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sabato 6 giugno 2020


Che tu ti metta a dipingere fiori, stelle, cavalli o angeli, in ogni caso comincerai a provare rispetto e ammirazione per ogni elemento del nostro universo. Lo prenderai per ciò che è, e ringrazierai Dio che sia esattamente ciò che è. Rinuncerai a migliorare il mondo, o te stesso. Imparerai a vedere non quello che tu vuoi vedere, ma quello che il mondo è (...). Dopotutto, ci viviamo da poche centinaia di milioni di anni (...) e dall’inizio alla fine l’universo rimane ancora per noi un mistero. Il mistero esiste e si sviluppa in ogni sua più piccola parte (...). La questione, nel momento della creazione di una nuova opera d’arte, dunque, è: «In ciò che vediamo, c’è più di quello che riusciamo a vedere solo con gli occhi?». E la risposta è sempre sì. Persino nell’oggetto più umile possiamo trovare ciò che cerchiamo — bellezza, verità, realtà, divinità — e queste qualità non le crea l’artista: lui le scopre soltanto, nel momento in cui inizia a dipingere. Quando si rende conto di questo, allora può continuare il suo lavoro senza paura di sbagliare perché capisce che a questo punto, che lui continui a dipingere o no, non fa più differenza. Uno non si mette a cantare perché spera un giorno di apparire all’Opera; uno canta perché i suoi polmoni sono pieni di gioia.

È meraviglioso ascoltare una grande esibizione ma è ancor più meraviglioso incontrare lungo la strada un vagabondo felice che non riesce a smettere di cantare perché il suo cuore è pieno di gioia. Ed il vostro felice vagabondo non si aspetta nessuna ricompensa per il suo sforzo. Lui non sa neanche cosa voglia dire, lo sforzo. Nessuno può essere pagato per donare la propria gioia, la gioia è sempre data liberamente.

di Henry Miller


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