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martedì 25 giugno 2024

La forchetta

 L’invenzione della forchetta napoletana


Ferdinando IV di Borbone amava la buona cucina, non ci sono dubbi, ma spesso si trovava a disagio a mangiare con le mani, specie i maccheroni con il sugo. All’epoca questa era consuetudine. La forchetta, il suo antesignano, esisteva già da qualche secolo ma non era pensata per lo scopo che noi ben conosciamo. I prototipi disponibili avevano un problema di dimensioni e di numero e lunghezza di rebbi. Due o tre rebbi (punte) su grossi utensili pure molto affilati erano totalmente inadatti, specie per la grossezza dei manici. Sì trattava solo di forchettoni per cucinare. Nel 1770, il Re, uomo pratico, chiamò il ciambellano di corte, Gennaro Spadaccini, e verosimilmente gli disse: “Gennà, a me piacciono assai i maccheroni e assai pure gli spaghetti, ma nei pranzi ufficiali come si fa? Ci si sporca, ci si inguaiano di sugo le mani e i vestiti... mia moglie la regina Maria Carolina, mi guarda con disapprovazione! Mica è napoletana come me! Insomma Gennà, trova un rimedio che io voglio mangià ‘a pasta quando me pare a me!”

Gennaro intuì che gli era stata affidata l’opportunità di ingraziarsi il sovrano e forse pure di contribuire a far progredire la storia della cucina. Da uomo d’ingegno, quale  evidentemente era, trovò la soluzione: ridimensionò la forchetta, accorciò le punte e inserì il quarto rebbio. Sì, perché facendo vari esperimenti con tre punte la pasta lunga non si arrotolava e con cinque era difficoltoso inserire la forchetta in bocca. Fu un grande successo. Un’invenzione che ha invaso il mondo intero, ad eccezione dei del Giappone, ma quello è un caso a parte. Quando si ha in mano una forchetta a 4 rebbi, bisognerebbe ricordarsene, si sta manegggiando e mangiando un’invenzione napoletana e borbonica. 

Il legame tra i reali di Borbone napoletani e la pasta prodotta nel napoletano si ufficializza grazie a Ferdinando II delle Due Sicilie, il nipote di Ferdinando di cui sopra.

Con Regio decreto, il 12 luglio del 1845, egli concede ai fabbricanti gragnanesi l’alto privilegio di fornire la corte di tutte le paste lunghe. Così da semplici botteghe artigiane, la pasta cominciò ad essere prodotta in veri e propri pastifici. Insomma non mi stancherò mai di dire che Napoli è la capitale di un numero ragguardevole di geniali trovate che oggi sono, felicemente, a disposizione di tutti.

Grazie, Napoli!


Roberto Bonaventura


www.robertobonaventura.com

domenica 23 giugno 2024

La bellezza

 La bellezza è necessaria

alla piena realizzazione

del bene del mondo,

perché solo essa

illumina la tenebra

del nostro mondo

-VLADIMIR SOLOVEV

5 aspetti che secondo Goldberg definiscono la personalità

  

5 aspetti che secondo Goldberg definiscono la personalità

5 aspetti che secondo Goldberg definiscono la personalità

Ultimo aggiornamento: 25 luglio, 2017

La teoria della personalità di Lewis Goldberg è conosciuta anche come “modello dei cinque fattori” o “modello dei big five”. È il risultato di diversi studi che hanno posto l’enfasi su determinati aspetti della personalità come fattori per capire com’è una persona. Se ne parlava già nel 1933, ma è stato solo a partire dal 1993 che è stata formulata una vera e propria teoria.

I cinque grandi aspetti della personalità sono identificati da lettere maiuscole e sono chiamati anche “fattori principali”. Il primo fattore è 

il fattore O, di apertura mentale.

 Il secondo è C, coscienziosità.

 Il terzo è il fattore E, estroversione.

 Il quarto è il fattore A, amicalità.

 il quinto  il fattore N, è quello della stabilità emotiva. 

Le cinque lettere insieme formano l’acronimo OCEAN.

Ognuno di noi è come Dio l’ha fatto, ma diventa ciò che crea di sé.

Miguel Servet

Ciascuno di questi fattori è composto da caratteristiche specifiche. A partire da questo modello teorico sono stati sviluppati diversi test di psicologica che consentono di valutare e capire com’è la persona in questione. Vediamo in dettaglio i tratti e le caratteristiche di questo modello.

Apertura mentale alle esperienze, uno dei tratti della personalità

L’apertura mentale alle esperienze (fattore O) fa riferimento alla capacità di una persona di cercare esperienze nuove, dando senso alla propria esistenza e visualizzando il proprio futuro in maniera creativa. Chi ha un alto livello di apertura mentale di solito è una persona creativa, che apprezza l’arte e ha un rapporto di collaborazione con gli altri. È anche curiosa e preferisce la novità alla routine.

All’estremo opposto ci sono le persone chiuse alle esperienze nuove che non hanno mai vissuto prima. Hanno caratteristiche completamente diverse, preferiscono la sicurezza e le abitudini. Fanno fatica ad adattarsi alle novità, per questo preferiscono la rigida routine. Optano per attività tecniche e mostrano poco interesse verso quelle astratte.

La responsabilità o fattore “C”

Questa dimensione fa riferimento alla capacità di autocontrollo e all’abilità di sviluppare nuovi metodi di azione efficace. È legata all’abilità di pianificare, organizzare ed eseguire compiti, ma anche con la capacità di portare a termine qualcosa, essere puntuale e persistere negli obiettivi da raggiungere.

Le persone altamente responsabili di solito sono molto ordinate e viste come persone scrupolose ed affidabili. Se portano all’estremo questo tratto della loro personalità possono diventare troppo perfezioniste e dipendenti dal lavoro. Hanno un forte bisogno di raggiungere il successo.

L’estroversione, un altro tratto della personalità

Ha a che vedere con la capacità di relazionarsi e di godersi la compagnia altrui. Chi è molto estroverso sta bene in compagnia delle persone e non si fa problemi a stare in gruppo. Lavora bene in gruppo, è ottimista ed entusiasta. Insieme agli altri è come un pesce… in acqua!

All’estremo opposto ci sono gli introversi, che si trovano meglio lavorando da soli. In genere, sono diffidenti o prudenti verso gli altri. Preferiscono i piccoli gruppi di amici e si sentono a disagio quando c’è tanta gente.

Il fattore “A”: amicalità

Ha a che vedere soprattutto con l’essere empatici. Le persone in cui questo fattore è predominante sono comprensive, tolleranti e serene con gli altri. Mostrano grande capacità quando si tratta di comprendere i bisogni e i sentimenti altrui.

All’estremo opposto ci sono le persone conflittuali, che amano litigare, discutere, che cercano di imporre il loro punto di vista. L’ostilità è il loro marchio di fabbrica. Possono eccellere in attività che richiedano di competere con gli altri o di mostrarsi più energici rispetto agli altri.

La (in)stabilità emotiva o nevrosi

Fa riferimento in particolare alla capacità o incapacità di una persona di ⁵ e superare le situazioni difficili della vita. Chi è instabile dal punto di vista emotivo, ha un comportamento in genere imprevedibile. Non riesce a mantenere una linea di comportamento, le reazioni variano senza che ci sia un motivo ben chiaro.

Sul versante opposti vi sono le persone stabili, prudenti e che agiscono con moderazione anche in situazioni di crisi. Sono persone tranquille e hanno fiducia nella loro capacità di gestire le difficoltà e gli errori. Hanno uno stato d’animo positivo e lo mantengono nonostante le vicissitudini.

Secondo questo modello, per definire la personalità di qualcuno, bisogna ricorrere ad un test che valuti questi cinque fattori. Il risultato determina un punteggio (alto, medio o basso)  in ogni categoria. Di solito fanno questo test i responsabili delle risorse umane, quando devono selezionare il personale, chi fa orientamento nell’educazione, in modo da indirizzare correttamente gli studenti in base al loro profilo, e anche i clinici in alcuni casi.

giovedì 20 giugno 2024

Il mistero , la matematica

   è la seguente: «All’inizio e alla fine abbiamo il mistero. Potremmo dire che abbiamo il disegno di Dio. A questo mistero la matematica ci avvicina, senza penetrarlo»

De Giorgi

lunedì 17 giugno 2024

ENRICO MEDI. «L'UOMO È PIÙ GRANDE DELLE STELLE

 


ENRICO MEDI. «L'UOMO È PIÙ GRANDE DELLE STELLE»

Proclamato venerabile da Papa Francesco, ecco chi era il fisico e padre costituente originario di Porto Recanati. Persona di grande fede, considerava la politica un servizio e amava parlare ai giovani
Marco Bersanelli
Fisico e padre costituente, originario di Porto Recanati, era un uomo di grande fede. «L’uomo non è fatto a cassetti: qui il fisico, là il religioso, il politico, il filosofo. L’uomo è uno ed ha delle cose una concezione unitaria: distinta, ordinata, armonica». Sono parole di un uomo che ha amato la vita a tutto tondo, l’ha esplorata sotto svariate angolature, un uomo che sebbene non sia ancora adeguatamente conosciuto ha dato un contributo straordinario al bene comune nel nostro Paese. Enrico Medi è stato scienziato, deputato, comunicatore, consulente diplomatico, dirigente di partito. Ma in tutto questo la nota dominante della sua vita, dentro e oltre i suoi successi, è la sua travolgente passione per Cristo, che ha risuonato vigorosa nei suoi gesti e nelle sue parole. Tanto che il 23 maggio scorso per decreto di papa Francesco il professor Medi, laico e padre di famiglia, è diventato Venerabile, compiendo così un passo importante verso il riconoscimento della sua santità.

Enrico nasce nel 1911 a Porto Recanati, a due passi dal leopardiano “colle dell'infinito” e all’ombra del santuario di Loreto. Trascorre l'infanzia tra le verdi colline di Belvedere Ostrense, dove respira a pieni polmoni la fede cattolica dei genitori e dei nonni. Fin da ragazzino la sua curiosità insaziabile e la sua precoce intelligenza destano meraviglia. Nel 1920 con famiglia si trasferisce a Roma, dove studia al liceo classico dei Gesuiti e a soli 16 anni inizia gli studi universitari in fisica. Nel 1932, all’età-record di 21 anni, si laurea alla Sapienza con un certo Enrico Fermi, discutendo una tesi sul neutrone, la particella elementare scoperta pochi mesi prima da James Chadwick e che tre anni dopo avrebbe dato il Premio Nobel al fisico inglese. Una decina d’anni dopo ritroviamo Medi all’Università di Palermo, alle prese con applicazioni avanzate di fenomeni elettromagnetici. I suoi risultati pionieristici su quello che oggi conosciamo come il “radar” vengono grossolanamente snobbati dal regime fascista dell’epoca, per poi essere ampiamente riconosciuti dalla comunità internazionale. Qualcosa di simile accade per le sue ricerche sulle fasce di particelle ad alta energia intrappolate nella magnetosfera terrestre: i risultati di Medi, inizialmente guardati con sospetto, furono pienamente confermati quindici anni dopo dall’astrofisico James Van Allen dell’Università dell’Iowa, grazie a misure dirette ottenute da uno strumento a bordo della prima missione spaziale americana.

La sua autorevolezza scientifica lo porta a ricoprire importanti responsabilità istituzionali, tra cui quella di direttore dell’Istituto Nazionale di Geofisica e di vicepresidente dell’Euratom. Ma non abbandona mai l’insegnamento e si dedica alla divulgazione scientifica con inesauribile energia. Tiene una serie di trasmissioni alla Rai e nel luglio 1969 partecipa alla memorabile diretta del primo sbarco sulla Luna con Tito Stagno. Ma la sua passione comunicativa è al fondo una testimonianza di che cosa significa guardare il mondo come segno del suo Creatore: «Dio è autore della natura e della rivelazione… La scienza indaga la natura con i mezzi che le sono propri. E man mano che la scienza procede, la fede ne riceve conforto» (dalla conferenza Fede e progresso scientifico). La sua contemplazione dell’universo si esprime in linguaggio poetico e al tempo stesso rigoroso, dando voce alla paradossale nobiltà della condizione dell’uomo nel panorama di un cosmo sconfinato: «Oh, voi misteriose galassie, voi mandate luce ma luce non intendete; voi mandate bagliori di bellezza ma bellezza non possedete; voi avete immensità di grandezza ma grandezza non calcolate. Io vi vedo, vi calcolo, vi intendo, vi studio e vi scopro, vi penetro e vi raccolgo. Da voi io prendo la luce e ne faccio scienza, prendo il moto e ne fo sapienza, prendo lo sfavillio dei colori e ne fo poesia; io prendo voi, oh stelle nelle mie mani, e tremando nell’umiltà dell’essere mio vi alzo al di sopra di voi stesse e in preghiera vi porgo a quel Creatore che solo per mio mezzo voi stelle potete adorare. L’uomo è più grande delle stelle. Ecco la nostra immensa dignità, immensa grandezza dell’uomo, della vita umana» (dalla conferenza Gli uomini e il cielo).

La fede per Enrico Medi è profondità di sguardo alla natura, tanto quanto passione per l’uomo. Durante la seconda guerra mondiale torna a Belvedere e nel 1943 è protagonista di un episodio che risulta emblematico della radicalità della sua immedesimazione con Cristo. Venuto a sapere che due uomini erano stati condannati alla fucilazione, si reca senza esitazione al comando di polizia di Jesi e offre la propria vita in cambio di quella dei condannati. Alla fine tutti e tre verranno risparmiati.

Quella stessa totalità di dedizione lo condurrà all’impegno sociale e politico. Dopo la guerra diventa deputato alla Costituente per la Democrazia Cristiana e si dedica alla promozione di politiche sociali. A Palermo promuove il “Censimento della sofferenza”, un’iniziativa volta a monitorare e alleviare le difficoltà dei più disagiati. Soffre l’onda della dilagante secolarizzazione e ne coglie lucidamente l’origine e la conseguenza: «Hanno deificato la libertà e nel suo nome hanno costruito l’immensa gabbia economica per un mondo di schiavi». D’altra parte riconosce nella protesta giovanile del 1968 il segno di un desiderio autentico, per quanto confuso, il sintomo di un bisogno di libertà. Non a caso in quegli anni gli interlocutori privilegiati dei suoi interventi sono le giovani generazioni: «Da una cosa Iddio vi protegga: dallo scetticismo, dal criticismo e dal cinismo... Guai se la giovinezza perde il canto dell’entusiasmo» (dalla conferenza Gli uomini e il cielo). Egli ha della politica un ideale altissimo, arrivando a paragonarla a una forma d’arte: «Essa è sapienza, equilibrio, fortezza, sanità, ma da tutto questo, se si unisce il senso lirico delle cose, nasce l’opera d'arte che affascina i popoli e costruisce la storia» (Citato in Maria Romana De Gasperi, “La politica come ascesi”, Avvenire, 10 aprile 2010). L’impegno sociale di Medi testimonia quell’inconfondibile gusto della gratuità che nasce dalla fede: «Cos’è la politica per un cristiano? È un servizio reso agli altri dimenticando sé stesso, una rinunzia ai propri interessi e alla propria vanità: è un’altissima missione davanti a Dio, un apostolato di proporzioni sconfinate» (in Biografia di Enrico Medi a cura di Vittorio De Marco).

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La testimonianza pubblica di Enrico Medi si è giocata soprattutto in due ambiti, quello della scienza e quello della politica, entrambi decisivi nel determinare la mentalità del nostro tempo. Il suo esempio e i suoi giudizi lasciano tracce preziose che vanno seguite. L’amore a Cristo che ha investito la sua vita ha reso la sua ricerca scientifica una forma di contemplazione e il suo impegno politico una testimonianza di carità. In occasione dell’apertura della sua causa di canonizzazione monsignor Odo Fusi Pecci affermava: «Lo animava il senso della missione e noi ci chiediamo quale sia stata la missione dell’intera vita di Medi. Egli è stato un esempio vivente e propugnatore chiarissimo dell’armonia che regna tra la scienza e la fede, un’armonia che diventa in lui testimonianza di carità e di servizio, intelligente, competente, generoso, trasparente alla comunità ecclesiale e civile».

Aborto

 


Aborto, la sinistra tradisce pure Berlinguer

Il presidente francese Macron ha sollevato la questione dell’aborto al G7 (uscendone sconfitto) per propaganda personale. Ma ne è scaturito un assalto politico del Pd e dei giornaloni a Giorgia Meloni. Perché? La legge sull’aborto c’è già, dunque su cosa nasce lo scontro? La polemica iniziò alla nascita dello stesso governo Meloni, quando la premier affermò di non voler toccare la legge 194, ma di volerla (...) applicare integralmente, anche nelle parti che possono aiutare la donna a decidere di non abortire.

Da allora, incredibilmente, i partiti di sinistra attaccano la premier che – a loro avviso – attenterebbe al “diritto di abortire”. In realtà lei fa riferimento proprio alla filosofia della legge 194, votata dal Pci, filosofia che dal partito guidato da Enrico Berlinguer fu particolarmente enfatizzata. Ma che oggi il Pd e la sinistra hanno rinnegato. Così, paradossalmente – oggi è la Meloni – non la Schlein- che può citare le parole di Berlinguer, molto imbarazzanti per il Pd. Se la Meloni indicesse una manifestazione con il titolo “Perché nel futuro dei giovani non ci sia più l’aborto”, cosa accadrebbe? La sinistra si solleverebbe immediatamente. Eppure era proprio questo il titolo della manifestazione del Pci, a Firenze, il 26 aprile 1981, con Berlinguer, che definì tale parola d’ordine «bella e giusta».

Si era nella campagna referendaria sull’abrogazione di alcune parti della legge 194 e il Pci difendeva energicamente quella legge. Berlinguer, in quel comizio, disse parole che – se fossero pronunciate oggi dalla Meloni - scatenerebbero il finimondo: «Anzitutto deve essere chiaro a noi stessi e agli altri» disse il Segretario del Pci «che noi, in quanto fautori della legge 194 e anche in quanto comunisti, non difendiamo l’aborto, non lottiamo per la libertà di abortire, non riteniamo l’aborto una conquista civile, né tantomeno un fatto positivo. Così come la legge non approva, né favorisce in alcun modo l’aborto, così come le donne che hanno lottato per la fondazione di questa legge, e la società, lo Stato che tale legge hanno promulgato, non promuovono, né accettano, né approvano l’aborto».

Dopo tale premessa – che oggi sarebbe esplosiva – Berlinguer spiegò che la legge riconosce l’esistenza della piaga dell’aborto e, pur rendendolo legale e assistito, cerca «con opportuni strumenti legislativi di contenerne i guasti e di avviare mutamenti culturali e mutamenti sociali che tendano gradualmente a farlo scomparire come atteggiamento culturale e come fatto sociale. Noi non siamo dunque abortisti, l’aborto resta per noi un male».

Poi il leader del Pci rivendicò la parte positiva della 194: «Con la legge si dà inizio per la prima volta all’opera fondamentale della prevenzione. La legge ha avviato così l’unico modo possibile per ridurre l’aborto e giungere, gradualmente certo, alla sua scomparsa». Perciò abolire la legge – disse – «vorrebbe dire rendere assolutamente inutile ogni opera di prevenzione o di dissuasione dall’aborto». Berlinguer tornò a riprendere, enfatizzandolo, questo tema – che è esattamente ciò che oggi la sinistra contesta alla Meloni – e disse: «La legge per la prima volta mette in essere un’opera di prevenzione rivolta al superamento dell’aborto. Naturalmente è un’opera di lunga lena e richiede che si lavori in molte direzioni. Anzitutto bisogna creare strutture adeguate in tutto il Paese».

Infine aggiunse: «La legge è solo un primo passo sulla via della prevenzione e quindi del superamento dell’aborto. (...) La vita sia della donna che del nascituro sarà tutelata solo quando verrà posto in atto tutto un complesso di leggi e di strutture nuove in tutti i settori della vita sociale. Solo una radicale e nuova scelta politica e culturale potrà liberare progressivamente la donna dal bisogno di abortire e quindi tutelare sufficientemente la vita sia della madre che del concepito».
Naturalmente anche in campo laico si levarono diverse voci contro questa impostazione, cioè contro la legge 194.

Per esempio Norberto Bobbio fu critico con la legge, contestandola da filosofo del diritto, e si espresse in difesa della vita del nascituro in base alla morale laica e umanista. Ma quello che tutti condividevano con i cattolici – sia Berlinguer, che Bobbio, che Pasolini – era il giudizio sull’aborto in sé ritenuto un male, una tragedia sia per la donna che per il concepito. La legge 194 fu confermata dal referendum con la convinzione – illustrata da Berlinguer – che fosse un mezzo per limitare un male, per renderlo meno traumatico e per avviarsi alla sua prevenzione fino alla sua scomparsa.

Ma di recente è accaduto qualcosa di segno opposto. Decidere – come ha fatto Macron in Francia – di inserire addirittura l’aborto nella Costituzione francese significa trasformarlo in un valore positivo da promuovere. Macron, con la velleità napoleonica di guidare il mondo, ha poi ottenuto che pure il Parlamento europeo si esprimesse in tal senso e hanno votato con lui i partiti italiani del centrosinistra. Con questa ideologia l’aborto non è più un male da contenere e prevenire, ma diventa un valore positivo. Ciò contraddice Berlinguer, la storia della sinistra e le leggi che negli anni Settanta legalizzarono l’aborto.

Anche in Francia. Giuseppe Anzani ha ricordato che «la legge ottenuta nel 1975 da Simone Veil», quella ancora in vigore, «fu accompagnata da queste sue parole: “Nessuno può provare soddisfazione profonda nel difendere un testo simile su questo tema: nessuno ha mai contestato che l’aborto sia un fallimento e un dramma”». Contro l’aborto si sono espressi i Papi, da Giovanni Paolo II a papa Francesco, e autorevoli laici come Norberto Bobbio (padre del pensiero progressista). Ma, quanto alla legge, la Meloni, per la sua battaglia di oggi, può rifarsi a Simone Veil e, nel concreto dell’applicazione della 194, addirittura a quel Berlinguer che la Schlein ha rappresentato sulla tessera 2024 del Pd, ma che, di fatto, ha rinnegato preferendogli Macron, portando così il Pd e la sinistra nel baratro nichilista

Antonio Socci

Da :Libero 17-06-2024

giovedì 13 giugno 2024

L'amicizia

 Chi è diventato amico per convenienza, per convenienza finirà di esserlo. Chi si è procurato un amico perché lo aiutasse nella malasorte: non appena ci sarà rumore di catene, costui sparirà. Sono le amicizie cosiddette opportunistiche: un'amicizia fatta per interesse sarà gradita finché sarà utile. 

Così se uno ha successo, lo circonda una folla di amici, mentre rimane solo se cade in disgrazia: gli amici fuggono al momento della prova; per questo ci sono tanti esempi infami di persone che abbandonano l'amico per paura, e di altre che per paura lo tradiscono. 

L'amicizia invece somiglia un po' all’amore. Si ama forse per denaro? Per ambizione o per desiderio di gloria? L'amore di per sé trascura tutto il resto e accende negli animi un desiderio di bellezza e la speranza di un mutuo affetto. Ma come ci si accosta ad essa? Come a un sentimento bellissimo, non per lucro, né per timore dell'instabilità della sorte; se uno stringe amicizia per opportunismo le toglie la sua grandezza.


Lucio Anneo Seneca, Lettere a Lucilio #amicizia 


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mercoledì 12 giugno 2024

L'abitudine

 "L'abitudine è la più infame 

delle malattie, 

perché ci fa accettare 

qualsiasi disgrazia e qualsiasi dolore. 

Per abitudine si vive accanto 

a persone odiose, 

si impara a portare le catene 

a subire ingiustizie, a soffrire, 

ci si rassegna al dolore, 

alla solitudine, a tutto. 

L'abitudine è il più spietato 

dei veleni perché entra in noi lentamente, silenziosamente e cresce a poco a poco nutrendosi della nostra inconsapevolezza, 

e quando scopriamo d'averla addosso ogni gesto s'è condizionato, non esiste più medicina che possa guarirci..."


(Oriana Fallaci)

giovedì 6 giugno 2024

Tutto è a rovescio nel mondo

 Tutto è a rovescio nel mondo

Il mondo è un infermo che nasconde accuratamente le sue piaghe, e si mostra sempre in una veste falsa. Le menzogne nelle quali vive, rendono errati i nostri apprezzamenti e difficile l’esperienza della vita. Tutto è a rovescio nel mondo, e perciò quello che per esso è sapienza, per Dio è stoltezza somma. Il Signore nella sua infinita bontà rettifica le false massime del mondo con precetti chiari ed incisivi, che sono la base della nostra esperienza e della nostra saggezza.

Il mondo disprezza il povero che cammina nella sua semplicità, nella perfezione, ed apprezza il ricco, benché sia perverso e stolto; eppure che cosa rappresenta questo ricco nella vita? Il povero semplice è contento di quello che ha, onora Dio, gode la pace della giustizia, è assennato nei suoi giudizi, e sopra tutto conosce la verità, ricchezza dell’anima che nessuno può togliergli; il ricco perverso, che parla empiamente ed ignora le verità della fede, in realtà è un miserabile, povero di anima. Sono due povertà e due ricchezze antitetiche, quella del corpo e quella dello spirito, e tra esse è da preferirsi la povertà del corpo e la ricchezza dell’anima poiché dove non c’è la scienza dell’anima, non c’è nessun bene, c’è solo una corsa affannosa dietro al male ed alle passioni, che portano all’eterna rovina, non solo, ma anche quella temporale; la suprema stoltezza, infatti, cioè l’ignoranza ed il disprezzo della Legge di Dio, guasta tutti i piani dell’uomo, lo disorienta nella stessa ragione, gli fa commettere molte sciocchezze, ed è causa dei suoi insuccessi; il disorientamento tocca il sommo quando lo stolto, invece di riconoscersi causa del suo danno, se la prende con Dio, si adira, bestemmia, ed attribuisce a Lui le sventure che s’è fatte con le sue mani.

(Sac. Dolindo Ruotolo ‒ Servo di Dio)

l’ostacolo che impedisce all'anticristo di manifestarsi a suo tempo

 Le parole di san Paolo della lettera ai Tessalonicesi: "Voi conoscete l’ostacolo che impedisce all'anticristo di manifestarsi a suo tempo", si è pensato alludessero alla Chiesa, all'impero romano, all'Arcangelo Michele, alla fede cattolica, possono benissimo invece alludere a Maria Santissima — che in ogni pericolosa epoca della Chiesa, come per esempio quella dell’islamismo trionfante, quando il mondo era dominato e sconvolto dalla mezzaluna, e quando l’anticristo sembrava alle porte, e la cristianità sembrava sul punto di essere travolta — fu il vero l’ostacolo all’anticristo, fu Colei che salvò la cristianità.

 

Anche oggi se il comunismo non è riuscito ancora a dominare tutto il mondo, ed ancora si va segretamente introducendo nelle nazioni con una propaganda infernale, è proprio perché Maria Santissima gli è di ostacolo. 

 

Ecco perché satana sta scatenando per mezzo della propaganda protestante una lotta fierissima contro Maria Santissima e la devozione che le si deve, e si insinua subdolamente nelle teste... calde di certi membri della Chiesa che, sotto l’orpello di volere il culto cristologico, non si accorgono o non si vogliono accorgere di diminuire nei fedeli la devozione a Maria Santissima. 

Satana così lavora segretamente per togliere l'ostacolo all’anticristo, per travolgere la Chiesa e il mondo, e dominare con l’iniquità.

 

Per questo Maria Santissima è apparsa tante volte, ed ha voluto così riscaldare del suo amore i fedeli. Finché ci sarà profonda devozione a Maria Santissima l’anticristo troverà un ostacolo insormontabile ed apparirà in tutta la sua malvagità.


(Don Dolindo Ruotolo - Commento alle Lettere di San Paolo)