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giovedì 31 ottobre 2024

La tragedia della vecchiaia

 La tragedia della vecchiaia

non è quella di essere vecchi, ma quella di essere giovani. All'interno di questo corpo che invecchia c'è un cuore curioso, affamato, pieno di desiderio come nella giovinezza. Sto alla finestra e guardo il mondo che passa, sentendomi come uno straniero in una terra straniera, incapace di relazionarmi con il mondo esterno, eppure dentro di me arde lo stesso fuoco che una volta pensava di poter conquistare il mondo. E la vera tragedia è che il mondo resta, così distante e inafferrabile, un luogo che non potremmo mai comprendere. 

Albert Camus, da " Caduta"..

La conoscenza geometria!

 La conoscenza di quale mira la geometria è la conoscenza dell'eterno. 

Platone

paradosso di Alessiani

Il testo è estratto da GAZZETTA MEDICA ITALIA - ARCHIVIO PER LE SCIENZE MEDICHE
Vol. 156 - N. 1 - pag. 39-43 (Febbraio 1997)

EDIZIONE MINERVA MEDICA - TORINO

          Che cos'è il paradosso di Alessiani?

            Nel 1981 Aldo Alessiani, medico di origine marchigiana e d'adozione romana, pubblicò una monografia dal singolare titolo: "Il cancro per paradossi". Un'analisi critica della medicina d'oggi, con tinte indiscutibili d'eresia fino al punto di parlare di "inquinamento da igiene". Lui s'imponeva un problema esplicativo, quello di una inattesa rapida elevazione della statura delle giovani generazioni; un fenomeno molto evidente del secondo dopoguerra. Troppo evidente e non giustificabile con le facili spiegazioni di una più doviziosa alimentazione, ricca di proteine, di alimenti integrati o con la liberalizzazione dei costumi e di pratiche sportive. Già a colpo d'occhio, tale realtà usciva dai parametri biologici che consideravano un centimetro di elevazione in media al secolo. Alessiani valutò che nel solo spazio di 36 anni, comprendenti l'arco 1945-1981, i giovani italiani, in media, avevano scavalcato ogni attesa di accrescimento staturale assai lontana da quei tre millimetri e magari quattro per eccesso, da attendersi nel tempo di un terzo e poco più di cento anni. Le statistiche di riferimento erano ministeriali e comunicavano un evento straordinario: 13,5 cm. Ammettendo una costanza matematica di 1 cm nel lasso 1845-1945, altrimenti le frazioni terminali avrebbero raggiunto l'iperbole, la sintesi dell'osservazione rivelava che in un terzo di secolo i giovani italiani (i veneti di più ed i sardi di meno) avevano toccato limiti staturali impensabili anticipando tredici secoli e mezzo. Totale: 1350 anni.

            Troppe, dice Alessiani, per giustificare siffatta enormità con le spiegazioni correnti sopra accennate; sì, possono aver avuto una certa influenza fenomenica ma non tale da inverare una logica causale. Più opinabile una grande "mutazione" d'ordine ambientale ed a vasto raggio necessariamente compresa in altre mutazioni d'altri esseri viventi d'ogni specie e non cadute sotto l'osservazione umana. In tal caso un nuovo asserto biologico sarebbe da esprimersi e cioè: più mutazioni coambientali e contemporanee debbono possedere denominatori comuni.

    Riportando in coordinate cartesiane la mortalità per cancro in Italia per lo stesso periodo con tutte le dovute sottrazioni per i canoni di sopravvivenza media spontanea ed artificiale (cioè da conquiste mediche) le due risultanti appaiono tendenzialmente in parallelo.

            Che cosa sta accadendo? Tra igiene voluta (esasperata pulizia esaltata in ogni direzione dalla speculazione industriale pubblicizzata) e non voluta (radiazioni d'ogni tipo e provenienza) si ingenera uno stato di "sterilizzazione" ambientale. A loro volta, gli avvelenamenti ambientali (erroneamente definiti come inquinamenti) cooperano nella sterilizzazione causando una metamorfosi per sbilanciamento a rappresentazione alternativa in valori strettamente algebrici. Prendiamo in considerazione una viola mammola che nasce in terreno del tutto primordiale e verginale spontaneamente; essa è soggetta ad una incombenza da cui non si può sottrarre: il ciclo dell'azoto. Un sodalizio "faticoso" avviene nelle sue radici da batteri nitrificanti tra questi e quella in un laboratorio ad attività incessante. Se la viola mammola viene però carpita integralmente e trasportata in terreni a concimazione chimica industriale, la faticosa collaborazione biochimica viene a cessare per soppressione dei microrganismi nitrificanti (soppressione d'indole chimica e competitiva volontaria della loro funzione con prodotti di sostituzione di apporto rapidissimo).

            Poiché ogni fatica è certamente penalizzante per tutti (in tal caso pianta e microrganismi collaboranti), cessata ex-abrupto la finalità naturale della produzione dell'azoto la pianta, non più gravata dalla doverosità del ciclo dell'azoto, se ne gioverà crescendo "in altezza" di quanto la fatica di laboratorio le sottraeva nell'ambito delle sue radici. Ecco dunque il rapporto algebrico. Possiamo in un certo senso raffigurarci una mongolfiera che raggiunge il suo equilibrio matematico se stabilizzata dai sacchi di zavorra (pesi paganti e dunque sottraenti); una volta abbandonati quelli, l'aerostato s'innalzerà in proporzione al peso di zavorra non più esistente (debito pendente cessato).

            Riportato tale concetto all'aumento dalla struttura dei giovani "precipitosamente" concretizzatasi, possiamo dire che anche essi sono stati "liberati" da ambienti sottrattivi, che erano però i naturali, per trovarsi in quelli innaturali della esistenza biologica più facile; da qui l'accrescimento impetuoso e paradossale indipendentemente dalla alimentazione, sport, autonomie d'intenti e di costumi.

            E l'esistenza biologica più facile ritrova il denominatore comune di un ambiente nuovo, quello modificato dalla sterilizzazione di se stesso. L'organismo umano, man mano che si allontana da impegni sottraenti di difesa anticorpale per rarefazione della causa "antigene" guadagna allora in vantaggi quali (i più facili a distinguerli) l'allungamento dell'esistenza, l'aumento dell'altezza, la maggiore armonia delle sue forme, il miglioramento delle capacità d'apprendere già in fasi infantili (in comparazione con le generazioni precedenti), ecc.

            Tuttavia non altrettanto ottiene "in tema di difese", soggiacendo così ad una sempre maggiore vulnerabilità che si sbilancia in una proporzionalità inversa carenzialmente.

            Nessun secolo come l'attuale è stato più crudele nella storia degli uomini in tema di malattie inguaribili (cancro, leucemie, sclerosi multiple, Crohn, AIDS). Tornano perfino aggressive malattie che troppo trionfalmente si ritenevano superate come la turbercolosi.

            Nasce ora la domanda di quanto crescerà e sopravviverà di più la viola mammola e la nuova generazione umana; le due mutazioni (così come tante altre ancora ignorate) giungeranno allo "zenith" delle dotazioni in DNA (personali in ogni soggetto vivente) relativo all'altezza massima ed al protrarsi massimo della vita. In pratica nessuno di noi conosce il massimo delle sue dotazioni originarie fino al momento in cui siffatti standard individuali non si realizzeranno in generazioni per le quali lo status di sterilizzazione ambientale non avrà raggiunto il massimo artificioso. Raggiunti gli zenith della espressione cromosomica in dote perché liberatisi dagli impegni sottrattivi (per gli uomini, al di fuori della immunità, ancora non ne conosciamo altri al contrario dei vegetali), la massima malabilità manifesterà sempre nuove patologie che sembreranno "nuove" ma che in realtà erano silenti in passato perché non emergibili e non configurabili per più attive condizioni di difesa.

            In pratica, l'umanità antica viveva di meno così come era più bassa, ma si difendeva da aggressioni micidiali in tempi brevi talché epidemie esiziali rispettavano fasi di insorgenza brutale ma che dopo un "plateau" di stabilizzazione precipitavano a tipo di curva di Gauss senza un'apparente spiegazione valida, scomparendo. Un deprecato ritorno del vaiolo oggi, in coloro che non sono stati vaccinati (un madornale errore nella convinzione che siffatto virus sia debellato), causerebbe una mortalità enormemente superiore a quella verificatasi in secoli lontani. La più recente esperienza, vecchio stampo, fu quella della "spagnola" del 1919, una pandemia di banale marca influenzale.

            Abbiamo esagerato nell'igiene, dice Alessiani, creando un ambiente di sterilizzazione "globale" fino al parossismo e la stiamo pagando cara per un boomerang che ci torna addosso e pericolosissimo. Avanza così un altro interrogativo: è opportuno sterilizzare tutto o soltanto una parte del tutto?

            Sorge, obbligata, una riflessione: la specie umana, prima dell'avvento del microscopio che ci dice se l'acqua è inquinata da germi, di che si è dissetata per secoli e secoli? Non poteva certo, mancando quello, discernere la bevibilità dalla non bevibilità; tuttavia non si è estinta in tale dilemma insoddisfatto e noi siamo gli eredi di tutte le generazioni. Oggi beviamo unicamente acqua sterile fino al punto di cimentarla con la clorazione per essere sicuri che sia tale; un fatto così acquisito da essere legge tassativa. Alessiani insiste: si sono raggiunti vertici d'errore; la potabilità dell'acqua non deve essere su base microscopica ma solo su base di nocività o meno e questo attraverso sperimentazione accertata in laboratorio su animali. Potrebbe essere esistente acqua potabile seppur "popolata" da microrganismi, ma assolutamente innocua ( in tal caso il termine di - inquinamento - viene automaticamente a decadere perché sinonimo di nocività in senso assoluto). Se così, quella bevuta per secoli e non colpevolizzata da microscopio, doveva necessariamente far parte di noi fino ad un equilibrio organico sempre più in perdita a causa di un "massimalismo" intransigente frutto di acquisizioni elevate a generalizzazioni estreme. E' il caso delle acque cosiddette "miracolose" ravvisate dalla esperienza popolare e combattute ad oltranza dalla scienza medica perché dichiarate pericolose mentre assolutamente non lo furono mai se non altro per loro utilizzazione da tempi antichissimi.

            Non esistevano acque miracolose se non inquinate ma nello stesso tempo innocue ed utili fino alla curabilità di mali oggi non fronteggiabili o addirittura nella inconsapevole prevenzione da essi. In Roma, la fonte della Dea Giunturna al Foro aveva un'alta miracolosità tanto da indurre il sopraggiunto cristianesimo ad interrarla per far dimenticare una prodigiosità pagana; il pozzo di S. Bartolomeo all'isola Tiberina non era altro che la piscina d'Esculapio, nume della medicina romana ed ellenistica. Nei primi del 1900, la sua acqua apparsa al microscopio microbicamente ricca fece si che lo si estinguesse. Lourdes è poi la quinta essenza dell'acqua impura per giunta aggravata dalla immersione di corpi sofferenti per patologie innumerevoli. Che c'è alla base di tutto questo? Una doppia esistenza tra acqua inquinate fisiologiche ed inquinate patologiche. Ora se le prime concorrono per un equilibrio anticorpale, l'acqua potabile di attuale uso perché "batteriologicamente pura" diventa responsabile ad un livello negativo per depauperamento organico di sistemi ed apparati già naturalmente attivi a nostra difesa. Paradossalmente l'acqua batteriologicamente pura si pone nell'ambito di negatività alla pari con quella inquinata patologica.

            Ma allora dov'è l'acqua inquinata ma benefica? Essa appartiene sempre a raccolte "statiche" e laddove la sua provenienza è - per filtrazione lentissima - prevalentemente da pareti tufacee; il pozzo di S. Bartolomeo è al centro di un'isola fluviale nel mezzo del Tevere, dove i due rami che la circondano sono forieri di infezioni ed infestazioni gravissime. Tuttavia per metri di spessore di base avviene una filtrazione spontanea con caratteri di maturazione selettiva ultrasecolare (molto probabilmente dovuta a batteriofagi) fino a ricomparire sulla base dei vasi comunicanti a carattere di polla. Un procedimento analogo i romani antichi lo ottenevano artificialmente con le acque luride di pioggia, cimentate nei cosiddetti cisternoni (Tivoli, Albano, Fermo) con rocce porose spesso ferruginose, depositatevi accortamente. L'acqua di "maturazione" era dunque conseguenza di un procedimento naturale selettivo sempre su base microbica ma assai lontana da una sterilizzazione integrale non conoscibile in fase di purezza microscopica, né raggiungibile in tale stadio per mancanza del microscopio in termini di purificazione, qualora quest'ultima fosse stata intuita o addirittura fino a certi gradi razionalizzata.

            L'acqua "per maturazione" per secoli e secoli fu bevuta senza nuocere a nessuno ma fornendo presenze attive peraltro necessarie con i caratteri di quella che i farmacologi del primo Novecento definirono "terza immunità" e che tentarono di risuscitare somministrando per via iniettiva idrolisati di proteine eterogenee integrali di provenienza microrganica.

            Purtroppo, l'avvento occasionale sia dei sulfamidici che degli antibiotici fece dimenticare con il loro meccanismo distruttivo sui germi e sulle loro generazioni quello studio, frutto di una razionalità di grande interesse e confortanti promesse.

            Alessiani allora torna indietro di quattordici secoli, preleva dei terricci catacombali, poi con acqua di fonte ne provoca una sospensione che fa lentamente decantare; terricci di profondità (circa 35 metri) e lontani dal comune piano di calpestio, dimenticati in ambienti fortemente umidi, al buio, in temperature ambientali costanti. Da essi ne risuscita una rivivescenza di microrganismi antichi in torpidità letariga; l'importante è preservare quella contaminazione antica da quella di germi attuali che, se discendenti da quegli antenati ne sono diversi per mutazioni recenti e celeri e dunque pericolosi per difetto immunitario ancora lento a configurarsi. Si verifica così una realtà incredibile: lo streptococco di 1400 anni fa è innocuo per l'uomo mentre quello di oggi, no. Ciò vale per tante altre specie di microbi, virus compresi. Somministrando sperimentalmente sia per via orale che iniettiva una carica così apocalittica di microrganismi antichi con le loro tossine comprese, assolutamente nulla accade di patologico. Tutto diventa silente e tollerabile come se si trattasse di semplice acqua distillata scrupolosamente asettica.

            Un paradosso apparentemente non spiegabile se non ricercando nel nostro DNA una memoria antagonista e sempre attiva nei suoi adattamenti secolari alle stesse mutazioni e altrettanto secolari di antigeni, non esatti ma soltanto anticorpalmente archiviati.

            Una memoria "fisiologicamente" storica che riemerge in difesa se richiamata a farlo.

            E lo fa brillantemente, fino a determinare, in tempi brevissimi, favorevoli eventi, oggi, per la medicina attuale, inattendibili

lunedì 28 ottobre 2024

Le vere stelle della nostra vita s

 “Le vere stelle della nostra vita sono le persone che hanno saputo vivere rettamente. Esse sono luci di speranza. 

Certo, Gesù Cristo è la luce per antonomasia, il sole sorto sopra tutte le tenebre della storia. Ma per giungere fino a Lui abbiamo bisogno anche di luci vicine – di persone che donano luce traendola dalla sua luce ed offrono così orientamento per la nostra traversata”.

(Benedetto XVI, Spe salvi, n. 49)


giovedì 24 ottobre 2024

Perilla Frutecens

 Voglio parlarvi della Perilla Frutecens , pianta magica dalle mille ottime azioni sul corpo umano.


Personalmente ho preso un po’ di piante.

Molto facile da coltivare.

Le foglie bel lavate si possono mettere nell’insalata o altro e sono di buon gusto .


Qui sotto un riassunto delle principali azioni della Perilla , soprattutto anticancro , ha un azione benefica sulla cute , va bene anche per i bambini allergici e mi sto accorgendo che ha un ottima azione sul rinfoltimento dei capelli regolando i diversi tipi di testosterone.


Qui sotto il riassunto di un articolo scientifico.


Perilla frutescens (L.) Britton, un'importante coltura farmaceutica e nutraceutica, è ampiamente coltivata nei paesi dell'Asia orientale. In questa revisione, presentiamo gli ultimi risultati della ricerca sulla fitochimica e sulle attività farmacologiche di P. frutescens . Sono stati esaminati diversi database, tra cui PubMed, Scopus, CNKI, Agricola, Scifinder, Embase, ScienceDirect, DOAJ e Web of Science, per presentare la migliore revisione. In questa revisione, rappresentiamo chiaramente i costituenti attivi responsabili di ciascuna attività farmacologica, il plausibile meccanismo d'azione e le massime concentrazioni inibitorie, nonché i valori IC 50 . Circa 400 diversi composti bioattivi, tra cui alcaloidi, terpenoidi, chinini, fenilpropanoidi, composti polifenolici, flavonoidi, cumarine, antocianine, carotenoidi, neolignani, acidi grassi, policosanoli, tocoferoli e sitosteroli, sono stati segnalati nelle foglie, nei semi, nelle radici e nelle parti aeree di P. frutescens . I costituenti bioattivi di P. frutescens hanno mostrato diverse proprietà di inibizione enzimatica, tra cui effetti antiialuronidasi e proprietà inibitorie dell'aldoso reduttasi, dell'α-glucosidasi, della xantina ossidasi e della tirosinasi. P. frutescens ha mostrato forti effetti antinfiammatori, antidepressivi, antispasmodici, anticancro, antiossidanti, antimicrobici, insetticidi, neuroprotettivi ed epatoprotettivi. Quindi, i costituenti attivi di P. frutescens utilizzati nel trattamento del diabete e delle complicazioni diabetiche (retinopatia, neuropatia e nefropatia), prevenzione dell'iperuricemia nei pazienti con gotta, iperpigmentazione, condizioni allergiche, infiammazione cutanea, allergia cutanea, dermatite atopica, parodontosi, alopecia androgenetica, infiammazione gastrica, esofagite, carcinogenesi, cardiovascolare, Alzheimer, Parkinson e disturbi ischemici cerebrali. Inoltre, abbiamo rivelato i costituenti più attivi e i possibili meccanismi delle proprietà farmacologiche di P. frutescens .


In foto una delle mie piante da sistemare 


Link all’articolo https://www.mdpi.com/1420-3049/27/11/3578

BLU DI METILENE

 BLU DI METILENE


Miglioramento cognitivo

Disturbi neurodegenerativi

Neurogenesi

Neuroprotezione 


Il blu di metilene (MB) è un farmaco consolidato con una lunga storia di utilizzo, grazie alla sua vasta gamma di utilizzo e al suo profilo di effetti collaterali minimi. Il MB è stato utilizzato classicamente per il trattamento della malaria, della metaemoglobinemia e dell'avvelenamento da monossido di carbonio, nonché come colorante istologico. Il suo ruolo nei mitocondri, tuttavia, ha suscitato molto del suo rinnovato interesse negli ultimi anni. Il MB può reindirizzare gli elettroni nella catena di trasferimento degli elettroni mitocondriali direttamente dal NADH al citocromo c, aumentando l'attività del complesso IV e promuovendo efficacemente l'attività mitocondriale, mitigando al contempo lo stress ossidativo. Oltre al suo effetto benefico sulla protezione mitocondriale, è noto anche che il MB ha effetti robusti nella mitigazione della neuroinfiammazione. La disfunzione mitocondriale è stata identificata come un fenomeno patologico apparentemente unificante in un'ampia gamma di disturbi neurodegenerativi, il che posiziona quindi il blu di metilene come una promettente terapia. In studi sia in vitro che in vivo, MB ha mostrato un'efficacia impressionante nell'attenuare la neurodegenerazione e i fenotipi comportamentali associati in modelli animali per condizioni quali ictus, ischemia cerebrale globale, malattia di Alzheimer, malattia di Parkinson e trauma cranico. Questa revisione riassume i recenti lavori che stabiliscono MB come un candidato promettente per la neuroprotezione, con particolare enfasi sul contributo della funzione mitocondriale alla salute neurale. Inoltre, questa revisione esaminerà brevemente il collegamento tra MB, neurogenesi e miglioramento della cognizione rispetto al declino cognitivo correlato all'età.

mercoledì 23 ottobre 2024

poche cose grandi si trovano dappertuttot

 "La gente si smarrisce dietro ai mille piccoli dettagli che qui ti vengono quotidianamente addosso, e in questi dettagli si perde e annega. Così non tiene più d'occhio le grandi linee, smarrisce la rotta e trova assurda la vita. Le poche cose grandi che contano devono essere tenute d'occhio, il resto si può tranquillamente lasciar cadere. E quelle poche cose grandi si trovano dappertutto, dobbiamo riscoprirle ogni volta in noi stessi per poterci rinnovare alla loro sorgente."


Etty Hillesum, Lettere, 1941-1943

martedì 22 ottobre 2024

In viaggio con McCarth

 

In viaggio con McCarthy

Il grande scrittore americano che ha ispirato il titolo del Meeting di Rimini raccontato da Stas’ Gawronski, autore e conduttore tv, su "Tracce" di ottobre
Davide Perillo
«Guarda, a un certo punto mi sono letteralmente ritrovato in ginocchio davanti al mistero. La letteratura ha questo potere: ti porta a scavare fino al fondo, della realtà e di te stesso. Non succede spesso, ma succede. E a me è toccato con Cormac McCarthy». Al punto che a parlarne, spesso, si commuove. Deve fermarsi, pesare le parole. Tirarle fuori dal fondo del suo vissuto. Gli è successo anche al Meeting di Rimini, che quest’anno prendeva il titolo proprio da un romanzo del grande scrittore americano: «Se non siamo alla ricerca dell’essenziale, allora che cosa cerchiamo?». E sul palco della Fiera, a ripercorrere il viaggio di McCarthy sulle tracce di questo «essenziale» (anzi, dell’essence, come nell’originale), c’era proprio lui, Stas’ Gawronski. Autore e conduttore tv, insegnante di scrittura creativa, è stato il protagonista (assieme al critico Alessandro Zaccuri) di uno degli incontri più densi di quelle giornate riminesi, che su di lui hanno avuto un effetto potente («sono rimasto poco, ma mi ha colpito soprattutto la freschezza dei ragazzi: vorrei tornarci e viverlo più a lungo, perché secondo me il Meeting va abitato mettendosi in ascolto e lasciandosi toccare») e in chi lo ha conosciuto hanno aperto orizzonti larghi e profondi.

Mi racconti il tuo incontro con McCarthy? Perché è evidente che in qualche modo ti è diventato amico, compagno di strada. Come è successo?
Quando c’è un autore che mi colpisce lo leggo e lo rileggo più volte, perché è come scavare nella terra una sorgente di cui avverti la presenza. E così è stato con McCarthy. Incontrarlo mi ha spinto non solo a leggere tutti i suoi libri, ma a restare a lungo, all’inizio, sulla “trilogia della frontiera”. Sono arrivato al punto che ho voluto rileggere quei romanzi viaggiando nei luoghi di cui parla lui. La geografia di McCarthy è reale: è assolutamente preciso nel contestualizzare le sue storie, nel tempo e negli spazi. E quindi ho fatto due viaggi lungo la frontiera: nel 2014, dalla parte degli Stati Uniti, e due anni dopo, in Messico. Spesso leggevamo dei passi assieme a gente del luogo, a cui raccontavamo questa storia come se fosse vera e chiedevamo indicazioni sui posti. Le reazioni erano straordinarie: le parole di McCarthy toccavano la loro immaginazione e tornavano indietro, a investire noi. Era un modo per entrare più nel profondo, nelle viscere del testo. Fino al momento in cui mi sono accorto che era successo qualcosa. La parola, nel caso di un autore come McCarthy, ti può portare a penetrare la realtà a tal punto da ritrovare che qualcosa dentro di te si è piegato, e ti ritrovi in ginocchio.

Intendi un momento fisico, puntuale? O è qualcosa che si è costruito nel tempo?
No, è una cosa che è nata nel tempo, ma che poi si è ripetuta nelle varie riletture. Mi succede tuttora se rileggo alcune pagine: l’esperienza è sempre nuova. Uno può dire «sì, l’ho letto, lo conosco», ma in realtà ogni volta accade qualcosa di imprevedibile. Al Meeting, per esempio, mi è successo quando ho letto la pagina di Alicia Western, la protagonista di Stella Maris e de Il passeggero, che immagina questo suo darsi in pasto agli animali lì intorno, e quando ho pronunciato la parola “eucarestia”. Qualcosa dentro di me si è mosso. È inspiegabile. Ma una cosa è certa: la parola di McCarthy è una letteratura incarnatoria. Dà carne al fondamento di tutto.
Cormac McCarthy (Foto Professor Productions/ Jones, Dawn/ Album/ Mondadori Portfolio)Cormac McCarthy (Foto Professor Productions/ Jones, Dawn/ Album/ Mondadori Portfolio)
Stas’ Gawronski (Foto Meeting Rimini)Stas’ Gawronski (Foto Meeting Rimini)
Ma quando ti sei reso conto che tutto il percorso dei suoi romanzi, alla fine, si può leggere come una storia unica, un unico viaggio, come raccontavi al Meeting?
Quando ho letto La strada, nel 2007, ho avuto chiaramente la sensazione di un approdo. Mi è parso evidente che il protagonista delle storie precedenti di McCarthy è un uomo che viaggia sulla scia di una nostalgia profonda per un rapporto con il padre, che ha perso. E questo padre è Dio, è il divino: è lui che viene cercato dai suoi personaggi, e nell’esito de La strada è un divino che si incarna in una relazione. Quando mi sono trovato di fronte a questa realtà bruciante, al rapporto fra il padre e il figlio che insieme custodiscono il fuoco - cioè la sostanza che il protagonista delle storie di McCarthy ha cercato in tutti i romanzi precedenti -, allora mi è apparso chiaramente il disegno di questa che è veramente un’unica storia, di cui Il passeggero e Stella Maris sono un compimento. Per analogia, ti direi che La strada sta al Nuovo Testamento come tutti i libri precedenti di McCarthy stanno al Vecchio Testamento. Nella strada si compie la rivelazione di ciò che questo protagonista errante, spesso spaesato, smarrito, va cercando: lì trova la sua consistenza.

Quali sono i tratti di questo protagonista, il “cacciatore del divino”, di cui parlavi a Rimini?
In Cavalli selvaggi c’è un passo che dice molto: «Ciò che amava nei cavalli era la stessa cosa che amava negli uomini: il sangue, il calore del sangue che li animava. Tutta la sua stima, la sua simpatia, la sua propensione andava per i cuori ardenti». Ecco, all’inizio di tutte le storie di McCarthy c’è un uomo con un cuore che arde; e questo cuore ardente non è l’espressione di un vitalismo, dell’entusiasmo e della forza dei giovani, che in fondo, spesso, rimane superficiale. No, all’inizio c’è un cuore in cui abita una presenza divina: c’è un fuoco che fa ardere.

E ha la stessa natura del divino, cioè dell’oggetto della sua ricerca…
Sì. Questo fuoco desidera ricongiungersi con un fuoco che è fuori. Pensa al protagonista di Oltre il confine, per esempio: è un ragazzo che vive una sorta di epifania nel momento in cui il suo sguardo incontra quello di un branco di lupi. Si fissano. E c’è un riconoscimento tra il fuoco che è dentro il cuore del protagonista e quello che passa, come energia elettrica, attraverso gli occhi di questi lupi. Il ragazzo ne viene segnato, è come se venisse toccato da un ferro rovente. Da quel momento il suo unico desiderio, la sua ossessione, è di impossessarsi del divino. Di possedere questa esperienza che gli ha consentito per un attimo di vivere la pienezza, la comunione e la bellezza infinita, di cui andrà in cerca.

E questo cuore ardente è irriducibile, continua a bruciare qualsiasi cosa succeda durante il viaggio…
Sì, è assolutamente un punto irriducibile. Ma il mistero della libertà è grande. L’uomo che diventa un cacciatore del divino, come i protagonisti di McCarthy, è tentato proprio dal possesso, cioè dall’idea di possedere quel mistero. Quando succede, la sua avventura diventa una discesa agli inferi. Tutto gli si rivolta contro e si smarrisce. Quello è il momento in cui arriva una seconda tentazione, più decisiva ancora: il pensare che non ci sia un fondamento della realtà, che questo divino alla fine non esista. L’uomo che arriva qui cede alla tentazione del nulla. Rimane cacciatore, proprio per la presenza irriducibile in fondo al cuore di questo fuoco, ma diventa cacciatore di uomini, un uomo che divora altri uomini. Lo vediamo nei cannibali de La strada, come negli scalpatori di Meridiano di sangue.

L’altra condizione sperimentata in questo percorso è «l’essere orfano». Che peso ha questa condizione e cosa ci dice oggi? Perché forse è una delle parole che illuminano di più il presente…
Il punto è che siamo tutti orfani finché non accettiamo di entrare in una relazione con il padre. Al Meeting parlavamo della scena di Oltre il confine in cui il vecchio cacciatore dice al ragazzo: guarda che la lupa - che rappresenta il divino - non la puoi catturare: «Quel fuoco che c’è in lei è come un fiocco di neve: quando lo afferri, scompare». Ecco, l’orfano è colui che ostinatamente vuole impadronirsi del divino e, piano piano, scivola in una deriva di nichilismo. E McCarthy è bravissimo nel descriverci la solitudine radicale, cosmica, che vive il cacciatore del divino incapace di riconoscere la propria orfanità e, quindi, di entrare in rapporto con il padre. In questo modo, l’orfano non sa di essere orfano; non giunge a quella consapevolezza che, pur nella solitudine, potrebbe farlo aprire, così come si apre Alicia Western. Anche lei è una donna sola, ma il suo non è un atteggiamento di possesso; anzi, è un graduale, ma radicale, abbandono di tutto ciò che poteva possedere. È un paradosso: il divino si rivela a noi attraverso le cose, le esperienze che facciamo, le persone, ma non si lascia possedere. Al contrario, lo incontriamo quando capiamo che il passo da compiere è, in qualche modo, perdere la propria vita, offrirla. Ma ancora, è la relazione che McCarthy descrive molto bene ne La strada tra padre e figlio.

La “tentazione del nulla” porta al nichilismo, di cui McCarthy è accusato spesso anche per il suo modo crudo e senza sconti di raccontare il male. Ma è davvero così?
È chiaro che per McCarthy la vita è un campo di battaglia in cui avviene uno scontro epico tra luce e tenebra. Questo è descritto in modo molto netto: c’è una lotta tra ciò che è umano e ciò che non lo è. Il male è una realtà spirituale che si esprime attraverso personalità molto precise, come Chigurh, il serial killer di Non è un paese per vecchi, o il Giudice Holden in Meridiano di sangue. Ma allo stesso tempo la descrizione di questo conflitto è come il racconto di due lottatori i cui corpi aderiscono quasi fino a diventare un unico essere: luce e tenebre sono intarsiate, coagulate. Fino al punto in cui le tenebre stesse, in qualche modo, emanano luce. A Rimini citavo certi quadri di Rothko, tele nere ma luminose. Possono le tenebre emanare luce? Sì, se pensiamo che Cristo ha detto: «Quando sarò innalzato, attirerò tutti a me». Ecco, McCarthy è come se ci invitasse continuamente a fissare lo sguardo sulla croce, a bere fino in fondo il calice amaro del non senso di quello che lui scrive chiaramente ne Il passeggero: ogni realtà è perdita. Se non ci distraiamo, se fissiamo lo sguardo su questa perdita, allora forse lì, al fondo, riusciamo a scorgere anche una luce. E quella luce è l’essenza su cui tutta la letteratura di McCarthy è fondata.

La pagina iniziale de Il passeggero, con cui avete cominciato il percorso del Meeting, in cui Alicia pende dall’albero a cui si è impiccata, è feroce. Che impatto ha avuto quando te la sei trovata davanti?
È stato forte, perché mi è sembrato di essere lì. McCarthy spesso è paradossale, ma quella pagina ci dice che lì dove il male è estremo, dove la scena è di morte, è presente l’essenziale. Ed è il proprio paradosso della croce. Come aveva già detto in un passaggio de La strada: «Tutte le cose piene di grazia e di bellezza che ci portiamo nel cuore hanno un’origine comune nel dolore. Nascono dal cordoglio e dalle ceneri». Non ci può essere la felicità che cerca il cacciatore del divino senza il sacrificio portato fino all’estremo. E noi lettori veniamo invitati a piantare lo sguardo su questo mistero. Giorni fa, alla fine di un incontro, un ragazzo mi ha detto che avrebbe letto McCarthy, ma non La strada, perché lo trovava troppo angosciante. Io, d’istinto, gli ho risposto: «Ma è una bestemmia. È come dire: “Accetto tutto di Cristo, ma non accetto la croce perché è troppo angosciante”».

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Da lettore, hai incontrato altri autori così potenti?
Sì, ma devo fare nomi come Dostoevskij o Manzoni. Oppure, per l’impatto che ha avuto su di me, Flannery O’Connor, un’altra che, nel leggerla, rafforza la percezione del mistero. Anche lei è disturbante, non è di facile lettura: però se fai l’esperienza fino in fondo, se accetti di stare sui testi, è una letteratura che plasma, dà forma all’ardere del nostro cuore.

Senti, ma alla fine questo viaggio di anni fatto insieme a McCarthy ti sta cambiando? E come?
Sicuramente, come nel titolo del Meeting, è un viaggio verso l’essenziale. Pensa a La strada: racconta una realtà in cui la natura è stata ridotta quasi a nulla, il mondo è di cenere, è buio e freddo… Però c’è l’essenziale, che vive nel rapporto fra padre e figlio. E così per i protagonisti de Il passeggero e Stella Maris: nel loro percorso c’è un asciugarsi di tutto ciò che è superfluo per arrivare dritto al cuore. Ecco, se la letteratura di McCarthy sta avendo un effetto sulla mia vita oggi, è proprio questo: aiutarmi nel cammino verso l’essenziale. Anzi, “verso l’essenza”, come direbbe lui

giovedì 17 ottobre 2024

LA LUNA

 LA LUNA DESCRITTA DA PAPA RATZINGER

La luna risplende, ma la sua luce non è sua, bensì di un altro. È tenebre e nello stesso tempo luce; pur essendo di per sé buia, dona splendore in virtù di un altro di cui riflette la luce.

Proprio per questo essa simboleggia la chiesa, la quale pure risplende, anche se di per sé è buia; non è luminosa in virtù della propria luce, ma del vero sole, Gesù Cristo, cosicché, pur essendo soltanto terra (anche la luna non è che un’altra terra), è ugualmente in grado di illuminare la notte della nostra lontananza da Dio – «la luna narra il mistero di Cristo»....

La sonda lunare e l’astronauta scoprono la luna soltanto come landa rocciosa e desertica, come montagne e come sabbia, non come luce. E in effetti essa è in se stessa soltanto deserto, sabbia e rocce. E tuttavia, per merito di altri ed in funzione di altri ancora, essa è pure luce e tale rimane anche nell’epoca dei voli spaziali.

È dunque ciò, che in se stessa non è. Pur appartenendo ad altri, questa realtà è anche sua. Esiste una verità fisica e una simbolico-poetica, una non elimina l’altra.

Ciò non è forse un’immagine esatta della Chiesa? Chi la esplora e la scava con la sonda spaziale scopre soltanto deserto, sabbia e terra, le debolezze dell’uomo, la polvere, i deserti e le altezze della storia. Tutto ciò è suo, ma non rappresenta ancora la sua realtà specifica.

Il fatto decisivo è che essa, pur essendo soltanto sabbia e sassi, è anche luce in forza di un altro, del Signore: ciò che non è suo, è veramente suo e la qualifica più di qualsiasi altra cosa, anzi la sua caratteristica è proprio quella di non valere per se stessa, ma solo per ciò che in essa non è suo, di esistere in qualcosa che le è al di fuori, di avere una luce, che pur non essendo sua, costituisce tutta la sua essenza....

Nella traduzione del Suscipiat si dice: «Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio…per il bene nostro e di tutta la sua santa chiesa». Io ero sempre tentato di dire «e di tutta la nostra santa chiesa».

Ricompare qui tutto il nostro problema e il cambiamento operato in questo ultimo periodo. Al posto della sua chiesa è subentrata la nostra, e con essa le molte chiese; ognuno ha la sua. Le chiese sono diventate imprese nostre, di cui ci vantiamo oppure ci vergogniamo, piccole e innumerevoli proprietà private disposte una accanto all’altra, chiese soltanto nostre, nostra opera e proprietà, che noi conserviamo o trasformiamo a piacimento.

Dietro alla «nostra chiesa» o anche alla «vostra chiesa» è scomparsa la «sua chiesa».

Ma è proprio e soltanto questa che interessa; se essa non esiste più, anche la ‘nostra’ deve abdicare. Se fosse soltanto la nostra, la chiesa sarebbe un superfluo gioco da bambini.

(Joseph Ratzinger - da "Perché sono ancora nella Chiesa"

MELATONINA - METODO DI BELLA



MELATONINA - METODO DI BELLA 

Da anni la Farmacia del Pavaglione allestisce farmaci a base di Melatonina coniugata con Adenosina e Glicina. In questo approfondimento verranno esposti quelli che sono i benefici di questo farmaco secondo la Terapia del Metodo Di Bella. 

Il Metodo Di Bella prende il nome dal suo Medico Scienziato che l’ha ideata, il Dottor Luigi Di Bella, ed è frutto di approfonditi studi circa il trattamento e la prevenzione di patologie tumorali e degenerative. 

Le principali ricerche condotte dal Professore Di Bella, a partire dagli anni ‘60 del secolo scorso, hanno evidenziato il ruolo della Melatonina nella prevenzione e terapia di varie neoplasie. In particolare, per confermare l’efficacia della Terapia del Metodo Di Bella, sono stati compiuti molteplici studi che hanno definito gli effetti in vitro della Melatonina sulla proliferazione di linee cellulari neoplastiche e la morte programmata delle stesse, fenomeni che variano però in base alla situazione istologica che li caratterizza.   

COSA È LA MELATONINA? QUAL È IL SUO USO NELLA TERAPIA DI BELLA? 

La Melatonina è un ormone principalmente prodotto, in maniera prevalente durante la notte, dalla ghiandola pineale o epifisi che si trova alla base del cervello e svolge – secondo la Terapia del Metodo Di Bella – importanti effetti nella prevenzione e terapia delle patologie tumorali e degenerative. Secondo gli approfondimenti del Professore, è possibile “considerare e distinguere un’azione antitumorale indiretta della Melatonina attraverso l’inibizione dei radicali liberi e l’effetto antiossidante, unitamente alla protezione dall’effetto cancerogeno e degenerativo di campi elettrici e magnetici. Va considerato tra le azioni antitumorali indirette anche l’effetto antinvecchiamento e antidegenerativo del tessuto nervoso e vascolare e la proprietà antiaggregante piastrinica. Rilevante anche l’azione d’attivazione e potenziamento delle difese immunitarie, la modulazione neuroendocrina e circadiana, l’effetto sul midollo osseo con riflessi determinanti sulla crasi ematica, la dinamica midollare, la produzione di piastrine, globuli rossi e globuli bianchi. L’azione antitumorale diretta si attua inibendo la proliferazione e la crescita di cellule tumorali, ostacolando la tendenza di cellule normali a divenire neoplastiche inducendo il ricambio cellulare e la sostituzione di cellule tumorali con cellule sane attraverso il meccanismo definito “apoptosi”. E’ documentata anche un’azione antimetastatica attraverso l’inibizione della diffusione a distanza delle cellule tumorali unitamente alla capacità di migliorare in maniera significativa il profondo stato di decadimento psicofisico degli stadi tumorali avanzati comunemente definiti “cachessia neoplastica.1 

MELATONINA CON ADENOSINA 

Sono stati compiuti degli studi al fine di ottenere una formulazione di Melatonina dalla massima purezza e idrosolubile. Dopo numerose sperimentazioni, la Adenosina è stata considerata la molecola più adeguata alla dissoluzione della Melatonina in acqua.  

La Melatonina e la Adenosina riescono a formare un complesso stabilizzato dalla presenza di Glicina, la quale contribuisce alla formazione di ponti-idrogeno. In tal modo, la Melatonina così complessata risulta essere totalmente idrosolubile.  

Dal 1994 la Melatonina con Adenosina in rapporto 1:4 stabilizzata con il 30% di Glicina è impiegata nel Metodo Di Bella. All’interno di questo preparato la Melatonina viene coniugata ad Adenosina e Glicina al fine di assicurare una migliore biodisponibilità del medicamento.

MELATONINA: DOSAGGIO 

Come riportato sul Portale della Fondazione Giuseppe Di Bella è consigliato assumere la Melatonina:   “In compresse da 2 mg a 20 mg o più al giorno. Da ingerire preferibilmente prima del pasto, distribuita uniformemente nel corso della giornata con concentrazione nettamente superiore la sera.2   

MELATONINA: PREVENZIONE  

La Melatonina agisce all’interno di diversi processi fisiologici, come nella regolazione dei ritmi circadiani, il sonno, i cambi stagionali e nella funzione riproduttiva e cardiovascolare, oltre che nella modulazione delle funzioni del sistema immunitario ed emopoietico.

Nel corso degli studi è stato consolidato un suo “deciso effetto antiossidante dose-dipendente e di protezione dal danno di sostanze chimiche carcinogene con azione “Free Radical Scavenger”. Tale azione è sperimentalmente riproducibile, con implicazioni rilevanti nella prevenzione e terapia dei tumori”.3

martedì 15 ottobre 2024

le passioni

 LA BIGA DELL’ANIMA, DOVE LA RAGIONE PREVALE SULLE PASSIONI 

di Sara Rubinelli


Le passioni, se non guidate bene, possono allontanare l’anima dalla verità e dalla bellezza

Nel  «Fedro» Platone ci offre una delle più poetiche e profonde metafore dell’anima umana, dipingendola come una biga alata guidata da un auriga. L’auriga rappresenta la ragione, mentre i cavalli simboleggiano gli impulsi e le passioni che lottano tra loro, una contro l’altra, per prendere il controllo del nostro essere. Tale immagine risuona con una verità semplice ma spesso dimenticata: per raggiungere il miglioramento personale, dobbiamo permettere alla ragione di prevalere su impulsi più bassi, spesso emotivi e passionali, che ci trascinano verso comportamenti errati.

Questo concetto, nonostante possa sembrare scontato, rivela la sua cruciale importanza quando consideriamo le sfide quotidiane del vivere etico. La ragione, in teoria, dovrebbe sempre governare, ma nella pratica, la tentazione di cedere alle passioni più immediate e viscerali è una realtà con cui tutti dobbiamo confrontarci. E qui Platone ci offre una chiave di lettura essenziale: le passioni, se non guidate correttamente, possono portare a decisioni che allontanano l’anima dalla verità e dalla bellezza. L’auriga, quindi, deve non solo controllare i cavalli ma anche dirigere l’intera biga verso il cielo, simbolo dell’aspirazione umana al divino e al trascendente.

Questa allegoria è più che mai attuale. Nella nostra società, dove le emozioni spesso prendono il sopravvento, dove l’agire d’impulso è costantemente stimolato da una cultura che premia la gratificazione immediata, il messaggio di Platone risuona potente. L’attrazione verso ciò che è moralmente discutibile può sembrare irresistibile. La parte più bassa dell’anima, il cavallo indisciplinato, può trascinare l’intera biga fuori rotta, verso il baratro delle scelte egoistiche e autodistruttive. Ma è compito dell’auriga, la nostra parte razionale, correggere il percorso.

In un mondo che troppo spesso celebra l’apparenza e il successo esteriore, Platone ci ricorda che la vera vittoria è quella interna, quella sulle nostre passioni più basse, in un eterno viaggio verso l’alto. Molti sostengono che una vita dominata dalle passioni sia preferibile, poiché più vivace e colorata. Tuttavia, è fondamentale ricordare che siamo dotati sia di passioni che di ragione, e che quest’ultima ci è stata data per impostare limiti. Lo sappiamo perché la ragione ce lo dice chiaramente. Avere ragione non significa sopprimere le passioni, ma canalizzarle saggiamente, utilizzandole in modo costruttivo e armonioso.


https://www.lastampa.it/verbano-cusio-ossola/2024/10/12/news/sara_rubinelli_passioni_anima-14710169/?ref=pay_amp


lunedì 14 ottobre 2024

IL GIALLO DELLA CONVERSIONE DI ANTONIO GRAMSCI

 

lunedì 14 ottobre 2024

IL GIALLO DELLA CONVERSIONE DI ANTONIO GRAMSCI E IL MURO DI SILENZIO

antoniosocci

In questi mesi Antonio Gramsci – molto studiato anche all’estero – è stato evocato spesso nel dibattito pubblico italiano. Eppure sembra che persista un argomento tabù: la sua (controversa) conversione. 

C’è qualche storico controcorrente come Luigi Nieddu che, indagando i tanti misteri dei suoi ultimi due anni e della sua morte, ne ha parlato, nel 2014, nel suo libro L’ombra di Mosca sulla tomba di Gramsci (Le Lettere), ma fra gli storici di area l’ipotesi è liquidata drasticamente.

Un esempio recente. Lo storico Angelo d’Orsi ha pubblicato, con Feltrinelli, Gramsci. La biografia e alla fine del suo libro racconta gli ultimi tre giorni del leader comunista.

UNA GRANDE SOFFERENZA

La sua situazione era tragica. Ricordiamola. Gramsci era stato arrestato nel 1926 e condannato a venti anni da parte del Tribunale speciale del regime fascista. Le dure condizioni della detenzione andarono a minare la sua salute già molto cagionevole ed egli subì una progressiva demolizione fisica e anche psicologica perché, nel frattempo, la sua critica a Stalin lo aveva isolato nel partito togliattiano e reso pericolosamente sospetto a Mosca.

Alla fine del 1933 fu ricoverato, sempre come detenuto, in una clinica di Formia, dove poté continuare a studiare e a scrivere, e un anno dopo ottenne la libertà condizionata. La sua salute però peggiorava e nell’agosto 1935 fu trasferito alla clinica Quisisana di Roma.

La cognata, Tatiania Schucht, era sempre presente e faceva da tramite con il Partito (specialmente Togliatti) e con la moglie Giulia, sua sorella, che stava in Unione Sovietica con i due figli.

Il 25 aprile del 1937 il tribunale di Roma dispose la sospensione delle misure di sorveglianza (era un uomo libero o quasi), ma proprio quella sera – scrive D’Orsi – “Antonio fu colpito da emorragia cerebrale. Non perse la parola né la lucidità: Tania (la cognata Tatania, ndr) era con lui e vi rimase la notte, tutto l’indomani, e una parte della notte seguente”.

Poi – aggiunge D’Orsi – “fu ancora visitato da Puccinelli e da Frugoni (i medici, ndr), mentre si affollavano intorno al suo letto preti e suore, infastidendolo tanto da provocare le rimostranze della cognata, che non cessava di inumidirgli le labbra, mentre il respiro dell’ammalato si faceva via via più penoso. L’agonia durò fino alle ore 4.10 di due giorni più tardi, quando cessò di respirare”.

D’Orsi liquida così quelle ore. Sostiene, con tono sprezzante, che preti e suore lo infastidivano, ma non dice quale fu la reazione di Gramsci alle loro sollecitazioni. Curiosamente non scrive che le voci che circolano da anni di una sua conversione sul letto di morte sono destituite di fondamento.

SI SBRICIOLA IL MURO DI SILENZIO

Del resto non si tratta di voci irrilevanti, ma di testimonianze dirette. La questione della conversione di Gramsci circola dal 1977, quando padre Giuseppe Della Vedova, sulla rivista Studi sociali, riportò la testimonianza della zia suora, Piera Collino, che lavorava appunto alla clinica Quisisana. Lei parlò di un bacio alla statuetta di Gesù bambino, per Natale. Secondo altre testimonianze poi Gramsci si sarebbe affidato varie volte alle preghiere della suore e avrebbe manifestato “simpatia umana” verso un’immagine di santa Teresa del Bambino Gesù, che “non volle che fosse tolta e nemmeno spostata”.

Nel 2008 arrivò l’esternazione di mons. Luigi De Magistris Il vescovo sardo, che era pro-penitenziere maggiore emerito della Santa Sede (e diventerà cardinale nel 2015), alla Radio Vaticana, disse: “Il mio conterraneo Gramsci aveva nella sua stanza l’immagine di Santa Teresa del Bambino Gesù. Durante la sua ultima malattia, le suore della clinica dove era ricoverato portavano ai malati l’immagine di Gesù Bambino da baciare. Non la portarono a Gramsci. Lui disse: ‘Perché non me l’avete portato?’. Gli portarono allora l’immagine di Gesù Bambino e Gramsci la baciò. Gramsci è morto con i sacramenti, è tornato alla fede della sua infanzia. La misericordia di Dio santamente ci ‘perseguita’. Il Signore non si rassegna a perderci”.

La fonte del prelato era una suora sarda, sorella di monsignor Giovanni Maria Pinna, segretario della Segnatura apostolica. La religiosa, in occasione di una messa in suffragio del fratello, aveva raccontato ad alcuni prelati presenti che le suore, nelle feste di Natale, portavano sempre la statuetta di Gesù bambino in ogni stanza “offrendola al bacio degli ammalati”. Così fecero anche nel Natale 1935.

Per discrezione evitarono di andare nella camera di Gramsci e lui, saputolo, chiese il motivo. Poi – riferì la suora – “il signor Gramsci disse di voler vedere quella statuetta e quando l’ebbe di fronte la baciò con evidenti segni di commozione”. “Oltre a De Magistris” scrisse Andrea Tornielli sul Giornale “ad ascoltare le parole della suora c’era monsignor Sebastiano Masala, all’epoca giudice della Sacra Rota”.

L’episodio del bacio a Gesù bambino quindi non accadde nelle ultime ore, ma nel Natale 1935 ed è significativo perché è in quei mesi che iniziano i profondi ripensamenti di Gramsci. Infatti, da allora, nulla delle sue riflessioni ci è noto, neanche un riga. È uno dei tanti misteri. Che travaglio visse in quei due anni? Fu una crisi (esistenziale e politica) che lo portò alla fede?

Nel 2008 vi fu un fuoco di sbarramento da sinistra di fronte alle rivelazioni di De Magistris. Giuseppe Vacca, dell’Istituto Gramsci, obiettò che “esiste una documentazione precisa sulle ultime ore di Gramsci, la sua fine è narrata pochi giorni dopo l’evento in una lettera della cognata Tatiana Schucht, che assisteva il degente… in nessuno di questi scritti esiste un accenno alla vicenda”.

Eppure proprio la lettera della cognata, del 12 maggio 1937, alimenta (involontariamente) i sospetti: “Il medico fece capire alla suora che le condizioni del malato erano disperate. Venne il prete, altre suore, ho dovuto protestare nel modo più veemente perché lasciassero tranquillo Antonio, mentre questi hanno voluto proseguire nel rivolgersi a lui per chiedergli se voleva questo, quell’altro…”.

Perché quei puntini di sospensione? Perché non scrive che Gramsci rifiutò quegli approcci? È chiaro che per il Partito (di stretta obbedienza sovietica) la conversione di Gramsci sarebbe stato uno scandalo politico enorme. Il tradimento.

E c’è chi ha osservato che, con il suo occhiuto controllo, se conversione vi fu, non può stupire che nulla sia trapelato. Oggi gli storici di sinistra liquidano tutto come una voce mai provata, ma perché in tutti questi anni non sono mai andati almeno a verificarla, sentendo le testimonianze dirette delle suore e di De Magistris?

Gianni Baget Bozzo, nel 2008, dichiarò di credere a De Magistris. Francesco Cossiga non aveva dubbi. Disse che – per l’incarico ricoperto alla Sacra Penitenzieria – “se c’è una persona che può sapere di una conversione di Gramsci e di una sua morte in seno alla Chiesa cattolica, quella persona è proprio monsignor De Magistris”.

IL MISTERO DEGLI ULTIMI DUE ANNI

Giancarlo Lehner, autore del libro La famiglia Gramsci in Russia, spiegò storicamente la possibile conversione: “sul piano induttivo per me non sarebbe una grande sorpresa se Gramsci avesse abbracciato, non dico in punto di morte ma nell’ultima fase della sua vita, la fede cattolica. Come testimoniano le fonti, infatti, Antonio recupera via via tutti i grandi valori della tradizione cristiana e cattolica, in primo luogo la famiglia, poi l’amicizia, il valore della verità, la solidarietà”.

Del resto, pure il libro di D’Orsi, da cui siamo partiti, ricostruisce gli ultimi anni di Gramsci come un crollo di tutte le sue certezze politiche (che si accompagnò al crollo fisico). Verso gli ambigui comportamenti dei compagni del Partito “egli nutrì sempre più il sospetto di una consapevole, sconsiderata gestionedella sua causa, che avrebbe celato una più intenzionale volontà di ‘sacrificarlo’, come ebbe a dire Tatiana nel febbraio del ’35”.

Inoltre in quegli anni il fascismo stava diventando sempre più forte e poi c’erano gli orrori di Stalin: “in Russia, era cominciata la terribile escalation dei processi, che avrebbe toccato l’acme nell’anno stesso della morte di Gramsci, il 1937”, cosicché quella che Gramsci aveva considerato la luminosa terra del socialismo e della liberazione, ormai gli si rivelava l’inferno in terra. Era una disfatta totale che forse gli fece intravedere altrove un raggio di luce. Oltre la morte.



Antonio Socci

Da “Libero”, 10 ottobre 2024

domenica 13 ottobre 2024

L’essenza dell’amicizia

 L’essenza dell’amicizia si realizza attraverso il dialogo. 

E l'umanità si manifesta nella disponibilità a condividere il mondo con altri uomini. 

L’amicizia presuppone, quindi, la nozione di umanità e insieme il radicarsi nel mondo. 

Dove si realizza, infatti, un’amicizia pura lì si produce una scintilla di umanità in un mondo divenuto inumano.


(Hanna Arendt - da "L’umanità in tempi bui")