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mercoledì 4 gennaio 2023

LOUIS PASTEUR, IL PADRE DELLA MICROBIOLOGIA 🦠

 LOUIS PASTEUR, IL PADRE DELLA MICROBIOLOGIA 🦠


«Nel campo dell’osservazione, la sorte favorisce solo le menti preparate»

[Louis Pasteur, discorso all’Università di Lille, 1854]


Il 27 dicembre del 1822 nasceva a Dôle, nell’Est della Francia, il chimico e biologo Louis Pasteur, considerato il padre della microbiologia e ricordato anche per i suoi studi sulla fermentazione, per l’introduzione di nuove tecniche di vaccinazione e per l’invenzione del metodo per aumentare il tempo di conservazione degli alimenti noto come “pastorizzazione”.


Figlio di Jean-Joseph (un conciatore di pelli che era stato sottufficiale negli eserciti napoleonici) e di Jeanne-Etenniette Roquy, una contadina, il piccolo Louis crebbe in un ambiente familiare sereno ed in una modesta agiatezza.


Il giovane Pasteur era uno studente diligente ma non particolarmente brillante. Una delle sue prime passioni fu la pittura: i ritratti conservati al Musée Pasteur a Parigi, realizzati mediante gessetti a pastello, rivelano peraltro un notevole talento. 


In seguito si dedicò con profitto alle discipline scientifiche: nel 1843 entrò all’École normale supérieure di Parigi per studiare chimica e fisica e nel 1847 conseguì la laurea con una tesi riguardante le proprietà ottiche dei sali dell’acido tartarico contenuti nel vino (i cosiddetti “diamanti del vino”). In questo lavoro Pasteur presentò la prima di una lunga serie di scoperte straordinarie: la chiralità.


Per chiralità, parola che deriva dal greco “cheír”, che significa “mano”, si intende la proprietà di alcuni oggetti di non essere sovrapponibili alla propria immagine speculare. Proprio come le nostre mani, che sono l’una l’immagine speculare dell’altra, gli oggetti chirali e le rispettive forme speculari sono diverse e distinguibili.


Studiando i residui che si formavano all’interno delle botti di vino, Pasteur scoprì che esistevano due tipi cristalli tartarici: quelli che facevano ruotare il piano della luce polarizzata in senso orario e quelli che lo facevano ruotare in senso antiorario. Nonostante la composizione chimica dei due tipi di cristallo fosse la stessa, essi si distinguevano per la diversa struttura spaziale delle molecole: potevano cioè essere destrorsi o sinistrorsi, come una vite.


Nel 1848 Pasteur fu nominato professore di fisica al liceo di Digione e, nel 1849, sposò Marie Laurent, figlia del rettore dell’Università di Strasburgo, che si sarebbe rivelata una compagna inseparabile e una preziosa collaboratrice scientifica. La coppia ebbe cinque figli: Jeanne, Jean Baptiste, Cécile, Marie-Louise e Camille. 


Nel 1854 Louis Pasteur fu nominato professore di Scienze Naturali all’Università di Lille. Fu in questa città che lo scienziato realizzò alcune scoperte che avrebbero avuto ripercussioni sul futuro di tutta la ricerca biologica e non solo. Interpellato da alcuni produttori di birra, i quali lamentavano il fatto che alcuni lotti risultavano aspri e torbidi, lo scienziato visitò alcuni birrifici armato di microscopio e scoprì che all’interno della birra “buona” erano presenti degli organismi tondeggianti (i lieviti) mentre in quella “guasta” dei corpi dalla forma affusolata che denominò vibrioni.


Da queste osservazioni Pasteur dedusse che la fermentazione era un processo attivato da microscopici organismi viventi, che lui chiamò “fermenti”: i lieviti trasformavano gli zuccheri in alcool etilico mentre i vibrioni inacidivano la birra con altri processi metabolici. 


Per oltre quindici anni Pasteur studiò diversi tipi di fermentazione, come quella del latte, del vino, della birra e dell’aceto, concludendo che ognuno di essi era dovuto a specifici microrganismi, dai lui classificati in aerobi e anaerobi. Il metabolismo dei primi richiede la presenza di ossigeno, al contrario dei secondi che sono in grado di vivere anche in assenza di ossigeno grazie a differenti processi metabolici.


Nello stesso periodo, Pasteur introdusse un’importante innovazione nel campo della conservazione dei cibi: la “pastorizzazione”. Questa tecnica consiste nell’eliminazione di una parte dei microrganismi presenti nei cibi portando questi ultimi ad una elevata temperatura per un breve periodo di tempo. Benché oggi la pastorizzazione sia applicata a numerosi alimenti ed in particolare al latte, in origine venne utilizzata per limitare il deterioramento del vino, consentendone il trasporto su lunghe distanze con ovvi vantaggi delle esportazioni francesi. 


Le ricerche di Pasteur lo portarono inevitabilmente a porsi delle domande sull’origine dei microrganismi che stava studiando. Sin dai tempi di Aristotele (IV sec. a.C.) si riteneva che la vita potesse generarsi in modo spontaneo da elementi inanimati, ad esempio le zanzare dagli acquitrini e i vermi dagli alimenti o dalle carcasse in putrefazione. Nonostante Francesco Redi e Lazzaro Spallanzani avessero confutato da tempo la cosiddetta “teoria delle generazione spontanea”, molti studiosi non ritenevano soddisfacenti le loro argomentazioni e fino a metà Ottocento il dibattito era ancora aperto.


Pasteur si interessò alla questione e ideò un esperimento che avrebbe dato il colpo di grazia alla teoria della generazione spontanea. Egli costruì personalmente dei particolari contenitori di vetro con un lungo collo ricurvo, chiamati “palloni a collo di cigno”,  la cui particolare forma svolgeva una funzione di filtro, permettendo l’ingresso dell’ossigeno e impedendo che il liquido all’interno entrasse in contatto con spore o batteri. Dopo aver bollito il contenuto dei palloni, eliminando così ogni forma di vita presente all’interno, mostrò che i microrganismi ricomparivano solo se il collo dei contenitori veniva rotto, permettendo così l’entrata degli agenti contaminanti.


La teoria della generazione spontanea, che resisteva da oltre duemila anni, venne così definitivamente abbandonata a favore della teoria della biogenesi, riassumibile nel motto latino «Omne vivum ex vivo», ovvero “tutti gli esseri viventi sono generati da altri esseri viventi”. 


A quarantasei anni Pasteur fu colpito da un grave ictus da cui si riprese lentamente. Nonostante la paralisi del lato sinistro del corpo e la conseguente difficoltà nei movimenti, lo scienziato continuò a dedicarsi alla ricerca e a compiere importanti scoperte, aiutato dalla moglie Marie o da altri collaboratori, quali Émile Roux, Jules Joubert, Edmond Nocard e Louis Thuillier. 


Fino alla fine dell’Ottocento l’origine delle malattie veniva spiegata tramite la teoria dei miasmi, risalente ad Ippocrate. Secondo questa dottrina, le malattie erano causate dalla diffusione nell’aria dei cosiddetti “miasmi” (dal greco “míasma”, cioè “sporcizia”), ovvero esalazioni di acque paludose, escrementi e carcasse di animali. Molti credevano inoltre nell’influenza degli astri e dei pianeti sul manifestarsi di determinate patologie. 


Pasteur ipotizzò invece che il contagio fosse causato da microscopici organismi, invisibili ad occhio nudo, che potevano essere trasportati attraverso l’aria o altri oggetti contaminati. Quando lo studioso presentò la sua “teoria dei germi” rivoluzionò la medicina e il pensiero scientifico. In un discorso di fronte ai membri dell’Accademia Francese di Medicina, affermò: «Se avessi l’onore di essere un chirurgo, non solo non userei altro che strumenti perfettamente puliti, ma mi laverei le mani con la massima cura.»


La teoria dei germi di Pasteur, in estrema sintesi, afferma che i microbi sono la causa principale di molte malattie. Il chirurgo scozzese Joseph Lister, leggendo le opere di Pasteur, si convinse che le infezioni delle ferite chirurgiche fossero causate da batteri contaminanti e le trattò con successo utilizzando il fenolo come antisettico, confermando le ipotesi di Pasteur e rivoluzionando l’approccio dei chirurghi alla pratica operatoria.


In seguito Pasteur venne interpellato per un’epidemia che stava colpendo i bachi da seta nel sud della Francia e che stava mettendo a repentaglio l’intera industria della seta francese. Lo scienziato si recò ad Alès, in Occitania, riconobbe due differenti malattie, causate da diversi microbi, e propose una profilassi efficace basata sulla selezione di uova non infette mediante esame al microscopio.


La teoria dei germi ebbe conseguenze essenziali per la medicina. Essa scatenò infatti un’autentica caccia agli agenti patogeni: nel giro di vent’anni vennero individuati i batteri responsabili delle principali malattie infettive, quali la tubercolosi, la lebbra, la difterite, il colera e la peste bubbonica. Inoltre, le abitudini della popolazione in relazione all’igiene mutarono radicalmente. 


Gli studi degli ultimi anni della vita di Pasteur furono dedicati ai vaccini. Ispirandosi al lavoro di Edward Jenner, un medico di campagna inglese che nel 1796 aveva applicato il primo vaccino efficace mai sviluppato (quello contro il vaiolo), Pasteur si adoperò per estendere la procedura ad altre malattie, quali il colera dei polli (1880), il carbonchio bovino, ovino ed equino (1881), l’erisipela del maiale (1883) e la rabbia (1885).


Fu proprio Pasteur a cominciare ad indicare con la parola “vaccinazione”, in onore di Jenner, qualsiasi somministrazione finalizzata a proteggere il soggetto da una malattia. Il termine “vaccino”, coniato dallo stesso Jenner, deriva infatti da “vacca” e indicava inizialmente il materiale proveniente da persone contagiate dal vaiolo bovino che veniva somministrato ai soggetti da immunizzare. 


Diversamente da Jenner, che utilizzava materiale contenuto nelle pustole di vaiolo bovino per indurre una resistenza verso il vaiolo umano, Pasteur adoperava gli stessi antigeni della malattia attenuati mediante trattamenti fisici o chimici. Per creare il vaccino contro la rabbia utilizzò parte del midollo di un coniglio infetto e lo espose al sole per settimane: in questo modo l’agente patogeno della rabbia non era più in grado di provocare la malattia ma riusciva ancora a generare la cosiddetta “memoria immunitaria”. 


Fu proprio il vaccino contro la rabbia a donare a Pasteur la gloria imperitura e a fare dello scienziato francese un vero e proprio mito. Era il 6 luglio del 1885, quando Joseph Meister, un bambino di 9 anni, venne accompagnato dalla madre dall’Alsazia a Parigi per consultare il dottor Joseph Grancher all’Hôpital Necker-Enfants malades di Parigi. Joseph era stato morso alle mani, alle gambe e ai fianchi da un cane rabbioso e sarebbe sicuramente morto se il dottor Grancher non fosse riuscito a convincere Pasteur a vaccinarlo. 


Il chimico, che fino a quel momento aveva testato il suo vaccino esclusivamente sugli animali, era riluttante ma sapeva anche che quello era l’unico modo per dare al bambino una possibilità di sopravvivenza. Il trattamento iniziò il 7 luglio, circa sessanta ore dopo l’incidente, e consistette di dodici inoculazioni di estratti di midollo spinale di un coniglio morto di rabbia attenuati da una procedura di essiccazione durata 14 giorni. 


Fortunatamente Joseph guarì, e come lui migliaia di persone che negli anni successivi sarebbero state salvate grazie al vaccino contro la rabbia di Pasteur. Tuttavia il chimico non riuscì mai ad osservare il “batterio” della rabbia: non si trattava infatti di un batterio, bensì di un virus, come riuscirono a dimostrare molti anni dopo l’italiano Alfonso Di Vestea e il francese Paul Remlinger in modo indipendente.


Ad ogni modo questo successo diede a Pasteur un’enorme fama e contribuì alla creazione dell’Institut Pasteur, inaugurato nel 1888 e tuttora attivo nella ricerca biologica e nel mantenimento della memoria del suo fondatore. L’ala più antica ospita infatti un museo all’interno del quale sono raccolti, tra le altre cose, gli strumenti scientifici utilizzati da Pasteur. 


Il 28 settembre del 1895 lo scienziato venne nuovamente colpito da un ictus, questa volta fatale. Oggi riposa in una cripta di marmo all’interno dell’Istituto Pasteur, e sarà sempre ricordato come “il chimico che, pur non essendo un medico, illuminò la medicina e dissipò, alla luce dei suoi esperimenti, un’oscurità che fino ad allora era rimasta impenetrabile”.


Immagine: Louis Pasteur in un ritratto fotografico di Paul Nadar (fonte: www.treccani.it)


Bibliografia:

René Vallery-Radot, The Life of Pasteur, Doubleday, Page & Company, 1920; 

S. Y. Tan, L. Rogers, Louis Pasteur (1822–1895): the germ theorist, Singapore Medical Journal, 2007;

Patrick Berche, Louis Pasteur, from crystals of life to vaccination, Clinical Microbiology and Infection, 2012;

Filippo Peschiera, Louis Pasteur. Lavoro scientifico e domanda di senso, Emmeciquadro, 2012;

Kendall A. Smith, Louis Pasteur, the father of immunology?, Frontiers in Immunology, 2012;

Federico E. Perozziello, Louis Pasteur, i vaccini e la nascita della medicina moderna, Medical Humanities and Pneumology, 2018; 

Jean-Marc Cavaillon, Sandra Legout, Louis Pasteur: Between Myth and Reality, Biomolecules, 2022.


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