Cristo risorto: la sconfitta del Nulla e la rinascita dell’uomo
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La redazione UCCR
desidera augurare a tutti i collaboratori e a tutti i lettori una buona
S. Pasqua. Non vuole essere un augurio formale, ma l’invito
-innanzitutto a noi stessi- a vivere l’evento della Resurrezione di
Cristo come chiave di volta di tutti gli istanti della nostra vita. Il motivo lo leggiamo nella bella riflessione del teologo don Luigi Giussani
che pubblichiamo qui sotto, tratta da “La famigliarità con Cristo” (San
Paolo 2008). L’aggiornamento al sito web riprenderà martedì 2 aprile 2013.
di don Luigi Giussani
La Risurrezione è il culmine del mistero cristiano. La centralità della Risurrezione di Cristo è direttamente proporzionale alla nostra fuga
come da un incognito, alla nostra smemoratezza di essa, alla timidezza
con cui pensiamo alla parola e ne siamo come rimbalzati via.
E’ nel mistero della Risurrezione il culmine e il colmo dell’intensità della nostra autocoscienza cristiana, perciò dell’autocoscienza nuova di me stesso, del modo con cui guardo tutte le persone e tutte le cose: è nella Risurrezione la chiave di volta della novità del rapporto tra me e me stesso, tra me e gli uomini, tra me e le cose. Ma questa è la cosa da cui noi rifuggiamo
di più. È come la cosa più, se volete, anche rispettosamente, lasciata
da parte, rispettosamente lasciata nella sua aridità di parola
intellettualmente percepita, percepita come idea, proprio perché è il
culmine della sfida del Mistero alla nostra misura. «Se
non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se
Cristo non è risuscitato, allora vana è la nostra predicazione ed è vana
anche la vostra fede. Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è
risorto; ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete
ancora nei vostri peccati» (1Cor 15,1-22).
Il cristianesimo è l’esaltazione della realtà concreta,
l’affermazione del carnale, tanto che Romano Guardini dice che non c’è
nessuna religione più materialista del cristianesimo. E’ l’affermazione
delle circostanze concrete e sensibili, per cui uno non ha nostalgia di
grandezza quando si vede limitato in quel che deve fare: quel che deve
fare, anche se piccolo, è grande, perché dentro lì vibra la Risurrezione di Cristo. «Immersi nel grande Mistero»,
immersi come l’io è immerso nel «tu» pronunciato con tutto il proprio
cuore, come il bambino quando guarda la madre, come il bambino sente la
madre. Non mi posso concepire se non immerso nel Tuo grande Mistero. La
fede in Cristo risorto è il supremo atto dell’intelligenza umana
nel cogliere la realtà con lealtà e con affettività, amorosamente
affermandola. Questa affermazione amorosa del reale è condizione per cui
l’intelligenza dell’uomo, di fronte alla proposta di Cristo risorto, diventa fede.
La proposta di Cristo risorto e il riconoscimento di fede non sono
opera dell’uomo, non il prodotto di un’ipotesi di lavoro della mente,
non forza dell’intelletto, bensì possibilità della nostra intelligenza,
in quanto – come creatura – è una potenza d’obbedienza al Creatore: è per grazia. È per grazia che noi possiamo riconoscerlo risorto e che noi possiamo immergerci nel suo grande Mistero.
Senza la resurrezione di Cristo c’è una sola alternativa:
il niente. Noi non pensiamo mai a questo. Perciò passiamo le giornate
con quella viltà, con quella meschinità, con quella storditezza, con
quell’istintività ottusa, con quella distrazione ripugnante in cui l’io –
l’io! – si disperde. Così che, quando diciamo «io», lo diciamo per
affermare un nostro pensiero, una nostra misura o un
nostro istinto, una nostra voglia di avere, un nostro preteso, illusorio
possesso. Al di fuori della resurrezione di Cristo, tutto è illusione.
Ci è facile guardare tutto lo sterminato gregge degli uomini nella
nostra società: è la grande, sterminata presenza della gente che vive
nella nostra città. E noi non possiamo negare di
sperimentare questa meschinità, questa grettezza, questa storditezza,
questa distrazione, questo smarrirsi totale dell’io, questo ricondursi
dell’io ad affermazione accanita e presuntuosa del pensiero
che viene (chiamandolo “verità della mia coscienza”) o dell’istinto che
pretende afferrare e possedere una cosa che lui decide essergli
piacevole, soddisfacente, utile. È che tutto è illusione. Distaccatevi
due metri dalla vostra casa, guardate tutta la gente come vive tante
volte; normalmente viviamo così. Guardatela, uscite dalla vostra casa e
state lì a guardarla, due metri fuori: ditemi se l’ambiente non è così,
se l’umanità non è questa!
È per questo che la liturgia ci fa dire: «Sostieni sempre la fragilità della nostra esistenza con la tua grazia, unico fondamento della nostra speranza»:
il che vuol dire che senza il Mistero di Cristo risorto, il Mistero
supremo del cristiano, sarebbe vana la fede e saremmo ancora nel nostro
peccato, vale a dire in una realtà che è destinata a dissolversi
e a omologarsi nella cenere ultima, nel nulla – e tutto ciò che vibra
nella vita e sembra eccitare i nostri nervi, i nostri desideri e i
nostri pensieri sarebbe illusione-. Non c’è altra alternativa che quella
tra il Cristo risorto e questa illusione della vita, «il brutto / poter che, ascoso, a comun danno impera, / e l’infinita vanità del tutto», come finisce la breve poesia A se stesso di Leopardi. Non c’è alternativa a Cristo risorto, se non questa frase di Leopardi.
Mai, come di fronte a Cristo risorto, la nostra insistenza sul chiedere, sul pregare, sul domandare
(usiamo la parola che è l’essenza della preghiera: domandare), la
nostra domanda deve intensificarsi. Per immergerci nel grande Mistero
dobbiamo domandare: questa è la ricchezza più grande. Come
l’intelligenza più grande è affermarlo, così l’affettività più ricca è
domandarlo, il realismo più intenso e più drammatico è domandarlo. Del
resto, l’istante prima se n’è andato, l’istante successivo ancora non
esiste: la nostra libertà è nella decisione dell’istante.
Se la nostra libertà è nella decisione dell’istante, che cosa possiede
la nostra libertà, che cosa è capace di creare? Soltanto di svelarsi
come domanda. Essa è, infatti, esigenza di pienezza e di felicità, di
essere. La nostra libertà è esigenza; il cuore, se vogliamo usare il
paragone biblico, è esigenza, cioè desiderio; l’istante è desiderio.
Allora la verità del desiderio è solo nel diventar domanda.
La libertà è il desiderio originale che diventa domanda. Nella domanda è
il riconoscimento del positivo del disegno di Dio; nella domanda è il
riconoscimento – imperfetto e timidamente iniziato – del Mistero che è
tra noi.
Che cosa accade immergendoci nel grande Mistero di Cristo risorto? Ciò che caratterizza l’io nuovo è la verità delle cose, è la verità della realtà, è una intelligenza della realtà nella sua verità, è un amore alla realtà nella sua verità,
è un immergersi nella realtà come verità, è un immergersi nella verità
della realtà. Gesù quando è risorto ha fatto un’esperienza nuova della
sua umanità, del suo essere davanti alla gente, dell’essere nel tempo e
nello spazio, del camminare e del mangiare; è un’esperienza sottratta alla forma naturale dell’esperienza.
Non era, il suo mangiare, lo stare davanti a Maria e agli Apostoli,
come per noi; era stare davanti a tutto quello dentro il possesso della
prospettiva ultima, dentro la verità, nella loro verità. Questo è ciò
che rende vera anche la nostra esperienza di rapporto tra di noi, di
rapporto con le cose, di rapporto con tutto.
Allora, già fin d’ora, se partecipiamo
all’esperienza nuova che l’uomo Cristo, risorto da morte, vive sino alla
fine dei secoli, noi partecipiamo inizialmente, incoativamente di
questa sua signoria sul tempo e sullo spazio. Non c’è alternativa
tra Cristo risorto e la decadenza totale verso il niente. Non c’è
niente che possa togliere la differenza tra quella verità e la menzogna nei nostri rapporti:
l’adesione a quella verità o la menzogna, nei nostri rapporti. Anche il
più intimo e il più amato, fino all’ultimo ci lascerebbe con assoluto
disinteresse. Mentre il rapporto più amato diventa eterno, un possesso già eterno perché in esso «traluce» qualcosa che tu riconosci. E perciò abbracci ciò che ami con quel distacco dentro che ti fa dire: «In te traluce il grande Altro, Cristo. Amo te come Cristo, amo Cristo in te, amo te in Cristo». E non esiste più l’estraneo, fosse anche il più lontano uomo che vive in Kamchatka o nell’Australia: non esiste più estraneo, e tutto appartiene a me con quel sollievo e quel riposo che mi dà la percezione del punto di fuga che è in tutto e che raccorda tutto e ogni cosa al Destino ultimo, al Mistero ultimo che si è svelato in tutta la sua potenza e misericordia e giustizia: Cristo risorto.
Ma questo è ciò per cui ci svegliamo
oramai tutte le mattine: è un orizzonte e un destino, un’intensità di
vibrazione, è un vivere e un possedere, perché si è posseduti.
È un essere posseduti, ciò da cui parte il possedere, da cui parte la
vibrazione e l’intensità, da cui parte la cattolicità, la totalità dei
rapporti, con la croce dentro (possesso con un distacco dentro). Ciò da
cui tutto parte è l’essere posseduti da Cristo risorto, «immersi nel grande Mistero».
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