Domande senza risposta
21 ottobre 1928,
«Perché io sono proprio io? che cosa sono davvero? chi sono? Perché esisto? da dove arrivo? Qual è il mio fine? cosa sarà di me? Sono queste le domande che l’umanità si pone da sempre. L’uomo si sente aggredito da una forza superiore, da tutto un mondo, dal suo stesso io; allora comincia a indagare, a cercare, ad arrovellarsi e procede di scoperta in scoperta, sentendosi sempre più inquieto. di fronte a se stesso viene colto da una grande paura. Per la prima volta è toccato dalla miseria dell’essere umano e il cuore si contrae nella consapevolezza della sua mancanza di libertà. a questo punto reclama una cosa soltanto: la liberazione dal demone dell’io e dal suo dominio: la redenzione. come posso salvare il mio io? come posso diventare libero? come posso dare una forma a ciò che non ne ha e organizzare ciò che è privo di coerenza? come posso dominare il caos? chi non ha sentito la sua anima infiammata da questi interrogativi o l’ha fatta tacere con la forza dell’abitudine non può comprendere il senso della religione e che cosa questa possa offrire. in ogni tempio greco antico erano riportate queste parole: «conosci te stesso!». Solo in questo modo diventerai padrone del tuo io. È un’esperienza che può fare ognuno di noi: anche se nessuno riesce realmente a conoscersi nel corso della propria vita. Siamo e rimaniamo ignoti a noi stessi, soltanto dio è in grado di vedere davvero dentro di noi. Se ci lambicchiamo il cervello ci procuriamo soltanto grandi tormenti: sappiamo bene che questo atteggiamento conduce alla disperazione, e non al sollievo. Quindi è necessario percorrere un’altra via: non tanto quella della conoscenza di sé, quanto quella del dominio e della formazione di sé attraverso la volontà»
La debolezza
Perché il problema della debolezza è così importante? hai mai visto nel mondo un mistero più grande dei poveri, dei vecchi, dei malati – uomini che non ce la fanno da soli, ma che dipendono dall’aiuto, dall’amore e dalla cura degli altri? hai mai pensato a come appare la vita a uno storpio, a un infermo senza speranza, a una persona sfruttata, a un nero in un ambiente di bianchi, a un intoccabile? Se lo hai fatto, riesci a sentire che in quei casi l’esistenza ha un significato completamente diverso da quello che le attribuisci tu? comprendi che anche tu, comunque, appartieni indissolubilmente alla categoria degli sfortunati, perché anche tu sei un essere umano come loro, perché sei forte e non debole, perché in tutti i tuoi pensieri avvertirai la loro fragilità? non ci siamo resi conto che non potremo mai essere felici finché questo universo della debolezza, da cui forse finora siamo stati risparmiati – ma chissà per quanto tempo ancora? – ci rimane estraneo e sconosciuto,distante, finché lo teniamo lontano dalla nostra portata, in modo consapevole o inconsapevole? che cosa significa debolezza nel nostro mondo? Sappiamo che fin dai primi tempi fu rimproverato al cristianesimo di rivolgere il suo messaggio ai deboli: era considerato la religione degli schiavi, di quelli che soffrono di complessi di inferiorità; si diceva che dovesse il suo successo alla massa di disperati dei quali ha esaltato la condizione di miseria. È stato proprio l’atteggiamento nei confronti del problema del male nel mondo che ha attirato simpatie oppure odio per questa confessione. ha sempre prodotto l’opposizione forte e sdegnata di una filosofia aristocratica che esaltava la forza e il potere, in contrapposizione con i nuovi valori di rifiuto della violenza ed esaltazione dell’umiltà. anche nella nostra epoca siamo testimoni di questa lotta. il cristianesimo resiste o fallisce con la sua protesta rivoluzionaria contro l’arbitrio e la superbia del potente, con la sua difesa del povero. credo che i cristiani facciano troppo poco, e non troppo, per rendere chiaro questo concetto. Si sono adattati troppo facilmente al culto del più forte. dovrebbero dare molto più scandalo, scioccare molto più di quanto facciano ora; dovrebbero schierarsi in modo molto più deciso dalla parte dei deboli, anziché dimostrare riguardo per l’eventuale diritto morale dei forti.
1934
Stanchi e oppressi
«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi» (Matteo 11, 28). chi sono gli stanchi e gli oppressi? il senso di questa frase non vuole essere limitativo. È stanco e oppresso chi si sente tale, ma in realtà anche chi non si percepisce percepisce così, perché non vuole farlo. Stanchi e oppressi sono sicuramente gli uomini, le donne e i bambini che vivono una dolorosa condizione e che, potremmo quasi dire, sono stati immersi a forza nell’oscurità di questa vita, nella schiavitù e nella miseria esteriore e morale. raramente ho avuto l’impressione di stare tra persone stanche e oppresse come in quella città di minatori nel nord della francia in cui sono stato in vacanza. una vita infelice, provata, umiliata e offesa, oltraggiata, che si trasmette e si genera di padre in figlio e arriva fino ai figli dei figli. gli stanchi e gli oppressi dimorano dove il lavoro è vissuto come una maledizione di dio nei confronti degli uomini. troppo facilmente, però, corriamo il pericolo di ritenere che chi sperimenta questa situazione siano soltanto quelli che si trovano in uno stato di indigenza. al contrario, gesù ha cercato e incontrato i più stanchi e i più oppressi tra i cosiddetti benestanti. Pensate al giovane ricco che egli amava e a come si allontanò triste da Lui, perché era troppo debole per seguirlo (Matteo 19, 16-26). esteriormente, quel ragazzo aveva tutto ciò che desiderava, ma malgrado tutto interiormente rimaneva profondamente vuoto e superficiale; tutto il suo patrimonio non gli permetteva di acquistare le cose più importanti di questa vita terrena: la pace interiore, la gioia spirituale, l’amore nel matrimonio e nella famiglia. Quanta indicibile sofferenza, quanta oppressione derivante da colpe che la ricchezza porta sempre con sé è presente nelle case delle persone apparentemente felici. no, gli stanchi e gli oppressi non appaiono soltanto come li dipinge rembrandt nella Stampa dei cento fiorini: poveri, miseri, malati, lebbrosi, cenciosi, con i visi scavati. ci sono stanchi e oppressi sotto le spoglie di individui felici che hanno un’esistenza brillante, di successo: uomini che si sentono completamente abbandonati anche in mezzo a una compagnia numerosa, a cui tutto appare insipido e senza senso, che provano disgusto per la vita perché avvertono che la loro anima, immersa in tutto questo, imputridisce e muore. nessuno è più solo di chi è felice.
Fine settembre 1934
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