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sabato 22 novembre 2025

essere donna

 Essere donna è un’infinita fatica, ma anche un privilegio.

Fatica, perché ti viene chiesto tutto, da sempre. Di essere forte ma non troppo, sensibile ma non fragile, intelligente ma non intimidatoria, indipendente ma non al punto da spaventare. Ti insegnano a camminare in equilibrio su una corda tesa: se cadi di qua sei “debole”, se cadi di là sei “aggressiva”. E tu, nel mezzo, a tenere insieme pezzi che agli altri sembrano ovvi, naturali, dovuti.


Essere donna è fatica nel corpo. Il corpo che tutti giudicano, toccano, commentano, pretendono di spiegare e di governare. Troppo magra, troppo grassa, troppo scoperta, troppo coperta. Madre o non madre, desiderabile o invisibile, giovane da esibire o vecchia da nascondere. Ogni scelta che riguarda il tuo corpo diventa affare pubblico, terreno di discussione, bersaglio di sentenze non richieste.


È fatica nelle relazioni. Perché ti hanno cresciuta dicendoti che devi capire tutti, perdonare tutti, aggiustare tutto. Che se una relazione va a rotoli è colpa tua, non hai amato abbastanza, non hai avuto abbastanza pazienza, abbastanza dolcezza, abbastanza silenzio. Sei quella che “tiene insieme” la famiglia, il lavoro, la casa, gli umori degli altri. E se crolli, il problema diventi tu, non il peso che ti hanno messo addosso.


È fatica nel lavoro. Devi dimostrare il doppio per avere la metà. Se hai successo, è perché “ti sei saputa muovere”; se non ce la fai, confermi il sospetto che “in fondo le donne non reggono”. Se alzi la voce sei isterica, se non la alzi sei insignificante. E nel frattempo devi far finta che vada tutto bene, che non ti tocchi, che non ti ferisca. Per non essere accusata anche di vittimismo.


Eppure, in questa fatica c’è un privilegio che molti non sopportano nemmeno di sentir nominare. Il privilegio di conoscere il dolore e trasformarlo. Di portare dentro una memoria antica di tutto quello che le donne prima di te hanno sopportato, perso, conquistato. Il privilegio di guardare il mondo da un angolo storto, non dal centro del palcoscenico: perché da lì vedi le bugie meglio, vedi le ingiustizie più nitide, non sei ipnotizzata dal riflettore.


Essere donna è un privilegio perché ti obbliga a diventare più lucida. Non puoi permetterti la superficialità di chi non ha mai dovuto difendersi. Devi imparare a leggere gli sguardi, le mezze frasi, i non detti. A capire chi hai di fronte, quanto spazio puoi prendere, dove devi arretrare e dove invece è il momento di piantarti e dire: “Adesso basta”. Questa lucidità è un dono feroce, ma è un dono.


È un privilegio perché hai una capacità quasi ostinata di creare. Non solo figli, quando li vuoi. Idee, relazioni, progetti, linguaggi, mondi interi. Di costruire a partire da pochissimo: un niente, una ferita, una mancanza. Di prendere quello che ti hanno gettato addosso come limite e trasformarlo in forma, in lavoro, in testimonianza. La storia è piena di donne a cui hanno detto “no” e che da quel “no” hanno fatto nascere un terremoto.


Essere donna è un privilegio perché ti costringe a scegliere chi vuoi essere, nonostante tutto quello che ti hanno detto che dovevi essere. E quando quella scelta la fai, quando smetti di chiedere il permesso, quando ti assumi il diritto di occupare spazio, parlare, rifiutare, pretendere, allora tutta quella fatica si trasforma in qualcosa di diverso: in forza che non hai bisogno di sbandierare, in dignità che non chiede approvazione.


Sì, essere donna è un’infinita fatica. Ma è anche l’occasione continua di sfidare un copione scritto da altri e riscriverlo da capo, ogni giorno, con la tua voce, con il tuo corpo, con la tua vita. E questo, che piaccia o no, è un privilegio che fa paura.


 "𝐎𝐫𝐢𝐚𝐧𝐚 𝐅𝐚𝐥𝐥𝐚𝐜𝐢 ღ 𝐀𝐯𝐞𝐯𝐚 𝐫𝐚𝐠𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐥𝐚 𝐬𝐭𝐫𝐞𝐠𝐚" di Antonio Nobili. 

venerdì 21 novembre 2025

il dolore dell'anima

 Incredibile come il dolore dell'anima non venga capito.

Se ti becchi una pallottola o una scheggia si mettono subito a strillare presto-barellieri-il-plasma, se ti rompi una gamba te la ingessano, se hai la gola infiammata ti danno le medicine.

Se hai il cuore pezzi e sei così disperato che non ti riesce aprir bocca, invece, non se ne accorgono neanche.

Eppure il dolore dell'anima è una malattia molto più grave della gamba rotta e della gola infiammata, le sue ferite sono assai più profonde e pericolose di quelle procurate da una pallottola o da una scheggia.

Sono ferite che non guariscono, quelle, ferite che ad ogni pretesto ricominciano a sanguinare.


Oriana Fallaci

L’abitudine

 L’abitudine è la più infame delle malattie, perchè ci fa accettare qualsiasi disgrazia, qualsiasi dolore, qualsiasi morte. Per abitudine si vive accanto a persone odiose, si impara a portare le catene a subire ingiustizie, a soffrire, ci si rassegna al dolore, alla solitudine, a tutto. L’abitudine è il più spietato dei veleni perché entra in noi lentamente, silenziosamente e cresce a poco a poco nutrendosi della nostra inconsapevolezza, e quando scopriamo d’averla addosso ogni gesto s’è condizionato, non esiste più medicina che possa guarirci.


#OrianaFallaci - Un Uomo

La verità

 La verità è scomoda. È scomoda perché non si lascia addomesticare. Non chiede il permesso, non guarda in faccia nessuno, non si piega al bisogno che abbiamo di sentirci migliori di quello che siamo. La verità non è gentile, non è educata, non è diplomatica. Entra dove fa più male: nelle nostre illusioni, nei nostri alibi, nelle storie che ci raccontiamo per poter dormire tranquilli.

Preferiamo quasi sempre la bugia che consola alla verità che disturba. Una bugia ti accarezza: “Non è colpa tua”, “Non potevi fare altrimenti”, “Sono tutti così”. La verità invece ti fa la domanda che non vuoi sentire: “Dov’eri tu, mentre tutto questo succedeva?"


𝐎𝐫𝐢𝐚𝐧𝐚 𝐅𝐚𝐥𝐥𝐚𝐜𝐢 ღ 𝐀𝐯𝐞𝐯𝐚 𝐫𝐚𝐠𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐥𝐚 𝐬𝐭𝐫𝐞𝐠𝐚 



lunedì 17 novembre 2025

Lo stress cronico

Lo stress cronico

 Molto importante è lo stress cronico, il quale, determinando variazioni ormonali, può essere molto negativo.


A livello cardiaco si possono determinare i seguenti problemi: tachicardia, irregolarità del battito cardiaco (extrasistole), dolore al centro del petto, ipertensione (anche se è probabilmente determinata da ereditarietà, dieta, abitudini di vita ecc.), infarto.


A livello polmonare: asma bronchiale (crisi asmatica innescata e mantenuta dall'ansia), iperventilazione (respiro rapido e superficiale).


A livello gastrointestinale: colon irritabile (diarrea, stipsi, dolori), dispepsia (senso di pienezza dopo il pasto, acidità, eruttazioni, dolori), ulcera gastro-duodenale (aumento della secrezione acida), morbo di Crohn.


A livello endocrino: lo stress influenza l'attività delle ghiandole endocrine periferiche, quindi ghiandole surrenali, pancreas, reni, tiroide... Ci sono alcuni studi che ipotizzano l'insorgenza del diabete.


A livello urogenitale: eiaculazione precoce (nell'ansia cronica), diminuzione del desiderio (nella depressione).


A livello della pelle: iperidrosi (eccessiva sudorazione, di solito al palmo del-la mano o alla pianta del piede), prurito, tricotillomania (la persona si strappa i capelli, spesso le ciglia).


Il lavoro può essere all'origine di svariate situazioni stressanti. Ancora più grave è lo stress causato dalla mancanza di lavoro (disoccupazione).

Orthomolecular Biohoong


I sintomi dello stress


Frequente sensazione di stanchezza generale, accelerazione del battito cardiaco, difficoltà di concentrazione, attacchi di panico, crisi di pian to, depressione, attacchi di ansia, disturbi del sonno, dolori muscolari, mento della tiroide, pressione sanguigna alta, facilità ad avere malattie ulcera dello stomaco, diarrea, crampi allo stomaco, colite, malfunziona-difficoltà a esprimersi e a trovare un vocabolo conosciutissimo, sensazione di noia nei confronti di ogni situazione, frequente bisogno di urinare, cambio della voce, iperattività, confusione mentale, irritabilità.



domenica 16 novembre 2025

SCIENZA PREGARE LA FEDE


SCIENZA PREGARE LA FEDE

La scienza, ci viene ripetutamente detto, è la forma più affidabile di conoscenza del mondo perché si basa su ipotesi verificabili. La religione, al contrario, si basa sulla fede. Il termine "dubbio Thomas" illustra bene la differenza. Nella scienza, un sano scetticismo è una necessità professionale, mentre nella religione, avere un credo senza prove è considerato una virtù.

Il problema di questa netta separazione in "magisteria non sovrapposta", come Stephen Jay Gould ha descritto la scienza e la religione, è che la scienza ha un proprio sistema di credenze basato sulla fede. Tutta la scienza procede partendo dal presupposto che la natura è ordinata in modo razionale e intelligibile. Non potresti essere uno scienziato se pensassi che l'universo sia un guazzabuglio senza senso di probabilità e fini a casaccio giustapposti. Quando i fisici sondano a un livello più profondo di struttura subatomica, o gli astronomi estendono la portata dei loro strumenti, si aspettano di incontrare un ulteriore ordine matematico elegante. E finora questa fede è stata giustificata.

L'espressione più raffinata dell'intelligibilità razionale del cosmo si trova nelle leggi della fisica, le regole fondamentali su cui si basa la natura. Le leggi della gravitazione e dell'elettromagnetismo, le leggi che regolano il mondo all'interno dell'atomo, le leggi del moto - sono tutte espresse come ordinate relazioni matematiche. Ma da dove vengono queste leggi? E perché hanno la forma che hanno?

Quando ero studente, le leggi della fisica erano considerate completamente off limits. Il compito dello scienziato, ci è stato detto, è quello di scoprire le leggi e applicarle, non indagare sulla loro provenienza. Le leggi sono state trattate come "date" - impresso nell'universo come un marchio di un creatore al momento della nascita cosmica - e fissato per sempre. Quindi, per essere uno scienziato, bisognava credere che l'universo è governato da leggi matematiche affidabili, immutabili, assolute, universali, di origine non specificata. Dovete credere che queste leggi non falliranno, che non ci sveglieremo domani per trovare il calore che scorre dal freddo al caldo, o la velocità della luce che cambia di ora in ora.

Nel corso degli anni ho spesso chiesto ai miei colleghi fisici perché le leggi della fisica sono ciò che sono. Le risposte variano da "Non è una domanda scientifica" a "nessuno lo sa". La risposta preferita è: "Non c'è ragione per cui siano quello che sono - lo sono e basta". L'idea che le leggi esistano senza ragione è profondamente antirazionale. Dopo tutto, l'essenza stessa di una spiegazione scientifica di qualche fenomeno è che il mondo è ordinato logicamente e che ci sono ragioni per cui le cose sono così come sono. Se si tracciano queste ragioni fino al fondamento della realtà - le leggi della fisica - solo per trovare quella ragione allora ci abbandona, si fa beffe della scienza.

Il potente edificio di ordine fisico che percepiamo nel mondo che ci circonda può essere radicato nell'assurdità senza ragione? Se è così, allora la natura è un trucco diabolicamente intelligente: insensatezza e assurdità in qualche modo mascherate da ordine ingegnoso e razionalità.

Anche se gli scienziati hanno avuto a lungo l'inclinazione a scrollare di dosso tali questioni riguardanti la fonte delle leggi della fisica, l'umore ora si è spostato considerevolmente. Parte della ragione è la crescente accettazione che l'emergere della vita nell'universo, e quindi l'esistenza di osservatori come noi, dipende piuttosto sensibilmente dalla forma delle leggi. Se le leggi della fisica fossero un qualsiasi vecchio ragbag di regole, la vita quasi certamente non esisterebbe.

Una seconda ragione per cui le leggi della fisica sono state portate nell'ambito dell'indagine scientifica è la consapevolezza che ciò che a lungo consideravamo come leggi assolute e universali potrebbe non essere affatto fondamentale, ma più simile allo statuto locale. Potrebbero variare da un luogo all'altro su scala mega-cosmica. Una visione dell'occhio di Dio potrebbe rivelare una vasta trapunta patchwork di universi, ognuno con il proprio particolare insieme di statuti. In questo "multiverso", La vita sorgerà solo in quei cerotti con uno statuto bio-friendly, quindi non sorprende che ci troviamo in un universo di Riccioli d'Oro - uno che è giusto per la vita. L'abbiamo scelto in base alla nostra stessa esistenza.

La teoria del multiverso è sempre più popolare, ma non spiega tanto le leggi della fisica quanto l'intero problema. Ci deve essere un meccanismo fisico per creare tutti quegli universi e conferire loro le leggi. Questo processo richiederà le proprie leggi, o meta-leggi. Da dove vengono? Il problema è stato semplicemente spostato di un livello dalle leggi dell'universo alle meta-leggi del multiverso.

Chiaramente, quindi, sia la religione che la scienza sono fondate sulla fede - vale a dire, sulla fede nell'esistenza di qualcosa al di fuori dell'universo, come un Dio inspiegabile o un insieme inspiegabile di leggi fisiche, forse anche un enorme insieme di universi invisibili. Per questo motivo, sia la religione monoteistica che la scienza ortodossa non riescono a fornire un resoconto completo dell'esistenza fisica.

Questo fallimento condiviso non è una sorpresa, perché la nozione stessa di legge fisica è in primo luogo teologica, un fatto che fa dimenarsi molti scienziati. Isaac Newton per primo ebbe l'idea di leggi assolute, universali, perfette, immutabili dalla dottrina cristiana che Dio creò il mondo e lo ordinò in modo razionale. I cristiani immaginano che Dio sostenga l'ordine naturale da oltre l'universo, mentre i fisici pensano che le loro leggi siano abitate da un regno trascendente astratto di relazioni matematiche perfette.

E proprio come i cristiani sostengono che il mondo dipende completamente da Dio per la sua esistenza, mentre il contrario non è il caso, così i fisici dichiarano una simile asimmetria: l'universo è governato da leggi eterne (o meta-leggi), ma le leggi sono completamente impermeabili a ciò che accade nell'universo.

Mi sembra che non ci sia speranza di spiegare perché l'universo fisico è così com'è finché siamo fissati su leggi immutabili o meta-leggi che esistono senza ragione o sono imposte dalla provvidenza divina. L'alternativa è considerare le leggi della fisica e l'universo che governano come parte integrante di un sistema unitario, e essere incorporate insieme all'interno di uno schema esplicativo comune.

In altre parole, le leggi dovrebbero avere una spiegazione dall'interno dell'universo e non implicare l'appello a un'agenzia esterna. Le specifiche di tale spiegazione sono una questione per la ricerca futura. Ma fino a quando la scienza non escogita una teoria verificabile delle leggi dell'universo, la sua pretesa di essere libera dalla fede è manifestamente falsa.

[Pubblicato per la prima volta come articolo di OPEd dal The Newz York Times, 24 novembre 2007]

La tesi centrale che ho esplorato in questo libro dice che attraverso la scienza noi esseri umani siamo in grado di comprendere almeno una parte dei segreti della natura. Abbiamo decifrato una parte del codice cosmico. Perché sia accaduto, perché l'Homo sapiens abbia in sé una scintil-la di razionalità che gli dà la chiave dell'universo, resta un profondo enigma. Noi, figli dell'universo - polvere di stelle animata - ciononostante possiamo riflettere sulla natura dell'universo stesso e perfino intravedere le regole che lo fanno funzionare. Come sia nato il nostro legame con questa dimensione cosmica è un mistero, ma il lega-me stesso non può essere negato.

Che significa tutto questo? Che cos'è l'Uomo, per parte-cipare di un simile privilegio? Non posso credere che la nostra presenza in questo universo sia solo un gioco del fato, un accidente della storia, una battuta casuale del grande dramma cosmico. Il nostro coinvolgimento è trop-po intimo: la specie fisica Homo può anche non contare nulla, ma l'esistenza della mente in un organismo di un pianeta dell'universo è sicuramente un fatto d'importan-za fondamentale. L'universo ha generato, attraverso degli esseri coscienti, la consapevolezza di sé: non può essere un dettaglio banale, un sottoprodotto secondario di forze cieche e senza scopo. La nostra esistenza è stata voluta.

P. Davies

venerdì 14 novembre 2025

AGEs

 

AGES è un acronimo che sta per Advanced Glycation End-products.
Si tratta di un argomento di grande importanza, soprattutto in relazione al diabete, all'invecchiamento e alle malattie croniche.
Ecco una spiegazione dettagliata:
Cosa sono esattamente gli AGEs?
Gli AGEs (Prodotti Finali della Glicazione Avanzata) sono composti dannosi che si formano quando zuccheri (come il glucosio o il fruttosio) si legano in modo irreversibile a proteine o lipidi, senza l'intervento di un enzima (per questo si parla di "glicazione" non enzimatica, a differenza della "glicosilazione" enzimatica).
Questo processo avviene spontaneamente nell'organismo, ma è accelerato da alti livelli di zucchero nel sangue.
Perché gli AGEs sono un problema in medicina?
Una volta formati, gli AGEs danneggiano l'organismo attraverso due meccanismi principali:
• Alterazione Strutturale delle Proteine:
• Gli AGEs creano dei "ponti" rigidi tra le molecole proteiche, che normalmente sono flessibili.
• Questo irrigidisce i tessuti. Immagina di cuocere una bistecca: la carne morbida diventa dura perché le proteine si denaturano e si legano tra loro. Un processo simile avviene nel nostro corpo nel lungo termine.
• Attivazione di Recettori Specifici (RAGE):
• Il corpo ha dei recettori di membrana chiamati RAGE (Receptor for Advanced Glycation End-products).
• Quando gli AGEs si legano a questi recettori, innescano una cascata infiammatoria e di stress ossidativo, che porta a danni cellulari e tissutali.
Conseguenze Cliniche degli AGEs
L'accumulo di AGEs nel corpo è associato a numerose patologie, in particolare le complicanze croniche del diabete:
• Complicanze Vascolari: L'irrigidimento del collagene nelle pareti delle arterie favorisce l'aterosclerosi e l'ipertensione.
• Nefropatia: Danni ai piccoli vasi sanguigni dei reni.
• Retinopatia: Danni ai vasi sanguigni della retina, che possono portare alla cecità.
• Neuropatia: Danni ai nervi periferici, causando formicolio, dolore o perdita di sensibilità.
• Insufficienza Renale Cronica: I pazienti con insufficienza renale non riescono a eliminare gli AGEs, creando un circolo vizioso.
• Invecchiamento della Pelle: Il collagene e l'elastina della pelle vengono danneggiati, contribuendo alla formazione delle rughe.
• Malattia di Alzheimer: Gli AGEs sono stati trovati nelle placche amiloidi nel cervello dei pazienti affetti da Alzheimer e si ritiene contribuiscano al processo neurodegenerativo.
Fonti degli AGEs
Gli AGEs non sono prodotti solo dal nostro corpo. Possiamo assumerli anche dall'esterno, in particolare attraverso la dieta:
• Fonti Endogene (interne): Si formano naturalmente nel nostro organismo, soprattutto quando la glicemia è alta per lunghi periodi.
• Fonti Esterne (dieta): Si formano in alimenti ricchi di proteine e grassi quando vengono cotti ad alte temperature (soprattutto alla griglia, fritti, arrostiti). Gli alimenti con un alto contenuto di AGEs includono:
• Carni rosse alla griglia o ben cotte
• Pancetta fritta
• Formaggi stagionati e grassi
• Burro e margarina
• Prodotti da forno industriali (biscotti, cracker)

Cosa si può fare per ridurre gli AGEs?
• Controllo Glicemico: Per un diabetico, mantenere la glicemia sotto controllo è il modo più efficace per ridurre la formazione endogena di AGEs.
• Scelte Alimentari Sane:
• Preferire metodi di cottura come la bollitura, la cottura al vapore, lo stufato a fuoco lento.
• Limitare i cibi fritti, grigliati e altamente processati.
• Aumentare il consumo di alimenti di origine vegetale (frutta, verdura, legumi), che sono naturalmente poveri di AGEs.

In sintesi, in medicina AGES non è un'indicazione anagrafica, ma un indicatore di stress metabolico e di danno tissutale che gioca un ruolo cruciale nello sviluppo di molte malattie croniche legate all'età e al diabete.


 l'acronimo AGEs sta per Advanced Glycation End-products, che in italiano si traduce come Prodotti Finali della Glicazione Avanzata.
Ecco i punti chiave:
🔬 Cosa sono gli AGEs
• Sono un gruppo eterogeneo di molecole dannose che si formano nel corpo attraverso la glicazione, una reazione chimica non enzimatica (cioè che non richiede enzimi) tra gli zuccheri riducenti (principalmente glucosio, ma anche fruttosio) e i gruppi amminici liberi di proteine, lipidi (grassi) o acidi nucleici (DNA/RNA).
• In pratica, lo zucchero in eccesso si "attacca" a queste macromolecole, alterandone la struttura e la funzione.
⬆️ Come si formano e dove si trovano
Gli AGEs possono formarsi in due modi:
• AGEs Endogeni (dentro il corpo):

• Si formano fisiologicamente (naturalmente) nel corpo come conseguenza del metabolismo e dell'invecchiamento.
• La loro formazione è accelerata in condizioni di iperglicemia (alto livello di zuccheri nel sangue), come nel diabete (un esempio noto è l'emoglobina glicata, o HbA1c, che è un AGE utilizzato per monitorare il controllo glicemico).

• AGEs Esogeni (fonte esterna):
• Vengono introdotti con la dieta, specialmente attraverso cibi cotti ad alta temperatura (fritti, grigliati, arrostiti, infornati) che subiscono la reazione di Maillard (quella che dà il colore dorato o marrone e il sapore caratteristico). Esempi: carni arrostite/fritte, cibi da forno, snack, formaggi lavorati.
 Il loro impatto sulla salute (Patogenesi)
Una volta formati, gli AGEs si accumulano nei tessuti e contribuiscono significativamente ai processi di invecchiamento cellulare e allo sviluppo di diverse patologie croniche, principalmente perché:
• Promuovono Infiammazione e Stress Ossidativo: Interagiscono con specifici recettori (il più noto è il RAGE, Receptor for AGEs), attivando vie infiammatorie.
• Alterano le Proteine Strutturali: Si legano in modo irreversibile a proteine a lunga durata come il collagene e l'elastina, rendendole rigide, fragili e meno funzionali.
• Questo porta a rigidità delle arterie (rischio cardiovascolare), invecchiamento cutaneo (rughe, perdita di elasticità) e fragilità ossea.
• Complicanze del Diabete: Sono considerati un fattore chiave nello sviluppo delle complicanze a lungo termine del diabete (danni a reni, retina, nervi

Alimenti ad alto contenuto di AGEs
• Carne rossa e grassa: Soprattutto se cotta alla griglia, fritta o arrostita (es. bistecche, pollo con la pelle).
• Carni trasformate e lavorate: Come salumi, insaccati e carni in scatola.
• Formaggi: In particolare i formaggi stagionati e i latticini ad alto contenuto di grassi (es. parmigiano, crema di formaggio, burro).
• Prodotti da forno e pasticceria: Come pane tostato scuro, biscotti, torte, pizze e cracker, specialmente quelli con superfici dorate o bruciacchiate.
• Cibi fritti e grigliati: In generale, qualsiasi cibo cotto con questi metodi, soprattutto se presenta parti scure o bruciate.
• Oli, margarina, maionese: Le fonti di grassi che vengono riscaldate.
• Cibi industriali altamente trasformati: Piatti pronti, snack e cereali per la colazione estrusi ad alta temperatura, a cui spesso vengono aggiunti AGEs artificiali per migliorarne il sapore

Gli AGES sono prodotti finali della glicazione avanzata delle proteine o lipidi che si legano indissolubilmente caramellandosi (reazione di Mailard) agli zuccheri durante i processi di cottura e si vanno ad annidare nei tessuti molli creando danni ingenti a carico degli endoteli e a carico di vasi, cartilagini e sinovie articolari.

Gli AGES sono prevalenti nel sistema vascolare diabetico e contribuiscono allo sviluppo dell'arteriosclerosi ma sono comunque il rischio di un'alimentazione che utilizza cotture a elevate e prolungate temperature, meglio prediligere la cottura a bassa temperatura.

In un giorno in ogni cellula del nostro corpo si accumulano, per errore, da 1.000 a 1 milione di lesioni molecolari. Per fortuna nell'organismo esistono proteine che "pattugliano" il DNA alla ricerca di errori, e li ripa-rano. Una di queste si chiama SUMO (Small Ubiquitin-like Modifier) ed è in grado di impedire che le cellule con un DNA danneggiato continui-
duplicarsi dando origine a tumori e metastasi con un meccanismo chiamato sumoilazione


sabato 8 novembre 2025

Gesù è la stella polare che non delude

 

In un tempo segnato da tante croci Gesù è la stella polare che non delude

In un tempo segnato da tante croci Gesù è la stella polare che non delude  QUO-254
05 novembre 2025

«Il nostro tempo, segnato da tante croci, invoca l’alba della speranza pasquale», perché il Risorto è «la stella polare verso cui indirizzare la nostra vita di apparente caos». Lo ha detto Leone XIV all’udienza generale di stamane, mercoledì 5 novembre, in piazza San Pietro. Proseguendo il ciclo di riflessioni inaugurato dal predecessore Francesco sul tema giubilare «Cristo nostra speranza», il Papa si è soffermato ancora sulla Risurrezione, e in particolare su come la Pasqua dia speranza alla vita quotidiana. Ecco la catechesi del Pontefice.

Cari fratelli e sorelle,
buongiorno!
E benvenuti tutti.

La Pasqua di Gesù è un evento che non appartiene a un lontano passato, ormai sedimentato nella tradizione come tanti altri episodi della storia umana. La Chiesa ci insegna a fare memoria attualizzante della Risurrezione ogni anno nella domenica di Pasqua e ogni giorno nella celebrazione eucaristica, durante la quale si realizza nel modo più pieno la promessa del Signore risorto: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20).

Per questo il mistero pasquale costituisce il cardine della vita del cristiano, attorno a cui ruotano tutti gli altri eventi. Possiamo dire allora, senza alcun irenismo o sentimentalismo, che ogni giorno è Pasqua. In che modo?

Sperimentiamo ora per ora tante esperienze diverse: dolore, sofferenza, tristezza, intrecciate con gioia, stupore, serenità. Ma attraverso ogni situazione il cuore umano brama la pienezza, una felicità profonda. Una grande filosofa del Novecento, Santa Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein, che ha tanto scavato nel mistero della persona umana, ci ricorda questo dinamismo di costante ricerca del compimento. «L’essere umano — ella scrive — anela sempre ad avere di nuovo in dono l’essere, per poter attingere ciò che l’attimo gli dà e al tempo stesso gli toglie» (Essere finito ed Essere eterno. Per una elevazione al senso dell’essere, Roma 1998, 387). Siamo immersi nel limite, ma siamo anche protesi a superarlo.

L’annuncio pasquale è la notizia più bella, gioiosa e sconvolgente che sia mai risuonata nel corso della storia. Essa è il “Vangelo” per eccellenza, che attesta la vittoria dell’amore sul peccato e della vita sulla morte, e per questo è l’unica in grado di saziare la domanda di senso che inquieta la nostra mente e il nostro cuore. L’essere umano è animato da un movimento interiore, proteso verso un oltre che costantemente lo attrae. Nessuna realtà contingente lo soddisfa. Tendiamo all’infinito e all’eterno. Ciò contrasta con l’esperienza della morte, anticipata dalle sofferenze, dalle perdite, dai fallimenti. Dalla morte «nullu homo vivente po skampare», canta San Francesco (cfr. Cantico di frate sole).

Tutto cambia grazie a quel mattino in cui le donne, recatesi al sepolcro per ungere il corpo del Signore, lo trovarono vuoto. La domanda rivolta dai Magi giunti dall’oriente a Gerusalemme: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei?» (Mt 2, 1-2), trova la sua risposta definitiva nelle parole del misterioso giovane vestito di bianco che parla alle donne nell’alba pasquale: «Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. Non è qui. È risuscitato» (Mc 16, 6).

Da quel mattino fino a oggi, ogni giorno, Gesù avrà anche questo titolo: il Vivente, come Lui stesso si presenta nell’Apocalisse: «Io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre» (Ap 1, 17-18). E in Lui noi abbiamo la sicurezza di poter trovare sempre la stella polare verso cui indirizzare la nostra vita di apparente caos, segnata da fatti che spesso ci appaiono confusi, inaccettabili, incomprensibili: il male, nelle sue molteplici sfaccettature, la sofferenza, la morte, eventi che riguardano tutti e ciascuno. Meditando il mistero della Risurrezione, troviamo risposta alla nostra sete di significato.

Davanti alla nostra umanità fragile, l’annuncio pasquale si fa cura e guarigione, alimenta la speranza di fronte alle sfide spaventose che la vita ci mette davanti ogni giorno a livello personale e planetario. Nella prospettiva della Pasqua, la Via Crucis si trasfigura in Via Lucis. Abbiamo bisogno di assaporare e meditare la gioia dopo il dolore, di ri-attraversare nella nuova luce tutte le tappe che hanno preceduto la Risurrezione.

La Pasqua non elimina la croce, ma la vince nel duello prodigioso che ha cambiato la storia umana. Anche il nostro tempo, segnato da tante croci, invoca l’alba della speranza pasquale. La Risurrezione di Cristo non è un’idea, una teoria, ma l’Avvenimento che sta a fondamento della fede. Egli, il Risorto, mediante lo Spirito Santo continua a ricordarcelo, perché possiamo essere suoi testimoni anche dove la storia umana non vede luce all’orizzonte. La speranza pasquale non delude. Credere veramente nella Pasqua attraverso il cammino quotidiano significa rivoluzionare la nostra vita, essere trasformati per trasformare il mondo con la forza mite e coraggiosa della speranza cristiana

lunedì 3 novembre 2025

I legami fra una persona e noi

 «I legami fra una persona e noi esistono solamente nel pensiero. La memoria, nell’affievolirsi, li allenta; e, nonostante l’illusione di cui vorremmo essere vittime, e, con la quale, per amore, per amicizia, per cortesia, per rispetto umano, per dovere, inganniamo gli altri, noi viviamo soli. L’uomo è l’essere che non può uscire da⁰p sé, che non conosce gli altri se non in se medesimo, e che, se dice il contrario, mente».

Marcel Proust, “Alla ricerca del tempo perduto”.

padre Miguel Pro

 Il 23 novembre 1927, padre Miguel Pro camminò dalla sua cella al cortile dove lo aspettava il plotone d'esecuzione, con il fotografo pronto lì accanto. Le fotografie mostrano un padre Miguel Pro sicuro e coraggioso, inginocchiato davanti ai suoi carnefici, affrontandoli senza benda sugli occhi, perdonandoli, benedicendoli, stringendo un rosario in una mano e un crocifisso nell’altra. Gridò: “Che Dio abbia misericordia di voi! Che Dio vi benedica! Signore, Tu sai che sono innocente! Con tutto il cuore perdono i miei nemici!” Poi si alzò, affrontò il plotone d’esecuzione, allargò le braccia come in croce e pregò a voce alta: “Viva Cristo Rey!” Dopo che gli spari risuonarono, padre Pro era ancora vivo, così uno dei soldati si avvicinò e gli sparò a bruciapelo.

Quando le fotografie e il racconto apparvero il giorno seguente, il popolo messicano fu profondamente ispirato dal loro giovane martire. Sebbene la pubblicazione sui giornali fosse intesa come un deterrente per i Cristeros, le immagini e la storia ebbero l’effetto opposto. Si stima che 40.000 persone affollarono le strade per il corteo funebre di padre Pro. Anche se non era permessa né una Messa cattolica né i riti di sepoltura, circa 20.000 Cristeros pregarono al cimitero mentre il suo corpo veniva deposto nella tomba.

Il beato Miguel Pro si innamorò del suo Signore durante un periodo di estrema persecuzione. Invece di tirarsi indietro dalla sua fede, pregò e adempié il suo ministero sacerdotale con coraggio e amore. La sua vita culminò con una scelta: essere amareggiato oppure perdonare e sperare nel suo Dio. Scelse la seconda. Possa la sua vita e la sua testimonianza ispirare tutti coloro che sono perseguitati per la loro fede, e possano le sue preghiere assisterti nel tuo cammino quando i tempi sono difficili. La seguente preghiera fu scritta dal beato Miguel nel suo diario poco prima della sua morte:


Preghiera: Io credo, o Signore; ma rafforza la mia fede … Cuore di Gesù, Ti amo; ma aumenta il mio amore. Cuore di Gesù, confido in Te; ma dona maggiore vigore alla mia fiducia. Cuore di Gesù, Ti dono il mio cuore; ma racchiudilo in Te in modo che non possa mai essere separato da Te. Cuore di Gesù, io sono tutto Tuo; ma prenditi cura della mia promessa affinché io possa metterla in pratica fino al completo sacrificio della mia vita.

Beato Miguel Agustín Pro, prega per me. Gesù, confido in Te.

domenica 2 novembre 2025

Cosa significa essere un uomo?

 Cosa significa essere un uomo?

Significa non mentire a se stessi. Significa restare in piedi anche quando ti hanno tagliato le gambe. Significa avere coraggio, sì, ma non quello dei gesti teatrali — quello silenzioso di chi non si vende, di chi non tradisce.

Essere un uomo è non piegare la testa davanti alla paura, alla fame, all’amore. È avere la dignità di chi sa che tutto può essere tolto, tranne la propria anima.

Significa credere ancora nell’umanità anche quando l’umanità ti ha deluso mille volte. È continuare a credere, stupido e ostinato, che un gesto, una parola, una ribellione possano cambiare qualcosa.

Significa amare senza catene, perché l’amore non deve mai essere una prigione, né un’àncora, ma vento.

E poi lottare, sempre. Lottare per ciò che sei, anche quando non ti resta che il tuo nome e la tua voce.

Guarda, più o meno è ciò che dice Kipling, sì — in quella poesia intitolata Se. Ma Kipling non sapeva cosa significasse vivere in una cella, o scrivere con la paura che bussino alla porta. Tu invece lo sai.

E se mi chiedi cos’è, per me, un uomo…

Direi che un uomo è ciò che sei tu, Alekos.

Non perché sei forte, ma perché sei vero. Perché non hai paura di essere libero. Perché hai capito che la libertà è l’unica patria che valga la pena di servire.

E io, che ti ho visto sanguinare senza chiedere pietà, ti dico: essere un uomo è questo. È continuare a camminare, anche quando il mondo ti costringe in ginocchio.


𝐎𝐫𝐢𝐚𝐧𝐚 𝐅𝐚𝐥𝐥𝐚𝐜𝐢 ღ 𝐀𝐯𝐞𝐯𝐚 𝐫𝐚𝐠𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐥𝐚 𝐬𝐭𝐫𝐞𝐠𝐚


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so che tutte le cose vivono in Te.

so che tutte le cose vivono in T

 “Io credo e so che tutte le cose vivono in Te. Tutto quanto c’è nel creato di essere, vita, perfezione, gioia, felicità è, nella sua sostanza, semplicemente e assolutamente Tuo. E immergendosi nell’oceano della Tua infinita perfezione che tutti gli esseri traggono quanto hanno di bene. Tutto ciò che è meraviglioso quanto a talento o genio non è che un pallido riflesso del più debole raggio della Mente Eterna. Tutto ciò che noi riusciamo a far bene non è dovuto solamente al Tuo aiuto, ma anche alla imitazione di quella santità che in Te trova la sua pienezza. Verrà, mio Dio, il giorno in cui potrò vederTi? Potrò vedere la sorgente di quella grazia che mi illumina, mi rafforza e mi consola? E, come ho avuto origine da Te, come sono creato da Te, come vivo in Te, possa io infine tornare a Te, e restare con Te nei secoli dei secoli”. Amen.


San Giovanni Enrico Newman, Cardinale, Dottore della Chiesa



sabato 1 novembre 2025

Il «cuore religioso» di Pasolini

 


Il «cuore religioso» di Pasolini
Il 2 novembre di cinquant’anni fa veniva trovato il corpo senza vita del grande scrittore e regista. Un suo editoriale sul Corriere della Sera colpì in modo particolare don Giussani, che disse: «È l’unico intellettuale cattolico». E ancora: «Se fosse venuto a un nostro gesto avrebbe pianto». Un brano della biografia del fondatore del movimento ricorda il loro mancato incontro


31.10.2025


Pier Paolo Pasolini (©Ansa / Us Cineteca di Bologna / Angelo Novi)
Il 2 novembre 1975 sul litorale di Ostia viene ritrovato il corpo senza vita di Pier Paolo Pasolini. Scrittore, poeta, regista, drammaturgo, giornalista è stato uno dei più grandi intellettuali italiani del secondo dopoguerra. Attento osservatore dei cambiamenti in atto, nei suoi testi scrisse in modo critico e spesso controcorrente di “omologazione”, di “società dei consumi” di “uccisione di un popolo”; persino il Sessantotto fu svestito della sua aura trionfalistica. Tutte forme del «Potere senza volto», titolo di un suo editoriale pubblicato sul Corriere della Sera il 24 giugno 1974. Proprio quell’articolo fece sobbalzare sulla sedia don Giussani, al punto che a un amico disse: «Leggi qua, è l’unico intellettuale cattolico, l’unico». Mesi dopo, decise di scrivere allo scrittore friulano. Lettera che però non fu completata perché sopraggiunse la notizia dell’uccisione. 
Nel cinquantesimo della morte, pubblichiamo le pagine della biografia di Alberto Savorana Vita di don Giussani dedicate a quel “mancato” incontro.

Il mancato incontro con Pasolini
La mattina del 3 novembre 1975, nel suo studio di via Martinengo Giussani apprende dal Corriere della Sera dell’uccisione di Pier Paolo Pasolini. Con lui c’è Laura Cioni, che scorge sulla scrivania una lettera indirizzata allo scrittore, che non sarà mai completata: «Esprimeva una totale consonanza con le posizioni da lui sostenute in tanti articoli sul Corriere della Sera» ricorda la Cioni.
Lucio Brunelli rammenta un episodio del 1974. Durante una pausa a un corso di Esercizi spirituali, si imbatte in Giussani, seduto su una sedia, intento a leggere il Corriere della Sera. «Mi vede passare e ballando letteralmente sulla sedia mi chiama: “Vieni Lucio, leggi qua, è l’unico intellettuale cattolico, l’unico…”». Si riferisce a un editoriale di Pasolini (che ha iniziato da poco a scrivere sul quotidiano di Milano) del 24 giugno 1974. L’articolo che lo ha entusiasmato è intitolato «Il Potere senza volto». Pasolini scriveva: «Conosco anche – perché le vedo e le vivo – alcune caratteristiche di questo nuovo Potere ancora senza volto»; per esempio, puntualizzava, «la sua decisione di abbandonare la Chiesa, la sua determinazione (coronata da successo) di trasformare contadini e sottoproletari in piccoli borghesi, e soprattutto la sua smania, per così dire cosmica, di attuare fino in fondo lo “Sviluppo”: produrre e consumare». Soprattutto, Pasolini terminava l’articolo osservando che il fine del nuovo potere è «l’omologazione brutalmente totalitaria del mondo».
Da allora Giussani farà riferimento più di una volta a questo giudizio. È proprio questa idea centrale di Pasolini che glielo fa sentire interessante, vale a dire «l’orrore di quella che lui chiamava “omologazione”, il livellamento di tutte le teste, di tutti i cuori e di tutti i metodi di vita, vale a dire l’uccisione di un popolo, perché un popolo è fatto di persone e non c’è una persona uguale all’altra, come pensiero, come cuore e come azione. Un popolo costruisce; gente omologata – anche se cento, mille volte superiore di numero – non crea niente: ripete, anzi, ripete scadendo».
Nell’ultima intervista, registrata da Furio Colombo il 1° novembre e pubblicata postuma l’8 novembre 1975, Pasolini dice: «La tragedia è che non ci sono più esseri umani, ci sono strane macchine che sbattono l’una contro l’altra. […] Il potere è un sistema di educazione […] che ci forma tutti, dalle cosiddette classi dirigenti, giù fino ai poveri. Ecco perché tutti vogliono le stesse cose e si comportano nello stesso modo. […] Hai mai visto quelle marionette che fanno tanto ridere i bambini perché hanno il corpo voltato da una parte e la testa dall’altra? […] Ecco io vedo così le truppe di intellettuali, sociologi, esperti, giornalisti dalle intenzioni più nobili. Le cose succedono qui e la testa guarda di là. […] State attenti. L’inferno sta salendo da voi. È vero che viene con maschere e bandiere diverse. È vero che sogna la sua uniforme e la sua giustificazione. Ma è anche vero che la sua voglia, il suo bisogno di dare la sprangata, di aggredire, di uccidere, è forte ed è generale. Non resterà per tanto tempo l’esperienza privata e rischiosa di chi ha, come dire, toccato la “vita violenta”. Non vi illudete. E voi siete con la scuola, la televisione, la pacatezza dei vostri giornali, voi siete i grandi conservatori di quest’ordine orrendo basato sull’idea di possedere e sull’idea di distruggere». Il giorno dopo la registrazione dell’intervista, domenica 2 novembre 1975, il corpo senza vita di Pasolini viene ritrovato sul litorale di Ostia. Giussani racconterà con rammarico l’episodio del suo mancato incontro con Pasolini: «Quanto mai quella sera non l’ho accostato – aspettavo l’ultimo aereo che partiva da Milano verso Roma –, distratto da monsignor Pisoni! Se Pasolini fosse stato a due nostri raduni, ci avrebbe investito di invettive, ma sarebbe diventato uno dei nostri capi!». E proprio sul tema educativo, così decisivo per entrambi, citerà spesso una frase di Pasolini: «Se qualcuno invece ti avesse educato, non potrebbe averlo fatto che col suo essere, non col suo parlare». 
Giussani prenderà Pasolini come esempio per descrivere la parabola di tanti loro coetanei (erano nati entrambi nel 1922), figli della tradizione cattolica ricevuta dalle loro madri e da essa allontanatisi per una mancata educazione successiva: «In un paese del Triveneto, cattolicissimo come ambiente, c’era uno che, disubbidendo a sua madre, era andato a trovare, in una certa taverna, in un paese vicino, un gruppo di tre o quattro giovani scalmanati che a lui piacevano. […] e questo nel tempo lo aveva dissuaso dall’andare in chiesa alla domenica, dall’ascoltare sempre sua madre. […] Quel ragazzo è diventato Pasolini. Egli, la tradizione cristiana genuina, avendola succhiata dal seno di sua madre, l’ha avuta, la doveva vivere, era costretto a viverla, anche se interpretava tutto in modo diverso: secondo la mentalità del gruppo. Dunque, è diventato Pasolini, uno dei più grandi scrittori italiani. […] Pasolini ha incontrato un gruppo di persone che si ponevano contro la società di allora, contro la cultura di allora, come innovatori. […] ha cercato una strada sbagliata: ha detto che la verità non c’è – meglio, che la verità non si sa cosa sia – […]. Ma lentamente, nella sua vita, si è sentito riecheggiare quello che diceva sua madre sulla vita, sulla verità e sulla strada da battere. Se avesse incontrato uno con la nostra passione, se fosse venuto a un gesto della nostra comunità, soprattutto a certi momenti, Pasolini avrebbe pianto». 
A questa frattura, della quale è stato testimone Pasolini, Giussani fa riferimento il 12 ottobre 1975, due settimane prima che lo scrittore venga ucciso: «Il delitto del nostro tempo è d’aver provocata, poi teorizzata, quindi resa sistematica, la rottura fra la coscienza religiosa del popolo, migliaia d’anni l’avevano costruita, e la situazione umana che il popolo deve vivere. Perché la rottura fra queste due cose divide l’uomo, spacca l’uomo, perché l’uomo vive del problema del pane e del companatico, vive del problema dei figli e della difficoltà d’un matrimonio umano, vive di questi problemi, vive del problema di una società in cui ci sia libertà espressiva per i sentimenti naturali. Ebbene, la società di oggi pretende di affrontare questi problemi a prescindere, astraendoli, strappandoli via da quel sentimento del cuore che costituisce il luogo dell’unità di tutto». Giussani insiste: «Una coscienza religiosa che non si dimostri incidente, capace di dire una parola, capace di mobilitare più facilmente la soluzione dei problemi, è una fede o un sentimento religioso che è sentito sempre di più non c’entrare con la vita. Quanto più i problemi sono forti, tanto più fugge lontano come una nuvoletta che soltanto una certa sentimentalità può trattenere con rispetto, ma non vale per [motivare] qualsiasi sacrificio». Dall’altra parte, i problemi umani «vengono affrontati in modo impostore, vengono affrontati in modo mentitore. Perché il luogo della verità dell’umano, proprio nel senso più semplice della parola, è il cuore religioso».

A. Savorana, Vita di don Giussani, Rizzoli, Milano 2013, pp. 535-538.

giovedì 30 ottobre 2025

Antonio Cardarelli

 Non aveva il bisturi di un chirurgo, aveva l’udito di un violinista.


Antonio Cardarelli nacque nel 1831 a Civitanova del Sannio, in provincia di Campobasso.


Era figlio di contadini, ma aveva una fame feroce di conoscenza.


Studiò medicina a Napoli, con la tenacia di chi sa che ogni esame è un passo per aiutare chi non può permettersi nulla.


E quando entrò negli ospedali napoletani, si trovò davanti il vero nemico: la miseria.


Tubercolosi, colera, febbre tifoide, insufficienze cardiache.


Lì non bastavano i libri, servivano orecchie, occhi, pazienza, serviva ascoltare il corpo, come si ascolta un racconto.


Cardarelli diventò maestro della semeiotica medica:

l’arte di diagnosticare senza strumenti,

solo con l’osservazione e l’analisi dei sintomi.


Aveva una capacità straordinaria: bastava che posasse l’orecchio sul petto di un paziente,

e capiva il cuore,  conosceva il respiro, il colore della pelle, il battito irregolare.


Ogni dettaglio era una parola, ogni silenzio, un indizio.


Il suo nome divenne una leggenda.


Si parla ancora oggi del “segno di Cardarelli”, una manovra clinica usata per diagnosticare l’aneurisma dell’arco aortico.


Un gesto semplice, ma preciso, che ha salvato migliaia di vite, senza TAC, enza ecografie, solo con l’esperienza di chi sa leggere il corpo come un libro.


Fu medico personale di re, ministri, personaggi celebri.


Ma non lasciò mai l’ospedale di Napoli.

Per lui, la medicina era missione, non carriera.


Alla fine della sua vita, scrisse un’unica frase da incidere sulla tomba:

“Visse povero, morì povero.”


Oggi, l’ospedale più grande del Sud porta il suo nome.


Ma non è quello il vero monumento.


Il vero ricordo è in ogni medico che tocca un paziente con rispetto, in ogni diagnosi fatta con cura.


In ogni vita salvata… con l’orecchio prima che con la macchina.


Perché Antonio Cardarelli ha insegnato che la medicina, prima ancora di essere scienza,

è ascolto.


Fonte e fotografie 

Piccole Storie

Wikipedia

mercoledì 29 ottobre 2025

 Cosa vuole da te il Signore? Egli vuole che dovunque vada, ovunque tu esprima fatica, ovunque metta in atto la tua esistenza, possa sentirsi il buon profumo di Cristo, e che ti lasci scavare l'anima dalle lacrime dei poveri, di coloro che soffrono, e interpreti la vita come dono e non come peso».

Don Tonino Bello


Il futuro della Chiesa

 Il futuro della Chiesa può risiedere e risiederà in coloro le cui radici sono profonde e che vivono nella pienezza pura della loro fede. Non risiederà in coloro che non fanno altro che adattarsi al momento presente o in quelli che si limitano a  Il futuro della Chiesa  gli altri e assumono di essere metri di giudizio infallibili, né in coloro che prendono la strada più semplice, che eludono la passione della fede, dichiarandola falsa e obsoleta, tirannica e legalistica, tutto ciò che esige qualcosa dagli uomini, li ferisce e li obbliga a sacrificarsi. Per dirla in modo più positivo: il futuro della Chiesa, ancora una volta come sempre, verrà rimodellato dai santi, ovvero dagli uomini le cui menti sono più profonde degli slogan del giorno, che vedono più di quello che vedono gli altri, perché la loro vita abbraccia una realtà più ampia. 


Natale 1969 parte 1

( postato dalla Costanza Miriano )

sabato 25 ottobre 2025

Colesterolo statine

 Il problema  non è  il colesterolo ma il PCR HS ad alta sensibilità. 

Se c'è L'infiammazione trasformiamo il colesterolo in colesterolo ossidato
[ C'è il rischio del colesterolo quando supera i 300  ed i valori della PCR HS sono normali solo allora bisogna prendere  le statine (FDA 2013)
La statina abbassa il colesterolo  del cervello  (che se lo autoproduce) in quanto supera la barriera encefalica e crea problemi
di depressione, crisi di panico)

Abbasso il Dolicoli  nel cervello che  è  uno dei componenti della neuromelanima che forma 14% della sostanza nigra  e serve  per tenere pulito  il nostro cervello dalle scorie  che si formano
Se non c'è, provoca la morte dei neuroni dopaminergici quindi rischio il parkinson

Le statine possono danneggiare il fegato,  il rene


Prima di iniziare le statine
Diminuire le 3 P pane pasta pizza
Ciò che alza il colesterolo 
Il colesterolo lo produciamo noi con i cereali
Ciò che alza il colesterolo 
Il colesterolo lo produciamo noi con i cereali
Bisogna tenere basso valore dell'insulina il valore dell'indice insulinemico
  nel formaggio è 480 mentre quello glicemico è 0
uovo 0 glicemico insulinemico 78

L'insulina è  un infiammatorio
L'infiammazione è  il fattore predisponente della formazione delle placche
Riso rosso fermentato e un tipo blando di statina meglio prendere questo.

Prof Sozio

  

venerdì 24 ottobre 2025

Hermann Cohen

 



Hermann Cohen
***
Carissimo Amico dell’Abbazia di San Giuseppe,

Al grido unanime dell'umanità sofferente: «Felicità, dove sei?», un celebre predicatore rispondeva: «La felicità, l'ho cercata nel bel mondo, nell'ebbrezza dei balli e delle feste; l'ho cercata nel possesso dell'oro, nelle emozioni del gioco, nell'intimità degli uomini celebri, in tutti i piaceri dei sensi e dello spirito... La maggior parte degli uomini s'inganna sulla natura stessa della felicità; e la cerca là dove non c'è... Si ama la felicità, e Gesù Cristo, sola felicità possibile, non è amato... O Dio mio! è mai possibile? l'Amore non è amato! Perchè? perchè non è conosciuto. Si esamina tutto, tranne Lui... O voi tutti che mi ascoltate, bisogna dunque che sia un Ebreo a supplicare i cristiani di adorare Gesù Cristo?... Ma, mi si dirà: «Non credo in Gesù Cristo». Neppure io vi credevo, ed è appunto per questo che ero infelice!» Il predicatore si chiama Hermann Cohen; è nato il 10 novembre 1821 ad Amburgo. La sua famiglia occupa un alto rango fra i circa ventimila Ebrei della città. Crescendo, il piccolo Hermann si dimostra devoto. Gli piace cantare in tedesco cantici e Salmi. Istintivamente, non si sente a suo agio in una società laicizzata: preferisce il mistero che circonda i riti venerabili ancora osservati, per esempio la lettura della Bibbia in ebraico su un rotolo di pergamena avvolto in una stoffa preziosa.
Hermann ed il fratello maggiore, Alberto, vengono inviati in una scuola media protestante. Il fatto che appartengano alla comunità ebraica attira loro molti sarcasmi. Ma, dotato di un'intelligenza superiore, Hermann diventa ben presto il primo della classe, stimato dai professori e dai condiscepoli. Tuttavia, le sue risorse intellettuali sono di gran lunga inferiori al suo prodigioso dono musicale. Inebriato fin dalla più tenera età dal successo che ottiene ad Amburgo come pianista, la sua ambizione non conosce più limiti. I genitori, inizialmente reticenti, preoccupati da gravi rovesci di fortuna, lo lasciano seguire la sua inclinazione per la vita d'artista.
Se ne va ben presto a Parigi, dove diventa l'alunno preferito del virtuoso Franz Liszt (1811-1886). I successi del giovane prodigio tredicenne sbalordiscono gli ambienti mondani parigini. Affascinato dalle utopie rivoluzionarie, Hermann diventa in breve uno dei propagandisti più zelanti dell'abolizione del matrimonio, del terrore, della spartizione dei beni, dei piaceri sfrenati, ecc. George Sand lo prende sotto la sua protezione e gli istilla il veleno dei suoi romanzi peggiori.
Improvvisamente, Liszt fugge in Svizzera con la contessa Maria d'Agoult. Hermann decide di seguire il maestro; vive nell'intimità della coppia illegittima e trova «sublime» il coraggio della donna «che, per seguire la sua passione, ha abbandonato tutto, la casa, la madre, il marito, i figli». Già pensa al giorno in cui potrà anche lui ispirare una passione capace di spezzare tanti ostacoli. Di ritorno a Parigi, si lascia invadere dalla passione del gioco ed accumula i debiti. Le lezioni di musica gli procurano denaro ed il denaro paga non i debiti, ma i piaceri. «La mia vita, scriverà, fu allora un abbandono totale a tutti i capricci ed a tutte le fantasie. Ne fui felice? No, Dio mio! la sete di felicità che mi divorava non fu affatto estinta». «Tutti i giovani che conoscevo vivevano come me, cercando il piacere ovunque esso si presentasse, desiderando ardentemente la ricchezza, per poter seguire tutte le loro inclinazioni, soddisfare tutti i loro capricci. Quanto al pensiero di Dio, esso non veniva mai loro in mente».
Il tormento di Dio
Tuttavia, figlio d'Israele, egli porta in sè, a sua insaputa il tormento di Dio. Ma tale tormento, lo risente con la viva sensibilità d'artista, che prevale sulla ragione. Allora, scriverà più tardi, «tutto mi riuscì con un incredibile successo: il «faubourg Saint-Germain» mi adottò... tutte le seduzioni del mondo s'impossessarono del mio spirito... Tuttavia, non avevo il tempo di riflettere a quest'esistenza tanto degna d'essere invidiata nell'opinione di molta gente, ed ero in realtà sempre inquieto». Infatti, è schiavo delle sue cattive passioni: «Ah, l'orribile schiavitù! L'ho provata anch'io: ero imbavagliato, incatenato da ceppi di ergastolano!... Comprendevo che dovevo rompere le catene... e non potevo».
È a questo punto, a 26 anni, quando un venerdì del mese di maggio 1847, il principe de la Moskova lo prega di voler cortesemente sostituirlo alla direzione di un coro di dilettanti, per le solennità del Mese di Maria nella chiesa di San Valerio, a Parigi. «Accettai, ispirato unicamente dall'amore per l'arte musicale e la soddisfazione di far un piacere. Quando giunse il momento della Benedizione del Santissimo Sacramento, provai un turbamento indefinibile. Fui, senza che la mia volontà vi partecipasse, trascinato a chinarmi verso il suolo. Tornato il venerdì seguente, fui impressionato assolutamente allo stesso modo e fui colpito dall'idea improvvisa di farmi cattolico».
Provando un'attrattiva che lo riporta sempre verso quella chiesa, ha l'occasione, poco più tardi, di assistere varie volte alla Messa, con una gioia interiore che assorbe tutte le sue facoltà. Per provare a capire il mistero che scopre in sè, prende contatto con un sacerdote cattolico, don Legrand. Egli lo ascolta con benevolenza e dolcezza. La sua accoglienza «fece svanire improvvisamente uno dei pregiudizi più solidamente inveterati nel mio spirito. Avevo paura dei sacerdoti!... Non li conoscevo che attraverso la lettura di romanzi che li rappresentavano come uomini intolleranti, con sempre sulle labbra minacce di scomunica... E mi trovavo in presenza di un uomo colto, modesto, buono, aperto, che attendeva tutto da Dio e nulla da se stesso!»
Una calma sconosciuta
Trovandosi l'8 agosto seguente ad Ems (Germania) per un concerto, assiste alla Messa domenicale nella chiesetta cattolica della città. Al momento dell'elevazione della Santa Ostia, non può trattenere un torrente di lacrime. «Spontaneamente, come per intuito, mi misi a confessare a Dio tutti gli enormi peccati commessi dall'infanzia in poi: li vedevo lì, stesi davanti a me a migliaia, orribili, ripugnanti... E tuttavia, sentii pure, grazie ad una calma sconosciuta che venne a spargere il suo balsamo sulla mia anima, che il Dio di misericordia me li avrebbe perdonati, che avrebbe avuto pietà della mia contrizione sincera, del mio dolore amaro... Sì, sentii che mi faceva grazia, e che accettava come espiazione la mia ferma risoluzione di amarlo sopra tutte le cose e di convertirmi ormai a Lui. Uscendo dalla chiesa di Ems, ero già cristiano di cuore...»
Ritenendo che deve la propria «conversione eucaristica» alla Beata Vergine Maria, decide di onorarla con un culto particolare. Tornato a Parigi, si affida alla guida di don Legrand. Questi si applica a discernere se si tratti di un fuoco di paglia o di un cambiamento di vita in profondità; poi mette Hermann in relazione con don Teodoro Ratisbonne, Ebreo convertito, che si consacra all'opera di apostolato a favore degli Ebrei. Hermann riceve il Battesimo nella cappella di detta opera, Nostra Signora di Sion, a Parigi, il 28 agosto 1847, nella ricorrenza della festa di sant'Agostino, che sceglie quale patrono. L'8 settembre, fa la prima Comunione; ben presto, si comunicherà quotidianamente.
«Abbandonate i trastulli!»
Hermann vorrebbe rinunciare immediatamente al mondo ed entrare in un convento, «per ivi consacrarsi esclusivamente al servizio del Signore»; ma ha un sacco di debiti da rimborsare, il che gli porterà via due anni. In un pomeriggio del novembre 1848, entra nella cappella delle Carmelitane della via Denfert-Rochereau a Parigi. Il Santissimo vi è esposto per la notte, davanti a delle adoratrici. Gli viene lì l'idea di fondare «un'associazione che abbia per scopo l'esposizione e l'adorazione notturna del Santissimo, la riparazione delle ingiurie di cui è oggetto». Nata il 22 novembre 1848, con l'approvazione del Vicario generale di Parigi, l'associazione per l'adorazione notturna degli uomini riunisce per la prima volta i suoi membri, nella notte dal 6 al 7 dicembre, nella chiesa di Nostra Signora delle Vittorie, in unione filiale con Papa Pio IX, rifugiato a Gaeta. Nella sua felicità, Hermann si rivolge agli amici di un tempo: «Ma venite a questo Banchetto celeste, che è stato allestito dall'eterna Sapienza. Venite, abbandonate i trastulli, le chimere... Chiedete a Gesù la bianca veste del perdono; e con un cuore nuovo, con un cuore puro, abbeveratevi alla fonte limpida del suo Amore». A poco a poco, l'associazione si propaga in tutto il mondo; esiste ancora oggi.
Dopo aver pagato i suoi debiti, Hermann è libero. La grazia di Dio lo attira verso l'Ordine dei Carmelitani. Fin dall'epoca del Battesimo, ha manifestato il desiderio di ricevere lo scapolare di Nostra Signora del Monte Carmelo. Fra l'Ascensione e la Pentecoste del 1849, durante un ritiro, legge la vita di san Giovanni della Croce; questa scoperta gli permetterà di fissare irrevocabilmente le sue intenzioni. Il 16 luglio 1849, ricorrenza di Nostra Signora del Monte Carmelo, dice addio alla sua famiglia e si reca al convento di Agen, poi a quello di Le Broussey, vicino a Bordeaux, dove ha luogo il noviziato. Un mese più tardi, scrive a sua madre: «L'ordine religioso in cui sono entrato è sorto fra gli Ebrei, 930 anni avanti Cristo: è il Profeta Elia dell'Antico Testamento che lo ha fondato sul monte Carmelo, in Palestina. È un ordine di veri Ebrei, figli dei Profeti che aspettavano il Messia, che hanno creduto in lui quando è venuto. Si sono perpetuati fino ai nostri giorni, vivendo allo stesso modo, con le medesime privazioni del corpo e con i medesimi godimenti dello spirito, di circa 2800 anni fa. Portano ancora oggi il nome dell'Ordine del Monte Carmelo. Fra questi monaci, si distinguono quelli nati dalla riforma di santa Teresa d'Avila e san Giovanni della Croce, detti Carmelitani scalzi... Appartengo a questo ramo... Perchè praticare questa vita? Per imitare la vita che ha condotto Gesù Cristo quando è venuto a salvare gli uomini attraverso le sofferenze, l'obbedienza, le umiliazioni, la povertà, la croce... Ecco la vita che ho scelto».
Il 6 ottobre 1849, Hermann riceve l'abito con il nome di Fra Agostino Maria del Santissimo Sacramento. La regola del noviziato è dura. Fra Agostino Maria vi si dà con generosità. Il suo massimo sacrificio è quello di privarsi a poco a poco di fumare e di prendere caffè. A vederlo, a sentirlo, lo si prenderebbe per il più mite, il più calmo, il più amabile degli uomini per carattere. Eppure talvolta, anche quando ha il sorriso sulle labbra, il sangue gli ribolle di collera. Ha altresì tendenza alla canzonatura, dovuta ad una percezione acuta del minimo ridicolo; ma sembra che nessuno l'abbia sospettato, perchè durante le ricreazioni si dimostra pieno di allegria e di benevolenza per gli altri frati, prendendo volentieri Gesù per soggetto delle conversazioni. Pronuncia i voti il 7 ottobre 1850 e, il Sabato Santo 1851, viene ordinato sacerdote. In quei giorni benedetti, prega intensamente per la conversione della sua famiglia. La sua preghiera non sarà priva di frutti, poichè parecchi dei suoi, ed in particolare sua sorella, abbracceranno la fede cattolica.
Fin dal giugno del 1852, Padre Agostino Maria viene mandato a predicare in varie città, ed in particolare a Lione, Marsiglia, Parigi, Liegi, Berlino, Ginevra...; le sue parole infervorate dall'amore di Dio convertono le anime e le attirano al confessionale, alla devozione fervente per la Santa Vergine e l'Eucaristia; certi chiedono il Battesimo, altri entrano in convento.
«Assomigliamo ai lebbrosi»
A Parigi, comincia così l'omelia: «Fratelli, il mio primo atto, da questo pulpito cristiano, deve essere un'ammenda onorevole degli scandali che ho avuto un tempo la disgrazia di dare in questa città. Con che diritto, mi potreste dire, viene a predicare, lei che abbiamo visto trascinarsi nel fango di un'immoralità senza pudore, e professare apertamente tutti gli errori? Sì, Fratelli, confesso di aver peccato contro il Cielo e contro di voi... Sono pertanto venuto a voi coperto di una veste di penitenza... La Madre di Gesù mi ha rivelato l'Eucaristia, ho conosciuto Gesù, ho conosciuto il mio Dio e poco dopo fui cristiano. Ho chiesto il santo Battesimo, e l'acqua santa colò su di me; subito, tutti i miei peccati, gli orribili peccati di venticinque anni di crimini, furono cancellati. E la mia anima, immediatamente, divenne pura ed innocente. Fratelli, Dio mi ha perdonato... Non mi perdonerete voi pure?» Parecchie persone, ivi inclusi certi suoi compagni di dissolutezza, commossi da tali parole, si convertono.
In tutte le prediche, Padre Agostino Maria manifesta il suo amore per l'Eucaristia. Esso gli ispira una nuova opera. Di passaggio ad Ars, se ne apre con il Curato, san Giovanni Maria Vianney: «Reverendo, non ha notato che ci si preoccupa più di chiedere benefici al Signore, che di ringraziarLo per quelli che si sono già ricevuti da Lui? – Sì, assomigliamo ai lebbrosi che se ne vanno guariti, senza dire grazie. – Non si potrebbe fondare un'opera che avesse quale scopo quello di rendere a Dio incessanti azioni di grazia per il torrente di benefici che riversa sul mondo? – Sì, ha ragione. Lo faccia, e Dio la benedirà».
Tre gradi
In un'omelia, sviluppa il suo pensiero sull'azione di grazia: «Il primo grado è quello del cuore: bisogna gravarvi la memoria delle insigni misericordie che il Signore ci ha concesso. – Il secondo grado ci porta a lodare, ad esaltare, a celebrare il bene ricevuto»; la preghiera liturgica, in particolare il Salterio ed il Te Deum, costituisce la miglior fonte dell'azione di grazia, poichè «ne è l'autore lo Spirito Santo stesso». Ma «è attraverso la divina Eucaristia e attraverso Essa sola che potremo degnamente liberarci del nostro debito di gratitudine verso Dio. Ecco il terzo ed il grado supremo dell'azione di grazia... O Dio mio, quando ti offro quest'Ostia di lode e d'amore, fai ancora sentire quella voce paterna che dall'alto dei cieli scese su Gesù: Ecco il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto (Marco 1, 11)».
La conclusione pratica è la fondazione a Lione, nel 1859, incoraggiata da Papa Pio IX, di una confraternita dell'azione di grazia destinata a «render grazie all'Eterno per i suoi doni, soprattutto quello che è per eccellenza il Dono di Dio, l'Eucaristia; supplire alla spaventosa ingratitudine dei più, che dimenticano i doveri della riconoscenza verso Dio; ringraziare il Signore per coloro che non lo fanno».
Conformemente all'ideale dei Carmelitani, Padre Agostino Maria aspira alla solitudine profonda del deserto, per consacrarsi ancora di più alla preghiera. «L'importante, ha l'abitudine di dire, è il fatto di non prender gusto alle cose del mondo, e l'effetto della preghiera quotidiana è precisamente quello di disilluderci sull'attrattiva di tutte queste cose e di eccitare in noi il desiderio di Gesù solo. Il Dio d'amore è geloso: vuol regnare solo, esser amato, apprezzato, desiderato». Avendo scoperto vicino a Tarasteix, a 20 km. da Lourdes, un ampio spazio perso fra i boschi, lo compra e vi fa costruire degli eremi individuali. In realtà, ne approfitterà ben poco. Infatti, su richiesta del cardinale Wiseman, il Papa mette gli occhi su di lui per restaurare l'ordine dei Carmelitani in Inghilterra: «La mando, gli dice, a convertire l'Inghilterra, come uno dei miei predecessori mandò il monaco Agostino». Nessun convento è ancora riaperto nel paese dal tempo dello scisma di Enrico VIII (1491 – 1547). Il 15 ottobre 1863, ricorrenza di santa Teresa d'Avila, Padre Agostino Maria insedia provvisoriamente alcuni Carmelitani venuti dalla Francia, in una casetta a Londra. A seguito delle sue prediche, parecchi Anglicani esprimono la volontà di entrare a far parte della Chiesa cattolica. Nel 1863, per la prima volta in capo a tre secoli, un novizio inglese riveste il santo abito dei Carmelitani. Nel settembre del 1864, circa due anni dopo l'arrivo di Padre Agostino Maria in Inghilterra, sette case per l'adorazione sono in piena attività, di cui due a Londra.
Nel 1868, Padre Agostino Maria ottiene finalmente dai superiori il permesso di tornare nel «Deserto Sant'Elia», a Tarasteix. Tuttavia, una nuova prova lo colpisce: una malattia degli occhi, talmente grave che dovrà essere operato. Riponendo la sua fiducia nella Vergine di Lourdes, fa una novena nella grotta delle apparizioni, lavandosi ogni giorno gli occhi alla sorgente miracolosa. Nel nono giorno, la guarigione è improvvisa e totale: il miracolo è evidente. Hermann Cohen è il primo Ebreo miracolato a Lourdes. Torna a Tarasteix, dove spera proprio di fissarsi definitivamente. Ma l'ora del ritiro nel deserto non suonerà: nel maggio 1870, viene nominato per tre anni primo consigliere del superiore provinciale e Istruttore dei novizi: si reca quindi a Le Broussey. Il 19 luglio dello stesso anno, la Francia dichiara la guerra alla Prussia. Un mese più tardi, il disastro di Sedan cagiona il crollo del regime napoleonico. Un odio antiprussiano ed antireligioso s'impossessa dei Francesi.
Il popolare Carmelitano scalzo, venerato ed amato in tutta la Francia, è «inseguito di città in città, a causa della sua duplice qualità di monaco e di Tedesco». Si reca a Grenoble, dove un tempo le sue parole di fuoco gli avevano fatto conquistare le folle. Viene preso per una spia: sfugge per poco alla morte. Finalmente, arriva sano e salvo a Ginevra, dove il vescovo gli affida l'incarico di un gruppo di donne e di persone anziane, circa cinque o seicento, prive di qualunque soccorso religioso, esuli dalla Francia.
Ma il 24 novembre 1870, su richiesta del vescovo di Ginevra, parte per Berlino ed ottiene l'autorizzazione di servire in qualità di cappellano a Spandau, a 14 km. dalla capitale, dove più di cinquemila prigionieri Francesi sono privi di vestiti, di cibo e, soprattutto, di soccorsi spirituali; molti sono gravemente ammalati... Conquista in breve i cuori dei prigionieri; se veglia innanzi tutto sulle loro anime sofferenti, la sua carità si dà da fare per portar sollievo a quei poveri corpi. Riesce a far pervenire loro casse di vestiti, perchè possano resistere al freddo in quella Prussia gelida, nel cuore dell'inverno; ottiene loro anche supplementi indispensabili di alimenti. Ogni giorno, celebra la Messa e predica davanti a parecchie centinaia di soldati. Grazie alla sua inesauribile bontà, molti vanno da lui a confessarsi; un mese dopo il suo arrivo, 300 soldati hanno ricevuto la Santa Comunione... Ma, con un tal regime, la salute di Padre Agostino Maria, già tanto precaria, si deteriora.
Un rischio mortale
Il 9 gennaio 1871, amministra l'estrema unzione a due prigionieri che sono colpiti dal vaiolo. Ma la spatola che gli serve per ungere gli agonizzanti con l'olio santo gli manca in quel momento, ed essendoci urgenza, Padre Agostino Maria non esita a fare le unzioni con la mano, benchè abbia un'escoriazione al dito, rischiando così la vita per l'eterna salute delle sue due pecorelle. Infatti, contrae la malattia. Il 15 gennaio, essendosi il suo stato aggravato, riceve a sua volta gli ultimi sacramenti, poi canta con voce ferma il Te Deum a la Salve Regina; recita quindi il De profundis. Il giorno seguente, quando gli si annuncia che la fine è prossima, una gioia indicibile appare sul suo volto. Nella serata del 19 gennaio si confessa tranquillamente e riceve la Santa Comunione. «Ora, Dio mio, dice, rimetto la mia anima nelle tue mani». Saranno le sue ultime parole. La respirazione calma si prolunga fino all'indomani mattina verso le 10, quando, mentre la Suora che lo veglia canta, dietro sua richiesta, la Salve Regina, spira dolcemente.
Padre Agostino Maria del Santissimo Sacramento è stato l'aedo dell'Eucaristia. Che ci sia dato di imitarlo con un amore fervido per Gesù-Ostia, come il Santo Padre ci incoraggia: «La Chiesa ed il mondo hanno un gran bisogno del culto eucaristico. Gesù ci aspetta in questo sacramento dell'Amore. Non rifiutiamogli il tempo di andarLo ad incontrare nell'adorazione, nella contemplazione piena di fede ed aperta alla riparazione dei peccati gravi e dei delitti del mondo. Che mai cessi la nostra adorazione!» (Giovanni Paolo II, lettera Dominicæ cenæ, del 14 febbraio 1980).
Preghiamo secondo tutte le Sue intenzioni e particolarmente per i Suoi defunti.
Dom Antoine Marie osb