall’aspra guerra certo è lo scampo. La gloria è nostra: ecco gli allori: Cingi la fronte di gigli e fiori. Impugna il brando, Croce di Dio; Vesti l’usbergo del popol pio; Dei vincitori non senti i canti? Slánciati in schiera: coraggio, avanti! Sorgi, o fratello, non pigliar lena, Scendi l’arringo, vola alla arena: Fiero Golia oggi ci sfida, Fratello, sorgi: il Ciel ti è guida. Il foco sacro, che infiamma il core, Al Sangue attinge del santo Amore. Candide serba le bianche stole: Muori per Cristo: Dio lo vuole!».[29]
Questi paralleli tra il Carducci e Don Orione non si fermano qui. Un antico alunno, Taverna Felice, ricorda: «Una volta Don Orione ci commentò l’inno A Satana di Carducci: fece un commento estetico così bello, che mi fece grande impressione: parlava del progresso scientifico, non dette peso all’intenzione anticristiana. Era l’anno che facevo 5 ginnasiale (1899-1900)».[30] Il Carducci, nei primi anni del Novecento, era all’apice del successo e Don Orione, occasionale insegnante di Lettere nei suoi Istituti, evidentemente conosceva abbastanza bene le opere del Poeta e quando se ne presentava qualche occasione propizia utilizzava alcuni dei suoi versi più significativi. In data 7 settembre 1922, scrivendo a Don Gaetano Piccinini, responsabile della formazione ginnasiale dei futuri sacerdoti dell’Opera, Don Orione raccomanda di impartire una adeguata istruzione letteraria, sconsigliando però, in tale circostanza, la lettura del Carducci, ritenuta troppo ostica per quelle menti ancora troppo deboli:
«So che codesti nostri di V sono piuttosto debolucci in italiano, e per questo mi parrebbe che la lettura del Carducci sarà pane troppo duro pei loro denti e di effetto troppo forte su dei nervi ancora troppo deboli. Letture, facili, letture facili, e presto assimilabili, ci vogliono: sono bambini in italiano!».[31]
In altra occasione (31 dicembre 1923) Don Orione invia a Don Carlo Sterpi, suo primo collaboratore, «due poesiole del Carducci, che, se si fa a tempo, gradirei le metteste in fine dell’opuscolo Poesie Religiose per la V e VI elementare, possibilmente unite, cioè una dopo l’altra». Non sappiamo quali fossero queste due poesie. Per quanto riguarda questi paralleli tra Carducci e Don Orione vorremmo segnalare una curiosa, anche se involontaria, analogia onomastica. Sappiamo che il Poeta era solito firmarsi con lo pseudonimo di Enotrio, impiegato per la prima volta proprio in occasione della pubblicazione dell’inno A Satana (1865) e conservato fino alle prime Odi barbare. Altrove egli ci offre anche una breve descrizione di questa scelta: «…Enotrio Romano non è che un artista; non vate, non precursore, non bardo, e per nessuna cosa al mondo poeta civile…».[32] Ebbene, anche Don Orione, almeno in età giovanile, era solito firmarsi in alcuni scritti, specie telegrammi, usando un appellativo la cui grafia richiama molto da vicino quella usata dal Carducci: Enoiro.[33] Sarebbe però sbagliato vedere in questa scelta presunte ideologie o tratti programmatici: si tratta semplicemente dell’anagramma del suo cognome letto all’incontrario: Orione-Enoiro. Era un ingegnoso quanto semplice ed efficace sistema di riconoscimento, un tacito codice cifrato con il quale il Beato firmava alcuni suoi messaggi riservati, nascondendo la vera identità dietro un nome che solo i più intimi erano in grado di decodificare. Ma ritorniamo all’oggetto della nostra indagine. La prima esplicita testimonianza rilasciata da Don Orione circa la conversione del Carducci avvenne sulla nave «Conte Grande», nel settembre del 1934, durante uno dei viaggi missionari che il Beato fece in Sud America. Essendo stato invitato a parlare ai passeggeri che si recavano al Congresso Eucaristico di Buenos Aires, Don Orione trattò della confessione sacramentale e, per sottolineare la straordinaria grandezza del sacramento, rivelò che il Carducci, durante un soggiorno a Courmayeur, aveva conosciuto l’Abate Chanoux,[34] noto predicatore che risiedeva al Piccolo San Bernardo, e che, dopo alcune conversazioni con lui, si era alfine confessato tornando alla fede cristiana. Una preziosa conferma di questo viaggio a Courmayeur, di cui parla Don Orione, viene dal riscontro con una affermazione di Libertà Carducci, figlia del Poeta, che ha segnato un appuntamento del padre con l’Abate Chanoux nell’ultimo volume dell’epistolario. Del resto il Poeta aveva compiuto precedenti viaggi e villeggiature a Courmayeur. La prima volta, da quanto risulta, la compì nel 1887, quindi nel 1889, tra luglio e agosto. Fu in quell’anno che compose l’ode Courmayeur.[35] Fu di nuovo a Courmayeur tra l’agosto e il settembre del 1895. Più tardi, nel corso di una intima conversazione, il Beato Don Orione, poco prima della sua morte, ebbe modo di ribadire quanto egli conosceva sulla conversione del Carducci. Queste notizie furono raccolte dal suo primo biografo, Don Domenico Sparpaglione.[36] Questi, in occasione del primo processo ordinario per la canonizzazione di Don Orione svoltosi a Tortona, sotto giuramento, testimoniò:
«Non saprei precisare quando, ma negli ultimi giorni trascorsi da Don Orione a Tortona, prima di recarsi a San Remo, dove morì, io per incarico del Salesiano Don Cojazzi chiesi a lui i particolari della confessione di Giosuè Carducci, della quale egli aveva parlato in una predica tenuta sul «Conte Grande». Egli, studiando bene le parole, confermò che il poeta andò durante un’estate a trovare l’Abate Chanoux sul Piccolo S. Bernardo, dal quale si confessò, e aggiunse di averlo saputo da una persona incapace di ingannare, ma non volle dirne il nome perché vincolato da un segreto, essendo quella persona depositaria di due lettere del Carducci relative all’avvenimento, ma in pericolo qualora il segreto fosse stato rivelato. Quanto alla morte cristiana del Carducci, Don Orione mi disse che la riteneva per lo meno probabile e che non bisogna lasciarsi ingannare da tutto quell’apparato massonico, che l’accompagnò».[37]
Del racconto di Don Orione circa la conversione del Carducci, esistono altre testimonianze raccolte dalla viva voce dei testimoni. Riferiamo la versione lasciataci da Don Luigi Orlandi, confidente del Fondatore e, per molti anni, archivista e Postulatore generale della Congregazione fondata dal Beato:
«Nella settimana precedente la sua andata a San Remo, Don Orione mi chiamò in camera sua, vicino all’orologio, al Paterno, e venne a parlare della morte cristiana del Carducci, confessatosi e comunicatosi dall’Abate Chanoux. Tra l’altro mi disse che, molto spesso, si crede che gli uomini della politica siano morti lontani dalla Chiesa e dai Sacramenti, mentre spesso, in privato e di nascosto dal gran pubblico, si sono riconciliati con la Chiesa e con Dio».[38]
Altra importante testimonianza è quella rilasciata da Don Giuseppe Zambarbieri, terzo successore del Beato Don Orione e, in età giovanile, a lui vicinissimo come segretario. Egli scrive:
«A proposito degli episodi dei quali il ven. fondatore era solito infiorare i suoi discorsi, onde renderli più vivi e fecondi di bene, narro quanto ho appreso da Don Orione medesimo in merito alla predica che egli tenne sul “Conte Grande” nel settembre del 1934, parlando anche del Carducci. Ne interpellai il Ven. fondatore, il quale disse: “È vero: il Carducci è tornato alla fede e si è confessato. Questo è avvenuto precisamente a Courmayeur”. E mi ha raccontato di una notte che il Carducci passò in piedi, passeggiando avanti e indietro nella sua stanza: una notte assai simile a quella famosa dell’Innominato. Al mattino si è presentato all’Abate Chanoux e si è confessato. Ho chiesto se vi sono prove di veridicità. Don Orione è stato di persona a Courmayeur per accertare il fatto, penso che sia stato inviato in missione straordinaria. Ed ebbe dall’Abate la conferma».[39]
Una conferma indiretta di questo avvenimento legato alla conversione del Carducci si può ritrovare nella testimonianza della professoressa Enrichetta Mombelli di Casale, dotata di profonda cultura letteraria. Nel gennaio 1932, Don Orione, desiderando suggellare l’inaugurazione del Santuario della Madonna della Guardia in Tortona, da lui voluto, invitò la summenzionata a tenere una conferenza presso il Collegio Dante Alighieri, in Tortona, aperta alle signorine e donne della città. Riferendosi all’iniziativa, la professoressa Mombelli ricorda: «Alle Signorine Don Orione stesso fece una dimostrazione del come la confessione sia stata accolta anche da persone in alto, per scienza e vita politica, dicendo tra l’altro: “Quando si potrà scrivere una pagina sul Carducci, si saprà che, prima di morire, si è confessato”».[40] Per l’importanza e l’autorità della fonte, merita una segnalazione a parte la testimonianza di Luigia Tincani, fondatrice delle Missionarie della Scuola, figlia del noto latinista e grecista Carlo Tincani, allievo e ammiratore del Carducci che lo ricambiava di simpatia e amicizia. Dal racconto della Tincani, rilasciato nel corso di una intervista, apprendiamo nuovi e significativi particolari:
«Mio padre, pur se allora non era praticante, combatteva per la difesa della religione e della Chiesa. Era naturalmente Vice-presidente del Consiglio scolastico, che contava altri quattordici membri: tutti massoni (…). Noi eravamo amiche delle figlie del custode della Certosa. Abbiamo sentito che Carducci in morte volle i Sacramenti e, malgrado la guardia feroce che gli montavano i massoni, li ebbe da un sacerdote vestito da barbiere e venuto con la scusa di fargli la barba».[41]
Nel corso della sua testimonianza, Luigia Tincani ci ha consegnato altri interessanti particolari:
«Mi ricordo che andavamo a Messa, intorno al ’96, e passavamo davanti al Zanichelli; Carducci era già toccato al braccio, e non aveva più la parola sciolta. Stava seduto lì dal Zanichelli;[42]e molti dei suoi gli facevano circolo. Una volta capitò mio padre: “Dove sei stato?”. “A Messa!”. Lo irrisero. Capitò Carducci, s’inquietò, come faceva sempre, quando dell’anticlericalismo vedeva fare una bandiera. Carducci stigmatizzò quelli che deridevano il credente che era andato alla Messa: “Allora, gli risposero, bisogna credere anche a Cristo Dio!”. “E chi ti dice che Cristo non sia Dio, come pensano i cristiani?”. “Allora bisogna credere all’anima immortale e all’esistenza di Dio!”. E Carducci: “Disgraziato, e chi ti dice che non esista Dio, e che l’anima non sia immortale!”. E, tutto sdegnato se ne andò, prendendo il braccio di mio padre. Per tutta la strada tacque. Pensava…».[43]
Queste le qualificate testimonianze. Forse fu proprio da Luigia Tincani che Don Orione apprese il particolare del viaggio di Carducci a Courmayeur e della sua successiva conversione. Don Orione aveva conosciuto a Messina la Serva di Dio ed è probabile che in qualche occasione essa abbia rivelato quell’importante segreto. Come mai il Carducci non manifestò mai apertamente la sua conversione, né parlò in pubblico dei suoi incontri con l’Abate Pietro Chanoux? Non lo sappiamo con certezza, ma, su questo punto, possiamo rifarci ad una efficace battuta di Don Orione davvero illuminante. Accennando, in alcuni suoi appunti, alla conversione del Poeta, il Beato Don Orione scrive che egli «fu troppo debole per dirlo forte». C’è ancora un elemento significativo al quale vorremo almeno accennare e che costituisce, a suo modo, un ulteriore indizio di questa conversione. È stato giustamente fatto notare che, in mezzo a tanta ribellione e frastuono, invettive e avversione, parole di fuoco e insulti letterari, ironia, sarcasmo e minacce, resta nel Poeta un rispettoso e quasi fanciullesco contegno nei confronti della Vergine Maria, la quale, nelle (poche) ricorrenze letterarie, è presentata in un alone di gentilezza e considerazione, se non proprio di venerazione. Si tratta solo di «cavalleresca generosità»? Non lo crediamo. Questa presenza mariana nella vita del Carducci non fu semplicemente occasionale, né priva di significato se dobbiamo ritenere sincere le parole pronunciate dallo stesso Carducci: «La Vergine mi deve voler bene, perché ne ho parlato bene».[44] Vogliamo concludere le nostre riflessioni segnalando un particolare curioso e, a suo modo, significativo. Da quanto ci risulta la prima composizione poetica (un sonetto) scritta dal Carducci, allora tredicenne, si intitola A Dio.[45] Una sera di maggio del 1848, contemplando il paesaggio dalla finestra della sua abitazione in Castagneto e suggestionato dal rintocco grave delle campane che suonavano la prima ora di notte, l’animo giovanile del Carducci sentì nascere spontanea la voce della poesia e proruppe in una ingenua lode a Dio. Molti anni più tardi, rifacendosi a questo lontano avvenimento, il Poeta aggiunse ai quattordici versi quanto segue: «Mi ride l’animo quando ripenso che io mossi la mia poesia da Dio, da quel Dio che mi ha dato questa anima sensibile e sdegnosa di cui lo ringrazio sempre, da quel Dio che io doveva poi dimenticare ed anche oltraggiare negli anni miei più belli per correre dietro a pazze larve di virtù affettata e di gioie false e vili».[46] Leggendo queste parole «non è difficile comprendere quale lavoro purificatore sia passato su quell’anima agitata, percossa da tempeste, traviata da sette, inghirlandata dalla gloria, ma intimamente buona, sdegnosamente superiore, che sa scrollare di dosso la polvere del lungo cammino, rompere vincoli triangolari e ha la forza eroica di vincere alla fine la più difficile delle sua battaglia: ritrovare se stesso».[47] Questa tardiva confessione ci sembra una straordinaria anche se ribelle conferma della sopraggiunta conversione del Poeta. Nel fondo del suo cuore irrequieto, dietro alle apparenze sdegnose portate avanti per lunghi anni, si celava un seme nascosto che avrebbe faticato a spuntare. Come una specie di inclusione poetico-esistenziale, la vita del Poeta si apre e si conclude alla luce della presenza di Dio. Per quei misteriosi e provvidenziali percorsi interiori che solo Dio conosce, e che, spesso, si caratterizzano da un incedere faticoso, incerto, doloroso, ma mai privo di speranza e grazia, l’antico ribelle doveva approdare a quel Dio che, troppo spesso, aveva indicato con una iniziale minuscola. Alla vigilia della morte, dell’indomito anticlericale, del propugnatore del libero pensiero non resta ormai che il ricordo letterario. Non ci è dato di sapere quale furono gli sviluppi di questa ritrovata fede. A questo punto della vicenda umana e poetica del Carducci i contorni si fanno sfumati, le voci si confondono, i versi tacciono. Sola, resta un’anima che, nel segreto, dialoga con il suo Dio.
[26] Pontecurone 1872 – Sanremo 1940, Fondatore della Piccola Opera della Divina Provvidenza, beatificato da Giovanni Paolo II il 26 ottobre 1982. [27] Cfr. Venturelli G., Don Luigi Orione e la Piccola Opera della Divina Provvidenza. Documenti e testimonianze. Vol. I: 1872-1893, Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma 1958, 698-699. [28] Si tratta di Sua Ecc.za Mons. Igino Bandi, Vescovo di Tortona, la cittadina piemontese nella quale Don Orione compì gli studi di teologia e fu ordinato sacerdote. [29] Cfr. Archivio Generale della Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma, Scritti, 167‑205. [30] Cfr. Venturelli G., Don Luigi Orione e la Piccola Opera della Divina Provvidenza. Documenti e testimonianze. Vol. II: 1893-1900, Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma 1984, 305. [31] Cfr. Lettera del 7 settembre 1922, Archivio Generale della Piccola Opera della Divina Provvidenza. [32] Cfr. Lettera del 1869 a Diego Mazzoni, in Lettere di Giosue Carducci. Edizione Nazionale, Vol. VI, Zanichelli, Bologna 1938-1968, 58. [33] Eccone un esempio: «Ritarda stampa giornale. Mandato ieri articolo importantissimo. Prego stamparlo, presentarlo Vescovo. Scritto io. Riceverai lettera. Enoiro» (Telegramma inviato a Don Sterpi da Noto, in data 30 settembre 1898). [34] L’Abate Don Pietro Chanoux (1828-1909) dal 1860 alla sua morte fu cappellano e rettore del rifugio Piccolo San Bernardo, posto a 2188 metri sul livello del mare. [35] L’ode, un saluto alla piccola città sulla sponda della Dora Baltea, si caratterizza per le efficaci descrizioni che, sul finire, si confondono con le memorie e le speranze del poeta: «…Salve, o pia Courmayeur, che l’ultimo riso d’Italia / al piè del gigante de l’Alpi / rechi soave! te, datrice di posa e di canti, / io reco nel verso d’Italia…». [36] Sacerdote dell’Opera di Don Orione, letterato, apprezzato critico manzoniano (suo il pregevole saggio Guida al Manzoni, Ediz. Don Orione, Tortona), morto nel 1982. [37] Cfr. Sacra Congregatio pro Causis Sanctorum. Beatificationis et Canonizationis Servi Dei Aloisii Orione. Summarium, Roma 1976, 158-159. [38] Cfr. Archivio Generale della Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma, Posizione Orlandi, 8. I. [39] Cfr. Archivio Generale della Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma, Posizione Zambarbieri, 2. [40] Cfr. Archivio Generale della Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma, Posizione Mombelli, 4. I. [41] Cfr. Venturelli G., Don Luigi Orione e la Piccola Opera della Divina Provvidenza. Documenti e testimonianze. Vol. V: 1909-1912, Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma 1995, 316-317. [42] È Nicola Zanichelli, l’editore bolognese che dal 1875 in poi curò le pubblicazioni del Poeta. [43] Cfr. Venturelli G., Don Luigi Orione e la Piccola Opera della Divina Provvidenza. Documenti e testimonianze. Vol. V: 1909-1912, Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma 1995, 317. [44] Cfr. Landucci P.C., È provata la conversione del Carducci?, in Cento problemi di fede, Assisi 1962, 322. L’Autore, nel riferire questo particolare, accenna anche ad un tempietto bolognese della Vergine Immacolata, davanti al quale il Poeta, come ricordavano alcune donne del luogo, si scopriva con riverenza il capo. [45] Cfr. Opere di Giosuè Carducci. Edizione Nazionale, Vol. I, Zanichelli, Bologna 1935-1940, 331-332. [46] Cfr. Opere di Giosuè Carducci. Edizione Nazionale, Vol. I, Zanichelli, Bologna 1935-1940, 331-332. [47] Cfr. Una testimonianza di Luzzati sulla religiosità di Carducci, «L’Osservatore Romano», 7 luglio 1940, 2. Il breve articolo non è firmato: forse si tratta di Lorenzo Ceresoli
"Perdonare qualcuno non significa condonare il suo comportamento. Non significa nemmeno dimenticare il modo in cui ti ha ferito e neppure concedergli di farti ancora del male. Perdonare significa fare pace con ciò che è successo.
Significa riconoscere la tua ferita, dandoti il permesso di sentire dolore, e di comprendere che quel dolore non ti serve più. Significa lasciar andare il dolore ed il risentimento per poter guarire ed andare avanti. Il perdono è un dono a te stesso.
Ti libera dal passato e ti consente di vivere nel tempo presente. Quando perdoni te stesso e perdoni gli altri, sei veramente libero.
Perdonare significa liberare un prigioniero e scoprire che quel prigioniero eri tu."
TRA IL DETTO ED IL PERCEPITO ESISTE UNA DIFFERENZA SOSTANZIALE.
“Ma il guaio è che voi, caro mio, non saprete mai come si traduca in me quello che voi mi dite. Non avete parlato turco, no. Abbiamo usato, io e voi, la stessa lingua, le stesse parole. Ma che colpa abbiamo, io e voi, se le parole, per sé, sono vuote? Vuote, caro mio. E voi le riempite del senso vostro, nel dirmele; e io, nell'accoglierle, inevitabilmente, le riempio del senso mio. Abbiamo creduto d'intenderci; non ci siamo intesi affatto.”
Luigi Pirandello (1867-1936), Uno, nessuno e centomila, 1926 su Essere Indaco