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giovedì 17 aprile 2025

La Sacra Sindone

 

La ricerca sulla Sindone negli studi dello scienziato Bruno Barberis

Bruno Barberis, laureato in Matematica e già professore associato di Fisica Matematica presso il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino, nel 1975 ha iniziato ad occuparsi della Sindone dal punto di vista della ricerca scientifica, e dal 1977 è membro della Confraternita del Santissimo Sudario e del Centro Internazionale di Sindonologia di Torino, organismi che si occupano di coordinare a livello internazionale gli studi e le ricerche sulla Sindone e di promuoverne la conoscenza (www.sindone.it/museo/it/home/).

L’antica teca contenente il Santo Sudario (Fotografia di Isabella Puma)

Di seguito, una breve descrizione fatta proprio dal professor Barberis sul famoso telo, dal punto di vista storico e scientifico:

«La Sindone è un oggetto conosciuto in tutto il mondo. Dopo aver trasferito la capitale del ducato da Chambéry a Torino nel 1562 il Duca Emanuele Filiberto decise di portarvi anche la Sindone che era stata donata alla loro casata nel 1453.

L’occasione si presentò quando l’arcivescovo di Milano, San Carlo Borromeo, fece sapere che intendeva sciogliere il voto, da lui fatto durante l’epidemia di peste degli anni precedenti, recandosi in pellegrinaggio a piedi a visitare la Sindone. Emanuele Filiberto ordinò allora di trasferire il telo a Torino, segno distintivo della benevolenza divina dei Savoia, per abbreviargli il cammino che San Carlo percorse in cinque giorni. La Sindone, da allora, rimase sempre a Torino, salvo brevi spostamenti.

Teca e particolare (Fotografia di Isabella Puma)

Nel 1694 viene collocata nella nuova Cappella della Sacra Sindone, cappella appositamente costruita, edificata tra il Duomo e il Palazzo reale dall’architetto Guarino Guarini. Quando nel 1706 Torino era sotto assedio dei francesi, la Sindone venne trasferita per breve tempo a Genova; dopo questo episodio non si muoverà più per oltre duecento anni, rimanendo a Torino anche durante il periodo dell’invasione napoleonica.

 

Fotografie di Isabella Puma

Nel 1939, nell’imminenza della Seconda guerra mondiale, venne nascosta nel santuario di Montevergine in Campania, dove rimase fino al 1946: questo è, a tutt’oggi, il suo ultimo viaggio. Umberto II di Savoia, morto nel 1983, lascia nel testamento il sacro telo alla Santa Sede e Papa Giovanni Paolo II decreta che rimanga nella città di Torino.

Fotografie di Isabella Puma

Il mio interesse per la Sindone è nato in modo casuale; dopo il conseguimento della laurea, nel 1975, conobbi il professore Tino Zeuli ‒ che all’epoca ricopriva la carica di Presidente della Confraternita del Santissimo Sudario ‒ che incominciò a parlarmi della Sindone e a prestarmi libri che trattavano delle ricerche fatte sulla Sindone. Fui subito interessato da questo oggetto dal fascino unico e incominciai a studiarlo in modo scientifico.

Fotografie di Isabella Puma

La particolarità della Sindone è data dal fatto che un semplice telo con numerose macchie tiene in scacco la scienza moderna perché nessuno è ancora riuscito a capire tramite quale fenomeno si sia formata questa eccezionale doppia impronta umana. L’unico modo per cercare di comprenderne l’origine è quello di eseguire esperimenti per riprodurne su un telo un’impronta con le stesse caratteristiche chimico-fisiche ma, finora, non si è ancora riusciti ad ottenere risultati soddisfacenti.

Impronta del risorto (Fotografia di Isabella Puma)

 

Oggi, dopo più di un secolo di studi e di ricerche scientifiche, sappiamo con certezza che:

– l’immagine ha caratteristiche simili a quelle di un negativo fotografico ed è estremamente superficiale interessando le fibre del tessuto per uno spessore di un ordine di grandezza inferiore al millesimo di millimetro;

– l’immagine è stata prodotta dal cadavere di un essere umano che ha subìto numerose torture tra le quali i supplizi della flagellazione e della crocifissione i cui segni sono visibili su di essa in modo anatomicamente preciso e coincidono perfettamente con la descrizione evangelica della passione, morte e sepoltura di Gesù;

– sulla Sindone sono presenti numerose macchie di sangue umano di gruppo AB prodotte da ferite di origine traumatica;

– non si tratta di un dipinto, né di un’opera realizzata mediante tecniche riproduttive conosciute;

– i pollini ritrovati sulla Sindone consentono di ritenere molto probabile un suo soggiorno in Palestina e in Anatolia prima del suo arrivo in Europa nel XIV secolo;

– l’immagine possiede peculiari caratteristiche tridimensionali;

– esiste una stretta correlazione (confermata con l’ausilio del computer) tra il volto dell’uomo della Sindone e l’iconografia del volto di Gesù del primo millennio;

– sul retro della Sindone è assente l’immagine corporea, mentre sono ben visibili le macchie di sangue.

Fotografie di Isabella Puma

C’è ancora incertezza sull’età del lino: gli studi teorici e sperimentali successivi alla datazione medievale (1260-1390 d.C.) stabilita dagli esami  effettuati  nel 1988 con  il metodo del  C14 consentono di ritenere molto probabili alterazioni di vario genere (tessili, ambientali, biologiche, chimiche, ecc.) che, nel loro insieme, possono aver modificato considerevolmente il risultato della datazione, “ringiovanendo” il telo; inoltre varie critiche sono state sollevate sulla correttezza dell’analisi statistica dei dati e sulla rappresentatività dei campioni prelevati.

La Sindone, ad oggi, è una immagine irriproducibile che parla un linguaggio universale privo di mediazioni linguistico-culturali. La sua modernità e il suo fascino nascono dal fatto che quest’immagine dall’origine ancora misteriosa può essere quella lasciata da quel personaggio di nome Gesù nato a Betlemme più di duemila anni fa, di cui parla la storia, come sostengono alcuni, oppure da un altro condannato a morte, o addirittura essere l’opera di un artista del passato, come sostengono altri.

Ma gli studi scientifici effettuati sulla Sindone in questi ultimi cento anni, soprattutto quelli degli ultimi decenni, hanno permesso di capire, come ho già ricordato precedentemente, che l’impronta non può essere stata realizzata con mezzi e strumenti conosciuti dagli uomini secoli fa e che il suo confronto analitico con la descrizione evangelica della passione di Gesù, effettuato con l’ausilio del calcolo delle probabilità, permette di ritenere molto alta la probabilità che si tratti del telo funebre che ha avvolto proprio quel crocifisso vissuto duemila anni fa

di Isabella Puma

martedì 15 aprile 2025

Ricchezza del linguaggio

 🔴Il Quoziente d’Intelligenza medio della popolazione mondiale è in continuo aumento (effetto Flynn).

   Questo almeno dal secondo dopoguerra fino alla fine degli anni ’90. 

 Da allora il QI è invece in diminuzione. 

 È l’inversione dell’Effetto Flynn.

    La tesi è ancora discussa e molti studi sono in corso da anni senza riuscire a placare il dibattito. 

   Sembra che il livello d’intelligenza misurato dai test diminuisca nei Paesi più sviluppati. 

 Molte possono essere le cause di questo fenomeno. 

 Una di queste potrebbe essere l'impoverimento del linguaggio.

    Diversi studi dimostrano infatti la diminuzione della conoscenza lessicale e l'impoverimento della lingua:

 non si tratta solo della riduzione del vocabolario utilizzato, ma anche delle sottigliezze linguistiche che permettono di elaborare e formulare un pensiero complesso

   La graduale scomparsa dei tempi (congiuntivo, imperfetto, forme composte del futuro, participio passato) dà luogo a un pensiero quasi sempre al presente, limitato al momento: 

incapace di proiezioni nel tempo. 

   La semplificazione dei tutorial, la scomparsa delle maiuscole e della punteggiatura sono esempi di “colpi mortali” alla precisione e alla varietà dell'espressione. 

 Solo un esempio: 

eliminare la parola "signorina" (ormai desueta) non vuol dire solo rinunciare all'estetica di una parola, ma anche promuovere involontariamente l'idea che tra una bambina e una donna non ci siano fasi intermedie. 

   Meno parole e meno verbi coniugati implicano meno capacità di esprimere le emozioni e meno possibilità di elaborare un pensiero

   Gli studi hanno dimostrato come parte della violenza nella sfera pubblica e privata derivi direttamente dall'incapacità di descrivere le proprie emozioni attraverso le parole. 

   Senza parole per costruire un ragionamento, il pensiero complesso è reso impossibile.

   Più povero è il linguaggio, più il pensiero scompare. 

 La storia è ricca di esempi e molti libri  

(Georges Orwell - 1984; Ray Bradbury - Fahrenheit 451) hanno raccontato come tutti i regimi totalitari hanno sempre ostacolato il pensiero, attraverso una riduzione del numero e del senso delle parole. 

 Se non esistono pensieri, non esistono pensieri critici. 

 E non c'è pensiero senza parole. 

   Come si può costruire un pensiero ipotetico-deduttivo senza il condizionale? 

   Come si può prendere in considerazione il futuro senza una coniugazione al futuro?

   Come è possibile catturare una temporalità, una successione di elementi nel tempo, siano essi passati o futuri, e la loro durata relativa, senza una lingua che distingue tra ciò che avrebbe potuto essere, 

ciò che è stato, 

ciò che è, 

ciò che potrebbe essere, e 

ciò che sarà dopo che ciò che sarebbe potuto accadere, è realmente accaduto? 

 Cari genitori e insegnanti: facciamo parlare, leggere e scrivere i nostri figli, i nostri studenti.

 Insegnare e praticare la lingua nelle sue forme più diverse. 

 Anche se sembra complicata. 

   Soprattutto se è complicata.

   Perché in questo sforzo c'è la libertà. 

  Coloro che affermano la necessità di :

 semplificare l'ortografia, 

 scontare la lingua dei suoi “difetti”, 

abolire i generi, i tempi, le sfumature, tutto ciò che crea complessità, 

sono i veri artefici dell’impoverimento della mente umana. 

   Non c'è libertà senza necessità.

   Non c’è bellezza senza il pensiero della bellezza.

Christophe Clavé

Quando e carente il linguaggio per potere esprimere chiaramente il proprio pensiero, la propria opinione, le proprie emozioni, il proprio malessere, tutto il linguaggio non appare chiaro ed e' soggetto a essere frainteso, con gravi conseguenze che minano i nostri rapporti con gli altri, i quali sono alla base del nostro vivere come comunita' e come societa'. 

  Quante, liti, incomprensioni, sfociano in tragedie proprio perche' il parlare viene frainteso o captato male? 

  Condivido che conoscere bene la nostra lingua, aiuta la nostra mente a capire bene i concetti, che poi sono quelli che arricchiscono la nostra mente e nutrono i nostri pensieri.

Da :Eresia

#cultura #filosofia #letteratura #istruzione #pensierocritico #pensiero #linguaitaliana #linguaggio

lunedì 14 aprile 2025

mistero c'è, è in noi.

 Il mistero c'è, è in noi. Basta non dimenticarcene. Il mistero c'è e, col mistero, di pari passo, la misura;

 ma non la misura del mistero,..., ma qualche cosa che in un certo senso al mistero s'opponga, pure essendone per noi la manifestazione più alta : questo mondo terreno considerato come continua invenzione dell'uomo. Il punto d'appoggio sarà il mistero, e il mistero è il soffio che circola in noi e ci anima" (17). 

"E ogni uomo moderno di buona volontà dovrebbe anche avere per affanno di riconciliare il vero con il mistero"

Ungaretti 

i lupi Tra il grigio delle pecore

 🔴 “Tra il grigio delle pecore si celano i lupi, vale a dire quegli esseri che non hanno dimenticato che cos'è la libertà. E non soltanto quei lupi sono forti in se stessi, c'è anche il rischio che, un brutto giorno, essi trasmettano le loro qualità alla massa e che il gregge si trasformi in branco. È questo l' incubo dei potenti.”


Ernst Jünger, “Trattato del ribelle”


Ed è subito sera

 Quasimodo

Ed è subito sera

 Ognuno sta solo sul cuor della terra¹

 trafitto da un raggio di sole²: 

ed è subito sera³.  


Saba, 

Sera di febbraio 

Spunta la luna. 

Nel viale è ancora giorno,

 una sera che rapida cala.

 Indifferente⁴ gioventù s'allaccia⁵;

 sbanda a povere mete.

 Ed è il pensiero della morte che,

 infine, aiuta a vivere.



 1 Credendo di essere al centro del mondo.

2 Dalla luce solare che è fonte di felicità, ma nello stesso tempo di dolore perché è un’illusione che si scopre al tramonto. 

3 Giunge la morte. 

4 Indifferente al passare del tempo.

 5 Cammina insieme abbracciata. 

sabato 12 aprile 2025

Sua maestà lo psoas

 Sua maestà lo psoas senza tediare troppo con l anatomia...


1. È un muscolo che pensa


Lo psoas è avvolto in una rete ricchissima di terminazioni nervose viscerali e somatiche. Questo lo rende un vero trasduttore neurovegetativo: sente, risponde, trattiene. È il primo a irrigidirsi nei traumi e l’ultimo a lasciar andare.


2. È un ponte tra il cuore e le gambe


Origina dalle vertebre toraco-lombari, passa accanto al diaframma, scivola tra i visceri, si inserisce sul piccolo trocantere femorale. Non è un semplice flessore: connette profondamente il torace al bacino, partecipando anche al ritmo del respiro (soprattutto nei respiri diaframmatici profondi).


3. È un “guardiano emozionale”


Lo psoas è spesso iperattivo in chi vive in modalità fight or flight. Un psoas contratto cronicamente può essere la manifestazione somatica di paure arcaiche, senso di insicurezza, esperienze di instabilità. Lavorarci significa toccare anche le memorie cellulari.


4. È muscolo... ma anche organo sensoriale


Secondo alcuni approcci osteopatici e somatici (Jeffrey Yuen incluso), va trattato come un organo del sentire profondo, non solo come una struttura meccanica. Ha una vera funzione di radicamento energetico, specie per chi ha perso il contatto con il proprio centro (dall’ombelico in giù).


5. È legato all’Acqua e al Mandato (Ming Men)


Secondo la MCC, è in relazione con il Rene, il Ming Men e lo Zhi. La sua tensione può essere un segnale di disconnessione dal proprio scopo, dal proprio “perché” viscerale. Liberarlo può riattivare l’ascolto del Mandato del proprio progetto ( certo suona strano ma non lo e') 

Come si fa sentire ?

Lombalgia cronica (soprattutto monolaterale)

Lo psoas tira le vertebre lombari in avanti e lateralmente.

Risultato? Dolore lombare asimmetrico, resistente a manipolazioni classiche.


2. Tensione inguinale e pubalgia


Può generare dolore profondo nella piega dell’inguine, a volte confuso con ernia, infiammazione dei tendini adduttori o problemi urologici/ginecologici.


3. Dolore sacrale o disallineamento del bacino


Quando è contratto unilateralmente, lo psoas può “ruotare” il bacino, alterando il rapporto con sacro e ileo.

Sensazione: come se una gamba fosse “più corta” o il corpo fosse sbilanciato.


4. Mal di pancia da stress


Lo psoas dialoga con il diaframma e i visceri. Se è in spasmo, può creare una vera e propria sensazione di nodo viscerale, nausea psicosomatica, tensione addominale inspiegabile.


5. Dolori al ginocchio (senza causa apparente)


La sua azione sulla catena anteriore e sulla rotazione interna del femore può portare a dolore anteriore o interno del ginocchio, anche senza infiammazioni evidenti.


6Sciatalgia “mascherata”


Un psoas infiammato può irritare il nervo femorale, ma a volte anche disturbare il decorso del nervo sciatico per effetto compensatorio.

Racconto tipico: “Mi fa male la gamba… ma la schiena è a posto!”


7 Dolori mestruali e tensioni pelviche


Lo psoas va a sfiorare l’utero, le ovaie, il colon.

Se è contratto, può contribuire a dismenorrea, gonfiore addominale e dolore pelvico. Specie nei soggetti che vivono tutto “nella pancia”.


Sensazione di “non avere una base”


Non è un dolore fisico, ma una percezione sottile: smarrimento, instabilità emotiva, mancanza di radicamento. È il corpo che ti dice: “non ti stai fidando di te stesso”.


Lo conosciamo come flessore dell’anca.

Lo trattiamo come un muscolo.

Ma lo psoas è molto di più.

È la “cerniera invisibile” tra il cervello, il cuore, il ventre e la storia che portiamo dentro.


Ecco 5 cose che (forse) non sapevi:


1. È collegato al sistema limbico

Ogni volta che ci sentiamo minacciati, lo psoas si prepara a fuggire.

È un messaggero diretto dell’amigdala.

Non solo tensione: è memoria emozionale.


2. Parla con l’intestino e con il respiro

Attraversa il diaframma e sfiora i visceri.

Se è contratto, può alterare la digestione, il tono vagale e il senso di sicurezza.

Il corpo si chiude per proteggersi.


3. Risponde alla PNEI

Cortisolo, citochine infiammatorie, stress cronico: lo psoas li sente tutti.

È una “spia” dell’asse psico-neuro-endocrino-immunitario.

Se non dormi bene, se sei sempre in allerta, lui lo sa.


4. Trattiene il trauma (freeze)

Nel trauma non sempre si combatte o si fugge. A volte si congela.

Lo psoas può restare teso per anni, come se il pericolo non fosse mai passato.

E non basta allungarlo per liberarlo.


5. Ha bisogno di nutrimento specifico


Magnesio bisglicinato per rilassarsi


B6 e B1 per rigenerare i circuiti del sistema nervoso


Ashwagandha per dirgli che può fidarsi


Zinco per riparare i danni silenziosi

Ma attenzione 

In kinesiologia non cerchiamo solo muscoli deboli.

Cerchiamo perché si sono indeboliti.


A volte manca magnesio.

A volte manca la zia la fidanzata la nonna la madre 

A volte manca solo il silenzio.


Uno psoas che non regge può segnalare si una carenza di zinco,

oppure un desiderio di protezione mai espresso.


Per questo non esiste la vitamina giusta per tutti.

Ogni persona è un test unico.

Una storia che si racconta attraverso il corpo,

e che può essere ascoltata con rispetto.


La vera forza non si impone.

Si restaura,

quando le condizioni interiori sono pronte ad accoglierla.


I 3 LIVELLI DELLA DEBOLEZZA IN KINESIOLOGIA


(Quando un muscolo “non tiene”, cosa sta dicendo davvero?)


1. LIVELLO BIOCHIMICO – Il corpo ha fame


Carenze di minerali, vitamine, acidi grassi, enzimi.


Intossicazioni silenziose, disbiosi, squilibri ormonali.


Segnali: stanchezza cronica, spasmi, dolori ricorrenti.


 (Cosa manca nel mio corpo per funzionare bene?)


2. LIVELLO PSICHICO – Il corpo ha memoria


Traumi emotivi, lutti, paure antiche non digerite.


Meccanismi di protezione (freeze, fuga, maschere).


Il muscolo si “spegne” per proteggerti.


(Cosa sto trattenendo o evitando?)


3. LIVELLO ENERGETICO – Il corpo ha un messaggio


Interferenze nei meridiani, squilibri degli organi secondo la MCC.


Campo energetico alterato, radicamento fragile.


Il muscolo parla attraverso il Qi che non scorre.


( Dove ho smarrito il mio flusso?)

Vygotskij l’apprendiment

 ESSERE CIRCONDATI DA FIGURE POSITIVE


Secondo Vygotskij l’apprendimento avviene attraverso l’interazione sociale e il linguaggio: per questo è molto importante che i bambini siano circondati da figure positive, che rappresentino uno stimolo costruttivo e carico di significato. 

Un’interazione sociale povera o non sana, infatti, pregiudica lo sviluppo cognitivo e l’apprendimento. Vygotskij, nei suoi lavori, tende a precisare che per i bambini in fase di apprendimento è importante interagire non solo con gli adulti ma anche con i propri pari, il cui ruolo formativo è importantissimo e da non sottovalutare.


LA ZONA DI SVILUPPO PROSSIMALE


La zona di sviluppo prossimale è uno dei concetti più innovativi e importanti che riguardano l’apprendimento, che ogni insegnante dovrebbe conoscere. Vygotskij sostiene che la zona di sviluppo prossimale sia il divario tra ciò un bambino sa fare da solo e ciò che sa fare se è aiutato da un adulto o da un compagno più esperto di lui. Nella zona di sviluppo prossimale si costruisce l’apprendimento, rappresentando essa una vera e propria sfida stimolante per l’alunno. I bambini possono trovarsi nella zona di sviluppo prossimale anche durante situazioni di gioco che richiedano l’apprendimento di regole o strategie.


UN ESEMPIO PRATICO


Poniamo il caso che un bambino sia capace di risolvere autonomamente un problema matematico semplice, ma che sia capace di risolvere un problema matematico più complesso con l’aiuto di un insegnante o un compagno: la zona di sviluppo prossimale include proprio le attività che il bambino è in grado di risolvere con un supporto, in questo caso i problemi matematici più complessi. Per costruire l’apprendimento è necessario muoversi all’interno della zona di sviluppo prossimale, fornire supporto e, man mano che bambino acquisisce più sicurezza, toglierlo. Appena il bambino saprà fare quel compito autonomamente, avrà raggiunto un nuovo livello di apprendimento


LO SCAFFOLDING: SUPPORTO DA ADULTI E DA PARI


Il supporto che l’adulto o il pari fornisce nella zona di sviluppo prossimale si chiama scaffolding. È importante che ci sia gradualità e flessibilità nel fornire e nel togliere l’aiuto e il supporto: lo scaffolding deve essere infatti adattato e modulato a seconda delle esigenze del bambino che apprende, delle sue difficoltà e dei punti di forza pregressi, di eventuali bisogni speciali.


COME APPLICARE LE TEORIE DI VYGOTSKIJ NELLA SCUOLA PRIMARIA?


È possibile applicare le teorie di Vygotskij nell’insegnamento alla scuola primaria. Gli insegnanti dovrebbero, infatti, esaminare le competenze e le conoscenze già in possesso del bambino prima di progettare un intervento didattico, e in base a esse fornire aiuti e strumenti adeguati. Dovrebbero inoltre considerare la grande importanza del ruolo dei pari nell’apprendimento, e quindi strutturare attività didattiche che comprendano il lavoro in gruppo, la peer education. Secondo Vygotskij sono anche importanti il linguaggio e il gioco: includere attività ludiche e curare la comunicazione sono le basi per la costruzione di tutti gli apprendimenti.


Da https://www.altuofianco.blog/ogni-insegnante-dovrebbe-conoscere-vygotskij-la-sua-zona-di-sviluppo-prossimale-e-uno-dei-processi-piu-affascinanti-dellapprendimento/

venerdì 11 aprile 2025

IO “DE-SIDERO”: MI MANCANO LE STELLE.

 IO “DE-SIDERO”: MI MANCANO LE STELLE. Quante volte ho insistito su questa etimologia!


Nell’articolo postato ieri era incastonata quale perla preziosa questa citazione del filosofo Martin Heidegger: “La notte del mondo distende le sue tenebre … Si è spento lo splendore di Dio nella storia universale. Il tempo della notte del mondo è il tempo della povertà perché diviene sempre più povero. È già diventato tanto povero da non poter riconoscere LA MANCANZA DI DIO COME MANCANZA”.

Tornano in mente quei celebri versi di Mario Luzi: “DI CHE È MANCANZA QUESTA MANCANZA, / CUORE, / CHE A UN TRATTO NE SEI PIENO? di che? Rotta la diga / t’inonda e ti sommerge / la piena della tua indigenza…/  Viene, / forse viene, / da oltre te / un richiamo / che ora perché agonizzi non ascolti. / Ma c’è, ne custodisce forza e canto / la musica perpetua… ritornerà. / Sii calmo. (da "Sotto specie umana", del 1999).

Commenta Daniele Mencarelli: “Da oltre noi, quando tutto sembra perso, ecco arrivare un richiamo, un ultrasuono che ha la forza di riavviare la fiamma. Un canto non nostro che rende piena di speranza ogni manchevolezza, un canto che ha la forza di tutte le forze.

Tanto da farci dire: sono tornato, sono di nuovo in quell’amore perpetuo che cerco con tutto me stesso.

Stiamo calmi, aspettiamo il momento, con orecchie e cuore tesi”.

Matisse, specialmente nell’ultima parte della sua vita, ha dato forma al cuore tutto MANCANTE dell’Icaro che è in ciascuno di noi ed anche – nalla Cappella del Rosario di Vence – all’esperienza di PIENEZZA che ha visto negli occhi dell’amica modella che si è fatta suora.


Ecco come sia apre il saggio di Heidegger: «E perché i poeti [wozu Dichter] nel tempo della povertà?, chiede l’elegia di Hölderlin Pane e vino. Oggi comprendiamo a stento la domanda. Come potremo intendere la risposta che Hölderlin dà? […]. Con la venuta e il sacrificio di Cristo ha avuto inizio, secondo la concezione storica di Hölderlin, la fine del giorno degli Dei. È caduta la sera. Da quando i tre che sono uno: Ercole, Dioniso e Cristo, hanno lasciato il mondo, la sera del tempo mondano va verso la flotte. La notte del mondo distende le sue tenebre. Ormai l’epoca è caratterizzata dall’assenza di Dio, dalla mancanza di Dio […]. La mancanza di Dio significa che non c’è più nessun Dio che raccolga in sé, visibilmente e chiaramente, gli uomini e le cose, ordinando in questo raccoglimento la storia universale e il soggiorno degli uomini in essa. Ma nella mancanza di Dio si manifesta qualcosa di peggiore ancora. Non solo gli Dei e Dio sono fuggiti, ma si è spento lo splendore di Dio nella storia universale. Il tempo della notte del mondo è il tempo della povertà perché diviene sempre più povero.

È già diventato tanto povero da non poter riconoscere la mancanza di Dio come mancanza”»


Di che è mancanza questa mancanza,

                                                      cuore,

che a un tratto ne sei pieno?

di che? Rotta la diga

t’inonda e ti sommerge

la piena della tua indigenza…

                                       Viene,

forse viene,

                    da oltre te

                                  un richiamo

che ora perché agonizzi non ascolti.

Ma c’è, ne custodisce forza e canto

la musica perpetua… ritornerà.

                       Sii calmo.

Mario Luzi

da “Sotto specie umana”, Garzanti, 1999.


giovedì 10 aprile 2025

La vita di ogni uomo è un cammino verso se stesso,

 "La vita di ogni uomo è un cammino verso se stesso, la ricerca di un cammino, la traccia di un sentiero. Mai nessun uomo è stato in tutto e per tutto se stesso; ognuno lotta per diventarlo, uno cupamente, l’altro più luminosamente, ognuno come può. Ognuno porta con sé i residui della propria nascita, muco e frammenti del guscio di un mondo originario, fino alla fine. Qualcuno non diventa mai uomo, rimane rana, rimane lucertola, rimane formica. Qualcuno è uomo sopra e pesce sotto. Ma ognuno è uno sforzo della natura per partorire l’uomo. E le origini sono comuni a tutti, le madri, noi tutti veniamo dallo stesso abisso; ma ognuno lotta, un progetto e una spinta dal profondo, per raggiungere il proprio traguardo. Possiamo capirci l’un l’altro, ma ognuno può interpretare soltanto se stesso."

Hermann Hesse, Demian, 1919

sabato 5 aprile 2025

Un avvenimento che rende tutto amico

 

Un avvenimento che rende tutto amico

Un avvenimento che rende tutto amico

L’omelia di monsignor Andrea Bellandi, arcivescovo metropolita di Salerno-Campagna-Acerno, in occasione del 20° anniversario della morte di don Luigi Giussani

Andrea BellandiArcivescovo metropolita di Salerno-Campagna-Acerno
Monsignor Andrea Bellandi (©Arcidiocesi Salerno - Campagna - Acerno)
Monsignor Andrea Bellandi (©Arcidiocesi Salerno - Campagna - Acerno)

Giussani, come giustamente il cardinal Ratzinger ha sottolineato, ha implicato tutta la sua vita, è stato sorpreso lui stesso da questa dinamica del cristianesimo come un Avvenimento e non come un sistema dottrinario. Un incontro. Non è immediato, scontato, per noi, che questa parola, avvenimento, dica un’esperienza in atto. Certo, lo è stato, all'inizio. Perché ognuno di noi, pur provenendo da un’esperienza di fede, ha vissuto l’impatto con questo carisma come un impatto umano, come l’incontro con la realtà umana. Non come un ulteriore raffinata dottrina, non come un invito ad un impegno morale più accentuato ma, appunto, come un incontro eccezionale. Eccezionale perché in qualche modo risvegliava in ciascuno quelle esigenze originali di verità, di giustizia, di bellezza, dando ad esse un nome e indicando Colui che le prendeva sul serio e alle quali rispondeva: Gesù Cristo. Un incontro.

Ecco, mi domando: rimane oggi, per noi, un incontro? Rimane il Movimento e quindi il fatto cristiano, un incontro vivo? L’incontro si fa con una presenza umana, non con dei libri, ma appunto con una realtà che si muove, parla, che dice di sé, vive. Un incontro che è una storia di amore. Inizia una storia dove c'è in gioco l’affezione, non solo la testa. Ragione e cuoreintelligenza e affezione. Una storia di amore e come in tutte le storie di amore che si rispettino, c’è dentro una dinamica di fedeltà. Non si ama se non si è fedeli. C’è una dinamica di accettazione di sacrifici. Per la persona amata si accettano appunto dei sacrifici e si fanno volentieri. C’è in gioco l’accoglienza della diversità e quindi il perdono. Non c’è un amore che non sia dentro questa dinamica anche di apertura ad altro da sé e appunto diversità.

E tutto questo permane in un luogo preciso: nella Chiesa. È l’esperienza della realtà della Chiesa e del Movimento. Un incontro, una storia di amore che esige quindi attenzione, fedeltà, accettazione dei sacrifici, accoglienza della diversità, perdono. Ma, detto questo, tra noi talvolta prevale nella logica dello schieramento – di chi ha ragione o torto – e la rivendicazione di ruoli. Un impeto che però non regge nel tempo. Una storia di amore che mette in gioco sempre la libertà

Scriveva Giussani: «La mia piccola libertà, la mia piccola e tremenda libertà può dire no a questo amore, a questa grazia. La mia piccola e tremenda libertà si gioca con le risposte». In una storia di amore c'è un amore che viene incontro e c’è una libertà che decide di accogliere o meno questo amore. E poi un avvenimento. Avvenimento è la parola che più caratterizza il nostro carisma e che oggi è diventato, in qualche modo, un’acquisizione anche di tutta la Chiesa: il cristianesimo come avvenimento. Avvenimento dice qualcosa che non siamo noi a dominare, a far accadere. Avvenimento dice qualcosa che sorprende, in qualunque situazione uno possa essere. Possa essere dentro una tradizione cristiana oppure anche da tutta un’altra parte. Qualcosa che sorprende sempre nelle modalità e nei tempi.

Ognuno di noi potrebbe raccontare le modalità e i tempi in cui ha percepito, per sé, la consonanza di questo incontro che si è fatto avvenimento nella sua vita. Sarebbero racconti uno diverso dall’altro, modalità tutte differenti. L’avvenimento è qualcosa che non hai in mano tu. Non lo hai avuto all’inizio. Ti ha sorpreso, ti ha preceduto in qualche modo. Ma non lo hai neanche oggi in mano tu la possibilità di farlo riaccadere, nelle modalità e nelle forme. 

Interessante il Vangelo di Marco che la Chiesa oggi ci fa leggere. Già allora, ai tempi di Gesù, i discepoli volevano bene distinguere chi è dentro e chi è fuori. Chi è dei nostri e chi non è dei nostri. Chi può fare i miracoli e chi no. «Maestro abbiamo visto uno che scacciava demoni in tuo nome, volevamo impedirglielo perché non era dei nostri». Gesù disse loro: «Non glielo impedite perché non c’è nessuno che faccia un miracolo del mio nome e subito possa parlare male di me». L’avvenimento appunto accade oltre i confini che noi vorremmo imporre. Certo ha una forma che è quella di Cristo. Certo ha una forma che ordinariamente è quella della Chiesa. Certo ha una forma che per noi, da quando questa storia ci ha raggiunto, ha la forma del Movimento, di una fraternità. Ma una forma che non chiude ma anzi che, afferrandoci, rende tutto amicoTutto può essere veramente il tempo e lo spazio in cui il Signore ci sorprende. Dice Giussani: «L’istante da allora non fu più banalità per me». Da quando ho scoperto, per la prima volta, che la bellezza, la giustizia, l’amore si era fatto carne in Gesù Cristo. Da allora l’istante non fu più banalità per me. L’istante, le circostanze, l’istante più banale. Ma è soltanto nella coscienza di una appartenenza alla forma di Cristo, della Chiesa, del movimento che l'istante può diventare qualcosa di grande. Altrimenti l’istante rimane insignificante. Ci difendiamo dall'istante, ci difendiamo magari dalle pesantezze dell’ordinarietà della vita per rifugiarci nelle nostre cose. Invece tutto, come dice san Paolo, il bere, il mangiare, il dormire, il vivere, il morire, tutto diventa occasione di incontro con Cristo e di gloria per Lui. L’istante diventa qualcosa di grande nella coscienza dell’appartenenza. Allora uno arriva ad essere dentro ogni istante, anche di quello difficoltoso, perché anche in quell’istante c’è un volto, c’è una mano da poter stringere, che è il volto e la mano di Cristo ma che poi diventa specificamente il volto e la mano di un amico, che può aiutare a vivere ogni istante. 

E allora concludo citando qualche passaggio, riportato nel Tracce di questo mese, delle meditazioni a Lourdes fatte da don Giussani 1992, in occasione del pellegrinaggio ai dieci anni del riconoscimento della Fraternità.

«Cristo ha un primo nemico che si erge contro di lui. Non sono gli altri, non sono i nemici, non sono le circostanze, siamo noi. Il più vicino dei tradimenti è il nostro, quando ognuno fugge per la strada della sua paura. Una paura che riveste di opinione intellettuale, di istintiva ripugnanza, di uno scettico e impossibile».

E don Giussani aggiunge: «La salvezza dalla nostra dispersione, la sicurezza di fronte all’incombenza del tradimento che anzitutto può essere nostro, la possibilità che la compagnia cammini nella storia, nonostante tutto quello che di avversario e di nemico la circonda, portando il vestito della positività e costruendo i brandelli di umanità, dove la risurrezione di Cristo comincia a determinare tempi e spazi, è la nostra unità». La nostra unità non è, come dire, una “parola d’ordine”, ma è la coscienza che il Signore si comunica a noi sempre dentro un fenomeno di umanità. E il primo segno che rende credibile questo fenomeno di umanità, come diceva Gesù, è l’unità tra i suoi. Da questo vi riconosceranno: la nostra unità. Perché in questa unità c’è qualcosa d’Altro.

«Chiediamo alla Madonna», come ci diceva Giussani, «che ci faccia “uno”, che salvi la nostra unità dallo sperpero di essa cui il mondo ci invita in nome di nostre ragioni, sentimenti, reazioni ed istintività. Non esiste nessuna ragione e nessun sentimento più grandi della nostra unità. Chiediamo alla Madonna che il miracolo della nostra unità entri nel mondo attraverso la nostra breve vita e si stabilisca sempre più chiaro».

 

26 febbraio 2025, Salerno