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mercoledì 22 aprile 2015

Chi è Maggie Gobran, la “Madre Teresa” del Cairo e dei ventuno copti uccisi dall’Isis


Chi è Maggie Gobran, la “Madre Teresa” del Cairo e dei ventuno copti uccisi dall’Isis

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aprile 19, 2015 Benedetta Frigerio

Manager di successo, venticinque anni fa lasciò tutto «per rispondere a Dio» e dedicarsi ai bisognosi. «Sono felice di essere madre di questi martiri. È un onore»


Maggie-GobranDa venticinque anni insegna nelle periferie del Cairo: «Amate i vostri nemici; perdonate; non rinnegate mai la verità». Ha sempre ripetuto queste cose Maggie Gobran, egiziana copta di 60 anni, una dei punti di riferimento dei 21 martiri cristiani che sono stati decapitati a febbraio dai fondamentalisti dell’Isis mentre pronunciavano il nome di Gesù.
«I MIE FIGLI MARTIRI». Tredici di loro erano stati educati da questa donna, soprannominata la “madre Teresa del Cairo” o “mamma Maggie”, come la chiamano i 30 mila bambini poveri di cui si occupa da oltre un quarto di secolo. Intervistata da Fox News, Maggie ha raccontato che «sì ho mangiato con loro, ho pregato con loro, ho giocato con loro, ho pianto con loro, ho studiato con loro» e alla notizia della decapitazione «all’inizio eravamo tutti molto tristi e piangevamo. Poi il presidente ha annunciato sette giorni di lutto nazionale e in meno di tre giorni tutte le famiglie hanno cominciato a festeggiare, perché questi uomini non hanno rinnegato la loro fede. E noi siamo orgogliosi. Sono martiri in cielo. Sono felice di essere madre di questi martiri. È un onore».
copti-isis-libiaUN PAIO DI SCARPE. Era la fine degli anni Ottanta quando «Dio volle promuovermi. Mi disse: “Lascia i migliori, i più intelligenti e vai dai più poveri dei poveri”». Così fece, lei che era imprenditrice e professoressa all’Università del Cairo, sposata e con due figli, mischiandosi con gli zabbaleen, gli abitanti in maggioranza cristiani copti delle periferie più povere della città. La prima volta che visitò le baraccopoli, aveva 35 anni: «Quando li vidi non riuscivo a credere che degli esseri umani potessero vivere così, circondati dalla pattumiera», ha raccontato. Ad impressionarla fu una bambina nullatenente che volle accompagnare a comprare un paio di scarpe. Ma la piccola le chiese di prenderle di qualche misura più grandi ,pensando alla madre. Dopo quell’episodio Maggie non riusciva più a dormire e nei mesi successivi continuò a tornare nei quartieri poveri con degli amici. Cominciò a vendere ciò che aveva per aiutare i bisognosi e scoprì di essere più felice servendo gli ultimi. Anche se «mi ci volle un po’ prima di ricevere la chiamata da Dio».
IL SEGRETO DELLA FEDE. Nel 1989 fondò l’associazione Stephen’s Children, che oggi assiste circa 30 mila bambini all’anno tramite 90 centri, fra cui asili, scuole, servizi medici ed educativi per le famiglie. Nonostante i pericoli in un paese a maggioranza islamica, questa missionaria non fa segreto dello scopo della sua opera: «Portare Cristo ai poveri». «Non hanno pane, non hanno cibo, sono affamati ogni giorno – ha spiegato – ma cercano sopratutto amore e rispetto. Sono nudi, senza vestiti, ma sopratutto sono privi di dignità. Per questo siamo lì fra loro. E per questo cambiano. È un’esperienza di cambiamento di vita. Così anche se sono poveri sono ricchi dentro». Perché quando «dai gioia a qualcuno, le vite cambiano. Si fanno diventare ricchi i poveri, più generosi i ricchi verso i poveri, si rendono forti i deboli e i falliti speranzosi». È sempre da questo amore vivo, secondo mamma Maggie, che hanno tratto forza i martiri copti. Come ha chiarito alla giornalista che le domandava da dove le vittime avessero preso il coraggio di non rinnegare la fede: «L’hanno preso da Lui, essendo stati toccati dall’amore vero che ti fa credere in Dio. Credendo i Lui sai che vivrai per sempre».
IL BENE NASCOSTO. Ai suoi bambini Maggie insegna a non avere paura di chi uccide: «Quando sei dalla parte della verità ti senti forte, ogni istante». Secondo lei anche l’immagine del martirio mostra «questa verità», visto che gli assassini con i volti coperti «temevano di mostrarsi al mondo, mentre gli altri avevano un’identità chiara e non hanno avuto timore, sapendo che andavano da Lui per sempre».
Così sono morti quei copti che Maggie aveva guardato come tutti i suoi poveri: «Vedo Gesù in ogni bambino – ha detto in più occasioni -. Questa è la nostra missione, dire a tutti che sono amati da Gesù». Per lei ogni giorno è come rivivere quello che accadde a Maria sotto la croce: «“Questa è tua madre”, così ogni bambino bisognoso diventa mio figlio. Non è facile guardare tuo figlio mentre soffre tanto».




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Maggie Gobran, Madre Teresa d’Egitto

Nasce al Cairo 63 anni fa in una ricca famiglia, ma nel 1987 lascia una carriera nel marketing per dedicarsi ai bimbi poveri. È candidata al Nobel per la pace. A "Panorama" dice: "La vita è bella..."

Maggie Gobran, Madre Teresa d’Egitto
Credits: Matjaz Kacicnik
di Fabio Marchese Ragona
Quando passa nelle corsie d’ospedale, avvolta nella sua veste bianca, o quando entra nelle baraccopoli d’Egitto, tutti la chiamano "Mama Maggie". Per il suo impegno a favore dei più deboli, in molti la chiamano già "la Madre Teresa d’Egitto". E alcuni la chiamano addirittura "Santa Maggie". Di certo c’è solo che, nonostante tutte le apparenze, Maggie Gobran non è una suora, ma una laica cristiana copta: nata 63 anni fa al Cairo, da un giorno all’altro (era l’aprile 1987) ha abbandonato un lavoro da manager dell’informatica e ha riposto tailleur, borse firmate e gioielli per indossare una semplice tunica bianca.
Ai computer e alla carriera Maggie ha preferito le più disastrate periferie egiziane, quelle dove ogni giorno aiuta i bambini e cerca di favorire la pace e il dialogo fra cristiani e musulmani grazie alle case d’accoglienza aperte agli orfani di tutte le religioni. Per riuscire nell’impresa, alla fine degli anni Ottanta ha fondato la Stephen’s children, un’associazione senza scopo di lucro che oggi dà aiuto a circa 30 mila famiglie povere dell’Egitto: nel 2010 l’associazione ha assistito gli indigenti attraverso 80 cliniche, una novantina di centri educativi per bambini, 65 campi di formazione e cinque centri di formazione professionale sparsi in tutto l’Egitto.
Per questo impegno Maggie, che per i suoi progetti riceve finanziamenti da benefattori egiziani e di tutto il mondo, venerdì 12 ottobre potrebbe vincere il Nobel 2012 per la pace (proprio come successe a Madre Teresa di Calcutta nel 1979). La candidatura al premio è arrivata da un gruppo di membri del Congresso americano, e così Mama Maggie è diventata la prima donna copta della storia ad aspirare al riconoscimento.
Mama Maggie, è emozionata per la candidatura al Nobel?
Sono molto felice, e non solo per me. Tutte le personalità che sono state nominate in questa categoria stanno facendo grandi passi verso il sentiero della pace, benché siano molto occupati a risolvere le faccende del mondo e nonostante i loro gravosi impegni. La nostra candidatura è un annuncio importante di speranza per tutti.

Come si è arrivati alla sua candidatura?
Ho avuto l’onore di parlare in giro per il mondo davanti a platee internazionali. In tanti sono rimasti colpiti dal successo del nostro progetto di beneficenza. Da lì è nata l’idea di alcuni politici americani di candidarmi.

Ora, però, l’America è nel centro del mirino dei fanatici musulmani per il film su Maometto. Lei che cosa ne pensa?
Io condanno ogni atto che urti qualsiasi credo o dogma. Sono assolutamente contraria a questo film, che ha ferito i nostri fratelli musulmani. Certo, sono anche per la libertà d’espressione, ma non si deve mai colpire nessun credo religioso.

Il film, però, ha scatenato reazioni violente...
Sono addolorata per le violenze contro le ambasciate degli Stati Uniti e soprattutto contro le persone. Prego affinché la pace riempia la nostra regione e che Dio ci permetta di vivere sempre secondo la sua santa volontà.

Uno dei suoi obiettivi è proprio quello di favorire l’unità tra cristiani e musulmani.
Spero nell’unità di tutti i popoli. Per questo i nostri centri sono aperti a bimbi cristiani e musulmani: se da piccoli crescono insieme, rimarranno amici anche da grandi.

Educarli alla convivenza sin da bambini è il modo migliore?
Sì, cerchiamo di curarli e di trasmettere già da piccoli valori positivi. Dicendo no al mentire, no alla violenza e sì al lavoro, all’onestà, al rispetto reciproco, alla cooperazione con i vicini e all’amore per la famiglia e la patria.

Cos’ha fatto scoccare la scintilla che ha cambiato la sua vita?
Sono nata in una famiglia abituata a servire il prossimo. Mio padre era un medico, aveva una clinica e curava gratuitamente i bisognosi. Sua sorella portava in casa sempre persone indigenti, dava loro da mangiare, le curava. Quando mia zia è morta, nel 1987, ho capito che era il momento di prendere il suo posto.

E cosa ha fatto?
Era il giorno di Pasqua di 25 anni fa, il 19 aprile 1987: sono andata in visita in una baraccopoli per portare vestiti e pasti caldi. Non c’ero mai stata prima e, devo essere sincera, sono rimasta stordita e affranta per tutto il dolore che ho visto tra quei poveri bambini, poveri soprattutto d’amore. Quel giorno ho deciso di dire addio alla mia vecchia vita.

Così è diventata la Madre Teresa d’Egitto…
Io non sono degna nemmeno di sciogliere i sandali a Madre Teresa di Calcutta! Ma da lassù è lei la mia guida, la mia ispirazione che mi permette di andare avanti e aiutare i piccoli. Da sola non potrei fare niente.

Il suo modo di vestire così semplice è legato quindi alla scelta di questa sua nuova vita?
Sì, del resto, quando ci si trova di fronte a Dio e alla sofferenza, l’attenzione non deve né può essere più rivolta alle cose materiali.

Perché i bambini sono al centro del suo lavoro?
Si dice sempre che sono loro il futuro. Se formiamo un bambino sano, avremo posato la prima pietra per creare una comunità sana e armoniosa. A questi bimbi poveri spesso lavo anche i piedi, per dimostrare il mio amore a chi ne è stato privato per troppo tempo. È essenziale fare sentire loro che sono importanti, amati e accettati da tutti.

Ottiene buoni risultati?
In loro vedo il sorriso di Dio e ho trovato me stessa. La lezione più grande l’ho imparata una volta da un bambino affamato che, anziché mangiare tutto il suo pasto, ha voluto dividere il cibo con la sorellina. La vita è una scuola d’amore.

Ma non sempre regna l’amore. Ci sono stati tanti morti in Egitto, nell’ultimo anno.
Il mio cuore si è spezzato per ogni vita persa durante le proteste. Ma bisogna trovare la forza del perdono; il mio ruolo è dare amore e l’amore può cambiare le persone. In fondo siamo pur sempre esseri umani. Pregherò per tutta la gente del mio paese che sarà in grado di aiutare i deboli e dare giustizia ai poveri. Credo che Dio abbia un piano per il mio popolo. Non dobbiamo avere paura.

Che cosa racconta ai suoi bambini?
Per ognuno di loro ho queste parole: «Ti voglio bene, sono pronta a tutto pur di aiutarti. Sei l’essere più prezioso al mondo».

C’è qualche episodio che l’ha particolarmente toccata?
Sì, stavo comprando delle scarpe a una bambina povera che però mi ha chiesto di non pensare a lei, ma di comprare le scarpe a sua madre che era rimasta a piedi nudi. Per me è stato un vero shock, sono tornata a casa in lacrime pensando che al posto di quella madre avrei potuto esserci io.

La vostra associazione di chi si occupa, oltre che dei bambini?
Serviamo tutte le persone emarginate: giovani, madri e anziani. Tutti dei quartieri poveri, in particolare delle baraccopoli.

E che servizi offrite?
Assicuriamo l’istruzione, paghiamo le tasse scolastiche. Poi forniamo gli strumenti necessari: scarpe, zainetti, libri di scuola. E aiutiamo i più piccoli a fare i compiti. Ma interveniamo anche nella ricostruzione di case fatiscenti e cerchiamo lavoro, soprattutto per le madri bisognose cui forniamo anche supporto psicologico. E infine organizziamo gite scolastiche e competizioni sportive durante le vacanze.

Qual è il suo più grande sogno?
Vedere il sorriso sulle labbra di ogni bambino povero, perché possa trovare Dio attraverso ognuno di loro. È questo il vero mistero dell’amore e voglio che il messaggio passi anche dopo la mia morte.

Il MeteoSe non vincerà il Nobel, che cosa farà?
Voglio andare avanti col mio progetto, fin quando non si diffonderà in tutto il paese per un futuro migliore dell’Egitto e del mondo. Noi offriamo piccoli servizi, ma lo facciamo con grande amore. Cerchiamo di disegnare una speranza nel cuore di ogni bambino. Per questo spero che il nostro viaggio continui, di generazione in generazione.

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