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domenica 19 settembre 2021

 Nato a Sepino, nel Molise, a pochi chilometri da Campobasso, Vincenzo Tiberio (1869-1915), dopo aver conseguito la licenza liceale, si trasferì a casa di alcuni zii ad Arzano, in Campania, per proseguire gli studi alla facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università di Napoli.

Proprio nell'atrio di questa maestosa dimora di via Zanardelli, nel 1890 Tiberio giunse ad una scoperta eclatante.

Notò che gli inquilini della casa di Arzano pativano terribili diarree e vari disturbi di natura gastroenterica dopo la pulitura delle pareti interne del pozzo da cui gli zii attingevano l'acqua quotidianamente per l'approvvigionamento familiare.

Forse la muffa rimossa dal pozzo produceva sostanze antibatteriche in grado di proteggere la salute intestinale degli abitanti della casa?

Conoscendo bene gli studi di Louis Pasteur, Tiberio decise di andare a fondo, prelevò alcuni campioni di muffa e li portò in laboratorio.

Ebbe inizio così un'indagine attenta e meticolosa che lo portò a pubblicare nel 1895 negli "Annali dell'Istituto d'Igiene Sperimentale della R. Università di Roma" un articolo, "Sugli estratti di alcune muffe", in cui osservava non senza stupore che alcune delle muffe esaminate liberavano sostanze capaci di inibire lo sviluppo dei batteri. 

Tiberio non aveva dubbi sul potere battericida delle muffe.

Così, 34 anni prima della nascita degli antibiotici, fu lui il primo a scoprire nel pozzo di famiglia il potere della penicillina.

E due anni dopo la scoperta dello scienziato molisano, lo studente francese Ernest Duchesne riportò nella sua tesi di laurea l'interazione tra il fungo "Penicillium glaucum" e il batterio "Escherichia coli" (il primo si dimostrò capace di distruggere il secondo). 

Anche nel suo caso, lo studio cadde nell'oblio e i risultati furono dimenticati.

L'Istituto Pasteur, cui Duchesne inviò la tesi, non diede alcun peso alla cosa, probabilmente solo perché il medico era uno sconosciuto ventitreenne.

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