Il primato assoluto della verità
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di ROMANO GUARDINI Il medioevo lo si può ben affermare, ha prevalentemente risolto la questione dei rapporti tra i due valori fondamentali, ponendo, almeno teoricamente, la cono scenza al di sopra dell'azione. Per esso il Logos (la verità) aveva il primato sull' Ethos (l'etica). L'età moderna portò in questo riguardo una profonda mutazione. Il problema dell'essenza del conoscere, prima posto a preferenza in modo costruttivo, assunse ora , in conseguenza di profondi sconvolgimenti spirituali, la sua forma propriamente critica. Il conoscere divenne problematico, di conseguenza il punto di sostegno ed il baricentro della vita spirituale passò poco alla volta nel volere. L'azione della persona, che si fondava su se s tessa, divenne sempre più importante. Così la vita attiva venne anteponendosi a quella contemplativa, la volontà alla conoscenza. Questa preminenza del volere e dei suoi valori comunica all'epoca presente la sua peculiarità. Di qui la sua insonne spinta in avanti, la folle velocità del suo lavoro, la furia del suo godere; di qui la venerazione del successo, della forza, dell'azione; di qui la sua aspirazione alla potenza; di qui, in genere, lo spiccato senso del valore del tempo e la tendenza a sfruttarlo attivamente fino a ll'ultimo. Da qui viene anche che istituzioni spirituali come gli antichi ordini contemplativi, già viste come qualche cosa di ovvio nel complesso della vita religiosa, oggetto di predilezione per tutto il mondo credente, ora non rovano spesso comprensione neppure presso cattolici , e debbono essere di continuo difese dai loro amici dalla taccia di ozioso perditempo. Un accentuato attivismo domina tutto; l'Ethos ha la netta preminenza sul Logos, l'aspetto attivo della vita su quello contemplativo. Questa spiccata preminenza della volontà sulla conoscenza"dell'Ethos sul Logos, contraddice allo spirito del cattolicesimo. Il protestantesimo nelle sue forme diverse, dalla tendenza ortodossa all'estremo appiattimento della libera critica, rappresenta l'espressione più o meno religioso-cristiana di questo spirito. Questo spirito ha progressivamente sacrificato la salda verità religiosa, ed ha fatto della convinzione religiosa, sempre più di giorno in giorno, un mero oggetto del giudizio, del sentimento, dell'esperienza personale. La verità scivolò così dal dominio dell'oggettivamente saldo a quello del soggettivamente fluttuante. In tal mod o venne da sé che la volontà assumesse la funzione direttiva. Dal momento che il credente in fondo non aveva più una «vera fede», bensì solo un'esperienza della fede del tutto personale, l'unica cosa salda diveniva logicamente non più un contenuto di fede professabile e insegnabile, bensì la dimostrazione della rettitudine dello spirito mediante la rettitudine dell'azione. Qui non si può più parlare ormai di una cristiana affermazione dell'essere in senso proprio. Il credente si era radicato non più nell'eternità, ma nel tempo, e l'eternità prendeva figura ed entrava in relazione col tempo solo per la mediazione del sentimento, non in via immediata. In tal modo la religione prese un o rientamento sempre più mondano. Essa divenne sempre più la consacrazione dell'esistenza umana temporale nei suoi aspetti più vari, una santificazione dell'attività terrena: del lavoro professionale, della vita sociale, della famiglia e s imili. Ma chiunque abbia considerato per un certo tempo queste cose, rileva quanto inadeguata sia questa spiritualità, quanto contraddica alle leggi supreme dell'esistenza e dell'anima. Essa è falsa e perciò innaturale nel più profondo significato di questa parola. Qui sta la fonte specifica dell'angustia dell'età nostra. Essa ha infatti invertito il santo ordine della natura. Goethe ha realmente toccato l' intimo nucleo della situazione quando fece scrivere al suo Faust, preso dal dubbio, le parole: «In principio era l'azione» al posto della frase: «In principio era il Verbo». Passando il centro di gravità della vita dalla conoscenza al volere, dal Logos all' Ethos, la vita si fece sempre più instabile. Alla persona singola si richiese di reggersi su se stessa. Ma questo può farlo solo una volontà che sia realmente creativa nel senso più assoluto della parola; proprietà questa che è soltanto della volontà divina. Si pretese dall'uomo un contegno che presuppone l'uomo essere Dio. E siccome egli non lo è; s'insinua nel suo essere una specie di convulsione spirituale, un atteggiamento di violenza impotente che talvolta appare tragico, ma negli spiriti dalle piccole proporzioni riesce strano, anzi ridicolo. Su questa mentalità ricade la colpa del fatto che l 'uomo d'oggidì assomiglia tanto spesso ad un cieco che brancola nel buio; giacché la forza fondamentale su cui egli ha poggiato la sua vita, vale a dire il volere, è cieca. La volontà può volere, agire e creare, non, però, vedere. Di qui procede anche tutta quella irrequietudine che non trova riposo in nessun luogo. Nulla perdura, nulla rimane saldo, tutto si muta, e la vita è un perenne divenire, un anelare, un ricercare, un pellegrinare senza posa. La religione cattolica si oppone con tutta la sua forza a questa mentalità. La Chiesa perdona ogni altra mancanza più facilmente che un attentato alla verità. Essa sa bene che, se uno manca ma non intacca la verità, egli può ritrovarsi e riprendersi. Ma s'egli intacca il principio, in tal caso è lo stesso santo ordine della vita che è levato dai cardini. La Chiesa ha pure guardato sempre con profonda diffidenza ad ogni concezione moralistica della verità, del dogma. Ogni tentativo infatti di fondare il valore di verità del dogma sul suo valore per la vita, è nel suo intimo, anticattolico. La Chiesa pone la verità, il dogma come un dato assoluto, riposante su se stesso, che on abbisogna di nessuna fondazione sulla base dell'ambito morale o pratico. La verità è verità, perché è la verità. È in sé e per sé indifferente ciò che la volontà le dice o se essa possa dare inizio con la verità a qualche intrapresa. Il volere non deve giustificare la verità, né essa ha bisogno di giustificarsi dinanzi ad esso, bensì quello deve riconoscersi del tutto incompetente di fronte a questa. Il volere non crea la verità, ma la trova; deve riconoscersi cieco e perciò bisognoso della luce, della guida, della potenza ordinatrice e formatrice della verità. Il volere deve fondamentalmente riconoscere il primato della conoscenza sulla volontà, del Logos sull' Ethos. Nell'ambito complessivo della vita il primato definitivo deve averlo non l'agire, bensì l'essere. In fondo non si tratta dell'agire, ma del divenire: non ciò che si fa, bensì ciò che è costituisce il valore supremo. Ed il valore definitivo non sta nella visione del mondo moralistica, ma in quella metafisica, non nel giudizio sul valore, ma in quello sull'essere, non nello sforzo, ma nella adorazione. Non appena questo primato venga ristabilito, si offre anche il fondamento della sanità spirituale. L'anima infatti abbisogna di un terreno assolutamente saldo su cui reggersi. Essa abbisogna di un appoggio da cui possa spingersi oltre se stessa, di un punto sicuro fuori di essa, e questo punto non può essere che la verità. Il riconoscimento della verità oggettiva è il fatto fondamentale della liberazione spirituale: «la verità vi farà liberi». L'anima abbisogna di quella liberazione interiore in cui la concitazione del volere si placa, l'irrequietudine dell'anelito si calma, il grido della brama tace; e questo si verifica fondamentalmente ed in prima linea nell'atto intenzionale in cui il pensiero riconosce la verità , lo spirito ammutolisce dinanzi alla maestà sovrana della verità.
da: lo spirito della liturgia, edizioni Morcelliana, Brescia 1987
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