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martedì 29 dicembre 2015

Il primato assoluto della verità di ROMANO GUARDINI

Il primato assoluto della verità  
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di ROMANO GUARDINI  
Il medioevo  lo si può ben affermare, ha prevalentemente risolto la questione dei rapporti tra i due valori  fondamentali, ponendo, almeno teoricamente, la cono scenza al di sopra dell'azione. Per esso il  Logos  (la  verità) aveva il primato sull'  Ethos  (l'etica).  L'età moderna portò in questo riguardo una profonda  mutazione. Il problema dell'essenza del conoscere,  prima  posto a preferenza in modo costruttivo, assunse ora , in conseguenza di profondi sconvolgimenti spirituali, la sua  forma propriamente critica. Il conoscere divenne problematico, di conseguenza il punto di sostegno ed  il baricentro  della vita spirituale passò poco alla volta nel volere. L'azione della persona, che si fondava su se s tessa, divenne  sempre  più  importante.  Così  la  vita  attiva  venne  anteponendosi  a  quella  contemplativa,  la  volontà  alla conoscenza.  Questa preminenza del volere e dei suoi valori comunica all'epoca presente la sua peculiarità. Di qui  la sua  insonne spinta in avanti, la folle velocità del suo  lavoro, la furia del suo godere; di qui la venerazione del successo,  della forza, dell'azione; di qui la sua aspirazione  alla potenza; di qui, in genere, lo spiccato senso  del valore del  tempo e la tendenza a sfruttarlo attivamente fino a ll'ultimo. Da qui viene anche che istituzioni spirituali come gli  antichi ordini contemplativi, già viste come qualche cosa di ovvio nel complesso della vita religiosa,  oggetto di  predilezione  per  tutto  il  mondo  credente,  ora  non   rovano  spesso  comprensione  neppure  presso  cattolici ,  e  debbono essere di continuo difese dai loro amici dalla taccia di ozioso perditempo.  Un accentuato attivismo domina tutto;  l'Ethos  ha la netta preminenza sul  Logos,  l'aspetto attivo della vita su  quello contemplativo.  Questa spiccata preminenza della volontà sulla conoscenza"dell'Ethos  sul  Logos,  contraddice allo spirito del  cattolicesimo.  Il protestantesimo nelle sue forme diverse, dalla tendenza ortodossa all'estremo appiattimento della libera  critica, rappresenta l'espressione più o meno religioso-cristiana di questo spirito.  Questo spirito ha progressivamente sacrificato la salda verità religiosa, ed ha fatto della convinzione religiosa,  sempre più di giorno in giorno, un mero oggetto del  giudizio, del sentimento, dell'esperienza personale. La verità  scivolò così dal dominio dell'oggettivamente saldo  a quello del soggettivamente fluttuante. In tal mod o venne da  sé che la volontà assumesse la funzione direttiva.  Dal momento che il credente in fondo non aveva più  una «vera  fede», bensì solo un'esperienza della fede del tutto personale, l'unica cosa salda diveniva logicamente non più un  contenuto di fede professabile e insegnabile, bensì  la dimostrazione della rettitudine dello  spirito mediante la  rettitudine dell'azione. Qui non si può più parlare  ormai di una cristiana affermazione dell'essere in  senso proprio. Il  credente si era radicato non più nell'eternità, ma  nel tempo, e l'eternità prendeva figura ed entrava  in relazione col  tempo solo per la mediazione del sentimento, non in  via immediata. In tal modo la religione prese un o rientamento  sempre più mondano.  Essa  divenne  sempre  più  la  consacrazione  dell'esistenza  umana  temporale  nei  suoi  aspetti  più  vari,  una santificazione dell'attività terrena: del lavoro professionale, della vita sociale, della famiglia e s imili. Ma chiunque  abbia  considerato  per  un  certo  tempo  queste  cose,  rileva  quanto  inadeguata  sia  questa  spiritualità,  quanto  contraddica  alle  leggi  supreme  dell'esistenza  e  dell'anima.  Essa  è  falsa  e  perciò  innaturale  nel  più  profondo  significato di questa parola. Qui sta la fonte specifica dell'angustia dell'età nostra. Essa ha infatti invertito il santo  ordine della natura. Goethe ha realmente toccato l' intimo nucleo della situazione quando fece scrivere  al suo  Faust, preso dal dubbio, le parole: «In principio era l'azione» al posto della frase: «In principio era il Verbo».  Passando il centro di gravità della vita dalla conoscenza al volere, dal  Logos  all'  Ethos,  la vita si fece sempre   più instabile.   Alla persona singola si richiese di reggersi su se  stessa. Ma questo può farlo solo una volontà che sia   realmente creativa nel senso più assoluto della parola; proprietà questa che è soltanto della volontà  divina. Si pretese dall'uomo un contegno che   presuppone l'uomo essere Dio.  E siccome egli non lo è; s'insinua nel suo essere una specie di convulsione spirituale, un atteggiamento di  violenza impotente che talvolta appare tragico, ma  negli spiriti dalle piccole proporzioni riesce strano, anzi ridicolo.  Su questa mentalità ricade la colpa del fatto che l 'uomo d'oggidì assomiglia tanto spesso ad un cieco  che brancola  nel buio; giacché la forza fondamentale su cui egli  ha poggiato la sua vita, vale a dire il volere, è  cieca. La volontà  può volere, agire e creare, non, però, vedere. Di qui procede anche tutta quella irrequietudine che non trova riposo  in nessun luogo. Nulla perdura, nulla rimane saldo,  tutto si muta, e la vita è un perenne divenire, un  anelare, un  ricercare, un pellegrinare senza posa.  La  religione  cattolica  si  oppone  con  tutta  la  sua  forza  a  questa  mentalità.  La  Chiesa  perdona  ogni  altra  mancanza più facilmente che un attentato alla verità. Essa sa bene che, se uno manca ma non intacca la  verità,  egli può ritrovarsi e riprendersi. Ma s'egli intacca il principio, in tal caso è lo stesso santo ordine della vita che è  levato dai cardini.  La Chiesa ha pure guardato sempre con profonda diffidenza ad ogni concezione moralistica della verità,  del  dogma. Ogni tentativo infatti di fondare il valore  di verità del dogma sul suo valore per la vita, è nel suo intimo,  anticattolico.  La  Chiesa  pone  la  verità,  il  dogma  come  un  dato  assoluto,  riposante  su  se  stesso,  che   on  abbisogna di nessuna fondazione sulla base dell'ambito morale o pratico.  La verità è verità, perché è la verità. È in sé e per sé indifferente ciò che la volontà le dice o se  essa possa  dare inizio con la verità a qualche intrapresa. Il  volere non deve giustificare la verità, né essa ha  bisogno di  giustificarsi dinanzi ad esso, bensì quello deve riconoscersi del tutto incompetente di fronte a questa. Il volere non  crea la verità, ma la trova; deve riconoscersi cieco e perciò bisognoso della luce, della guida, della  potenza  ordinatrice e formatrice della verità. Il volere deve fondamentalmente riconoscere il primato della conoscenza sulla  volontà, del  Logos  sull'  Ethos.  Nell'ambito complessivo della vita il primato definitivo deve averlo non l'agire, bensì l'essere. In fondo non si  tratta dell'agire, ma del divenire: non ciò che si  fa, bensì ciò che è costituisce il valore supremo.  Ed il valore  definitivo non sta nella visione del mondo moralistica, ma in quella metafisica, non nel giudizio sul  valore, ma in  quello sull'essere, non nello sforzo, ma nella adorazione. Non appena questo primato venga ristabilito, si offre anche il fondamento della sanità spirituale. L'anima infatti abbisogna di un terreno assolutamente saldo su cui reggersi. Essa abbisogna di un appoggio da cui possa spingersi oltre se stessa, di un punto sicuro fuori di essa, e questo punto non può essere che la verità. Il riconoscimento della verità oggettiva è il fatto fondamentale della liberazione spirituale: «la verità vi farà liberi». L'anima abbisogna di quella liberazione interiore in cui la concitazione del volere si placa, l'irrequietudine dell'anelito si calma, il grido della brama tace; e questo si verifica fondamentalmente ed in prima linea nell'atto intenzionale in cui il pensiero riconosce la verità , lo spirito ammutolisce dinanzi alla maestà sovrana della verità.

da: lo spirito della liturgia,   edizioni Morcelliana, Brescia 1987
 

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