Immanuel Kant, Cristo, idea personificata della moralità
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Elevarci
a questo ideale di perfezione morale, cioè al prototipo dell'intenzione
morale in tutta la sua purezza è il dovere universale di noi uomini, e a
ciò quest'idea stessa, che ci è data dalla ragione come uno scopo da
raggiungere, ci può dare la forza necessaria.
La
sola cosa che possa fare di un mondo l'oggetto del decreto divino e il
fine della creazione, è l’umanità (l'essere razionale in generale del
mondo) in tutta la sua perfezione morale, della quale, come sua
condizione suprema, la felicità è la conseguenza immediata nella volontà
dell'Essere supremo.
Quest'uomo,
il solo che è gradito a Dio, «è in lui fin dall'eternità»; l'idea di
lui deriva dall'essere stesso di Dio; egli non è, in questo senso, una
cosa creata, ma il suo Figlio unigenito; «il Verbo (il Fiat!) per mezzo
del quale tutte le altre cose esistono, e senza del quale nulla
esisterebbe di ciò che è stato fatto» [Gv 1,1 ss.] (giacché in vista di
lui, cioè dell'essere razionale nel mondo, come lo si può pensare in
base alla sua destinazione morale, tutte le cose sono state fatte).
«Egli è il riflesso della sua gloria» [Eb 1,3]. «In lui Dio ha amato il
mondo» [lGv , 4,10] e solo in lui, e mediante l'adozione delle sue
intenzioni noi possiamo sperare «di diventare figli di Dio» [Gv 1,12]
ecc.
Elevarci
a questo ideale di perfezione morale, cioè al prototipo dell'intenzione
morale in tutta la sua purezza è il dovere universale di noi uomini, e a
ciò quest'idea stessa, che ci è data dalla ragione come uno scopo da
raggiungere, ci può dare la forza necessaria. Ora, appunto perché non
siamo gli autori di quest'idea, ma essa ha preso posto nell'uomo senza
che noi comprendiamo come la natura umana abbia semplicemente potuto
essere capace di riceverla, si può dire meglio che quel prototipo è
disceso dal cielo sino a noi, che esso ha assunto l'umanità (giacché è
meno possibile rappresentarci come l'uomo, cattivo per natura, possa da
sé liberarsi dal male ed elevarsi sino all'ideale della santità, anziché
concepire che questo ideale assuma l’umanità [la quale non è cattiva di
per sé] e si abbassi sino ad essa).
Quest'unione
con noi può dunque essere considerata come uno stato di umiliazione del
Figlio di Dio [cfr. Fil 2,6 ss.] se noi ci rappresentiamo quest'uomo
dalle intenzioni divine come un nostro modello, il quale, sebbene sia
santo da parte sua, e, quindi, in quanto tale, non sia condannato a
sopportare dolori, tuttavia, accetta di soffrirli nella massima misura
per promuovere il bene del mondo; mentre l'uomo, che non è mai libero da
colpa, anche quando anch'egli ha adottato questa stessa intenzione, può
considerare come meritati da lui i dolori che, per qualsiasi via, lo
possono colpire, e, quindi, si deve ritenere indegno dell'unione della
sua intenzione con una tale idea, sebbene essa gli serva da modello.
L'ideale
dell'umanità gradita a Dio (e, quindi, l'ideale di una perfezione
morale tale quale è possibile ad un essere del mondo dipendente da
bisogni e da inclinazioni), noi non potremmo concepirlo se non mediante
l'idea di un uomo pronto non solo ad adempiere tutti i doveri umani e,
insieme, a diffondere intorno a sé, nella massima misura, il bene con la
sua dottrina e col suo esempio, ma anche disposto, sebbene tentato dai
più grandi adescamenti, a subire tutti i dolori, sino alla morte più
ignominiosa, per il bene del mondo, e anche per il bene dei suoi nemici.
Giacché l'uomo non si può fare un'idea del grado e dell'intensità della
forza che è propria dell'intenzione morale, se non in quanto egli se
la rappresenta in lotta con degli ostacoli e trionfante, ciò nonostante,
in mezzo ai più grandi assalti.
Nella
fede pratica in questo figlio di Dio (in quanto vien rappresentato come
se avesse assunto la natura umana) l'uomo può sperare di rendersi
gradito a Dio (e per tal modo di godere anche della beatitudine); cioè
l'uomo che ha coscienza di avere un'intenzione morale tale che gli sia
possibile credere e possedere in sé una fiducia ben fondata di rimanere,
in mezzo a tentazioni e a sofferenze simili (che sono la pietra di
paragone di quella idea), immutabilmente attaccato a tale modello
dell'umanità e fedele a seguire il suo esempio, quest'uomo e questo
soltanto ha il diritto di ritenersi un oggetto non indegno della
compiacenza divina.
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