Tat’jana Kasatkina l’ha scoperto a undici anni, leggendo “L’idiota”, e racconta così il suo incontro con Dostoevskij: “Ho trovato ‘L’idiota’ su uno scaffale di casa. L’ho letto tutto d’un fiato per due giorni e quello che ho sentito di più, durante e dopo la lettura, è che non ero più sola”. La Russia dell’epoca, cioè il suo mondo, il mondo come le veniva presentato, le appariva come “un mondo senza sbocchi, mi sembrava che lo spazio fosse come una grande scatola completamente chiusa da un coperchio azzurro, e quando ho letto ‘L’idiota’ il coperchio è saltato: ho capito che il cielo era aperto perché né il mondo né l’uomo finiscono qui, né il mondo né l’uomo possono essere ridotti a quello che si può toccare”. L’alternativa al positivismo era tutta nella domanda “Ma questo è un tetto o è il cielo?”.
Poi Kasatkina fa un accostamento strano, strano almeno per chi non conosca Dostoevskij: “Io sono nata e cresciuta in un paese in cui si poteva leggere Dostoevskij, ma non si poteva leggere assolutamente il Vangelo, semplicemente perché non c’era. E questo è stato un grave errore del nostro governo. All’inizio – subito dopo la rivoluzione del 1917 – sono stati intelligenti e hanno vietato di leggere anche Dostoevskij, ma poi, dal 1945 circa, ci hanno ridato il permesso di leggerlo. Non ha senso vietare il Vangelo a un popolo che ha Dostoevskij, sarebbe come vietare il Vangelo a un popolo che ha Dante”.
Per capire questo nesso, più vincolante di un’ispirazione, tra Dostoevskij e il Vangelo bisogna ricordare che lo scrittore russo è stato per quattro anni ai lavori forzati, e li ricorda come la grande occasione della sua vita. Scrive così a Vsevolod Solov’èv che stava attraversando una forte depressione: “Sì, io la capisco, ho sperimentato anch’io quello che sta passando. Ma io sono stato fortunato, mi hanno mandato ai lavori forzati”. Nei campi di prigionia in Siberia, paradossi degli assolutismi russi, non erano ammessi altri libri che il Vangelo. Dostoevskij per quattro anni non lesse altro e lo imparò letteralmente a memoria. Non solo i suoi testi ne sono intrisi, ma hanno anche la stessa struttura dei testi evangelici.
Questa forma di scrittura esalta la contemporaneità: quella dei Vangeli alla narrazione di Dostoevskij, e quella di Dostoevskij a noi. “Non è mai corretto – avverte Kasatkina – accostarsi alla letteratura come a qualcosa che non c’entra: con la vita, ma che è interessante in sé, astrattamente. L’arte, inclusa la letteratura, è l’unica manifestazione umana, l’unico tipo di conoscenza in grado di comunicarci un’esperienza in assenza di tale esperienza”, per questo è insostituibile e funziona “esattamente come l’esperienza”, infatti, mentre “il sapere dell’uomo è qualcosa che si acquisisce e si può dimenticare; l’esperienza è quello che non si dimentica” (ad andare in bicicletta impari una volta per tutte)…
Ubaldo Casotto su “Il Foglio” 21 luglio 2012
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